Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28375 del 08/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28375 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: VERGA GIOVANNA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PEPE VINCENZO N. IL 27/04/1950
avverso la sentenza n. 12659/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
16/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;

Data Udienza: 08/04/2014

OSSERVA

Il ricorso di Pepe Vincenzo è inammissibile perché manifestamente infondato

In via di principio si rammenta che le SU di questa Corte con sentenza n. 12433/2010 hanno
affermato che :”premesso che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale
resta da stabilire come debba avvenire il suo accertamento e quali debbano essere le sue
caratteristiche, posto che lo stesso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può
consistere in un mero sospetto, se è vero che questo non è incompatibile con l’incauto
acquisto(art. 712 c.p ) Occorrono per la ricettazione circostanze più consistenti di quelle
che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicché un
ragionevole convincimento che l’agente ha consapevolmente accettato il rischio della
provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano
palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che idolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non attingendo
il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero
sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta
possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perché possa ravvisarsi il dolo
eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe
avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; è
necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all’agente una scelta
consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere una ricettazione…”
Ciò premesso, occorre osservare che la Corte di appello ha individuato specifici elementi di
fatto, non censurabili in questa sede, dai quali ha tratto il ragionevole convincimento che il
Pepe aveva consapevolezza della provenienza delittuosa del bene.
Il ricorrente attraverso la reiterazione di motivi d’appello tende unicamente a prospettare una
diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, che non può trovare ingresso in questa sede di
legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e
coerentemente motivata proprio in punto di qualificazione del fatto e responsabilità del
prevenuto.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di
colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue l’onere delle spese del
procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende,
fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 (mille) euro

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di 1.000,00 euro.
Così deliberato in Roma 1’8.4.2014

La Corte di appello ha chiarito le ragioni che giustificano la sua condanna in ordine al delitto di
ricettazione.

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