Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28332 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28332 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINO ANTONINO N. IL 18/09/1972
avverso l’ordinanza n. 2203/2012 TRIB. LIBERTA’ di TORINO, del
09/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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ci\,70t.e, Qie,

Uditi difensor Avv.; “99

C949

Data Udienza: 24/04/2013

FATTO E DIRITTO
Con ordinanza 9.11.2012, il tribunale di Torino ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato
l’ordinanza 10.10.2012 del Gip del medesimo tribunale, applicativa della misura cautelare della
custodia in carcere a 1Vlarin9 Antonino in ordine al reato ex art. 416 bis, commi 1,2,3,4,5 c.p.,
perché accusato di far parte, insieme ad altre persone,tra cui il padre Pietro e il fratello gemello
Nicola, dell’associazione mafiosa denominata Ndrangheta , operante da anni sul territorio
piemontese, in particolare nel locale Chivasso , oggetto della presente indagine ,denominata “Colpo
di coda”, sviluppo e continuazione della più ampia indagine “Minotauro”.
Il difensore di Marino Antonino ha presentato ricorso per violazione di legge ,in riferimento agli
artt. 273 cpp e 416 bis c.p. ,vizio di motivazione : le indagini hanno dimostrato l’occasionalità della
raccolta di denaro effettuata in favore di alcuni detenuti, l’inesistenza di un vincolo associativo in
una struttura criminale ,che fosse fondata culturalmente e operativamente sul metodo intimidatorio
. Un’eventuale capacità intimidatoria potrebbe essere riconosciuta al gruppo di persone, collegate
con i componenti della famiglia Marino in un piccolo centro della Calabria, i cui abitanti possono
risultare intimiditi e quindi assoggettati a vincoli di omertà.
Alla luce di singoli episodi (la raccolta di fondi per i detenuti; la consapevolezza, da parte
dell’indagato, del coinvolgimento di alcuni conoscenti nelle operazioni di esecuzione di
provvedimenti di coercizione personale) ,deve escludersi che l’associazione tra questi cittadini sia
riconducibile alla previsione dell’art. 416 bis c.p. , in difetto di qualsiasi elemento che consenta di
affermare, dal lato attivo, l’utilizzazione da parte degli asseriti associati, di una carica intimidatrice,
nascente dal vincolo associativo, e dal lato passivo, una condizione di assoggettamento e di omertà
derivante, quale effetto, da tale forza intimidatrice. Non è quindi configurabile un metodo mafioso,
fondato sull’intimidazione e sulla violenza, che non può essere riconosciuto a questa pluralità di
persone che vivono nell’hinterland torinese e che non hanno conquistato -in assenza di prove sulla
consumazione di specifici atti di violenza morale e materiale- una fama di potenzialità
sopraffattrice, tale da aver sviluppato intorno a sé una carica autonoma di intimidazione diffusa.
Questo contropotere sociale non è sicuramente penetrato nelle istituzioni della democrazia
rappresentativa, nel corso delle elezioni : il 19.9.12 il ministero dell’interno ha decretato
l’insussistenza dei presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale di Chivasso per
infiltrazione mafiosa. Il principale indiziato di questo ingresso della mafia nella democrazia
rappresentativa, Trunfio Bruno, a seguito di annullamento del titolo custodiale, ha riacquistato la
libertà.
Il ricorso non merita accoglimento
Va innanzitutto ribadito che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di
impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con
riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è
subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. Ne consegue che la motivazione della
decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello
delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti
resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi
e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza. In questa chiave di pre-certezza del risultato degli accertamenti dell’autorità
inquirente- in fase di progressiva e problematica evoluzione- allorché sia denunciato, con ricorso
per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine
1

