Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28321 del 19/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28321 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Valente Antonio, nato a il

1916-P164

avverso l’ordinanza del 25/03/2016 del Tribunale di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Paolo Maria Gemelli, che deposita motivi
nuovi ai quali si riporta, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, con
ordinanza del 4 marzo 2016, ha applicato ad Antonio Valente, funzionario
dell’Anas S.p.A., la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di
corruzione e turbata libertà degli incanti, contestati all’indagato per aver
favorito l’imprenditore Emiliano Cerasi nell’aggiudicazione di una gara di

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Data Udienza: 19/05/2016

appalto (artt. 110, 318, 319 e 353, commi primo e secondo, cod. pen.; capi
34) e 36) dell’imputazione provvisoria).
La misura è stata disposta con riguardo alle esigenze cautelari del
pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato.
Il Tribunale di Roma, quale giudice del riesame di cui all’art. 309 cod.
proc. pen., su ricorso diretto a contestare l’esistenza delle dedotte esigenze
e, comunque, la mancanza di concretezza ed attualità delle stesse, con

2. Le condotte ascritte si inseriscono all’interno di un complesso quadro
indiziario per il quale si imputa al Valente di essersi associato con dirigenti,
ed altri funzionari Anas — tali Antonino Ferrante, Sergio Serafino
Lagrotteria, Giovanni Parlato, Antonella Accroglianò, Oreste De Grossi —, al
fine di commettere più delitti di corruzione mediante sistematiche condotte
di asservimento della funzione svolta all’interno di Anas a vantaggio di terzi
disposti al riconoscimento di denaro o altre utilità ovvero mediante reiterati
episodi di corruzione per specifici atti contrari ai doveri d’ufficio in cambio di
profitti illeciti.

3. Il Tribunale ha apprezzato l’esistenza delle dedotte esigenze cautelari
in ragione della piena fiducia goduta dall’indagato presso Antonella
Accroglianò, figura ritenuta indiscusso punto di riferimento dell’associazione.
Le indicate esigenze non sarebbero venute meno successivamente alle
dimissioni rassegnate dal Valente, in ragione della «dimestichezza»
mostrata dal cautelando «con i più segreti meccanismi di funzionamento
dell’Anas» e della conoscenza dei soggetti pubblici preposti ai vari settori
dell’Ente.
Avrebbe così sostenuto, all’attualità, la possibilità dell’indagato di
incidere sulla genuina acquisizione delle prove, con conseguente affermata
adeguatezza della misura autocustodiale applicata, l’utilizzazione del
bagaglio di conoscenze conseguito nell’ambiente di lavoro per predisporre,
in accordo con l’Accroglianò, dossier falsi al fine di screditare, o palesemente
calunniare, vari personaggi ritenuti ostili.
Le esigenze specialpreventive sono poi state positivamente stimate,
all’attualità, nella possibilità per gli indagati di esercitare una indubbia
influenza, in ragione del ruolo svolto per molti anni, all’interno di Anas, nel
carattere non definitivo delle sospensioni e dei licenziamenti per giusta
causa adottati ai danni dei vari coindagati, provvedimenti esplicitamente

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provvedimento del 25 marzo 2016 ha confermato l’impugnata misura.

motivati con riferimento alla misura cautelare applicata e comunque
impugnati.

4. Avverso l’indicata ordinanza propongono ricorso per cassazione i difensori
di fiducia del Valente, affidando il proposto mezzo a due articolati motivi,
con cui lamentano:
a)

