Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28343 del 12/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28343 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: MOCCI MAURO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mazza Rosaria, nata a Ravello il 02/09/1937

avverso la sentenza del 21/11/2014 della Corte d’Appello di Salerno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Mauro Mocci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Andrea Di Lieto, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 giugno 2013 il giudice monocratico del Tribunale di
Salerno, sez. distaccata di Amalfi, condannava Rosaria Mazza – reputandola
colpevole dei reati di cui agli artt. 44 lett. c) D.P.R. n. 380/2001, 64 e 71, 65 e
72, 93 e 95 D.P.R. n. 380/01 e 146 e 181 comma 10 bis del D.Lvo n°42/04 e
734 c.p., accertati in Ravello fino al 21 ottobre 2008 – alla pena di mesi nove e
giorni dieci di reclusione, oltre alla demolizione delle opere abusive.

Data Udienza: 12/04/2016

Alla prevenuta era contestato di aver proseguito e completato i lavori di una
costruzione già posta sotto sequestro, mediante violazione dei sigilli, in zona
sismica ed in area dichiarata di notevole interesse pubblico, in assenza della
prescritta autorizzazione.

2. Su gravame dell’imputata, il 21 novembre 2014 la Corte d’Appello di
Salerno limitava la condanna della Mazza al capo e) [esecuzione delle opere in
zona di notevole interesse pubblico, in assenza di autorizzazione], dichiarando

reclusione. Confermava nel resto.
Affermava il giudice di secondo grado, con riguardo al delitto di cui all’art.
181 bis D.L. 42/04, che l’eccezione di nullità dovesse reputarsi infondata,
potendo la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza
aggravante essere effettuata dopo l’apertura del dibattimento. D’altronde, le
testimonianze introdotte dalla difesa e volte ad anticipare il dies a quo della
prescrizione sarebbero risultate vaghe e generiche. L’abuso sarebbe stato
sicuramente riconducibile alla Mazza, essendo costei la proprietaria dell’immobile
e dunque l’interessata allo svolgimento dei lavori.
3. Ha proposto ricorso per cassazione la Mazza, sulla scorta di quattro motivi
[violazione e falsa applicazione dell’art. 516 e dell’art. 415 bis c.p.p.; violazione
dell’art. 25 Cost., dell’art. 157 c.p. e dell’art.181 d. Igs. n. 42/04; assoluzione
per non aver commesso il fatto; violazione e falsa applicazione dell’art. 165
c.p.].

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Mediante il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione del 10 comma
dell’art. 516 c.p.p., giacché non vi sarebbe stato alcun inizio dell’istruzione
dibattimentale, idoneo a consentire una contestazione aggiuntiva.
2. La seconda censura s’impernia sul diniego della prescrizione per il reato di
cui all’art. 181 D.Lgs.vo n. 42/2004. Afferma l’imputata che l’introduzione
nell’ordinamento dell’ipotesi criminosa in questione sarebbe intervenuta in epoca
successiva alla realizzazione delle opere contestate. Ciò doveva desumersi dalle
continue e costanti contraddizioni dei testi di accusa, emblematiche della non
credibilità degli stessi.
3. Con la terza doglianza, la Mazza sostiene che le opere oggetto del giudizio
sarebbero state portate a termine dal di lei consorte, che era anche proprietario
dell’immobile. Ella avrebbe abitato i locali solo dopo il decesso del coniuge.
4. Il quarto rilievo attiene all’ordine di demolizione delle opere ed al
ripristino dello stato dei luoghi. Il giudice ordinario non avrebbe avuto il potere di

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estinti per prescrizione i restanti reati e rideterminando la pena in mesi otto di

condizionare la sospensione della pena, poiché la legge riserverebbe all’autorità
comunale la determinazione della tipologia d’intervento sugli immobili abusivi e
poiché, essendo la contestazione mossa solo quella di aver eseguito opere
interne di completamento, non sarebbe potuta sussistere la pretesa gravità del
danno.
Il ricorso è infondato, ma la sentenza della Corte Costituzionale n. 56,
depositata il 23 marzo 2016, apre la strada alla declaratoria di prescrizione del
reato.