,

Fatta questa premessa, va rilevato che il quadro indiziario delineato dal Gip e confermato dal
tribunale del riesame, contiene una ricostruzione storica e una valutazione giuridica, allo stato delle
indagini, sufficientemente giustificative della ritenuta sussistenza del reato di associazione mafiosa
ex art. 416 bis c.p. e della qualifica di partecipe attribuita al ricorrente.
Tale associazione denominata Ndrangheta, di origine calabrese ,secondo gli inquirenti si è estesa
in Piemonte, attraverso alcune strutture decentrate ,tra cui il locale Chivasso , di cui è componente
il Marino.
E’ noto che, a fronte della forma libera che caratterizza la fisionomia del reato associativo e della
mancata tipizzazione della relativa condotta di appartenenza, è stata fissata dal legislatore e
dall’interprete la tipicità delle caratteristiche fondamentali dell’associazione mafiosa, che sono tre :
la forza di intimidazione del vincolo associativo, cui consegue una condizione di assoggettamento
e di omertà di interi settori della comunità sociale di alcune aree del territorio nazionale ;
il metodo dell’associazione ,che consiste nell’avvalersi di tale forza intimidatrice;
il programma finale, avente ad oggetto la commissione di delitti , l’acquisizione ,in modo diretto o
indiretto, della gestione o del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni di
appalti e servizi pubblici , ovvero il conseguimento di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri;
il condizionamento della vita democratica del paese, attraverso la limitazione del libero esercizio
del diritto di voto dei cittadini.
Sotto i primi due profili, autorevole dottrina richiama l’attenzione su di una caratteristica tipica
delle associazioni di stampo mafioso attualmente operanti : esse , a causa della fama acquistatasi
con atti di violenza o di minaccia a danno di chiunque ne ostacolasse l’attività , sono ormai in
grado di incutere timore per la loro stessa esistenza , generando in coloro con cui vengono in
contatto una condizione di assoggettamento , cioè di sottomissione incondizionata , e un
conseguente atteggiamento di omertà , cioè di reticenza e di rifiuto di collaborare con gli organi
inquirenti , dettato dalla esperienza di ritorsioni e rappresaglie,in danno dei trasgressori della regola
del silenzio . Tali requisiti si collegano, da un lato, agli effetti prodotti da precedenti
comportamenti intimidatori ; dall’altro, alla possibilità di utilizzare tali effetti per la realizzazione
dello scopo finale : si collegano ad un’attività precedente, perché l’associazione ha acquistato la sua
forza, proprio in virtù dei reiterati comportamenti di violenza e di minaccia; si riferiscono alla
possibilità futura di utilizzare questa forza , dato che questa ,oltre a consentire ai soci di poter
contare su un’efficace protezione (l’omertà), da parte di coloro che sono a conoscenza della
“cattiva fama” dell’organizzazione, fa apparire assai più agevole l’intimidazione di quei soggetti ,
la cui sottomissione all’associazione influisca sulla potenzialità dell’associazione di conseguire i
propri obiettivi nel campo economico, politico, giuridico.
Questo collegamento della forza intimidatrice con il passato presuppone quindi non solo pregresse
attività di criminose attività di violenza e minaccia, ma anche che esse abbiano manifestato uno
spessore qualitativo, territoriale,mediatico tale da conferire una capacità promozionale
all’espansione del timore, dell’assoggettamento e dell’ omertà nella collettività originaria e in tutte
le altre in cui l’associazione abbia deciso di radicarsi e di agire , in vista della realizzazione dei
programmi intermedi e del programma finale di sostanziale esercizio del potere uno o più territori.
Perché sia configurabile il fondamentale requisito dell’utilizzazione sistematica della forza
intimidatoria ( il cd metodo mafioso) , è stato posto l’interrogativo
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alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,per partecipazione ad associazione mafiosa, alla
Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di
legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie.

