Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28388 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28388 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da :
Bondanini Roberto, n. a Roma il 20/09/1955;

avverso la ordinanza del Tribunale di Roma in data 01/10/2015;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale M. Di Nardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Bondanini Roberto ha proposto ricorso nei confronti della ordinanza del
Tribunale del riesame di Roma che ha rigettato l’appello proposto nei confronti
del provvedimento della Corte d’Appello di Roma di rigetto di istanza di revoca
del sequestro preventivo di immobile per i reati di cui all’art. 44 lett. c) del d.P.R.
n. 380 del 2001 e 181 del d. Igs. n. 42 del 2004.

Data Udienza: 14/04/2016

2. Con un primo motivo lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a
pena di nullità deducendo in particolare che la Corte d’Appello di Roma ha
trasmesso al Tribunale del riesame unicamente il provvedimento di rigetto e non
anche tutta la documentazione relativa al procedimento amministrativo di
sanatoria depositato presso la stessa Corte in data 02/04/2015 e che era
finalizzata a dimostrare la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate;
sicché il Tribunale avrebbe fatto miglior governo delle norme disponendo rinvio

d’appello ovvero al fine di sollecitare alla stessa difesa la produzione della
documentazione non allegata al ricorso introduttivo dinanzi al Tribunale del
riesame.

3. Con un secondo motivo lamenta poi la manifesta illogicità della motivazione;
in particolare, atteso il regolare espletamento dell’iter amministrativo di
regolarizzazione edilizia delle opere oggetto dell’imputazione si sarebbero dovute
ritenere ormai mancanti le esigenze cautelari essendo stata la pena accessoria di
demolizione irrogata dal giudice di prime cure superata dall’accertamento
postumo di conformità edilizia espresso dalla P.a.; né l’uso delle opere realizzate
e sanate potrebbe essere tale da mettere a rischio il bene giuridico tutelato,
essendo in ogni caso dovuta sul punto, per la necessità del requisito di attualità
e concretezza della misura cautelare reale, una motivazione articolata da parte
del giudice, nella specie del tutto mancante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo motivo è inammissibile ove si consideri che il presupposto su cui si
fonda l’invocata violazione di norma processuale, ovvero la circostanza che la
Corte d’Appello avrebbe dovuto trasmettere al Tribunale del riesame la
documentazione relativa alla valutazione operata dalla Regione Lazio circa la
compatibilità paesaggistica delle opere realizzate, non è nella specie ravvisabile.
Infatti, come previsto dall’art. 310, comma 2, c.p.p., come richiamato dall’art.
322 bis, comma 2, c.p.p., devono essere trasmessi, al Tribunale dell’appello
cautelare, l’ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa “si fonda”. E in tale
concetto non poteva, certamente, rientrare, nella specie, la produzione difensiva
effettuata in sede di richiesta di revoca della misura che era quindi onere della
difesa stessa allegare all’atto di appello, tanto più avendo la Corte d’Appello
unicamente motivato, con affermazione peraltro censurata dal Tribunale, sulla
impossibilità di disporre la revoca nelle more del giudizio di appello. Va in ogni
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della causa onde sollecitare l’invio degli atti da parte della cancelleria della corte

caso precisato che tale mancata trasmissione non risulta provvista di sanzione
alcuna, atteso che, anche a volere assimilare tra loro “gli atti presentati a norma
dell’art. 291, comma 1” (come da art. 309 comma 5 c.p.p.) e gli atti su cui
appunto si fonda l’ordinanza appellata (come da art. 310 comma 2 c.p.p.) l’art.
309, comma 10, c.p.p., che sanziona con l’inefficacia della misura la mancata
trasmissione degli atti di cui al comma 5 non è richiamato dall’art. 310 c.p.p. a
sua volta richiamato dall’art. 322

