Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28367 del 28/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28367 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Pandolfmi Angelo, nato a Palermo il 2.3.1955;
avverso la sentenza emessa il 5 aprile 2012 dalla corte d’appello di Palermo;

udita nella pubblica udienza dei 28 maggio 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione sin dal giudizio di primo grado, con eliminazione delle
statuizioni civili;
Svolgimento del processo
A Pandolfini Angelo vennero contestati i reati di cui: A) all’art. 44, lett. b),
d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, per avere eseguito senza permesso di costruire
l’ampliamento di un fabbricato preesistente con la realizzazione di una sopraelevazione; B) agli artt. 1,2,20 legge 2 febbraio 1974, n. 64; C) agli artt.
2,13,4,14 legge 5 novembre 1971, n. 1086.
Il giudice del tribunale di Palermo, con sentenza emessa il 18.5.2010, dichiarò estinti per prescrizione i reati di cui ai capi A) e B) e assolse l’imputato
dal reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste.
Proposero appello le parti civili Pandolfini Giuseppe e Pandolfini Mario.
La corte d’appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe accolse l’appello
e condannò l’imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Salvatore Modica, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 538, 576 e 591 cod. proc. pen. Osserva che
l’appello delle parti civili era inammissibile perché il giudizio di primo grad si

Data Udienza: 28/05/2013

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era concluso con una declaratoria di prescrizione e quindi il giudice d’appello
non poteva procedere agli effetti civili.
2) violazione degli artt. 576 e 591 cod. proc. pen. in quanto la sentenza
impugnata avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello perché con esso
non erano impugnati i capi della sentenza che riguardavano l’azione civile e ai
soli effetti della responsabilità civile.
3) violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. perché erroneamente la corte
d’appello ha disposto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale ammettendo la produzione da parte dell’appellante di 14 fotografie, non trattandosi di
prove nuove.
4) mancanza o manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova. Osservano che l’oggetto del processo riguarda l’epoca di realizzazione
del manufatto abusivo di cui al capo di imputazione. La corte d’appello ha travisato il contenuto delle fotografie e la loro data. Invero al momento del sopralluogo non fu effettuato alcun rilievo fotografico, secondo quanto riferito dal
verbalizzante. Si tratta allora di foto provenienti dalla parte civile, le quali non
sono collocabili nel tempo.
Motivi della decisione
Il primo motivo è infondato. Nella specie la sentenza di primo grado, che
aveva dichiarato l’estinzione del reato di cui al capo A) per prescrizione, è stata
impugnata dalla parte civile ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., il che rendeva
ammissibile l’impugnazione e l’eventuale condanna al risarcimento dei danni ai
soli effetti civili nel caso di accoglimento dell’appello e di accertamento che il
reato non si era ancora prescritto ed era sussistente, come nella specie è appunto
avvenuto.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti ritenuto che: «Il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su
impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera
della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 cod. proc. pen. conferisce al giudice
dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto» (Sez. Un., 11.7.2006, n. 25083,
Negri, m. 233918; Sez. III, 19.3.2009, n. 17846, AM., In. 243761); e, ancor più
specificamente, che «Non è inammissibile l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione (nella specie perché il fatto non sussiste) – non
impugnata dal P.M – anche se sia rilevata l’estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, in quanto nella specie si applica la
previsione di cui all’art. 576 cod. proc. pen., che conferisce al giudice penale
dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto; detta previsione introduce una deroga all’art. 538 cod. proc. pen., legittimando la parte civile non
soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma
anche a chiedere al giudice dell’impugnazione, ai fini dell’accoglimento della
propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell’imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo diffo
me, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell’imputazio

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-3 e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Pertanto, in tal caso, non sussiste un difetto di giurisdizione civile del giudice penale dell’impugnazione perché, diversamente dall’art. 578 cod. proc. pen. – che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell’imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno – l’art. 576 cod. proc. pen. presuppone una sentenza di
proscioglimento» (Sez. V, 27.10.2010, n. 3670/11, Pace, m. 249698).
E’ infondato anche il secondo motivo. E difatti «L’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le
sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti civili» (Sez. Un., 20.12.2012, n. 6509,
Colucci, m. 254130).
Ritiene il Collegio che siano infondati anche il terzo ed il quarto motivo.
Quanto al terzo motivo, invero, la corte d’appello ha basato la sua decisione non
solo sulle fotografie, ma anche sulla deposizione del mar. Carpintieri e di Pandolfini Giuseppe nonché sul valore non probante della deposizione del teste
D’Angelo. In ogni caso, l’ordinanza con la quale la corte d’appello ha disposto
la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed acquisito le fotografie è pienamente legittima, essendo stata emessa ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod.
proc. pen. trattandosi di prova nuova, non acquisita nel dibattimento di primo
grado, richiesta nell’atto di appello e ritenuta necessaria ai fini del decidere.
Il quarto motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione
impugnata ed è comunque infondato avendo la corte d’appello fornito congrua,
specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto che il
manufatto abusivo fosse stato realizzato recentemente e che quindi il reato non
fosse prescritto. Come già rilevato, invero, la valutazione di merito della corte
d’appello non si è fondata solo sulle fotografie, ma anche sulla deposizione del
mar. Carpentieri (il quale aveva riferito che i nuovi lavori edilizi erano consistiti
nella creazione di un nuovo muro parallelo al prospetto dell’edificio e più vicino allo stesso, con conseguente sottrazione di superficie del lastrico solare di
uso comune) e di quella della persona offesa Pandolfini Giuseppe (il quale aveva riferito che l’intervento aveva inglobato tutto il lastrico solare nella nuova
costruzione, rispetto alla situazione originaria nella quale metà del terrazzo aveva superficie libera). La corte d’appello, poi, con un apprezzamento di fatto
adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa
sede, ha ritenuto che la detta circostanza era confermata dalle fotografie prodotte, le quali mostravano che all’atto del sopralluogo anche il muro delimitante la
parte coperta della sopraelevazione e non solo il tramezzo interno fosse di recente realizzazione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28 r\
maggio 2013.

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