Le censure mosse dal ricorrente rendono necessaria una riflessione sulla peculiarità di questa
ritenuta articolazione extra territoriale della `Ndrangheta,costituita dal locale Chivasso , i cui
componenti, secondo la ricostruzione degli inquirenti, hanno esportato/importato, dal luogo di
nascita e di radicamento ( la Calabria), la peculiare forza intirnidatrice e l’autonoma capacità di
conseguirne i risultati vantaggiosi, in un territorio , in una società diversi ,sotto il profilo
dell’economia, della cultura, del costume, dei rapporti con i pubblici poteri.
Secondo un condivisibile orientamento interpretativo ,in queste ipotesi di mafiosità trapiantata
dalla terra di origine ad altro territorio , ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 416 bis
cod. pen., è necessario accertare che tale associazione si sia radicata “in loco” con quelle peculiari
connotazioni, che la rendano titolare di un’effettiva capacità di intimidazione, che le deriva
dall’accertata genesi in area della geografia mafiosa, di cui sia attuale portatrice e utilizzatrice di
assoggettamento e di omertà. Secondo sez. 5, n. 19141 del 13.2.06, rv 234403, non è sufficiente
l’indubbio spessore mafioso degli indagati – o di taluni di essi — per dar consistenza alla base
indiziaria sufficiente a ritenere operante, anche in contesti spaziali diversi (storicamente estranei a
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– se sia necessario che l’associazione ne abbia tratto effettivamente utilità, ovvero
– se sia sufficiente che essa si proponga di utilizzarla, anche se poi non se ne sia concretamente
servita. In altri termini , il verbo avvalersi ,contenuto nella nonna, allude necessariamente a uno
specifico ed esteriore comportamento intimidatorio ?
Esemplificando con ipotetiche manifestazioni della forza intimidatrice, è stato rilevato che il
messaggio intimidatorio può acquisire diverse forme, in correlazione al livello raggiunto dalla
“cattiva fama” dell’associazione , rappresentate da :
a) esplicito e mirato avvertimento mafioso —rispetto al quale il timore già consolidato funge da
rafforzamento della minaccia specificamente formulata b) messaggio intimidatorio avente forma larvata o implicita (avvertimento della sussistenza di un
interesse dell’associazione per un comportamento attivo o omissivo del destinatario, con implicita
richiesta di agire in conformità );
c) assenza di messaggio ,con silente richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza
intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito.
In quest’ultima ipotesi di messaggio silente ,l’espressione utilizzazione della forza intimidatoria
non è ricollegabile a una specifica ,attuale condotta degli associati, ma a una situazione ,creata da
una pregressa ,vigente, attuale carica intimidatrice dell’associazione, che ,in virtù delle promozioni
di assoggettamento e omertà, non ha più bisogno di ricorrere a specifici comportamenti di violenza
e minaccia. Il metodo mafioso dell’avvalersi della forza intimidatoria — una volta che abbia creato
un’alone extraterritoriale , che ne proietta la forza intimidatrici al di là degli originari confini
geografici e socio-economici – non si manifesta necessariamente con contingenti atti di delinquenza
comune(i reati fine ,diretti alla coercizione, alla limitazione delle libertà di manifestazione del
pensiero, di produrre reddito esentasse da balzelli mafiosi , di rapportarsi lealmente con le
istituzioni, di esercitare i diritti politici), ma è ricostruibile con elementi fattuali , che, anche se non
illeciti, sono funzionali alla realizzazione di un indispensabile programma strumentale ,
realizzazione che riceve quindi spinta non da specifici atti promozionali di paura, assoggettamento,
omertà , ma dalla cattiva fama , conquistata in precedenza dall’associazione . L’ineludibile
funzionalità del programma intermedio alla realizzazione del programma finale lo rende oggetto di
dolo specifico, identificato nell’intenzione di ricorrere alla forza del vincolo associativo ,ove il
messaggio —fondato sulla fama- non abbia dato i previsti risultati di adeguamento degli altrui
comportamenti. Posto che qualsiasi organizzazione che gestisce in maniera illecita mezzi e fini,
non è disposta compromettere la propria esistenza e ad arrestare la propria azione dinanzi
all’eventualità che la loro fama si riveli insufficiente a piegare la volontà dei destinatari , i
componenti sanno e si son curati di far sapere di essere intenzionati a ricorrere a metodi di
persuasione più diretti ed espliciti.

