Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28337 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28337 Anno 2013
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINO NICOLA N. IL 18/09/1972
avverso l’ordinanza n. 2203/2012 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
09/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/05/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giovanni D’Angelo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Cosimo Palumbo, che chiede l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

riesame ed ha confermato l’ordinanza 10.10.2012 del Gip del medesimo Tribunale,
applicativa della misura cautelare della custodia in carcere a Marino Nicola, in
ordine al reato ex art. 416 bis, commi da 1 a 5 c.p., perché accusato di far parte,
insieme ad altre persone, tra cui il padre Pietro e il fratello gemello Antonino,
dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante da anni sul territorio
piemontese ed avente propri referenti in strutture organizzate insediate in Calabria
– i cui componenti sono sottoposti a procedimento giudiziario, svolto dall’A.G. di
Reggio Calabria – costituita da articolazioni territoriali denominate “locali”, tra cui il
locale di Nichelino, di Chivasso (in cui è collocato il Marino) e di Livorno Ferraris.
Questa associazione, secondo gli inquirenti, avvalendosi della forza di intimidazione
del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di
omertà, ha lo scopo di commettere delitti in materia di armi, esplosivi e
munizionamento, contro la vita e l’incolumità fisica, contro il patrimonio, contro
l’ordine pubblico economico, nonché reati volti ad ostacolare il libero esercizio del
voto.
2. Il presente procedimento nasce da indagini, che sono state dagli inquirenti
denominate “Colpo di coda”, aventi ad oggetto il “locale” di Chivasso – la cui
emanazione è il locale Livorno Ferraris – e costituiscono lo sviluppo delle indagini,
denominate “Minotauro”, aventi ad oggetto gli insediamenti della ‘ndrangheta nel
Torinese e nei territori limitrofi.
In entrambi i procedimenti nati da queste indagini, gli inquirenti hanno riconosciuto
a un dato fattuale (la raccolta di denaro destinato ai detenuti) l’efficacia
dimostrativa della partecipazione, da parte di chi vi presenzi come operatore o
come beneficiario, all’associazione predetta, nelle sue varie articolazioni
3. Nell’interesse del Marino è stato presentato ricorso per violazione di legge, in
riferimento all’art. 273 c.p.p. e per mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: secondo la
prospettazione difensiva non vi è alcun elemento idoneo a costituire grave indizio
sulla sua partecipazione alla “colletta” e sul conferimento di denaro, da parte del
medesimo.

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1. Con ordinanza del 9.11.2012, il Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta di

3.1 L’unica conversazione intercettata in cui, secondo il provvedimento impugnato,
si fa riferimento alla persona del Marino, avviene fra terze persone (il padre ed il
fratello Antonino) e dunque non potrebbe, da sola, costituire grave indizio della
partecipazione ad una associazione mafiosa, in assenza di ulteriori acquisizioni
significative nell’arco di un lungo periodo di indagine. Nell’apprezzamento della
conversazione, peraltro, il provvedimento impugnato opera una duplice ed opinabile
deduzione logica, perché dall’espressione del padre “noi siamo tre” si desume in
persona sia il ricorrente; inoltre mancherebbe la prova della effettiva contribuzione
in favore dei detenuti.
3.2 Gli ulteriori elementi posti a base della misura (due conversazioni alle quali
partecipa il Marino) sarebbero del tutto irrilevanti, non essendo stato esplicitato il
loro contenuto indiziante, ma solo il modello criptico delle locuzioni utilizzate. In
una delle due il Tribunale non riesce nemmeno a decodificare il contenuto della
conversazione; quanto alla seconda, l’interessamento su vicende processuali di
conoscenti, sul loro arresto, nell’ambito di indagini per associazione mafiosa non
sarebbero logicamente interpretabile come appartenenza all’associazione stessa e,
peraltro, il riferimento a Pasquale Maiolo sarebbe anche erroneo.
3.3 Ugualmente illogica sarebbe la motivazione dell’ordinanza, laddove (pag. 27) si
valorizza l’anomalo ruolo affidato al Marino Nicola di consigliere di amministrazione
di una società a partecipazione pubblica, in rapporto con il comune di Chivasso,
essendo egli in possesso di un titolo di studio di scuola media inferiore e privo di
esperienza di politica industriale, senza però indicare alcun elemento concreto di
collegamento di questo incarico con l’appartenenza al sodalizio criminoso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.
1.1 Va premesso che la richiesta di riesame, come mezzo di impugnazione, sia pure
atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza
cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 c.p.p. e ai
presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. Ne
consegue che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di
vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo,
ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal
particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi
e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza. In questa chiave di pre-certezza del risultato degli
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primis che ci riferisca ad un ambito familiare ed in secondo luogo che la terza

