Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2835 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2835 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da

D’AGOSTINO Vincenzo, nato a Rosarno il 10/01/1961;
avverso l’ordinanza del 04/03/2013 del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di
giudice del riesame.

Letto il ricorso e l’ordinanza impugnata;
sentita la relazione del Consigliere Paolo Antonio BRUNO;
sentite le conclusioni del Procuratore generale in persona del Sostituto dr. Eduardo
Scardaccione, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Mario Bagnato, che ne ha chiesto, invece, l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 21/11/2012 il GIP del Trubunale di Reggio Calabria
disponeva, ai sensi degli artt. 416 bis comma 7 e 240 cod. pen., il sequestro
preventivo dell’azienda di Vincenzo D’Agostino, indagato per il reato di
partecipazione all’associazione per delinquere denominata

Thdrangheta” e più

Data Udienza: 15/10/2013

esattamente alla sua articolazione territoriale intesa cosca Bellocco, operante nel
territorio di Rosarno. L’applicazione di misura cautelare reale, finalizzata alla
confisca, era dettata dal convincimento degli inquirenti che l’azienda dell’indagato
facesse capo, in realtà, alla famiglia Bellocco, considerato peraltro che il
D’Agostino era cognato di Carmelo Bellocco, ritenuto elemento di vertice del clan
delinquenziale, ovvero fosse lo strumento operativo attraverso il quale il sodalizio

2. Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta dall’indagato, il Tribunale
di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe, confermava l’impugnato
provvedimento, con consequenziali statuizioni.

3. Avverso la pronuncia anzidetta i difensori dello stesso D’Agostino, avv.
Nicola Rao e Mario Bagnato, hanno proposto ricorso per cassazione, affidato alle
ragioni di censura indicate in parte motiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo d’impugnazione si denuncia violazione dell’art. 606
lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, 321, 324 dello stesso
codice di rito e 416 bis cod. pen. Lamenta, in particolare, che il positivo giudizio
sui presupposti giustificativi della misura cautelare sarebbe fondato su evidente
frattura logica, in un contesto espositivo graficamente e logicamente sconnesso,
caratterizzato da percorsi frammentari, le cui linee argomentative sono di difficile
identificazione ed interpretazione. Contesta, ad ogni modo, le valutazioni in forza
delle quali il giudice del riesame ha ritenuto sussistente il fumus con riferimento
all’ipotizzato reato di partecipazione per delinquere di stampo mafioso.

2. Il ricorso si colloca, decisamente, in area d’inammissibilità, risolvendosi,
sostanzialmente, in censure allo sviluppo argomentativo della motivazione del
provvedimento impugnato, in violazione dell’art. 325 c.p.p., che, in tema di
impugnazione delle misure cautelari reali, consente il ricorso per cassazione
soltanto per violazione di legge.
Né potrebbe, fondatamente, ipotizzzarsi che la motivazione del provvedimento
impugnato sia meramente apparente, e dunque di fatto inesistente, sicché il vizio
che l’inficia possa sussumersi nel paradigma della violazione di legge, a mente
degli artt. 125 e 606, comma 1, lett.

c) del codice di rito. Ed infatti, il

provvedimento impugnato non è privo di adeguata motivazione, risultando, anzi,
corredato di struttura motivazionale persino sovrabbondante. Nondimeno, nelle
pieghe di tale pletorica motivazione è dato cogliere gli elementi argomentativi che

mafioso perseguiva i suoi interessi.

sostanziano sufficiente indicazione della ritenuta sussistenza dell’ipotesi delittuosa
della fattispecie associativa, in riferimento alla quale è stata disposto il sequestro,
in uno a compiuta enunciazione delle ragioni giustificative della stessa misura
cautelare, alla stregua del motivato convincimento che l’impresa del D’Agostino
fosse strumento operativo della consorteria malavitosa, sulla scorta delle indicate
emergenze investigative, segnatamente delle captazioni ambientali, oltre

3. Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le
conseguenziali statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/10/2013

all’indicato rapporto di affinità con esponente verticistico dello stesso sodalizio.

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