Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28322 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28322 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

GOBBI Antonio, nato a Caste’ San Giovanni il 15/05/1958

avverso l’ordinanza sentenza il 31/10/2012 dal Tribunale di Ascoli Piceno, in
funzione di giudice del riesame.

Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
sentita la relazione del consigliere Paolo Antonio BRUNO;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Oscar Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Luigi Stortoni, difensore del ricorrente, che ne ha chiesto,
invece, raccoglimento.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 12/04/2013

1. Con decreto dell’11/10/2012 il GIP del Tribunale di Ascoli Piceno
disponeva il sequestro preventivo di due immobili di proprietà di Antonio Gobbi,
siti in Piacenza, sul presupposto che i detti beni fossero da considerare profitto
del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, contestato allo stesso Gobbi

in concorso con altri, e quindi suscettibili di confisca ai sensi dell’art. 321,
comma 2, cod. proc. pen. e, ad ogni modo, costituissero reimpiego di proventi
Secondo l’impostazione accusatoria, una parte delle somme provenienti da
operazioni distrattive in danno della s.p.a. Jean Klebert (dichiarata fallita il
21/07/2005) era stata utilizzata proprio per l’acquisto degli immobili anzidetti,
per l’importo complessivo di C 450.000,00.
La distrazione sarebbe effetto di una complessa operazione negoziale nei termini
di seguito indicati:

nel gennaio 2000, la Jean Klebert s.p.a. cedeva i suoi marchi alla

Doddington, società di diritto portoghese con sede in Madeira (asseritamente

riconducibile ai germani Sansoni, amministratori della stessa Jean Klebert), al
prezzo di lire 3,5 miliardi, riservandosi il diritto di opzione per il riacquisto; tale
operazione negoziale non avrebbe, però, avuto alcuna giustificazione economica,
posto che il denaro necessario all’acquisto era stato, in parte, immediatamente
trasferito alla Doddington dalla stessa Jean Klebert e, per la parte restante,
sarebbe stato poi versatouest’ultima, nel giro di pochi mesi, mediante
pagamento del corrispettivo per l’uso degli stessi marchi che si era,
espressamente, riservato;

nel giugno/luglio 2001 la neo-costituita J.Klebs s.p.a. (con un capitale

sociale per il 70% di FINECO e per la restante parte di altra società
asseritamente riconducibile agli stessi fratelli Sansoni) acquistava il 100% delle
azioni della Jean Klebert s.p.a., la quale ultima rinunciava all’opzione di
riacquisto dei marchi da Doddington;

nel frattempo, il 21.6.2001, la J.Klebs s.p.a. acquistava dalla detta

Doddongton i marchi Jean Klebert al prezzo di lire 8,5 miliardi; e li concedeva in

uso alla stessa Jean Klebert s.p.a. al corrispettivo del 4% del fatturato, con un
minimo garantito pari a C 1.550.000,00; secondo gli inquirenti, il prezzo
anzidetto era del tutto sproporzionato rispetto a quello iniziale di 3,5 miliardi di
lire, pagato soltanto un anno e mezzo prima;
– parte di tale prezzo veniva, poi, accreditato il 6.9.2001 – per la
complessiva somma di lire 2 miliardi – sul conto estero Ghianda riferibile ad
Antonio Gobbi;
– il 15.6.2004 dal predetto conto

Ghianda

usciva la somma di C

995.966,75, che, dopo essere stata sottoposta al regime del c.d. scudo fiscale,

illeciti.

era, pressoché interamente (per C 961.705,68), accreditata sul conto corrente
italiano intestato allo stesso Gobbi, presso la Banca Intermobiliare (B.I.M.);
– nell’agosto e nell’ottobre 2005, il Gobbi acquistava due immobili siti in
Piacenza a mezzo bonifico ed assegni circolari tratti sul conto corrente anzidetto.
Alla stregua di siffatta ricostruzione, gli inquirenti ritenevano che la società
fallita fosse stata privata, senza ricevere il minimo corrispettivo, dei marchi di
indagati, compreso l’odierno ricorrente traevano indebiti benefici economici,
occultati mediante costituzione di disponibilità finanziarie in favore di varie
società e/o in conti correnti esteri ad essi riconducibili.
In particolare, il Gobbi era ritenuto partecipe del meccanismo fraudolento
nella sua qualità di esperto consulente finanziario, ideatore dell’intera operazione
e poi artefice della neocostituita J.Klebs e della successiva vendita dei marchi in
favore di questa stessa società, con un guadagno complessivo di circa 2 miliardi
delle vecchie lire, parte del quale impigato per l’acquisto degli immobili
sottoposti a sequestro.
2.

Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta dallo stesso

indagato, il Tribunale di Ascoli Piceno, con l’ordinanza indicata in epigrafe,
rigettava l’istanza confermando la misura cautelare.
3.

Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori del Gobbi, prof. avv. Luigi

Stortoni ed avv. Valeria Attili, hanno proposto ricorso per cessazione, affidato
alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente eccepisce

violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen., per inosservanza
dell’art. 125 dello stesso codice di rito, nonché nullità dell’impugnata ordinanza
per mera apparenza di motivazione.
Il secondo motivo denuncia violazione di legge, ai sensi dello stesso art. 606
lett. b) e c), per inosservanza od erronea applicazione dell’art. 321, comma 2, del
codice di rito, in relazione all’art. 240, comma 1, e dell’art. 322-ter cod. pen.
Si duole, in particolare, che la misura cautelare, funzionale alla confisca
facoltativa, nella forma “diretta” (cd. di proprietà) del profitto dell’attività illecita,
sia stata confermata in mancanza dei presupposti che – alla stregua di
consolidato insegnamento della Corte di legittimità, nella sua più autorevole
espressione a Sezioni Unite – dovevano necessariamente consistere nel positivo

sua pertinenza a mezzo di successive operazioni di compravendita, da cui gli

riscontro dell’impiego dei proventi illeciti, “causalmente” ricollegabile al reato e al
profitto “immediato” dello stesso. Occorreva, in altri termini, che vi fosse la
prova – mancante nel caso di specie – della “diretta derivazione causale”
dall’illecito nonchè la “correlazione diretta” con il reato; elementi, questi,
costituenti non solo criteri di accertamento, ma veri e propri cannoni ermeneutici
di corretta interpretazione ed applicazione delle norme. Le risultanze
offerta, consentivano di escludere tali presupposti nonché la configurabilità
dell’ipotizzato reato.
La motivazione del provvedimento impugnato appariva, piuttosto, intesa alla
dimostrazione dei presupposti della diversa ipotesi del sequestro per equivalente
ed era, quindi, da ritenere del tutto mancante o meramente apparente rispetto
alla diversa fattispecie del sequestro diretto dell’ipotizzato reimpiego di danaro di
asserita provenienza illecita. Ricorrevano, pertanto, i presupposti normativi
dell’impugnabilità per cassazione, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.

Mrdk $,i –

2. Il ricorso è inammissibile in quanto sub specie della rncanza di

motivazione – patologia notoriamente integrante vizio di “violazione di legge” tenta di veicolare nel giudizio non consentite censure al percorso motivazionale
dell’ordinanza impugnata. In proposito, è ben noto che l’art. 325 del codice di
rito limita l’ambito della ricorribilità delle ordinanze emesse ai sensi del
precedente art. 324 c.p.p. alle sole ipotesi della violazione di legge.

;4 D’altronde, nella fattispecie non potrebbe neppure prospettarsi un’ipotesi di
41
et.,.,. Trnincanza o di mera apparenza di motivazione, in quanto il provvedimento de
quo è assistito da corredo motivazionale da reputarsi adeguato, per quanto
opinabile o, persino, censurabile possa – in linea di mera ipotesi – essere
considerato.
E’ sufficiente, allora, rilevare che il detto provvedimento ha chiaramente
spiegato le ragioni della ritenuta configurabilità della fattispecie di reato oggetto
d’imputazione provvisoria e dell’ipotizzato reimpiego degli illeciti proventi.
Le impegnate deduzioni che sostanziano il ricorso si rivelano prive di pregio alla
stregua del rilievo che gli immobili in questione sono stati sottoposti a sequestro
nella prospettiva di possibile sottoposizione a confisca ai sensi dell’art. 240,
comma primo cod. pen., in quanto costituenti prodotto o profitto del reato
oggetto di provvisoria contestazione.
Dalla complessa vicenda sostanziale, i cui termini fattuali sono stati sintetizzati
in premessa, è stato argomentatamente tratto il dato indiziario, ritenuto di
spiccato coefficiente dimostrativo, che il denaro utilizzato per l’acquisto degli
immobili sequestrati fosse proveniente dalle cospicue rimesse sul conto estero

investigative, ove correttamente valutate, anche alla luce della documentazione

Ghianda, a loro volta provento di attività distrattíva, e successivamente
transitato nel conto corrente italiano intestato al Gobbi.
Sicché, individuato un quadro indiziarlo idoneo a sostenere l’assunto che gli
immobili fossero frutto di reimpiego del danaro di provenienza illecita, il disposto
sequestro aveva ragion d’essere in funzione della possibile confisca, stante la
specifica assoggettabilità alla misura ablatoria delle trasformazioni o modifiche
1041 del 14/04/1993, Rv. 195683).
La plausibilità ed affidabilità dell’anzidetto procedimento inferenziale appare,
ora, avvalorata dal rilievo per cui non risulta che il ricorrente abbia fornito prova
certa che il conto corrente a lui intestato avesse capienza aliunde – ossia,
indipendentemente dall’accredito (datato 2.8.2004) della somma di C
961,705,68, rinveniente da rimesse estere – tale da consentire l’acquisto degli
Immobili, per complessivi C 450.000, nell’arco di tempo dal 2 agosto all’il
ottobre 2005.
3. Per quanto precede, il ricorso è inammissibile ed alla relativa declaratoria
conseguono le statuizioni dettate in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12/04/2013

che il prodotto o profitto del reato abbia subito (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 6, n.

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