Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28334 del 30/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28334 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONTI TAGUALI GIANFRANCO N. IL 29/06/1974
avverso la sentenza n. 30834/2011 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 24/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVA,
/sentite le Ronchnioni del P Dott. GAA.A.4.;:
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Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 30/04/2013

IN FATTO E DIRITTO
CONTI TAGUALI Gianfranco, imputato, unitamente al fratello Marco ed a PRUTTI Giuseppe,
del delitto di omicidio aggravato di SANFILIPPO PULICI Bruno, avvenuto il 3 giugno 2002,
dopo esser stato assolto col fratello dalla Corte di Assise di Catania, che peraltro aveva condannato il FRUTTI alla pena dell’ergastolo, è stato condannato, così come il fratello ed in riforma
della prima sentenza, dalla Corte di Assise d’appello alla pena dell’ergastolo.
Il ricorso per cassazione degli imputati avverso la sentenza della Corte territoriale è stato rigettato dalla prima sezione penale di questa Corte con sentenza in data 24 aprile 2012, depositata in
data 15 giugno 2012.
Il condannato ha proposto personalmente, con atto depositato presso l’amministrazione carceraria, ricorso straordinario per errore di fatto ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p. lamentando che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errore di fatto, in particolare sulle dichiarazioni del padre della vittima.
In particolare, il ricorrente sostiene che l’espressione del giudice di legittimità, secondo cui “le
dichiarazioni dibattimentali [del padre della vittima sarebbero state] ossessivamente ripetute nel
loro nucleo centrale e significativo durante tutto il corso del lungo esame” sarebbe frutto di errore di fatto perché anche nel corso del dibattimento il teste aveva avuto notevoli oscillazioni, come cerca di dimostrare mettendo in sequenza le diverse espressioni usate dal medesimo teste sul
fatto se si fosse o meno inventato lui davanti ai carabinieri che gli aggressori erano incappucciati,
o se fosse stato il figlio a riferire ai militari la circostanza falsa, per potersi poi muovere autonomamente con una personale vendetta nei confronti degli attentatori.
Sono stati inoltre depositati motivi aggiunti da parte del difensore, che si articolano su più motivi, dalla questione di competenza territoriale, all’erroneità della valutazione della prova, alla pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per mancanza di motivazione del decreto autorizzativo d’urgenza del Pubblico Ministero.
Il ricorso è inammissibile.
Inammissibili sono, innanzitutto, le doglianze contenute nei motivi aggiunti perché non hanno
per oggetto l’aspetto testuale del provvedimento impugnato per evidenziarne vizi percettivi, ma
ripercorrono diversi argomenti affrontati nei giudizi di merito, questioni precluse dal giudicato.
Ugualmente inammissibile è il ricorso, che si fissa sul confronto fra diversi brani di testimonianza, estrapolati dai verbali, per rimarcarne le differenze e, in sostanza, lamentare che non sarebbe
adeguato l’assunto della sentenza, di una ripetizione costante di certe affermazioni del testimone,
dimenticandosi peraltro del fatto che la motivazione della sentenza del giudice di legittimità si è
proprio fatta carico di affrontare la questione delle variazioni delle posizioni del testimone e, dato atto di quello, ha finito per valutare che il nucleo centrale delle dichiarazioni dibattimentali del
testimone, dopo la voluta falsità delle prime, era sostanzialmente costante.
Si tratta di una valutazione dei diversi passaggi dei verbali, quella di cui si duole il ricorrente, ma
non certo di un errore percettivo, che, unico, potrebbe rendere ammissibile il ricorso straordinario.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.000,00#,
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 30 aprile 2013.

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