accertamenti dell’autorità inquirente – non necessariamente sfociante in una
progressiva certezza – allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, per partecipazione ad associazione
mafiosa, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla
peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie.
1.2 Come è noto, la forma libera che caratterizza la fisionomia del reato associativo
e la mancata tipizzazione della relativa condotta di appartenenza conducono e
ritenere che la tipicità di questo modello associativo risiede solo nella modalità
attraverso cui l’associazione si manifesta concretamente, modalità che si esprime
nel concetto di “metodo mafioso”, individuato nella forza intimidatrice del vincolo
associativo, nella condizione, di assoggettamento generale dei consociati e specifico
delle vittime, in una determinata parte del territorio e della società, nonché nelle
Imprescindibili strutture (offensive e difensive) funzionali a rendere operativa senza soluzione di continuità e senza irrecuperabili flessioni – la gestione
dell’egemonia economica, politica e di costume, nella propria area di competenza.
Secondo la comune esperienza, il generale fenomeno mafioso si manifesta nella
proliferazione, autonoma o geneticamente derivata da altre associazioni
preesistenti, di articolazioni territoriali, nel cui ambito i vari gruppi criminosi entrano
in rapporto di cooperazione, di concorrenza, di conflittualità
Un gruppo avente natura di associazione mafiosa si presenta quindi caratterizzato,
nella consolidata storiografia giudiziaria nel campo mafioso, da un nucleo di
associati, da un programma criminoso, da una proiezione territoriale della propria
forza intimidatrice, da una o più tipologie di condotte lecite e illecite, svolte in un
molteplice fronte, in cui le adesioni e le collusione sono accompagnate da avversari
e contrapposizioni insanabili. In questa proiezione collettiva e corale alla
commissione di fatti criminosi, che possono infrangere sia le norme dello Stato sia
gli interessi di associazioni concorrenti (per materia e per territorio) hanno
acquistato rilievo – agli occhi dei consociati e conseguentemente all’attenzione degli
inquirenti dello Stato – vincoli di fedeltà, di reciproca assistenza tra gli adepti
dell’associazione, operanti – oltre che nello scontro con i gruppi contendenti – nello
scontro, perdente, con il potere repressivo dello Stato, esercitato con i
provvedimenti, processuali o definitivi, di privazione della libertà personale di alcuni
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ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la

aderenti.
1.3 Questo aspetto organizzativo dell’associazione mafiosa di difesa, rispetto alla
rivincita della legge penale, ha messo in luce – nei processi aventi ad oggetto il
crimine associativo – un dato patrimoniale utile ai fini dell’individuazione
dell’associazione della ricostruzione del rapporto intercorrente tra gli indagati e
l’associazione medesima: la inclusione dei primi tra i retribuiti con i profitti
criminali. Tale circolazione di denaro – in nome della solidarietà e della resistenza
storiografia giudiziaria – alla considerazione che trattasi della corresponsione al
detenuto, a titolo di compenso, per i meriti acquisiti in passato e a titolo di vincolo,
per il futuro, ipotecandone la persona e le energie al servizio dell’associazione
mafiosa, di cui sono logicamente da ritenere componenti, sia pure con limitata
potestà di azione.
1.4 Proprio il suindicato aspetto organizzativo di difesa mafiosa (la presenza degli
indagati nella raccolta e nella distribuzione di denaro, in funzione di riparazione dei
guasti creati dall’intervento punitivo dello Stato) ha ottenuto dai magistrati del
presente procedimento il riconoscimento di dato illuminante della sussistenza
dell’associazione mafiosa e della partecipazione ad essa dei ricorrenti, così come è
stato delineato nel capo di imputazione. Tale circolazione di denaro ha portato il Gip
e il Tribunale del riesame alla considerazione che trattasi della corresponsione al
detenuto, a titolo di compenso, per i meriti acquisiti in passato e a titolo di vincolo,
per il futuro, ipotecandone la persona e le energie al servizio dell’associazione
rnaflosa, di cui sono logicamente da ritenere componenti.
Il Tribunale del riesame di Torino ha quindi confermato la razionale considerazione,
secondo cui la presenza di alcuni indagati tra i partecipi alla raccolta e alla
distribuzione del fondo solidarietà detenuti abbia efficacia indiziaria della
partecipazione, da parte dell’operatore o del beneficiario, all’associazione predetta,
nelle sue varie articolazioni, anche perché la raccolta di denaro non è giustificata da
solidarietà familiare, in quanto gli inquirenti dimostrano di aver accertato che i
versamenti sono stati effettuati da persone che non sono legate da rapporti di
parentela ai beneficiari. In base alle dichiarazioni di collaboratori, di cui è stata
verificata l’affidabilità, gli inquirenti hanno raggiunto il convincimento che sussiste
l’obbligo degli aderenti di aiutare economicamente la famiglia, i cui componenti
sono detenuti; da questo dato gli inquirenti hanno tratto la seguente
considerazione: se partecipare alle attività di sostegno dei consociati in carcere
costituisce un preciso obbligo di quelli liberi, ne consegue che tutti coloro che senza essere indicati come soggetti di distinti rapporti definiti altri con
l’associazione – abbiano partecipato ad una colletta, sono consociati.
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alla legalità – ha condotto razionalmente, all’interno della ormai consolidata