Venendo alla specifico esame della struttura del locale Chivasso , ai fini del suo inquadramento
nell’ipotesi di articolazione extraterritoriale, rispetto alla associazione originaria, al suo
collegamento e alla metodo mafioso derivata da questa, le indagini hanno rilevato che Pasquale
Trunfio è stato riconosciuto vertice della struttura ,su indicazione della Ionica ( mandamento
ionico dell’associazione criminosa) ; costui è stato condannato,in primo grado, nel processo
Minotauro, alla pena di 8 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di associazione mafiosa; mentre
referente è stato riconosciuto Rocco Bruno Tassane ( sottoposto a procedimento giudiziario ,svolto
dall’A.G. di Reggio Calabria) . Uguale struttura criminosa e uguale rapporto con la sede madre,
radicata in Calabria sono stati attribuiti, nel medesimo processo “Colpo di coda”, al locale Livorno
Ferraris,capeggiato da Pasquale Maiolo , e considerato emanazione del Chivasso.
Questo collegamento con la casa madre di Calabria, emerge, a contrario , dal confronto con altra
struttura,operante a Torino ,definita “bastarda” ,in quanto non riconosciuta dalla prima ,e avente
capi crimine (Crea Adolfo e Cosimo) ,autoproclamatisi tali, senza autorizzazione, lasciando così
inalterato il comando del capo crimine che “è sempre a Reggio, a San Luca “(dichiarazione di
Pietro Marino, vertice del locale Chivasso) .
Quanto al programma intermedio , gestito dai locali della provincia torinese la cui realizzazione è
ineludibile, per la realizzazione di quello finale, va rilevato che le indagini ne hanno messo in luce
uno di fondamentale importanza : il suo oggetto è costituito dall’autotutela della forza persuasiva e
della capacità promozionale del metodo mafioso della `Ndrangheta , anche in momenti di crisi e di
transitoria sconfitta nel contrasto con le forze dell’ordine. In presenza del generale fenomeno della
proliferazione mafiosa, autonoma o geneticamente derivata da altre associazioni preesistenti, i vari
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certe forme di subcultura e devianza delinquenziale proprie di altre aree geografiche), la capacità
intimidatrice che, notoriamente, promana dal vincolo associativo.
Per altro verso, infondata è ritenuta la tesi ,secondo cui, la struttura mafiosa sia insussistente nel
caso in cui il sodalizio criminoso sia stato definito, all’interno della casa madre, “bastardo”, in
quanto non riconosciuto e quindi privo di quelle caratteristiche di dipendenza dalla forza
intimidatrice della mafia che era riconoscibile all’esterno. Quando un’ associazione criminosa
“dirama le sue articolazioni in aree territoriali diverse da quelle di origine, deve avere quelle
caratteristiche esteriori che il metodo mafioso sottintende affinché sia lo strumento per la
realizzazione dei fini che la nonna prevede (Sez. 5^ 13 febbraio 2006 n. 19141, rv. 234403). Tale
principio deve intendersi nel senso che tale esportazione dal territorio di origine deve essersi
realizzato in modo che sia percepibile anche in quei territori il metodo utilizzato come mafioso e
quindi come strumento di soggezione e di perseguimento dei propri fini illeciti. Non significa
affatto che sia necessaria una sorta di validazione del metodo mafioso dalla casa madre, per cui se
una diramazione non è riconosciuta dalla casa madre o dalle filiali ufficiali non è mafia. I suoi
metodi sono mafiosi quando sono percepiti all’esterno come tali indipendentemente dalla
circostanza che facciano parte della rete radiosa ufficiale o ufficiosa. Non ha quindi alcun rilievo
come si colloca la compagine mafiosa in quella di origine ne’ che venga o meno riconosciuta ma
che venga percepita come tale all’esterno”(sez. 1, n. 13655 del 28.3.2012, rv 252358) .
Il radicamento in loco dell’associazione va però riconosciuto – tenuto conto della diversa tipologia
del messaggio intimidatorio (p. 3)- a prescindere da esplicite manifestazioni di minaccia e violenza
, quali messaggi promozionali di timore,assoggettamento omertà, essendo rilevante la manifesta
utilizzazione, da parte dei soggetti associati, della “posizione di rendita” ,ricavata dalla collaudata e
riconosciuta fama della collegata casa madre.
La capacità dell’articolazione extraterritoriale di realizzare soggezione ed omertà sui conterranei e
sugli autoctoni , può risultare dimostrata dai successo ( o risultare smentita dall’insuccesso ) di un
programma strumentale, la cui decisività lo renda — come già anticipato -oggetto di dolo specifico,
identificato nell’intenzione di ricorrere alla forza del vincolo associativo ,ove il messaggio silente —
fondato sulla fama- non abbia dato i previsti risultati di adeguamento degli altrui comportamenti.