doglianze svolte avanti la Corte d’Appello e da quest’ultima fedelmente
riprodotte e confutate nella sentenza oggetto di odierna impugnazione.
In particolare, circa il primo motivo, la Corte territoriale ha correttamente
fatto riferimento al principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di
legittimità, secondo cui, in tema di nuove contestazioni, la modifica
dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato
concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen.
ben possono essere effettuate dopo l’apertura del dibattimento e prima
dell’espletamento dell’istruttoria dibattimentale, sulla sola base degli atti già
acquisiti dal P.M. nel corso delle indagini preliminari (sul punto, oltre a Sez. 6, 22
settembre 2009 n. 44980, Nasso, Rv. 245284 citata dalla decisione della Corte
salernitana, anche Sez. 6, 11 aprile 2014 n. 18749, Rv.262614, e Sez. 2, 14
ottobre 2015 n. 45298, Zani, Rv.264903).
Il secondo motivo si traduce nella critica alle valutazioni del giudice
d’appello, pretendendo una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, sulla
scorta di una diversa valutazione dei testi escussi. In altri termini, si propone
una ricostruzione alternativa a quella delle sentenze di merito, non attraverso il
travisamento di una particolare prova, ma attraverso il travisamento del fatto,
assumendo che la realizzazione delle opere contestate sarebbe stata anteriore
all’entrata in vigore della norma penale incriminatrice. Invece la Corte
territoriale, proprio in esito all’esame del testi indicati dalla difesa ha accertato così come il primo giudice, con una valutazione logica che si sottrae al sindacato
di questa Corte [Sez. 2, n° 5223 del 24/01/2007 (dep. 07/02/2007) Rv. 236130]
– che nessuno di loro ricordava il particolare della tettoia abusiva, la cui sola
(evidentemente successiva) presenza sarebbe valsa ad integrare il reato. Infatti,
in tema di abusi edilizi, deve ritenersi “ultimato” solo l’edificio concretamente
funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che
anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall’attivazione delle
utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere
sussistente l’ultimazione dell’immobile abusivamente realizzato, coincidente

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I quattro motivi di ricorso costituiscono una mera riproposizione delle

generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni [Sez. 3,
n. 48002 del 17/09/2014 (dep. 20/11/2014), Surano, Rv.261153]
Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo, laddove si invoca
l’assoluzione per non aver commesso il fatto e si sottolinea come la ricorrente
sarebbe divenuta proprietaria dell’immobile e lo avrebbe abitato soltanto dopo la
morte del coniuge, al quale solo avrebbe dovuto attribuirsi la paternità dei lavori
abusivi. Alla motivazione della Corte d’Appello circa la riconducibilità del reato
all’imputata, ella ha replicato in modo assolutamente assertivo, senza allegare

Infine, riguardo al quarto motivo, l’ordine di demolizione decade
automaticamente – senza necessità di declaratoria ad hoc – in conseguenza della
intervenuta pronunzia di prescrizione da parte della Corte d’Appello, in ordine al
capo a) dell’imputazione.
Tuttavia, come si diceva, la declaratoria di illegittimità costituzionale
“dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od
aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di
notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca
antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati
per legge ai sensi dell’articolo 142 ed»” ha comportato una parificazione delle
condotte di cui al comma 1°-bis dello stesso art. 181 con la disciplina di cui al
comma 1, purché non vengano superate le soglie volumetriche indicate dal
comma 1 -bis. Questa parificazione ha determinato, in altri termini, una
riqualificazione della fattispecie, originariamente delittuosa, come una
contravvenzione, col conseguente diverso, e più ridotto, termine dì prescrizione
(cinque anni invece di sette anni e sei mesi).
Nella specie, il manufatto – per una superficie totale di 40 mq. – si trova
certamente al di sotto delle predette soglie e pertanto l’originaria declaratoria di
prescrizione pronunziata dalla Corte d’Appello per i restanti reati va estesa anche
alla residua fattispecie.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, per essere il reato estinto
per intervenuta prescrizione.
Così deciso il 12/04/2016

alcuna elemento a suffragio delle sue affermazioni.

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