Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2836 del 10/01/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2836 Anno 2013
Presidente: COSENTINO GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Andriola Mario nato a Brindisi 13/9/1959
avverso l’ordinanza del Tribunale di Lecce, sezione del riesame in data
31/7/2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza del 31/7/2012 il Tribunale di Lecce, decidendo in sede

di rinvio a seguito della sentenza emessa da questa Corte in data 20/3/2012
con la quale era stata annullata l’ordinanza emessa in data 6/12/2012 nei
confronti di Andriola Mario limitatamente al capo c) dell’imputazione (art. 74
D.p.r. 309/1990), in riforma dell’ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Lecce del 14/11/2011, sostituiva la misura
cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

2.

Avverso tale provvedimento ricorreva per Cassazione l’indagato, per

mezzo del suo difensore di fiducia,

sollevando i seguenti motivi di

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Data Udienza: 10/01/2013

gravame:
2.1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 273,
274, 275, 292 cod. proc. pen. e 73, 74 D.p.r. 309/1990; rileva che dal
provvedimento impugnato non emergono né gli elementi indiziari che
rivelino il contributo offerto dall’Andriola all’associazione, né il ruolo
ricoperto dallo stesso all’interno di essa.
dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in relazione all’art. 627
comma 3 cod. proc. pen.; rileva al riguardo che il Tribunale non si è
uniformato alla questione di diritto decisa dalla Cassazione in ordine alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente all’appartenenza
dell’Andriola al sodalizio criminoso, limitandosi a riprodurre gli argomenti
già utilizzati nella prima ordinanza annullata dalla Cassazione.
2.3. carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai
sensi ll’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in punto di sussistenza
i recidiva specifica ex art. 274 lett. c) cod. proc. pen. per non essere
stata, preliminarmente, valutata la sussistenza di esigenze cautelari
meritevoli di tutela attraverso una misura restrittiva e per essere stato
desunto il pericolo di recidiva specifica sulla base dei medesimi fatti e
circostanze utilizzati per ritenere la gravità del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.

3.1.

Con riferimento al primo motivo di ricorso il provvedimento

impugnato non presenta il vizio denunciato, emergendo dalla lettura dello
stesso ampia ed articolata motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza relativamente alla partecipazione
dell’Andriola all’associazione ex art. 74 D.p.r. 309/1990 indicata al capo c)
della provvisoria contestazione. Nello specifico si dà atto di come, all’esito
di una serie di intercettazioni, sequestri ed attività di riscontro, sia emerso
il ruolo ricoperto dall’Andriola di partecipe in una complessa organizzazione
criminale dedita all’introduzione ed allo spaccio di sostanze stupefacenti del
tipo eroina ed hashish. A tale conclusione il Tribunale è pervenuto dopo
avere ricostruito gli elementi emersi nel corso delle indagini che hanno
consentito di accertare l’esistenza e l’operatività di una vasta

2.2. inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi

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organizzazione criminale, dotata di uomini e mezzi, che ha gestito in modo
continuativo un “intenso traffico di sostanze stupefacenti, avere individuato i
soggetti che rivestivano un ruolo di primo piano all’interno della suddetta
organizzazione ed avere verificato che uno di questi, individuato in Gerardi
Giuseppe, era in costanti rapporti con il ricorrente Andriola Mario; a
quest’ultimo riguardo il provvedimento impugnato valorizza i dati,
oggettivamente significativi in termini di gravità indiziaria, emergenti da
aggiungersi agli elementi, già considerati nel provvedimento genetico, non
più impugnabile sul punto, in forza dei quali sono stati ritenuti sussistenti a
carico dell’Andriola i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui agli
artt. 81 cod. pen. 73 D.p.r. 309/1990. La lettura congiunta di tale
compendio investigativo ha consentito al Tribunale di affermare che
l’indagato non solo collabora con il Gerardi nel collocamento sul mercato
della sostanza stupefacente da quest’ultimo detenuta, ma coopera con lo
stesso alla realizzazione dei fini associativi con la consapevolezza di fornire
un proprio apporto significativo al sodalizio di cui entrambi fanno parte.
Tale ruolo ricoperto dall’indagato nell’organizzazione viene ancora
maggiormente specificato dandosi atto di come lo stesso abbia provveduto,
stabilmente, sia alla consegna di numerosi quantitativi di sostanza
stupefacente agli acquirenti, sia alla riscossione dei relativi incassi,
venendo per tale attività retribuito direttamente dal Gerardi in proporzione
alla misura del denaro introitato. Il Tribunale, infine, pur prendendo atto
che l’Andriola intratteneva rapporti diretti solo con Gerardi Giuseppe e con
il fratello di questi Gerardi Giovanni e non con gli altri associati, perviene
alla ragionevole conclusione che lo stesso, ciononostante, era consapevole
dell’esistenza di una vasta organizzazione, all’interno della quale operava
Gerardi Giuseppe, alla quale forniva, attraverso le suindicate attività di
smercio dello stupefacente, uno stabile e continuativo apporto volto
all’attuazione del programma criminoso consistente nella commissione di
una serie indeterminata di delitti in materia di sostanze stupefacenti.
3.2. Passando al secondo motivo di ricorso deve preliminarmente
evidenziarsi che, sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte,
condivisa dal Collegio, il principio di diritto al quale il giudice di rinvio ha un
obbligo assoluto ed inderogabile di uniformarsi è soltanto quello che, a
norma dell’art. 173 comma 2 disp. att. cod. proc. pen., deve essere
specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio;