1.5 Secondo l’ordinanza del Tribunale del riesame “La colletta deve intendersi

inequivocabilmente indicatore fattuale, da quale desumere la compenetrazione di
tutti i partecipi nel tessuto organizzativo associativo e, al tempo stesso, prova
dell’affiliazione, in quanto i non associati, per quanto legati da stretta amicizia, non
vi possono essere ammessi” (pagina 25); il fulcro di questo convincimento deriva
dalle intercettazioni di conversazioni ambientali, intercorse tra Marino Pietro personaggio intraneo ad alto livello nell’associazione – e il figlio Antonino – nelle

autori e degli importi dei versamenti, nonché dei beneficiari e dell’importo delle
somme ad essi destinato. In queste conversazioni si parla di una raccolta di denaro,
proveniente da 13 persone, che si autotassano, per 120 euro; la somma raccolta è
destinata a 8 detenuti, nella misura dì 200 euro ciascuno.
Premessa la obbligatorietà della tassa di 120 euro, gravante su ciascuno degli
affiliati liberi, se un affiliato ha un familiare in carcere non deve versarla, per
evitare un inutile giro di moneta: basta versargli 80 euro che, aggiunti
all’ammontare della tassa di 120, realizzeranno l’importo del contributo di
solidarietà mafiosa.
1.6 L’obbligatorietà di contribuire alla raccolta di fondi, a scopo assistenziale (a
beneficio materiale e morale dei detenuti, che percepiscono la persistenza,
nonostante l’esilio carcerario, del rapporto dare/avere con l’associazione) è
affermata anche da Mihaela Andreea Sorocaniuc (legata al sodale Cavallaro
Ferdinando e profondamente inserita nel costume e nelle regole del clan), nelle
dichiarazioni del 27 ottobre 2012, a proposito della regola, gravante sugli “amici”,
dell’aiuto economico in favore dei familiari del detenuto (pagina 24 dell’ordinanza).
Come già anticipato, nella conversazione, avente ad oggetto la distribuzione del
denaro raccolto, intercettata il 18 dicembre 2011, tra Marino Pietro e D’Amico
Antonino, sono nominati alcuni beneficiari.
Successivi accertamenti hanno consentito di individuare il periodo (giorni
immediatamente precedenti al Natale), l’ammontare (200 euro) e i beneficiari
(alcuni detenuti del greppo mafioso) della distribuzione del denaro raccolto tramite
la colletta.
1.7 Al di là di opere “umanitarie” in favore di aderenti ad associazione che della
disumana violenza fa ampio uso per radicare e rafforzare il controllo di territori e di
popolazioni, la caratura mafiosa del ricorrente riceve decisiva conferma dalla
conversazione del 9 novembre 2011 tra padre (Pietro) e figlio (Antonino), avente
ad oggetto il programma di incendiare l’auto del colpevole di uno sgarbo a Nicola
(pagina 26 dell’ordinanza), con finalità educativa individuale e sociale. Traducendo
il lessico familiare dei Marino, l’incendio deve insegnare che dinanzi all’ordine che
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date 14 e 18 dicembre 2011 e 12 ottobre 2012, aventi ad oggetto l’indicazione di

vige a Chivasso, esiste una secca alternativa: osservare le regole locali o cambiare
territorio.
1.8 La presenza a pieno titolo di Marino Nicola, tra i protagonisti attivi della colletta,
è razionalmente ritenuta indicata dal brano della conversazione, registrata il 14
dicembre 2011, nel corso della quale Pietro, nel contare e ricontare con il figlio
Antonino il numero dei “partecipanti”, allo scopo di arrivare a 13, scandisce i gruppi
familiari impegnati nella raccolta : “noi siamo tre, due del compare, cinque, Fotia