Questo aspetto organizzativo – diretto a fronteggiare la rivincita della legge penale e a manifestare
la solidarietà morale e materiale verso le vittime della lotta alla legalità- , ha offerto agli inquirenti
un dato di carattere patrimoniale, che ha avuto funzione illuminante sul rapporto intercorrente tra
gli indagati e l’associazione. In entrambi i procedimenti nati da queste indagini, gli inquirenti hanno
riconosciuto a un dato fattuale (la raccolta di denaro destinato ai detenuti) l’efficacia dimostrativa
della partecipazione, da parte di chi vi partecipa come operatore o come beneficiario,
all’associazione predetta , nelle sue varie articolazioni Questa raccolta di denaro non è giustificata
da solidarietà familiare, in quanto gli inquirenti ritengono di aver accertato che i versamenti sono
stati effettuati da persone che non sono legate da rapporti di parentela ai beneficiari. In base alle
dichiarazioni di collaboratori, di cui è stata verificata l’affidabilità, sussiste l’obbligo degli aderenti
ad aiutare economicamente la famiglia, i cui componenti sono detenuti ; da questo dato gli
inquirenti hanno tratto la seguente considerazione : se partecipare alle attività di sostegno dei
consociati in carcere costituisce un preciso obbligo di quelli liberi, ne consegue che tutti coloro che
—senza essere indicati come soggetti di distinti rapporti definiti altri con l’associazione- hanno
partecipato ad una colletta sono consociati . Il prosieguo delle indagini dovrebbe accertare se sia
possibile secernere ,tra i donanti ,chi abbia contribuito in nome della solidarietà neutra
dell’emigrante meridionale nei confronti del conterraneo in difficoltà, rispetto a chi ,come il
ricorrente, abbia agito in nome di solidarietà consapevolmente complice, per cointeressenza
economica e criminale.
Secondo l’ordinanza del tribunale del riesame “La colletta deve intendersi inequivocabilmente
indicatore fattuale , da quale desumere la compenetrazione di tutti i partecipi nel tessuto
organizzativo associativo e, al tempo stesso, prova dell’affiliazione, in quanto i non associati ,per
quanto legati da stretta amicizia, non vi possono essere ammessi “(p. 25 ord. Trib) .
Fulcro di questo convincimento deriva dalle intercettazioni di conversazioni ambientali, intercorse
tra Marino Pietro —personaggio intraneo ad alto livello nell’associazione- e il figlio Antonino — nelle
date 14, 18 dicembre 20011 e 12.10.2012, aventi ad oggetto l’indicazione di autori e degli importi
dei versamenti , nonché dei beneficiari e dell’importo ad essi destinato. In queste conversazioni si
parla di una raccolta di denaro, proveniente da 13 persone ,che si autotassano, per 120 euro; la
somma raccolta è destinata a 8 detenuti, nella misura di 200 curo ciascuno.
Premessa la obbligatorietà della tassa di 120 euro, gravante su ciascuno degli affiliati liberi, se un
affiliato ha un familiare in carcere non deve versarla, per evitare un inutile giro di moneta : basta
versargli 80 euro che, aggiunti all’ammontare della tassa di 120 , realizzeranno l’importo del
contributo di solidarietà mafiosa. L’obbligatorietà di questa tassa per i detenuti — garantita dalla
implicita minaccia di sanzione per gli inadempienti- diretta alla raccolta di fondi, a scopo
assistenziale (a beneficio materiale e morale dei detenuti ,che percepiscono , nonostante l’esilio
carcerario, la persistenza del rapporto dare/avere con l’associazione locale e contigua) è
confermata dalle dichiarazioni di Mihaela Andreea Sorocaniuc (legata al sodale Cavallaro
Ferdinando) ,datate 27.10.2012, a proposito della regola ,gravante sugli “amici” dell’aiuto
economico in favore dei familiari del detenuto (p. 24)
Altra conversazione , avente ad oggetto la distribuzione del denaro raccolto, è quella intercettata il
18.12.2011, tra Marino Pietro e D’Amico Antonino, unitamente al rumore di banconote (così
testualmente nella trascrizione) ,nel corso della quale sono nominati alcuni beneficiari(p.22 trib.) .
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gruppi criminosi entrano,in primo luogo, in rapporto di contrasto con le regole giuridiche, la cui
osservanza è incompatibile con la realizzazione dei propri programmi, e ,necessariamente in
rapporto di conflittualità con le forze dell’ordine . In questa proiezione collettiva e corale alla
commissione di fatti criminosi ,l’associazione fissa —con regole esplicitamente e/o
pragmaticamente sedimentate – vincoli di fedeltà e di reciproca assistenza tra gli adepti
dell’associazione, operanti precipuamente nei momenti di scontro perdente, con il potere
repressivo esercitato dallo Stato ,che toglie la libertà personale ad alcuni aderenti , nell’esercizio del
suo dovere di ripristinare e riaffermare la legalità.