la nullità del provvedimento adottato per violazione di legge

processuale dovuta alla mancata indicazione del termine di scadenza della

comma 2, lett. d), cod. proc. pen.);
b) la nullità dell’atto impugnato per violazione di legge processuale
dovuta a mancanza di motivazione (art. 125, comma 3, cod. proc. pen.) e
manifesta illogicità, in relazione al pericolo di inquinamento probatorio e di
reiterazione del reato (art. 274, comma 1, lett. a) e c), cod. proc. pen.).
Si denuncia infatti che per motivazione generica ed aspecifica il
Tribunale abbia apprezzato, quanto al pericolo di reiterazione, la possibilità
di rientro degli indagati nell’Amministrazione di appartenenza e l’influenza
dagli stessi esercitabile, in ragione del ruolo avuto per molti anni in Anas,
senza dare conto in tal modo della posizione dell’indagato, dimessosi il 31
dicembre 2015.
Deducono poi i difensori quanto al pericolo di inquinamento probatorio
che i giudici del riesame non avrebbero indicato le modalità attraverso le
quali l’indagato avrebbe potuto turbare il processo formativo della prova
ostacolandone la ricerca o inquinandone le fonti, e le prove la cui genuinità
sarebbe stata posta in pericolo.

5. Con motivi nuovi (art. 311, comma 4, cod. proc. pen.), i difensori
censurano il provvedimento che avrebbe apprezzato l’esistenza dei requisiti
di attualità e concretezza, quanto al pericolo di reiterazione di reati della
stessa specie di quelli contestati, facendo ricorso, con motivazione

per

relationem ed in modo del tutto inconferente, ad un provvedimento emesso
in sede di rinvio a seguito di annullamento in cassazione, di cui non era
destinatario il Valente.
L’indicata tecnica di motivazione sarebbe poi stata censurabile in quanto
non espressiva delle ragioni per cui erano state ritenute valide le
argomentazioni spese aliude.
Il Tribunale si sarebbe trovato inoltre a confermare, per l’indicata
tecnica motivatoria, l’originario provvedimento cautelare emesso dal Gip,
che si era limitato a far proprie le argomentazioni di cui alla richiesta del
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misura quanto all’affermato pericolo di inquinamento probatorio (art. 292,

P.M., senza argomentare sull’autonomia del giudizio espresso dal primo
giudice.
E’ stata reiterata denuncia di illegittimità per mancata indicazione, con
finalità integrativa dell’iniziale provvedimento cautelare, del termine di
scadenza della misura, nella specificità della stessa quanto alle posizioni
dell’indagato, in ordine al ritenuto pericolo di inquinamento probatorio.
E’ stata contestata l’esistenza stessa del pericolo, in ragione del tempo
trascorso dal momento della conoscenza da parte dell’indagato dell’esistenza

pregiudizio all’integrità o genuinità della prova.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ infondato il motivo di ricorso con cui si denuncia la nullità
dell’ordinanza impugnata nella parte in cui, apprezzata l’esistenza del
pericolo di inquinamento probatorio, il Tribunale del Riesame ha omesso di
indicare il termine di scadenza della misura (art. 292, comma 2, lett. d),
cod. proc. pen.).
L’ordinanza che applichi una misura coercitiva personale deve infatti
contenere l’indicazione della data di scadenza soltanto quando l’applicazione
intervenga al fine esclusivo

di

prevenire il pericolo di inquinamento

investigativo e non anche quando — come nella specie — ricorrano a
sostenere la misura ulteriori e diverse esigenze cautelari (Sez. 6, n. 1094
del 18/12/2015, (dep. 2016), De Gaetano, Rv. 265892; Sez. 6, n. 10785 del
21/12/2010 (dep. 2011), Paglino, Rv. 249586).
Né vale a mutare i termini di valutazione della prospettata questione, la
circostanza per la quale nell’impugnata ordinanza, quanto alla posizione
dell’indagato Valente e secondo deduzione contenuta nei ‘motivi nuovi’, il
pericolo di inquinamento probatorio sarebbe stato rilevato e definito con
carattere di specificità.
Nel concorso di ulteriori e diversi profili di censura relativi al pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie, la questione della mancata
indicazione del termine ai sensi dell’art. 292, comma 2, lett. d) cod. proc.
pen. viene infatti in rilievo, in sede di legittimità, solo in caso di formulato
giudizio di infondatezza o di inammissibilità dei motivi concorrenti.
Ciò che è destinato a rilevare non è quindi, in senso assoluto, la
correttezza della motivazione resa sul pericolo di inquinamento probatorio,
rispetto alla quale residui, in sede di legittimità, la sola questione
dell’omessa indicazione o integrazione in fase di riesame, ai sensi dell’art.
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di indagini a suo carico, senza che egli ponesse in essere alcuna condotta di

292, comma 2, lett. d) cod. proc. pen., quanto, in senso relativo, il carattere
non censurabile della motivazione resa sull’ulteriore profilo del pericolo di
recidivanza.

