Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28344 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28344 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da :
Candiano Graziella, n. a Modica il 04/05/1962;
Morana Ignazio, n. a Modica il 18/04/1957;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania in data 29/06/2012;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale C. Angelillis, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. A. Borrometi, per le parti civili, che si è riportato
alle conclusioni scritte;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia degli imputati, Avv. S. Poidomani, che
ha chiesto l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1. Candiano Graziella e Morana Ignazio hanno proposto ricorso nei confronti
della sentenza in data 29/06/2012 della Corte d’appello di Catania che, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Modica, ha dichiarato non doversi

Data Udienza: 14/04/2016

procedere nei confronti degli stessi per essere il reati di cui al capo a) della
rubrica

ex art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione alla

realizzazione, nella rispettiva veste di legale rappresentante e di socio e gestore
di fatto della Itis s.a.s, di costruzione adibita ad impianto di trattamento di rifiuti
speciali senza valido titolo abitativo ed in zona sottoposta a vincoli ambientale,
paesaggistico e idrogeologico, ed in contrasto con gli strumenti urbanistici

sentenza di primo grado.

2. Con un primo motivo, volto a denunciare l’omessa motivazione sulla sollevata
eccezione di prescrizione del reato già in primo grado, premettono che il giudice
di primo grado aveva assolto i ricorrenti dal reato contestato di concorso in
abuso d’ufficio non essendo emersi comportamenti rilevanti sul punto e neppure
rapporti di semplice conoscenza tra gli stessi e i pubblici ufficiali autori dei
provvedimenti ritenuti illegittimi sulla base dei quali l’edificazione era stata
realizzata; a ciò avrebbe dunque dovuto conseguire la mera illegittimità e non
già l’illiceità della concessione edilizia e dunque l’assoluzione in ordine al reato di
cui all’articolo 44 lett. c) o, in subordine, la condanna per la lettera a) dello
stesso art.44. Con l’atto di appello, conseguentemente, si era invocata appunto
la assoluzione dal reato di cui alla lettera c) dell’art. 44 o la declaratoria di
prescrizione, in caso di ritenuta riqualificazione nel reato di cui alla lettera a),
essendo trascorsi oltre tre anni (in applicazione del regime previgente alla legge
“ex Cirielli”) dalla commissione del fatto, da calcolarsi a decorrere dal
21/01/2005 quale data del sequestro preventivo, assunta del resto dalla stessa
Corte d’appello quale data di consumazione del fatto.

3.

Con un secondo motivo lamentano l’omessa motivazione in ordine alla

espressa richiesta di assoluzione perché il fatto non costituisce reato per buona
fede degli imputati e la violazione dell’art. 5 c.p. in particolare dovendo ritenersi
che gli imputati, semplici imprenditori cui venne rilasciato un permesso di
costruire dall’autorità competente, non essendo soggetti qualificati, ebbero a fare
affidamento sul provvedimento presuntivamente legittimo tanto più che sia il Tar
di Catania che il Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo hanno escluso
l’illegittimità del provvedimento di rilascio della concessione edilizia, così potendo
ritenersi configurabile una inevitabile ignoranza della legge penale.

4.

Hanno presentato memoria in data 29/03/2013 le parti civili rappresentate

dall’Avv. A. Borrometi, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità in ogni caso del
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estinto per prescrizione, così confermando le statuizione civilistiche della

ricorso posto che il lamentato vizio motivazionale si riferirebbe a questioni di
diritto e non di fatto. Con riguardo al primo motivo di ricorso rilevano poi come
elemento costitutivo dei reati urbanistici sia la conformità della costruzione e
della concessione ai parametri di legalità urbanistica non essendo concesso al
giudice penale alcun sindacato sull’atto amministrativo ma essendogli imposto un
riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta

può ravvisarsi anche in presenza di provvedimento illegittimo senza che occorra
fare ricorso alla procedura di disapplicazione dell’atto amministrativo. Con
riferimento al secondo motivo rilevano come da nessuno degli atti del processo
emerga quale sarebbe stata l’attività posta in essere dai ricorrenti per porsi in
una condizione di assoluta ignoranza incolpevole.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo muove da un presupposto erroneo, ovvero che fosse sufficiente
escludere condotte dolose nel destinatario del provvedimento per far ritenere
insussistente il reato contestato.
Va anzitutto ribadito che la responsabilità per abuso edilizio del committente, del
titolare del permesso di costruire, del direttore dei lavori e del costruttore,
individuata ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa
dall’avvenuto rilascio del titolo abilitativo in violazione di legge o degli strumenti
urbanistici giacché la stessa deriva dalla posizione di garanzia diretta che detta
norma pone a carico di detti soggetti e sulla quale si fonda l’addebito, di natura
anche colposa, per il reato di cui all’art. 44, dello stesso d.P.R. (da ultimo, Sez.
3, n. 10106 del 21/01/2016, Torzini, Rv. 266291; Sez. 3, n. 27261 del
08/03/2010, Caleprico, Rv. 248070).
Peraltro, anche a volere prescindere da tale determinante rilievo, va considerato
che anche nei casi in cui, nella fattispecie di reato, sia previsto un atto
amministrativo ovvero l’autorizzazione al comportamento del privato da parte di
un organo pubblico, il giudice penale non deve limitarsi a verificare l’esistenza
ontologica dell’atto o del provvedimento amministrativo, ma deve verificare
l’integrazione o meno della fattispecie penale, in vista dell’interesse sostanziale
che tale fattispecie assume a tutela (nella specie, l’interesse sostanziale alla
tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura extra – penale convergono
organicamente, assumendo un significato descrittivo. È la stessa descrizione
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criminosa sicché il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di concessione