La inclusione di costoro tra i retribuiti con i profitti criminali, grazie a tale circolazione di denaro —
in nome della solidarietà e della resistenza alla legalità,unitamente alla consolidata fama criminale
della mafia sull’assenza di donazioni disinteressate e sulla cancellazione di qualsiasi vincolo
umanitario, ha condotto razionalmente gli inquirenti alla considerazione che trattasi della
corresponsione al detenuto , a titolo di compenso, per i meriti acquisiti in passato e a titolo di
vincolo ,per il futuro, ipotecandone la persona e le energie al servizio dell’associazione mafiosa ,
di cui sono logicamente da ritenere componenti, sia pure con limitata potestà di azione.
Altra connotazione di questo tipo di associazione criminale è costituito — alla luce di accertamenti
conseguiti con efficacia di giudicato- dell’inquinamento della democrazia degli enti territoriali , in
conformità al programma finale dell’associazione mafiosa, che ha ad oggetto il condizionamento
della vita democratica del paese, attraverso la limitazione del libero esercizio del diritto di voto dei
cittadini: nelle parti del territorio nazionale ,in cui il contropotere mafioso abbia acquistato una
crescente forza espansiva ,alcuni componenti degli organi deliberativi ed esecutivi ,si sono
trasformati da rappresentanti di legittimi interessi della base elettorale, in rappresentanti di
illegittimi interessi dei manovratori degli elettori : un consistente numero di cittadini , titolari del
diritto al voto,sono stati snaturati a meri utenti di scheda elettorale ,da inserire nel circuito
commerciale, gestito dall’organizzazione criminale. Si assiste così —in alcune parti del Paese- al
paradosso della democrazia rappresentativa : questa diventa strumento di rafforzamento della
sopraffazione e della tirannia dei poteri mafiosi , i quali ,grazie alle azioni di determinati eletti , si
espandono dal territorio all’interno delle istituzioni e, da queste, si ripresentano con maggiore
autorevolezza e maggiore forza di attrazione tra i consociati
Oggetto dell’accordo sono i voti fatti confluire dalla mafia verso l’eletto e l’impegno di questi di
sdebitarsi, assumendo specifiche iniziative amministrative e favorendo specifici personaggi , in
violazione delle regole giuridiche e in conformità alle regole del più forte.
Questo aspetto direttamente politico del fenomeno mafioso ( espresso nell’ inquinamento della
democrazia rappresentativa negli enti pubblici territoriali ) e l’inquadramento in esso del
comportamento di alcuni indiziati, sono stati prospettati razionalmente dall’ordinanza impugnata,
alla luce della storia politica della mafia. Il tribunale ,confermando le argomentazioni
dell’ordinanza coercitiva, ha configurato l’ipotesi, in base ai criteri di scelta dei canditati –avulsi
da opzioni ideali o comunque di dimensione sociale- e funzionali esclusivamente agli interessi del
gruppo ; ha razionalmente e insindacabilmente ritenuto che ,a monte del successo di questi prescelti
componenti dell’assemblea elettiva del comune di Chivasso – non vi sia stato, uno spontaneo ed
autonomo consenso da parte dei cittadini, ma un accordo tra la consorteria e l’aspirante
consigliere comunale, nella prospettiva di iniziative amministrative, favorevoli a specifici
personaggi , adottate in violazione delle regole giuridiche e in conformità alle regole del più forte.

