Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28395 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28395 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRASSO ROSARIO nato a Gioia Tauro il 20/7/1982

avverso l’ordinanza del 23/7/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Guido Contestabile, che ha concluso riportandosi ai
motivi di ricorso.

Data Udienza: 10/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. 1. Con ordinanza del 22.7.2015 il Tribunale di Reggio Calabria- a seguito
di istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato Grasso Rosario avverso
l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria in data
11.5.2015- confermava detta ordinanza.

colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 74, commi 1,2 e 3 D.P.R. n. 309/1990
e art. 4 legge 16 marzo 2006 n 146, per associazione criminosa finalizzata alla
commissione di una pluralità indeterminata di delitti di importazione, trasporto,
codetenzione e successiva cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo
cocaina, dal Sudamerica in Italia svolgendo il Grasso Rosario il ruolo di
organizzatore, legato a Di Marte Francesco, attendendo alla diretta interlocuzione
con fornitori esteri da cui si recava per procurarsi cocaina e pagare le somme
necessarie per finanziarne l’importazione, anche godendo di autonomia decisionale
nella scelta dei soggetti cui rivolgersi per procacciarsi i carichi- nella provincia di
Reggio Calabria e altrove accertato dal mese di giugno 2013 fino al 1.2.2015 (capo
1), di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309/90 e di cui all’alt
14 L n. 14672006, perché in concorso con gli altri coindagati Dì Marte Francesco
e Di Marte Vincenzo e con Assisi Patrick, Vieíra Almeida e altre persone non meglio
identificate, importava in Italia un ingente quantitativo di sostanza stupefacente,
in particolare Kg 61, caduto in sequestro in occasione dell’arresto di Assisi Patrick
e Vieira Almeida, svolgendo Grasso Rosario il ruolo di procurare lo stupefacente in
Brasile -In Brasile ed in Losarno acc. il 25.6.2013 (capo 2) e di cui agli artt. 110
e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309/90 e di cui all’art 14 L n. 14672006
(perché in concorso con Di Marte Francesco, Di Marte Vincenzo e Rao Rosario e
con altre persone non meglio identificate) importava e trasportava un ingente
quantitativo di cocaina, in particolare 83 panetti di cocaina del complessivo peso
di Kg 86, contenuto in un container imbarcato sulla MN\MSC MAUREEN partita dal
porto di Santos (Bra) giunta nel porto di Gioia Tauro, dove cadevano in sequestro,
svolgendo Grasso Rosario il ruolo di procurare lo stupefacente in Brasile- in Santos
(BRA) e Gioia Tauro, acc. Il 27/28 agosto 2013 (capo 3), di cui agli artt. 110 e 73
comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309/90 e di cui all’ad 14 L n. 146/2006, perché in
concorso tra loro, con Dì Marte Vincenzo e con persone non meglio identificate,
acquistavano e trasportavano un ingente quantitativo di cocaina, in particolare Kg
32 contenuti in un container imbarcato sulla MN/MSC Maureen giunta nel porto di
Valencia, dove cadeva in sequestro, svolgendo Grasso Rosario il ruolo di
2

La misura cautelare veniva emessa per la sussistenza di gravi indizi di

committente e procacciatore della sostanza stupefacente- condotte commesse in
Valencia e Rosarno ed accertate il 17.10.2013 (capo 4); le esigenze cautelari
ritenute sussistenti erano quelle di cui alla lettera c) dell’art. 274 cod. proc. pen. .
Il Tribunale rigettava l’istanza di riesame, ritenendo esistente un solido
quadro di gravità indiziarla emergente dalle conversazioni intercettata e dalla
sostanza stupefacente nonché le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell’art.
274 cod. proc. pen., evincibili dalle modalità della condotta e dalla personalità del
prevenuto; riteneva, quindi, unica misura proporzionale e idonea quella di

