Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28345 del 17/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28345 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA MANNA CARLO N. IL 16/10/1967
BRUZZESE FRANCO N. IL 08/02/1967
avverso la sentenza n. 36725/2003 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 24/03/2004
sentita la relazione fatta dal Consigliere
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

GERARDO SABEOZ •

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Data Udienza: 17/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza n. 33393 del 17 gennaio 2012 (depositata il
successivo 29 agosto) la Prima Sezione Penale di questa Suprema Corte ha

da Bruzzese Franco e Lamanna Carlo avverso la sentenza del 22 novembre
2010 della Corte di Appello di Catanzaro che aveva, a sua volta,
parzialmente confermato la sentenza 27 febbraio 2007 del Tribunale di
Cosenza con la quale i ricorrenti erano stati condannati alla pena di giustizia
per i delitti di tentato omicidio volontario aggravato e detenzione e porto
illegale di armi comuni da sparo.
2.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso straordinario i

condannati Bruzzese e Lamanna, a mezzo del proprio difensore munito di
procura speciale, per l’unico motivo della violazione di legge, ex articolo 625
bis cod.proc.pen., costituito dall’omesso esame di un motivo di ricorso
relativo alla mancata rinnovazione dibattimentale per l’audizione della parte
offesa a seguito dell’inattendibilità di una testimonianza “de relato”, quale era
quella resa da tale De Napoli Oreste; testimonianza che era stata, inoltre,
oggetto di una sentenza di annullamento di questa Corte, in sede d’incidente
cautelare, con l’evidenziata necessità per il Giudice del rinvio di maggior
approfondimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il motivo unico del ricorso evidenzia l’opinione defensionale che la
Prima Sezione di questa Corte abbia compiuto, nell’impugnata decisione, un
errore di fatto, nascente dal mancato esame di un motivo del ricorso, con
riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per
l’escussione della parte offesa Bevilacqua.
Giova, però, premettere in punto di diritto, per dare una risposta all’idea
di errore di fatto che diffusamente sostiene il ricorso, che storia, ratio e lettera
dell’articolo 625 bis cod.proc.pen., introdotto dalla Legge 26 marzo 2001, n. 128,

rigettato i ricorsi proposti, per quanto d’interesse del presente procedimento,

articolo 6, comma 6 su chiara sollecitazione della Corte Costituzionale (v.
Sentenza n. 395 del 13 luglio 2000) e sul modello di quanto era avvenuto in
relazione all’articolo 395, quarto comma cod.proc.civ., (v. Sentenza n. 17 del 30
gennaio 1986, cui seguiva l’introduzione dell’articolo 391 bis cod.proc.civ., v.
Sentenza n. 36 del 31 gennaio 1991), hanno contribuito alla formazione di
canoni interpretativi divenuti, nonostante la relativamente recente istituzione
16103 fino, da ultimo, a Sez. I 15 aprile 2009 n. 17362), anche per via della
sostanziale adesione ad essi di larga parte della dottrina e della speculare
elaborazione già formatasi, appunto, sull’articolo 395, quinto comma
cod.proc.civ..
In ogni caso, rimane fermo il rilievo che la regola dell’intangibilità dei
provvedimenti della Corte di Cassazione, pur avendo perduto il carattere di
assolutezza per effetto appunto dell’articolo 625 bis cod.proc.pen. in materia
penale e di quello, analogo, della revocazione per la materia civile, resta a
cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato nonché
del sistema stesso processuale e sta alla base del principio che le disposizioni
regolatrici del ricorso straordinario non possono trovare applicazione oltre i casi
in esse considerati, in forza del divieto sancito dall’articolo 14 delle Preleggi,
costituendo appunto deroga all’intangibilità del giudicato.
Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce
non consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro (asserito)
errore di fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di percezione nei
quali sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di
legittimità, che deve essere connotato, altresì, dall’influenza esercitata sulla
decisione (in tal senso “viziata”) dalla inesatta percezione di risultanze
processuali, il cui travisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che
sarebbe stata adottata senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono
effetto di detto errore.
Di conseguenza:
a) va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;
b) l’errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell’art. 625 bis
cod.proc.pen., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze
direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione e, per usare la

terminologia dell’articolo 395 n. 4, cod.proc.civ., cui si è implicitamente rifatto il
legislatore nella introduzione dell’articolo 625 bis cod.proc.pen., nel supporre “la
esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel
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della norma, principi consolidati (v. a partire da Cass. Sez. Un. 27 marzo 2002 n.

supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita” e purché
tale fatto non abbia rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza
ebbe a pronunziare”, anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale
“appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio)”;
c) l’errore di fatto deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”;
d) deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con
processo formativo della volontà del Giudice di legittimità, perché riferibili alla
decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere, anche se
risoltisi in travisamento del fatto, soltanto nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione.
Esulando, ancora, dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide
con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento
degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione”, non estensibile
al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di
Cessazione nella lettura degli atti del suo giudizio.
Quanto, poi, all’omissione dell’esame di uno o più motivi di ricorso per
cessazione, essa, quando pure in astratto sussista, si risolve, di per se, in un
difetto di motivazione, che, sempre in astratto, non significa affermazione nè
negazione di alcuna realtà processuale, ma semplicemente mancata risposta a
una censura.
La prevalente giurisprudenza di questa Corte e le Sezioni Unite prima
citate ammettono, peraltro, che la lacuna motivazionale possa essere ricondotta
nell’errore di fatto quando, sempre restando ai limiti prima segnati, risulti dipesa
“da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine
meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza
della censura”, ovverosia quando l’omesso esplicito esame lasci presupporre la
mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda,
secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisione che può
ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a
seguito della considerazione del motivo.
In quest’ottica avvertendosi la necessità di ricordare (v. Cass. Sez. V 10
dicembre 2004 n. 11058) che il disposto dell’articolo 173 disp. att.
cod.proc.pen., comma 1, (“nella sentenza della Corte di Cessazione i motivi di
ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione”)
non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle
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ricorso straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al

censure non riprodotto in ricorso sia stato non letto anziché implicitamente
ritenuto non rilevante o rigettato.
Sicché non solo non è in nessun caso deducibile, ai sensi dell’articolo 625
bis cod.proc.pen., la mancanza di espressa disamina di doglianze che non siano
decisive o che debbano considerarsi implicitamente disattese perché
incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le

della sentenza medesima, ma è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza
non riprodotta era, contro la regola dell’articolo 173 disp. att. cod.proc.pen.,
decisiva e che il suo omesso esame dipende da sicuro errore di percezione (v.
Cass. tutte Sez. V 5 dicembre 2006 n. 4442, 20 marzo 2007 n. 20520 e 16
dicembre 2008 n. 11752).
Nel caso di specie, questa volta in punto di fatto, i ricorrenti del tutto
inammissibilmente censurano la valutazione compiuta dalla Prima Sezione di
questa Corte nell’impugnata decisione nell’affrontare il terzo motivo di doglianza
con l’affermazione del corretto operato della Corte territoriale sul punto (v.
pagina 8 della motivazione).
Tutti i sette motivi di ricorso in cassazione sono stati illo tempore

affrontati (anche il secondo, che non è espressamente indicato ma che è stato
esaminato all’inizio della pagina 9 della motivazione, ove si parla anche delle
contraddizioni tra i collaboranti Di Napoli e Scrugli per rilevare come le stesse
riguardassero solo “aspetti marginali della vicenda”) e su di essi questa Corte ha
espresso la propria motivazione senza cadere in errori di fatto o altre omissioni
percettive per cui non si può ragionevolmente richiedere un ulteriore fisiologico
grado di giudizio, che l’invocata norma di cui l’articolo 625 bis cod.proc.pen. non
prevede se non in casi di patologia processuale che per quanto dianzi espresso
non è dato riscontrare.
A ciò può aggiungersi che le vicende del procedimento incidentale
cautelare oltre a non incidere sul merito effettivo della controversia, in quanto le
vicende ivi trattate possono avere naturale e fisiologica rimeditazione nella fase
dibattimentale, non sembrano idonee ad avere influenza sul preteso errore di
fatto.
L’annullamento con rinvio di un provvedimento cautelare, operato da
questa Corte (v. l’allegata sentenza 28284/04), non si sa che effetti abbia
portato all’esito del rinvio e l’attendibilità ovvero l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni del solo teste De Napoli Creste (peraltro prese in esame
nell’impugnata sentenza, v. pagina 7) non appare in ogni caso dotata della
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premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi

natura della decisività posta l’esistenza dell’ulteriore testimonianza Scrugli
Domenico.
4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e i ricorrenti condannati
ciascuno al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
delle Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17/5/2013.

P.T.M.

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