In tale visione negoziale e mafiosa della gestione della polis, è razionalmente collocato
dall’ordinanza (p.27), l’incarico, conferito a Marino Nicola, per un decennio, di consigliere di
amministrazione della s.p.a. Chind ,a partecipazione pubblica, investita del compito di produrre e
cedere al comune di Chivasso le opere di urbanizzazione. La illiceità del criterio che ha guidato i
pubblici poteri nella scelta del Marino e la matrice mafiosa degli interessi perseguiti da questa
cooperazione s.p.a. – amministrazione comunale sono implicitamente ma inequivocabilmente

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Successivi accertamenti hanno consentito di individuare il periodo (giorni immediatamente
precedenti al Natale) e, ammontare (200 curo) i beneficiari (alcuni detenuti del greppo mafioso) ,
della distribuzione del denaro raccolto tramite la colletta.

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indicate dal tribunale, laddove mette in evidenza la mancanza di altri titoli (di cultura scolastica e
di esperienza professionale ) che possano giustificare l’incarico.
Questa ipotesi sull’ingresso nell’amministrazione comunale di componenti della Ndrangheta —
inquadrata nel generale fenomeno della collusione mafia/politica ricostruito con atti giudiziari
irrevocabili – non può esser considerata smentita dagli esiti degli accertamenti sin qui svolti,
conclusi con il mancato scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa e con
l’annullamento del titolo custodiale ,nei confronti di Trunfio Bruno, indicato dall’accusa come
infiltrato mafioso nell’organo deliberativo . L’ordinanza si è limitata ad affermare la presenza di
rappresentanti mafiosi all’interno dell’assemblea, senza attribuire ad essi il ruolo egemonizzante
sull’intero funzionamento dell’organo deliberativo —tale da giustificare l’intervento del ministero
dell’interno- e senza attribuire l’identificazione del fenomeno, in via esclusiva ,a un determinato
soggetto e alle sue vicende processuali.
Deve quindi concludersi che, in base alle risultanze delle indagini sin qui svolte dalla magistratura
inquirente ed esaminate con esito positivo dal tribunale di Torino , è razionalmente configurabile,
sul piano degli indizi , ex art. 273 cp.p.( indizi che non devono essere valutati secondo gli stessi
criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.) ,la qualificata
probabilità che questo componente della famiglia Marino ,unito ad altre persone, a loro volta
collegate con l’associazione criminosa `Ndrangheta , partecipi a una consorteria delinquenziale,
così caratterizzata : ha mutuato, quale diretta articolazione di un’originaria e conclamata
organizzazione mafiosa della Calabria, “il metodo mafioso da stili comportamentali in uso a clan
operanti in altre aree geografiche”( sez. 5 ,n. 19141 del 13.2.06, rv 234403); la sua utilizzazione
della forza intimidatoria non è ricollegabile a una specifica ,attuale condotta violenta o
minacciosa degli associati, ma a una situazione ,creata da una pregressa ,vigente, attuale carica
intimidatrice dell’associazione madre.
Non appare condivisibile —alla luce del presente quadro indiziario- l’orientamento interpretativo