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Grasso Rosario,
per il tramite del difensore di fiducia , articolando i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173
comma 1, disp. att. cod. proc. pen:
a. Annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen.
in relazione agli artt. 191 267, 268 e 271 696, 727 e 729 cod. proc. pen..
Il ricorrente deduce che l’ordinanza impugnata poggia su un compendio
indiziario che consta di intercettazioni del traffico telematico del Grasso, oggetto
di invio e ricezione mediante il sistema cd. Pin to Pin, tipico degli apparati mobili
BlackBerry, la cui attivazione genera dal collegamento Internet.
Contesta, quindi, l’utilizzazione, nelle operazioni di intercettazione, di impianti
diversi da quelli in dotazione alla Procura di Catanzaro, oltre che per l’assenza
della necessaria rogatoria alle autorità straniere, ed in particolare a quelle
canadesi, poiché l’attività captativa era diretta a percepire contenuti di
comunicazioni o conversazioni transitanti ed elaborati sul territorio straniero,
attraverso server ubicati tutti nel Canada; le autorità italiane, infatti, hanno
notificato i decreti autorizzativi ad una società esterna – con sede legale in Italia fornitrice di servizi della società madre canadese, che aveva ideato e sviluppato
un programma di messaggistica istantanea attraverso cui, secondo l’impostazione
accusatoria, gli indagati pianificavano il traffico di stupefacenti.
b. Annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) c) ed e) cod. proc.
pen, in relazione agli artt. 125 comma 3 cod. proc. pen. e 416 bis cod, pen.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale ha offerto una motivazione apparente,
limitandosi a richiamare l’ordinanza genetica, senza valutare autonomamente le
emergenze investigative, omettendo di valutare la memoria difensiva e di
sindacare gli elementi indicativi della ritenuta partecipazione del Grasso
all’associazione ex art. 74 dpr n. 309/1990.
c. Annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.
in relazione agli artt. 274, 275 cod. proc. peri.

massimo grado applicata dal Giudice per le indagini preliminari.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale ha offerto una motivazione di stile in
ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, senza nulla argomentare in
maniera specifica in ordine alla attualità delle stesse, in quanto i fatti contestati e
risalgono al periodo giugno-ottobre 2013, né in ordine all’art. 275 bis comma 1
cod, proc, pen.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e la mancanza ed illogicità della
motivazione in relazione alle modalità esecutive delle intercettazioni poste in
essere su utenze con sistema Blackberry.
In particolare, lamenta l’omesso ricorso alla rogatoria internazionale per
ottenere i dati identificativi dei codici PIN e per lo svolgimento delle operazioni di
intercettazione.
Va osservato che, nel caso di specie, oggetto di intercettazione, non sono
“ordinarie” comunicazioni telefoniche, bensì comunicazioni protette tramite il
servizio cd. pin to pin offerto da Blackberry sui suoi terminali, cioè cd.
comunicazioni in chat. Si tratta di una modalità di comunicazione comunemente
ritenuta più sicura per la privacy in quanto può intervenire esclusivamente fra
persone in possesso di apparecchi Blackberry identificati soltanto a mezzo di un
PIN (da qui la denominazione pin to pin) e comporta che le comunicazioni
trasmesse siano compresse e, soprattutto, cifrate. L’interconnessione è garantita
da un server, cioè la memoria informatica centralizzata, che si trova presso la sede
della società canadese “RIM” (research in motion), che appunto gestisce il servizio.
Il Tribunale del riesame ha dettagliatamente individuato, sulla base delle
emergenze investigative, l’utenza nella disponibilità del ricorrente, ricostruendo i
suoi spostamenti e spiegando, con argomentazioni specificamente illustrate ed
immuni da vizi logico-giuridici in questa sede censurabili: a) che le operazioni di
intercettazione sono avvenute in territorio italiano, tramite la registrazione dei dati
nella memoria informatica centralizzata (server) installata nei locali della Procura
di Catanzaro; b) che i dati telematici delle captazioni riguardanti lo scambio di
messaggi fra telefoni “Blackberry” con il sistema cd. “pin to pin” sono stati
trasmessi in originale dalla società con sede in Italia direttamente sul server degli
uffici della Procura.
Nel caso di specie, dunque, è stata rispettata la condizione necessaria per
l’utilizzabilità delle intercettazioni, ossia che l’attività di registrazione – consistente,
sulla base delle tecnologie attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in
una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della

1.E’ infondato il primo motivo di ricorso.

Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti (Sez. Un., n. 36359 del
26/06/2008, dep. 23/09/2008, Rv. 240395).
Al riguardo, inoltre, deve ribadirsi il principio, più volte affermato da questa
Suprema Corte (Sez. 6, n. 7634 del 12/12/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 262495;
Sez. 1, n. 13972 del 04/03/2009, dep. 31/03/2009, Rv. 243138; v., inoltre, Sez.
4, n. 9161 del 29/01/2015, Rv. 262441), secondo cui, in tema di intercettazioni
telefoniche, il ricorso alla procedura cd di istradamento, e cioè il convogliamento
delle chiamate in partenza dall’estero in un “nodo” situato in Italia (e a maggior