L’ordinanza dà adeguatamente conto della ragione che ha indotto il tribunale ad
affermare la consistenza del quadro indiziario a carico dell’indagato Marino Nicola,
affermando che – essendo le donne pacificamente escluse da tutte le operazioni
dell’associazione – il terzo MARINO, impegnato nella raccolta dell’ammortizzatore
anti-carcere, non può che essere il gemello di Antonino, il ricorrente Nicola.
2. Un’altra importante connotazione di questo tipo di associazione criminale è
costituito – alla luce di accertamenti conseguiti con efficacia di giudicato dell’inquinamento della democrazia degli enti territoriali: nelle parti del territorio
nazionale, in cui il contropotere mafioso abbia acquistato una crescente forza
espansiva, alcuni componenti degli organi deliberativi ed esecutivi si sono
trasformati da rappresentanti di legittimi interessi della base elettorale, in
rappresentanti di illegittimi interessi dei manovratori degli elettori. Un consistente
numero di cittadini, titolari del diritto al voto, sono stati snaturati a meri utenti di
scheda elettorale, da inserire nel circuito commerciale, gestito dall’organizzazione
criminale. Si assiste così -in alcune parti del Paese- al paradosso della democrazia
rappresentativa: questa diventa strumento di rafforzamento della sopraffazione e
della tirannia dei poteri mafiosi, i quali, grazie alle azioni di determinati eletti, si
espandono dal territorio all’interno delle istituzioni e, da queste, si ripresentano con
maggiore autorevolezza e maggiore forza di attrazione tra i consociati.
Oggetto dell’accordo sono i voti fatti confluire dalla mafia verso l’eletto e l’impegno
di questi di sdebitarsi, assumendo specifiche iniziative amministrative e favorendo
specifici personaggi, in violazione delle regole giuridiche e in conformità alle regole
del più forte.
2.1 Questo aspetto direttamente politico del fenomeno mafioso (espresso
nell’inquinamento della democrazia rappresentativa negli enti pubblici territoriali) e
l’inquadramento in esso del comportamento di alcuni indiziati, sono stati evidenziati
razionalmente dall’ordinanza impugnata. Il Tribunale, confermando le
argomentazioni dell’ordinanza coercitiva, ha conseguito il convincimento alla luce
dei criteri di scelta dei canditati – avulsi da opzioni ideali o comunque di dimensione
sociale – e funzionali esclusivamente agli interessi del gruppo; ha razionalmente e

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sei…”.

insindacabilmente ritenuto che, a monte dell’individuazione dei candidati e del
successo di taluno di essi tra i componenti dell’assemblea elettiva del comune di
Chivasso – non sia previsto uno spontaneo ed autonomo consenso da parte dei
cittadini, ma un accordo tra la consorteria e l’aspirante consigliere comunale, nella
prospettiva di iniziative amministrative, favorevoli a specifici personaggi, adottate
in violazione delle regole giuridiche e in conformità alle regole del più forte.
2.2 in tale visione negoziale e mafiosa della gestione della polis, è razionalmente
decennio, di consigliere di amministrazione della s.p.a. Chind, società a
partecipazione pubblica, investita del compito di produrre e cedere al comune di
Chivasso le opere di urbanizzazione. La illiceità del criterio che ha guidato i pubblici
poteri nella scelta del Marino e la matrice mafiosa degli interessi perseguiti da
questa cooperazione s.p.a. – amministrazione comunale sono implicitamente ma
inequivocabilmente indicate dal Tribunale, laddove mette in evidenza la mancanza
di altri titoli (di cultura scolastica e di esperienza professionale) che possano
giustificare l’incarico.
2.3 Questo convincimento sull’ingresso nell’amministrazione comunale di
componenti della Ndrangheta – inquadrato nel generale fenomeno della collusione
mafia/politica ricostruito con atti giudiziari irrevocabili – non può esser considerato
smentito dagli esiti degli accertamenti sin qui svolti, conclusi con