2. Per il resto il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
L’impugnato provvedimento si presta infatti alle dedotte censure di
illegittimità quanto agli apprezzati profili del pericolo di inquinamento
probatorio e di reiterazione di reati del medesimo genere di quelli per cui si

3. La sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio (art. 274,
comma 1, lett. a) cod. proc. pen.) viene positivamente ritenuta in capo
all’indagato, risultando il Valente estraneo all’ipotesi associativa invece
contestata agli altri coindagati, per richiamo ai rapporti di collaborazione
dello stesso con l’Accroglianò, figura apicale dell’associazione, nella
predisposizione di esposti anonimi:
a) diretti a confondere il quadro delle indagini;
b) volti a screditare altri dipendenti Anas, estranei al contesto
delinquenziale degli indagati (nota della Polizia tributaria del 24 marzo 2016
prodotta dal P.M. in udienza davanti al tribunale del riesame, p. 9 ordinanza
impugnata).
I due argomenti, che si prestano ad essere insieme scrutinati, risultano
positivamente censurabili per carenza assoluta di motivazione o comunque
manifesta illogicità.
Il primo è assolutamente generico, non risultando indicati gli esiti
investigativi posti in discussione dall’attività contestata.
Il secondo è argomento destinato a porsi in una prospettiva che si
denuncia come ‘fuori fuoco’ rispetto alla contestazione operata.
‘Screditare’ vuol dire infatti rovinare il credito o la reputazione di
qualcuno ed è locuzione verbale destinata ad evocare un’attività diffamatoria
a carico degli altri dipendenti dell’Anas, la cui natura è del tutto estranea al
contesto associativo oggetto di indagine.
L’incongruenza dell’argomento è ancora nella parte della motivazione
in cui il Tribunale, apprezzata l’esistenza dell’indicato estremo, argomenta
poi sull’attualità del pericolo.
Per detto passaggio i giudici del Tribunale di Roma, ritenute le
dimissioni rassegnate dal Valente non capaci di segnare una soluzione
nell’operatività dell’indagato — attesa la «dimestichezza» di questi, per la
sua lunga permanenza, con «i più segreti meccanismi di funzionamento
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procede.

dell’Anas» —, fanno riferimento ad una collaborazione del Valente con
l’Accroglianò consistente nella predisposizione di dossier falsi «per screditare
o calunniare vari personaggi ritenuti ostili».
Vi è ancora, per l’indicato profilo, il richiamo ad un’attività che è sì,
certamente, illecita, ma che non è però destinata ad incidere sulla genuina
acquisizione delle prove ove si abbia, doverosamente, riguardo alle differenti
condotte oggetto di contestazione provvisoria.
Dell’indicato ‘dossieraggio”, il Tribunale neppure chiarisce i termini di

dell’intercettazione prodotta dal P.M. all’udienza del 24 marzo 2016 in cui
l’indagato riferiva all’Accroglianò di «aver fatto un buon lavoro» restando
«tutto sabato e domenica a lavorarci sopra …».
In tal modo i giudici del riesame non si confrontano con i successivi esiti
investigativi e con le ulteriori vicende processuali che hanno visto proprio la
sodale Accroglianò rivestire il ruolo di principale accusatrice, restando
piuttosto il giudizio sulla pericolosità — come tale destinato a predicare di
situazioni probabili da realizzarsi in avanti nel tempo — relegato ad un
definito e già superato spazio temporale.