3

una serie di intercettazioni dettagliatamente riportate, che vengono ad

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viceversa tale effetto vincolante non può scaturire da affermazioni
esplicative della ratio decidendi e, meno ancora, da singoli sviluppi
argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento
annullato ma non forniscano, in sé, le indicazioni riparatorie in punto di
legittimità (sez. 1 n. 8242 del 18/5/1999, Rv. 213873; sez. 1 n. 42990 del
18/9/2008, Rv. 241823). Nel caso di specie, premesso che la precedente
ordinanza è stata annullata sulla base della constatata carenza di
di colpevolezza in ordine al reato associativo, il Tribunale non si limita
affatto a riprodurre gli argomenti giù utilizzati nell’ordinanza annullata;
piuttosto fornisce un’articolata lettura di tutti gli elementi indiziari emersi
nelle indagini e valorizzati nei precedenti provvedimenti, all’esito della
quale perviene ad una valutazione di gravità indiziaria in ordine alla
partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso di cui al capo c) della
provvisoria imputazione; e tale nuova valutazione, il giudice di rinvio ha
compiuto proprio nella direzione indicata dalla Cassazione nella citata
sentenza di annullamento, avendo individuato i contributi che l’indagato ha
offerto all’associazione ed il ruolo ricoperto all’interno della stessa.
3.3.

Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, attinente alla valutazione

delle esigenze cautelari, il provvedimento impugnato, con ampia ed
articolata motivazione, dà conto di come le stesse debbano ritenersi
sussistenti sotto il profilo della reiterazione della condotta criminosa di cui
all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. nonostante il tempo decorso dalla
commissione dei fatti accertati. In tal senso il Tribunale, con
argomentazioni logiche e prive di contraddizioni, fa riferimento alla
reiterazione nel tempo della condotta illecita, alla disponibilità manifestata
dall’indagato al Gerardi e tramite esso all’intera associazione, all’elevata
professionalità dimostrata nella commissione dei fatti, unita alla sofisticata
organizzazione sulla quale il sodalizio poteva contare, ai molteplici reati fine
posti in essere, oltreché all’intensità del dolo ed all’assenza di qualsiasi
forma di resipiscenza. Non è stata attribuita, quindi, una duplicità di
valenza agli stessi elementi nel senso indicato dalla giurisprudenza di
questa Corte segnalata dal ricorrente, laddove si affermava che, ai fini della
configurabilità dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dei reati
gli elementi di cautela tratti dalle specifiche modalità e circostanze del fatto
non possono ricevere una duplice valutazione, prima sul piano della gravità
della fattispecie e, quindi, per delineare la personalità dell’indagato (sez. 2

4

motivazione in ordine alla sussistenza a carico dell’Andriola dei gravi indizi

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n. 4620 del 20/11/1996, Rv. 206857). Difatti, nel caso di specie, il
Tribunale, da un lato, ha valorizzato le specifiche modalità e circostanze del
fatto con riferimento alle caratteristiche del sodalizio criminoso nel quale
era inserito l’indagato e da un altro lato ha tenuto conto della personalità
dello stesso facendo riferimento all’intensità del dolo di partecipazione al
sodalizio ed all’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza. Viceversa nella
decisione ora riportata si era affermato che non poteva essere attribuita
cautelare impugnata, si era ritenuto che la misura cautelare dovesse essere
mantenuta per la gravità dei fatti e le specifiche modalità degli stessi e per
la personalità degli indagati desunta proprio dalla gravità e dalla modalità
dei fatti.
A fronte delle ravvisate esigenze cautelari il Tribunale, con
motivazione priva di vizi di legittimità, ritiene adeguata la misura degli
arresti domiciliari, rappresentando come sia necessaria una misura
limitativa della libertà personale che impedisca all’indagato, risultato
perfettamente inserito nel contesto criminoso, di riprendere i contatti con i
referenti dell’organizzazione e quindi riattivare l’attività illecita alla quale la
stessa era dedita.
4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
respinge il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.
4.1. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato si trova ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1
bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.

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agli stessi elementi una duplice valenza, laddove, nel confermare la misura

Così deliberato in camera di consiglio, il 10.1.2013

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