bis c.p.p. (cfr. Sez. 3, n. 44013 del

5. Il secondo motivo è invece fondato.
Va ricordato che già le Sezioni Unite di questa Corte ebbero ad affermare,
proprio in relazione a manufatti abusivi, che il sequestro preventivo di cosa
pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già
perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa – che
va accertato dal giudice con adeguata motivazione – presenti i requisiti della
concretezza e dell’attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua
consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario
aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta
connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere
definitivamente rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato. (Sez. U., n.
12878 del 29/01/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721). E successivamente,
sulla scia di tale impostazione, si è ulteriormente specificato che è riconosciuta la
possibilità di disporre il sequestro preventivo delle opere abusive già ultimate,
quindi anche successivamente alla consumazione del reato, allorché, pur
essendo cessata la permanenza, le conseguenze lesive della condotta sul bene
protetto possano perdurare nel tempo, ma a condizione che: 1) sussista una
prossimità temporale del sequestro rispetto alla realizzazione dell’opera e,
conseguentemente, il requisito della attualità e concretezza della misura
cautelare reale; 2) sia data una congrua puntuale motivazione sul periculum in
mora sotto il profilo della sussistenza delle conseguenze antigiuridiche ulteriori
rispetto alla ultimazione dei lavori, derivanti dall’uso del fabbricato (Sez. 4, n.
2389 del 06/12/2013, P.M. in proc. Gullo, Rv. 258182; v., altresì, Sez.3,
n.6599/12 del 24/11/2011, Susinno, Rv. 252016; Sez.2, n.17170 del
23/04/2010, De Monaco, Rv. 246854; Sez.4, n.15821 del 31/01/2007, P.M. in
proc. Bove e altro, Rv. 236601; Sez.3, n.4745/08 del 12/12/2007, Giuliano, Rv.
238783).
Anche con riguardo, poi, ai reati paesaggistici, questa Corte ha di recente
sottolineato che la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra di
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24/09/2015, Buccigrossi, Rv. 265073).

per sé i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori
elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del
soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell’ambiente e
del paesaggio (Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011).
Tale indirizzo va ribadito : non è infatti dato comprendere perché la valutazione
dell’attualità delle esigenze, da ancorare in concreto, come appena visto sopra
con riguardo agli illeciti urbanistici, una volta ultimate le opere, ad una effettiva

vincolata, e per il solo fatto che, dunque, la lesione attingerebbe anche il profilo
paesaggistico, esaurirsi nella sola constatazione di opera insediata in un tale
contesto.
Né si comprende, sotto il profilo logico, se il parametro di valutazione è quello
della concreta lesione del bene in rapporto alla avvenuta consumazione della
condotta illecita, perché la sola diversa natura del bene (ambientale paesaggistico in luogo di quello meramente urbanistico) dovrebbe comportare
una diversa soluzione rispetto a quella, sostanzialmente incontrastata, adottata
da questa Corte con riguardo ai reati edilizi, salva restando, naturalmente, la
necessità di verificare in maniera più penetrante la compatibilità dell’uso
dell’opera rispetto agli interessi tutelati dal vincolo proprio in ragione del
peculiare bene giuridico tutelato (Sez. 3, n.40486 del 27/10/2010, P.M. in proc.

__,

Petrina ed altro, Rv. 248701).
Sicché, in adesione all’ orientamento

sopra richiamato, e rifiutato ogni

automatismo tra uso del bene ed alterazione dell’ecosistema che invece pare
presiedere alle pronunce orientatesi in senso diverso (Sez. 3, n. 5954 del
15/01/2015, Chiacchiaro, Rv.264370; Sez. 3, n. 42363 del 18/09/2013,
Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/03/2013, Chiantone, Rv.255560;
Sez. 2, n. 23681 del 14/05/2008, Cristallo, Rv. 240621), deve ribadirsi la
necessità che il giudice dia specifica motivazione, in caso di opere ultimate,
dell’attualità delle esigenze cautelari nel senso appena ricordato.
Nella specie, dunque, a fronte della prospettata ultimazione dei lavori, il
Tribunale non avrebbe dovuto limitarsi, come invece ha fatto, con motivazione
del tutto apparente e perciò sindacabile in questa sede, a rilevare semplicemente
la “immanenza della tutela dell’interesse paesaggistico dal quale deriva la
sussistenza delle conseguenze antigiuridiche diverse ed ulteriori rispetto alla
realizzazione del fabbricato”, tanto più non evidenziandosi neppure in cosa,
concretamente, sarebbero consistite le opere realizzate, in ordine alla natura ed
entità delle quali nulla infatti viene detto dall’ordinanza.

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lesione del bene giuridico, dovrebbe, in caso di opere realizzate in zona

6. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Roma
per nuovo esame da condurre nel rispetto dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016

i

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.

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