secondo cui ( sez. 5 ,n. 19141 del 13.2.06, rv 234403) , nell’ipotesi di un’associazione mafiosa
che dirami sue articolazioni in aree territoriali diverse da quelle di origine, non necessariamente
si formano altrettante autonome consorterie delinquenziali, essendo comunque decisiva l’analisi
della variabile economico -sociale, che notoriamente caratterizza la varie parti del territorio
italiano .La capacità di intimidazione che promana dal vincolo associativo ,con i suoi effetti di
assoggettamento e di omertà, potrebbe dispiegarsi, indipendentemente dal compimento di
specifici atti di intimidazione, a condizione che si dimostri il dispiegarsi di una struttura
extraterritoriale di soggetti , collegati a conterranei uniti da vincoli associativi nella terra d’origine,
in un territorio tradizionalmente permeabile alla minaccia mafiosa, in base alla storia locale e al
ruolo svolto in passato della violenza e dalla paura; in questo contesto socio-culturale una mera
notorietà di appartenenza, un contrasto di interesse bastano a condizionare la capacità di produrre
reddito ad esclusivo profitto personale ,la libertà di esercitare il diritto di voto, la libertà di agire
lealmente con le istituzioni.
Ove queste articolazioni si inseriscano ed agiscano in un contesto sociale diverso , alieno a
soggiacere alla subcultura mafiosa ,a1 rifiuto verso l’ordine e la legalità, in cui non sia rinvenibile l’
humus in cui alligna e prolifera la devianza mafiosa , il metodo mafioso dovrebbe prendere i
connotati di esteriorizzazione ; sarebbe necessaria una condotta positiva dei sodali dai chiari
sintomi di matiosità, empiricamente percepibili.
Il prevalere di questa tesi porrebbe problemi interpretativi dall’esito necessariamente incerto in
sede giudiziaria,quali
la ricostruzione e il rilievo da attribuire alle condizioni socio-culturali dei territori e delle
popolazioni autoctone,
i criteri di misurazione della resistenza locale al metodo mafioso,
la possibilità che ,all’esito della misurazione della permeabilità del territorio alla cattiva fama
dell’associazione di cui gli emigranti appaiano esponenti, tali condizioni siano idonee a supplire ad
un deficit di sintomi di mafiosità empiricamente percepibili,

Roma , 24 4.2013
Il consigliere e
Antonio Bev

re

Il preihe e
Genritro Marasca

tepositata in Cancelleria
Roma, ri __2.

la variabilità della rilevanza penale di medesimi comportamenti nei diversi territori dell’Italia
costituzionalmente unita, ma economicamente e culturalmente frazionata.
Alla luce di questa ricostruzione e valutazione dei fatti attinenti al ricorrente —impostate in maniera
assolutamente fedele ai risultati delle indagini e alla loro razionale interpretazione — e tenuto conto
della connotazione meramente fattuale delle osservazioni critiche del Marino, deve dichiararsi l’
infondatezza del relativo ricorso, con conseguente condanna dell’indagato al pagamento delle spese
processuali.
La cancelleria provvederà agli adempimenti ex art. 94 co. 1 disp.att. cpp
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1 ter cpp

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