il mancato

scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa e con l’annullamento
del titolo custodiale, nei confronti di Trunfio Bruno, indicato dall’accusa come
infiltrato mafioso nell’organo deliberativo. L’ordinanza si è limitata ad affermare la
proiezione di rappresentanti mafiosi di esser presenti all’interno dell’assemblea,
senza attribuire ad essi il ruolo egemonizzante sull’intero funzionamento dell’organo
deliberativo – tale da giustificare l’intervento del ministero dell’interno – e senza
attribuire l’identificazione del fenomeno, in via esclusiva, a un determinato soggetto
e alle sue vicende processuali.
3. Venendo alle specifiche deduzioni difensive, non può condividersi l’assunto
difensivo secondo cui a carico del Marino vi sarebbe un unico indizio, rappresentato
dalla conversazione tra il padre ed il fratello, in un vuoto probatorio circostante,
poiché, come si è visto, l’indicazione proveniente da quella conversazione trova
conferme importanti in altri elementi logici e fattuali.
3.1 Tra queste non va però annoverata la conversazione del 16 gennaio 2012, tra
l’indagato ed il fratello Antonino, il cui contenuto assolutamente indecifrabile non
può determinare un inversione dell’onere della prova, come sembra ritenere il
Tribunale del riesame; illogica ed illegittima, per contrasto con i principi di
attribuzione dell’onere della prova, è la deduzione in chiave accusatoria
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collocato dall’ordinanza (pagina 27), l’incarico, conferito a Marino Nicola, per un

dell’atteggiamento difensivo passivo o silente dell’imputato, che non ha alcun onere
di smentire le tesi accusatorie, così come illegittima è l’affermazione della Corte
territoriale con cui si attribuisce valenza gravemente indiziante alla conversazione,
poiché “nessuno non ha fornito altra spiegazione della conversazione stessa”, sicché
deve ritenersi, a rigor di logica, che esso fosse per fini illeciti.
3.2 Né può essere considerata alla stregua di un indizio l’invito e la successiva
partecipazione a tre matrimoni dei parenti prossimi dei sodali (Maiolo Ilario,

ordinanza cautelare impugnata), in base al condivisibile orientamento
giurisprudenziale (Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, Biondo, Rv. 252281), secondo
cui le frequentazioni con pericolosi pregiudicati possono rappresentare indizi di
pericolosità ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione, ma vanno valutate con
estrema prudenza come indizio di appartenenza mafiosa, fermo restando che il
principio del libero convincimento consente di desumere la prova di un patto sociale
criminoso attraverso ogni elemento che possa considerasi sintomatico del pactum

sceleris.
Precisa il Collegio che le semplici frequentazioni per parentela, affetti, amicizia,
comune estrazione ambientale o sociale, per rapporti di affari e, a maggior ragione,
gli occasionali o sporadici contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici
(cortei, feste, funerali, etc.) in contesti territoriali ristretti, non possono di per sé
essere utilizzati come sintomatici dell’appartenenza a sodalizi criminali, ma possono
configurarsi, allorquando la personalità dei soggetti fornisca concrete ragioni
sull’illiceità dell’attività svolta in comune, come motivi di sospetto sufficienti per
giustificare e indirizzare le indagini, ma non possono essere valorizzati come prove
indirette o logiche. Frequentazioni e contatti, quando risultino qualificati da abituale
o significativa reiterazione, non giustificata da usuali modalità di convivenza in
contesti territoriali ristretti, possono — se connotati dal necessario carattere
individualizzante — essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell’art. 192,
comma 3, c.p.p. (Sez. 6, n. 24469 del 05/05/2009, Bono, Rv. 244382). Tale non è
la situazione della fattispecie in esame.
4. Pur non potendosi considerare tra gli elementi indiziari la partecipazione ai tre
matrimoni e la telefonata dell’indagato con il fratello Antonino, nel complesso le
osservazioni del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione del
Tribunale del riesame e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della
stessa; il giudice di merito ha in definitiva dato adeguatamente conto delle ragioni
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, con motivazione rispettosa dei canoni della logica e dei principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

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Cavallaro Ilario e D’Amico Maria, figli di tre indagati attinti dalla medesima

5. In conclusione il ricorso va rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1

ter.
P.Q.M.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1 ter disp.
att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2013
Il Presidte
Anton

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Il Consigl’ere ?stensore
nd igne

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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