Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28356 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28356 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Farina Cosimo, n. a Orla il 08/11/1967;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce in data 13/06/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale T. Baglione, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per
prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/06/2012 la Corte d’appello di Lecce, in riforma della
sentenza del Tribunale di Brindisi del 2 dicembre 2010, ha eliminato la
condizione apposta al beneficio della non menzione della condanna e ha
confermato nel resto la sentenza di condanna per i reati di cui agli artt. 44 lett.
b) del d.p.r. n. 380 del 2001 per avere realizzato, in assenza del permesso di
costruire, due manufatti con copertura in lamiera coibentata, e 44 lett. a) stesso

Data Udienza: 21/05/2013

d. P.R. per avere realizzato i detti manufatti in zona delimitata come zona verde
di rispetto cimiteriale.
2. Ha proposto ricorso l’imputato.
Con un primo motivo lamenta l’inosservanza di legge penale e la mancanza o
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’articolo
procedimento per la pendenza di procedimento amministrativo dinanzi al Tar
avverso il diniego della concessione in sanatoria.
Con un secondo motivo censura la decisione con cui la Corte ha ritenuto tardiva
l’eccezione avanzata in merito alla revoca da parte del Tribunale dell’ordinanza
ammissiva del teste Marinò, essendo stata ritenuta la relativa nullità quale nullità
a regime intermedio, senza che la stessa fosse stata dedotta immediatamente
dopo; sostiene invece che da un’attenta lettura del verbale d’udienza del 2
dicembre 2010 a pagina 24, si evidenzia come la nullità sia stata
Immediatamente e ritualmente dedotta dal difensore; quanto al merito, la
decisione con cui il testimone è stato revocato, non per sopravvenuta superfluità
o irrilevanza della prova, ma per semplice economia processuale, la stessa
integra violazione del diritto di difesa dell’imputato; detto esame era Infatti
assolutamente rilevante per la difesa che poteva in tal modo dimostrare la
manifesta inesistenza del vincolo cimiteriale sull’area di ubicazione dei manufatti.
Con un terzo motivo lamenta l’inosservanza della legge penale in relazione agli
artt. 581 e 591 c.p.p. e all’art. 192 c.p.p.. Rileva che in favore dell’assunto
accusatorio militano esclusivamente il sequestro del manufatto effettuato dai
vigili urbani e la dichiarazione del tecnico comunale, alquanto imprecisa e
generica, essendosi questi limitato ad affermare l’esistenza del vincolo sulla base
della mera vicinanza dei manufatti al cimitero, senza avere specificato la
distanza esatta; nella specie, poi, I manufatti si troverebbero a ben oltre 100
metri dalle mura cimiteriali. Deduce inoltre che I manufatti sottoposti a sequestro
sarebbero pertinenza di manufatti già preesistenti in quanto adibiti al deposito di
materiale relativo alla lavorazione del marmo svolta dall’imputato; denuncia
inoltre l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato, atteso che, tra l’altro,
come affermato dal teste dell’accusa Incalza, nei pressi del laboratorio
dell’imputato insistono altre costruzioni vecchie e nuove proprio nelle adiacenze
del vecchio e nuovo cimitero.
Con un quarto motivo lamenta l’inosservanza di legge penale e la mancanza,
contraddittorietà o illogicità della motivazione in relazione agli articoli 163 e 165
c.p. per avere la Corte ritenuta legittima la concessione della sospensione
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479 c.p.p.; deduce che la Corte ha erroneamente negato la sospensione del

condizionale della pena subordinatamente all’adempimento dell’ordine di
demolizione nel termine di due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza,
potendo la demolizione essere demandata all’autorità amministrativa.
Con un quinto motivo, lamenta l’inosservanza di legge penale nonché la
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione
all’articolo 133 c.p. per eccessività della pena irrogata, che avrebbe dovuto
Con un ultimo motivo lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge
penale nonché la mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della
motivazione in relazione all’articolo 157 c.p. per avere erroneamente la Corte
d’Appello ritenuto non intervenuta la prescrizione, pur tenuto conto delle
sospensioni maturate.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è manifestamente infondato in ripetuti arresti questa Corte

ha affermato che il ricorso al giudice amministrativo avverso il diniego di
sanatoria per abuso edilizio non comporta la sospensione dell’azione penale
promossa per la relativa violazione, essendo detta sospensione limitata
temporalmente sino alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda
di sanatoria, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto (tra le altre, Sez.
3, n. 24245 del 24/03/2010, Chiarello, Rv. 247692); si è precisato che l’art. 45,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, dispone che, qualora venga richiesto
l’accertamento di conformità al sensi dell’art. 36 del d.P.R. cit., “l’azione penale
relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i
procedimenti amministrativi di sanatoria”. La norma ricollega, dunque, la durata
della sospensione all’esaurimento dei soli “procedimenti amministrativi di
sanatoria”, limitandola temporalmente alla decisione degli organi comunali sulla
relativa domanda, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto prevista
dall’art. 36, comma 4. Va anche ricordato che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte Suprema, nell’ipotesi in cui il giudice di merito
non abbia sospeso, ex art. 45, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, il
procedimento relativo ai reati di cui all’ art. 44, non consegue alcuna nullità,
mancando qualsiasi previsione normativa in tal senso e non configurandosi
pregiudizio al diritto di difesa dell’imputato, poiché questi può far valere nei
successivi gradi di giudizio l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva,
nella specie comunque non intervenuta (Sez. 3, n. 22921 del 06/04/2006,
Guercio, Rv. 234475).
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essere invece determinata nel minimo assoluto edittale.

