Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28379 del 19/03/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28379 Anno 2013
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI GIANDOMENICO DOMENICO N. IL 27/08/1957
avverso la sentenza n. 18/2009 TRIB.SEZ.DIST. di TERMOLI, del
04/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott r4(;
che ha concluso per ; e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/03/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 4 novembre 2011 il tribunale di Larino sezione distaccata di Termoli in
parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di pace di Guglionesi condannava Di
Giandomenico Domenico al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile,
rimettendo le parti davanti al competente giudice civile per l’esatta liquidazione, confermava
nel resto la sentenza di primo grado che aveva condannato il Di Giandomenico per violazione
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:
1. vizio di motivazione in relazione alla configurabilità dell’ipotesi scriminante di cui
all’articolo 35 del decreto legislativo numero 274/00. Violazione e falsa applicazione di
detto articolo. Omessa valutazione di documenti decisivi. Sussistenza della condotta
riparatoria. Sostiene di aver versato alla parte offesa euro 400,00 quale condotta
riparatoria ex articolo 35 del decreto legislativo 274/00 nei termini di legge. Lamenta
che non è stata sentita la parte offesa in ordine alla congruità del risarcimento del
danno e che la decisione di primo grado doveva essere annullata perché il giudizio non
è stato sospeso in attesa di una integrazione del danno; violazione di legge e vizio della
motivazione in ordine alla configurabilità dell’articolo 636 codice penale in relazione
all’articolo 27 comma uno Cost. Sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo. Ritiene
che all’esito dell’istruttoria dibattimentale non sono risultati provati gli elementi
costitutivi del reato, in particolare non è stata provata la proprietà e l’appartenenza del
gregge all’imputato, l’introduzione del gregge nei terreni della parte offesa e il danno
patito dalla parte offesa;
2. violazione di legge, vizio della motivazione in ordine alla configurabilità dell’articolo 636
In relazione all’articolo 42 comma uno codice penale inesistenza dell’elemento
soggettivo. Evidenzia che nel corso dell’istruttoria l’imputato ha precisato di non aver
dato alcun ordine ai suoi dipendenti di far pascolare il gregge sui terreni della parte
offesa. Il prevenuto non era con il gregge e il solo fatto di essere proprietario del
gregge non

configura l’ipotesi di responsabilità non essendo conosciuta

nell’ordinamento penale, se non in via residuale, alcuna ipotesi di responsabilità
oggettiva;
3. vizio della motivazione e violazione di legge a fronte della mancata assoluzione quanto
meno ai sensi del secondo comma dell’articolo 503;
4. mancato riconoscimento dell’indulto.
I motivo di ricorso sono inammissibili perché reiterativi e comunque manifestamente infondati.
Il primo motivo di ricorso è infondato. L’applicazione della speciale causa di estinzione del
reato prevista dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 35, postula una valutazione, da parte del
giudice della idoneità in concreto delle attività riparatorie poste in essere dall’imputato a

dell’articolo 636 comma uno e tre codice penale.

soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. La persona offesa ha
un diritto di interloquire, non un dovere (da nessuna disposizione di legge si ricava l’esistenza
di un siffatto dovere), che, come già affermato da questa Corte ( Cass N. 22323 del 2006 Rv.
234555)sarebbe oltretutto contro la logica dell’intero sistema processuale: solo la parte
pubblica e il difensore hanno doveri funzionali; le altre parti hanno oneri legati all’esercizio di
facoltà. Pertanto, la persona offesa se vuole interloquire deve adempiere l’onere di essere
presente. Altrimenti decade dalla facoltà di far sentire la propria voce nel processo.
unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non
possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella
impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in punto di sussistere
di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato contestato.
In ordine alla censura per l’omessa applicazione dell’indulto, va rilevato che il difensore
dell’imputato non ha avanzato tale richiesta nel corso del giudizio di merito, ne’ con i motivi di
appello, ne’ con le conclusioni in udienza. Orbene con orientamento consolidato questa Corte
ha statuito che “il problema dell’applicazione dell’indulto può essere sollevato nel giudizio di
legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto
negativamente, escludendo che l’imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando
abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l’applicazione al giudice
dell’esecuzione. Ne consegue che, allorché non risulta richiesta, nelle fasi di merito,
l’applicazione dell’indulto, la questione non è deducibile in cassazione” (Cass. s.u. 2333/95, ric.
Aversa, rv. 200262)
Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese processuali .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma il 19.3.2013

Le ulteriori doglianze si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono

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