normativa del reato che impone infatti al giudice un riscontro diretto di tutti gli
elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto
amministrativo (da ultimo, Sez. 3, n. 14945 del 28/01/2014, Graziano,

non

massimata). In altri termini, il giudice penale è in ogni caso tenuto a verificare
incidentalmente la legittimità del titolo abilitativo, senza che ciò comporti la sua
eventuale “disapplicazione”, in quanto tale provvedimento non è sufficiente a

strumenti urbanistici, e dalle rappresentazioni di progetto alla base della sua
emissione – lo statuto di legalità dell’opera realizzata (da ultimo, Sez. 3, n.
36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034 Sez. fer., n.33600 del 23/08/2012,
Lo Vullo e altro, Rv.253426; Sez. 3, n. 41620 del 02/10/2007, Emelino, Rv.
237995).
Né la distinzione che pare prospettata in ricorso tra permesso di costruire
“illecito”, perché frutto di collusione tra pubblico amministratore e privato
destinatario del provvedimento, e permesso di costruire invece solo “illegittimo”
al fine di far ritenere integrato il reato di specie solo nel primo caso può condurre
ad esiti diversi : infatti, ove il contrasto del provvedimento con norme imperative
assurga in termini di netta evidenza, verrebbe comunque a determinarsi non la
mera illegittimità dell’atto, ma, appunto, la illiceità del medesimo sì da non
essere necessaria la prova della collusione tra amministratore e soggetti
interessati o l’accertamento dell’avvenuto inizio dell’azione penale a carico degli
amministratori stessi (Sez. 3, n. 38735 del 11/07/2003, Schrotter ed altri, Rv.
226576).
E che, nella specie, si versasse in un caso di macroscopico contrasto deriva dalle
stesse sentenze di merito laddove si è evidenziato che in relazione all’impianto
della ditta Itis s.a.s nessuna istanza autorizzativa alla Regione, competente per
la realizzazione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, venne
presentata da parte degli interessati (che pur dovevano essere consapevoli di
una tale obbligo stante la attività professionale esercitata) ai sensi degli artt. 27
e 28 del d.P.R. n. 22 del 1997 (ora art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006).
Ne consegue che, in definitiva, alla luce della corretta individuazione, già in
primo grado, alla stregua dei criteri più volte espressi da questa Corte, della
fattispecie di reato configurabile, nessuna prescrizione poteva ritenersi maturata
come preteso dai ricorrenti, sicché il primo motivo di ricorso è manifestamente
infondato.

6. Anche il secondo motivo di ricorso, volto a lamentare la violazione dell’art. 5
c.p., è manifestamente infondato.

definire di per sé – ovvero prescindendo dal quadro delle prescrizioni degli

Va ricordato che non può essere invocata l’ignoranza della legge penale ex art. 5
c.p. – alla luce dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale – da parte di
chi, professionalmente inserito in un campo di attività collegato alla materia
disciplinata dalla legge integratrice del precetto penale, non si uniformi alle
regole di settore, per lui facilmente conoscibili in ragione dell’attività
professionale svolta (Sez. 3, n. 22813 del 15/04/2004, Ferri, Rv. 229228) salvo

autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall’altro, di essersi informato in
proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo al dovere di
informazione (da ultimo, Sez. 3, n. 35694 del 05/04/2011, Pavanati, Rv.
251225).
Nella specie, per quanto già detto sopra, è indiscusso che entrambi gli imputati
svolgevano attività professionale nel settore della gestione dei rifiuti, da ciò
dunque discendendo l’impossibilità di allegare l’ignoranza in ordine ad un profilo,
essenziale ai fini di qualificare il provvedimento amministrativo rilasciato come
gravemente illegittimo, dato dalla mancata attivazione della procedura dì cui al
già richiamato art. 208 del d. Igs. n. 152 del 2006.
Non sussiste dunque alcuna violazione di legge laddove i giudici dell’appello non
hanno ritenuto di accedere alla richiesta di applicazione di cui all’art. 5 cit.

7.

In definitiva, i ricorsi degli imputati vanno dichiarati inammissibili,

conseguendone, da un lato, l’impossibilità di rilevare la prescrizione intervenuta
successivamente alla sentenza impugnata (cfr. Sez. U., n. 32 del 22/11/2000,
De Luca, Rv. 217266) e, dall’altro, la condanna al pagamento delle spese
processuali e della somma di denaro di euro 1.500 in favore della cassa delle
ammende oltre che alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili
Associazione Pro Natura marina di Modica, Schininà Nunzio, Iabichino Orazio,
Pitino Rosario n. nel 1937, Ptino Giuseppe, Cicciarella Salvatore, Pitino Rosario n.
nel 1952, Di Quattro Michele, Iabichino Angelo n. nel 1953, Iabichino Carmelo,
Frasca Saverio, Petrolo Giorgio, Di Quattro Vicenzo e Iabichino Angelo n. nel
1959, tutte rappresentate e difese dall’Avv. Antonio Borrometi, da liquidarsi in
complessivi euro 3.500 oltre ad accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della cassa delle
ammende; condanna altresì alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle
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che non dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle

parti civili rappresentate e difese dall’Avv. Antonio Borrometi, del foro di Modica,
che liquida in complessivi euro 3.500 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016

Il Consit1iere etensore

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