4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La revoca, in assenza di contraddittorio, del teste precedentemente ammesso
determina, infatti, una nullità a regime intermedio, da dedursi nel termine di cui
all’art. 182, comma 2, c.p.p. (tra le altre, Sez. 3, n. 24302 del 12/05/2010, L.
Rv. 247878). Nella specie, In conformità a quanto affermato dalla Corte
eccezione risulta, sulla base della lettura del verbale di udienza del 02/12/2010,
sollevata dalla Difesa a fronte della disposta revoca. Del resto, va anche
ricordato che, secondo quanto disposto dall’art. 139, comma 3, c.p.p., ove la
riproduzione fonografica non abbia avuto effetto o non sia comprensibile, fa
prova il verbale redatto in forma riassuntiva, verbale che, nella specie, come
appena ricordato, difetta di qualunque indicazione al riguardo.
5. Quanto al terzo motivo, va rilevata anzitutto la corretta valutazione effettuata
dalla Corte territoriale in ordine alla genericità del motivo di appello relativo
all’affermata sussistenza del vincolo cimiteriale e alla insussistenza della natura
pertinenziale dei manufatti. Va precisato che i motivi di appello devono essere
specifici allo stesso modo di quanto richiesto per il ricorso in cassazione e,
quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le
ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con
precisione

l’oggetto

del

gravame

ed

evitare,

di

conseguenza,

impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012,
P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204); nella specie, la generica menzione, a
confutazione della dichiarazione di responsabilità resa in primo grado,
dell’intervenuto sequestro del manufatto e delle dichiarazioni rese dal tecnico
comunale, tacciate di farraginosità ed imprecisione senza alcuna spiegazione, sia
pure minima, dei motivi di una tale valutazione, è stata senza dubbio tale da
Integrare la aspecificità del motivo, correttamente colta dai giudici. In ogni caso,
gli stessi giudici di appello hanno evidenziato, in particolare, in termini esaustivi
e del tutto logici, da un lato, gli elementi comprovanti la identificazione della
zona come di “rispetto cimiteriale” (pagg. 6 e 7), valorizzando addirittura lo
stesso contenuto del ricorso al Tar presentato dal ricorrente, sia la esclusione di
natura pertinenziale in capo all’intervento edilizio in oggetto, facendo corretta
applicazione, in relazione segnatamente alla entità delle opere, al contrasto con il
P.d.F. e alla suscettibilità di autonoma e diversa utilizzazione, dei principi più
volte affermati da questa Corte. Anche in relazione alla sussistenza dell’elemento
psicologico la Corte territoriale ha correttamente posto in rilievo l’impossibilità,
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territoriale, e difformemente, invece, da quanto asserito in ricorso, nessuna

per l’imputato, da tempo immemorabile proprietario del terreno e del
preesistente laboratorio, di non avvedersi dell’esistenza del vincolo e comunque,
implicitamente conformando la propria valutazione ai dettami più volte indicati
da questa Corte a seguito della sentenza n. n. 364 del 1988 della Corte
costituzionale intervenuta in relazione all’art. 5 c.p., l’inescusabilità di una
condotta caratterizzata quanto meno dall’assenza di informazioni presso i

6. Con riguardo al quarto motivo, va ricordato che in tema di reati edilizi ben
può il giudice, nella sentenza di condanna, subordinare il beneficio della
sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, in
quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del
reato (tra le altre, Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007, Terminiello, Rv. 237825),
sicché nessuna illegittimità è rinvenibile, come già affermato dalla Corte leccese,
nella statuizione del Tribunale.
7. In ordine al quinto motivo, premesso che in ogni caso, come da costante
affermazione di questa Corte, allorquando la pena venga compresa nel minimo o
in prossimità del minimo, la motivazione non deve necessariamente svilupparsi
in un esame dei singoli criteri elencati nell’art. 133 c. p., essendo sufficiente il
riferimento alla necessità di adeguamento al caso concreto (tra le tante, Sez. 2,
n. 43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 227685), la Corte ha comunque
puntualmente evidenziato, quali elementi ostativi alla invocata mitigazione della
pena, il numero e l’entità delle opere abusive realizzate di per sé prevalenti su
altri, possibili, elementi di segno contrario.
8. Il sesto ed ultimo motivo è parimenti manifestamente infondato.
Ove si consideri infatti che al termine prescrizionale pari ad anni cinque
decorrente dalla data del 04/05/2007 devono aggiungersi complessivi giorni 101
di sospensione per effetto dei rinvii rispettivamente assegnati alle udienze del
10/02/2012 per malattia dell’imputato (per giorni sessanta) e del 02/05/2012
per legittimo impedimento dell’imputato (per giorni quarantuno), il termine
stesso è maturato in data 15/08/2012 e, dunque, successivamente alla
pronuncia della sentenza qui impugnata. Né la scadenza del termine può essere
considerata ora da questa Corte attesa l’Inammissibilità del ricorso, di per sé
ostativa ad una rituale introduzione del rapporto processuale (cfr., Sez. U., n. n.
32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).

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competenti uffici.

9..

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta
equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 c.p.p.

Dichiara inammissibile Il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 maggio 2013
Il Presidente

P.Q.M.

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