vengono convogliate a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale) non comporta
la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, poichè in tal modo tutta
l’attività d’intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene
interamente compiuta nel territorio italiano, mentre il ricorso alle forme
dell’assistenza giudiziaria all’estero è necessario unicamente per gli interventi da
compiersi all’estero, per l’intercettazione di conversazioni captate solo da un
gestore straniero.
Va precisato che è principio consolidato che la destinazione ad uno specifico
“nodo” telefonico, posto in Italia, delle telefonate estere, provenienti da una
determinata zona (c.d. instradamento), non rende necessario il ricorso alla
rogatoria internazionale, in quanto l’intera attività di captazione e registrazione si
svolge sul territorio dello Stato (cfr. Sez. 6, n. 18480 del 12/12/2015 , Zinghini,
non mass.; sez. 6, n. 10051 del 3/12/2007, Ortiz e altri, Rv 239459).
Inoltre, è stato di recente precisato che “non è necessario esperire una
rogatoria internazionale allorquando l’attività di captazione e di registrazione del
flusso comunicativo avvenga in Italia e tanto sia nel caso di utenza mobile italiana
in uso all’estero sia nel caso di utenza mobile straniera in uso in Italia,
richiedendosi il ricorso alla rogatoria solo nell’ipotesi in cui l’attività captativa sia
diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni transitanti
unicamente su territorio straniero” (cfr. Sez. 4, n. 9161 del 29/1/2015, Andreone
ed altri, Rv. 262441); il che conferma il principio, del tutto consolidato nella
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale si deve far ricorso alla rogatoria
internazionale solo nei casi in cui l’attività captativa è diretta a percepire contenuti
di comunicazioni o conversazioni che transitano unicamente su territorio straniero,
il che dà spiegazione alla richiesta di assistenza giudiziaria ad uno Stato estero.
Ciò che dunque rileva non è la nazionalità dell’utenza da intercettare quanto se
l’intercettazione sia compiuta o meno nel territorio italiano, che costituisce
accertamento di fatto il quale si sottrae al sindacato di legittimità se, come nella
specie, congruamente motivato.

5

ragione di quelle in partenza dall’Italia verso l’estero, delle quali è certo che

Questi assunti valgono anche in riferimento alle intercettazioni in oggetto,
laddove la captazione non riguardava comunicazioni tramite telefono ma
conversazioni via chat.
Con riferimento specifico alle intercettazioni telematiche, infatti, questa Corte
ha affermato che è legittima l’acquisizione di contenuti di attività di messaggistica
(nella specie, effettuata con sistema “Blackberry”) mediante intercettazione
operata ai sensi dell’art. 266 e ss. cod. proc. pen, poichè le “chat”, anche se non
contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni (Sez. 3, n.

50452 del

Orbene il Collegio della cautela ha correttamente applicato i principi nel caso
di cui si tratta ed ha evidenziato che le intercettazioni telematiche ex art. 266 bis
c.p.p. erano state disposte direttamente sui codici PIN, mentre la successiva
richiesta alla società RMI in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN
intercettati aveva riguardato dati comunque non muniti di alcuna protezione
particolare. Peraltro è stato opportunamente sottolineata la irrilevanza del fatto
che la società RIM fosse canadese, posto che le comunicazioni avvenivano in Italia
per effetto del convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove è
stata svolta l’attività di captazione.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché genericamente
articolato.
Il ricorrente, premettendo ampio richiamo alla giurisprudenza in tema di
motivazione apparente, lamenta che l’ordinanza impugnata sia caratterizzata da
tale vizio in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in
relazione al reato di cui all’art. 74 dpr 309/1990, senza evidenziare concreti
elementi di critica al provvedimento impugnato ma limitandosi a dedurre che il
Tribunale richiamava le considerazioni contenute nell’ordinanza genetica e
dedicava una sola pagina all’autonoma valutazione di tale risultanze.
Il motivo, quindi, caratterizzandosi per assoluta genericità, integra la
violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che nel dettare, in generale, quindi anche
per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre
l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati,
tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’art.
591 c.p.p., comma 1, lett. c), determina, per l’appunto, l’inammissibilità
dell’impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, rv. 242129; Zez. 6,
21.12.2000, n. 8596, rv. 219087).
Va, comunque, rimarcato che questa Corte ha affermato che, in tema di
motivazione delle ordinanze cautelari personali, la prescrizione della necessaria
autonoma valutazione delle esigenze cautelar’ e dei gravi indizi di colpevolezza,

10/11/2015,dep.23/12/2015, Rv.265615).