4. Quanto poi al pericolo di reiterazione, lo stesso è sostenuto da
motivazione che si presta a scrutinio di manifesta illogicità nella parte in cui
il Tribunale, non distinguendo la posizione del Valente, dimessosi da Anas,
da quella degli altri dipendenti, attinti, invece, da provvedimenti di
sospensione e da licenziamenti determinati dalle misure cautelari adottate in
sede penale, conclude nel senso che gli indagati avrebbero buon gioco
nell’essere riammessi nell’Amministrazione una volta venuta meno la misura
cautelare, rilevando il carattere non definitivo dei licenziamenti ed il
concreto interesse dei dipendenti alla riassunzione.
Si tratta invero dì motivazione per la quale il Tribunale finisce per
traslare argomenti, portati in risposta al principio di diritto enunciato da
questa Corte con la sentenza dì annullamento resa nell’incidente cautelare
relativo ad altri protagonisti della contestata vicenda (Sez., 6 n. 8211 del
11/02/2016, Ferrante), già utilizzati nella valutazione dì altre e distinte
posizioni per le quali non vi era stata dimissione dell’agente.
Quanto al Valente restano fermi i punti in diritto affermati dalla Corte
nella sentenza n. 8211, citata, anche per richiamo a pregressa
giurisprudenza di legittimità, sulla persistenza delle esigenze cautelari
nell’ipotesi di dimissioni da incarico pubblico là dove l’agente, nel mutato
quadro di incarichi e funzioni, continui a rivestire una posizione soggettiva,
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apprezzata pericolosità limitandosi a riportare, in ordinanza, un passo

anche quale estraneo, che gli consenta di mantenere condotte antigiuridiche
aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di
appartenenza del reato commesso (Sez. 6, n. 19052 del 10/01/2013, De
Pietro, Rv. 256223; Sez. 6, n. 22377 del 10/03/2004, Pierri).
Gli argomenti resi dal Tribunale per dare conto dell’attualità del pericolo
di reiterazione sono individuati per l’indagato «non solo con riferimento alla
concreta possibilità di rientro nell’Amministrazione, ma anche in relazione
all’indubbia influenza personale … in ragione del ruolo ricoperto per molti

Si tratta nell’uno caso, per il richiamo al possibile ‘rientro’, di argomento
non pertinente alla situazione del Valente, dipendente dimessosi a cui risulta
estraneo ogni contenzioso di opposizione ai pure intimati licenziamenti e,
comunque, generico e non rispettoso di quell’attenta valutazione del caso
concreto e del correlato onere di motivazione, con cui dare conto del
pericolo di recidiva nel permanere in capo all’indagato di relazioni e rapporti
con funzionari dell’ente di appartenenza.
Quest’ultimo estremo non può infatti dirsi soddisfatto nella parte in cui il
Tribunale richiama l’indubbia influenza personale dell’indagato per le
pregresse posizioni godute in Anas senza provvedere ad indicare precisi
rapporti ancora e comunque in essere o successive occasioni di incarico in
settori finitimi, espressivi della dedotta influenza (Sez. 6, n. 19052, cit. p. 6,
in motivazione).
In accoglimento del proposto ricorso va disposto l’annullamento
dell’impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze cautelari dovendo il
Tribunale del Riesame di Roma provvedere, attenendosi agli indicati principi
di diritto, ad integrare la motivazione, precisando:

1) quanto al pericolo di inquinamento probatorio:

a) in relazione a quale momento e per quale contenuto delle indagini in
corso esplichi efficacia l’attività di ‘dossieraggio’ apprezzata dal Tribunale a
carico del Valente;
b)

quali siano i contenuti dell’attività di screditamento degli altri

dipendenti Anas e come i primi possano ricondursi alle indagini in corso;

2) quanto al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, come
risulti integrata, all’attualità, detta esigenza in seguito alle dimissioni del
Valente dall’incarico Anas.

anni in settori chiave dell’Anas, nell’ambito dell’Ente».

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e
rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma, sezione per il riesame delle
misure coercitive.

Così deciso il 19/05/2016

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