contenuta nell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., come modificato
dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, è osservata anche quando il giudice riporti nella
propria ordinanza le acquisizioni e le considerazioni svolte dagli investigatori e dal
pubblico ministero, pure mediante il rinvio per “relationem” al provvedimento di
richiesta, purché, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo
vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule
stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto (Sez.3, n. 840 del

Rv.265337; Sez.6,n.45934_del 22/10/2015, Rv.265068).
L’obbligo del vaglio critico delle risultanze investigative tramite un’attività
ricostruttiva ed esplicativa non implica, infatti, con riferimento all’esposizione della
parte narrativa del provvedimento, la necessità di una riscrittura originale del testo
della richiesta del PM (Sez.3,n.48962 del 01/12/2015, Rv.265611).
Analoga valutazione di genericità va effettuata in merito alla ulteriore
doglianza relativa alla mancata valutazione della memoria difensiva prodotta in
sede di riesame: il ricorrente si limita, infatti, a richiamare la predetta memoria
senza argomentare concreti elementi di critica al provvedimento impugnato.
Va ricordato che costituisce principio consolidato che è inammissibile il ricorso
per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte
del primo giudice delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando
genericamente ad esse, senza indicarne specificamente, sia pure in modo
sommario, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle
questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di
legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la
precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre
a verifica (Sez.2, n.9029 del 05/11/2013, dep. 25/02/2014, Rv.258962; Sez.2,
n.13951 del 05/02/2014, Rv.259704; Sez.3, n.35964 del 04/11/2014,
dep.04/09/2015 ,Rv.264879).
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
È opportuno muovere dal principio secondo il quale il rìcorso per cassazione
avverso i provvedimenti relativi all’applicazione di misure cautelari personali è
ammissibile soltanto se denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero
la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della
logica ed i principi di diritto, ma non anche quando proponga censure che
riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero si risolvono in una diversa valutazione
delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008,
Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv. 252178).

7

17/12/2015, dep.12/01/2016, Rv.265645; Sez.6,n.47233 del29/10/2015,

Ciò vale certamente per l’individuazione dei limiti del sindacato di legittimità
rispetto al giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari, che è censurabile in
questa sede soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme o nella
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del
provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 795 del 06/02/1996, Di Donato,
Rv.204014).
Il provvedimento impugnato è esente da vizi di motivazione in ordine alla
valutazione della permanenza delle esigenze cautelari e, cioè, del pericolo di

Il Tribunale non si è limitato ad evocare la gravità del titolo di reato nè la sola
personalità dell’indagato ma ha anche richiamato la significativa capacità a
delinquere testimoniata dalle modalità dei fatto (commissione dei fatti da parte di
soggetti inseriti in un ampio contesto criminale, organizzato e strutturato) quale
espressione di una evidente capacità delinquenziale in relazione ai reati contestati
in materia di sostanze stupefacenti.
Tale valutazione è conforme ai principi da tempo affermati da questa Corte
(Sez. 5, n. 35265 del 12/03/2013), secondo cui in tema di esigenza cautelare
costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art.
274 c.p.p., lett. c), la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare
congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua
personalità- nonché al disposto dell’art. 274 lett e) come modificato dalla legge 16
aprile 2015 n. 47.
Inoltre, va rilevato che il nuovo comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., come
modificato dalla legge 16 aprile 2015 n. 47, prevede per tutti i delitti previsti
dall’art. 51 commi 3 bis ( e quater) cod.proc.pen., tra i quali rientra anche l’art.
74 dpr n. 309/1990 per il quale è stata emessa l’ordinanza applicativa della misura
cautelare personale, la presunzione relativa di adeguatezza della carcerazione
cautelare.
Per tale gruppo di reati, quindi, vale la presunzione di adeguatezza di cui al
predetto art. 275 cod. proc. pen., che impone di ritenere sussistenti le esigenze
cautelari salvo prova contraria.
Nella specie, il Tribunale, nell’ordinanza oggetto del presente ricorso, ha
evidenziato, in sostanza, come la presunzione(relativa) in ordine alla esistenza di
esigenze di tutela della collettività, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, non
possa ritenersi vinta, in quanto persistono sicuramente esigenze di cautela sociale
ed, in specie, il concreto pericolo che il prevenuto possa commettere analoghe
violazioni della legge penale, per come risulta non solo dall’intrinseca gravità dei
reati ascrittigli, ma soprattutto dalla sua personalità quale si desume dalle peculiari
modalità dei fatti per cui è cautela.

reiterazione criminosa.

Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa

ter disp. att. c.p.p.
Così deciso il 10/05/2016

al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma 1

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