Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28314 del 21/06/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 28314 Anno 2016
Presidente: CITTERIO CARLO
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TRUNZO ROBERTO nato il 10/12/1984 a LAMEZIA TERME

avverso la sentenza del 25/02/2015 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso,
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/06/2016, la relazione svolta dal
Consigliere ANDREA TRONCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLO CANEVELLI
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. NICOLA ARMANDO VENEZIANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 21/06/2016

R.G.Cass. n. 32474/15

Corte Suprema di Cassazione

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 25.02.2015, la Corte di Appello di

Catanzaro, ferma la declaratoria di colpevolezza di Roberto TRUNZO per il
reato previsto e punito dall’art. 73 D.P.R. 309/90 (in relazione alla illecita
detenzione di 7 panetti di hashish, ciascuno da un etto, e di uno ulteriore
del peso di gr. 60), rideterminava la pena allo stesso inflitta, alla luce

ripristinata dalla nota sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, in
anni due di reclusione ed € 4.000,00 di multa, cui seguiva la revoca della
statuizione in tema di pene accessorie adottata dal g.i.p.

2.

Avverso detta pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per

cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, il quale formula le seguenti
doglianze:
a) violazione dell’art. 606 co. 1 lett. c) cod. proc. pen., in rapporto all’art.
191 dello stesso codice di rito, per avere la Corte inopinatamente
avallato (come già il giudice di prima istanza) l’indebito

modus

operandi della polizia giudiziaria, basato su di “una serie di attività non
perfettamente lecite e, comunque, non consentite dalla legge” – in
concreto, l’inoltro di un sms dal cellulare del TRUNZO, facendolo
figurare come proveniente dallo stesso, in realtà del tutto ignaro di
tanto – tali da inficiare irrimediabilmente la raccolta delle prove
eseguita dagli operanti;
b) eguale violazione della legge processuale, nonché vizio di motivazione,
rispetto all’utilizzo delle pretese dichiarazioni spontanee dello zio del
ricorrente, Gino TRUNZO, dallo stesso in realtà rese a seguito di
espressa sollecitazione da parte degli operanti;
c)

ulteriore violazione dell’art. 606 co. 1 lett. c) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 196 dello stesso codice, per aver la Corte territoriale
fondato la declaratoria di colpevolezza del ricorrente sulla parola di un
soggetto “invalido civile al 100%, poiché affetto da «insufficienza
mentale in microcefalo»”, quale il summenzionato Gino TRUNZO;

d) violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen., avuto riguardo al
disposto dell’art. 73 D.P.R. 309/90, e vizio della motivazione, stante
l’illogica e contraddittoria affermazione contenuta in sentenza, a
proposito della non decisività delle prove illegittimamente acquisite,

della reviviscenza della originaria formulazione della norma incriminatrice,

R.G.Cass. n. 32474/15

Corte Suprema di Cassazione

laddove le stesse risultano determinanti per la declaratoria di
colpevolezza dell’odierno imputato;
e) ancora, violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento
tanto al mancato apprezzamento in termini di prevalenza delle pur
concesse attenuanti generiche, quanto alla determinazione del
trattamento sanzionatorio, conseguente alla citata sentenza n.
32/2014 del giudice delle leggi, in concreto effettuata distaccandosi

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è infondato e va pertanto disatteso, con ogni

conseguente statuizione.

2.

Per ciò che concerne il primo motivo di ricorso – che costituisce la

reiterazione della medesima doglianza, già sottoposta all’attenzione della
Corte calabrese e da questa rigettata – la soluzione adottata dal giudice
distrettuale, pur indubbiamente da condividersi, abbisogna tuttavia di
alcune opportune puntualizzazioni sul piano motivazionale.
E’ innanzi tutto da premettere – così come emerge dalla compiuta
e concorde ricostruzione effettuata dai giudici di merito e non contestata
in alcun modo ex adverso – che i militari operanti, dopo aver trovato il
TRUNZO, nel corso di un ordinario controllo mentre era alla guida della
propria vettura, in possesso di un modesto quantitativo di droga, ed aver
quindi verificato, all’esito della conseguente perquisizione domiciliare, che
lo stesso deteneva materiale (nastro da imballaggio, taglierino e pezzi di
cellophane) suscettibile di essere utilizzato per la suddivisione in dosi
della sostanza stupefacente, si avvidero dell’inoltro di due sms da parte
del prevenuto, risultati, all’esito di legittima attività svolta dalla p.g. ai
sensi dell’art. 348 cod. proc. pen., avere ad oggetto l’invito, rivolto alla
convivente dell’uomo, di andare a nascondere qualcosa nell’orto.
Ciò posto, è per certo sintomatico che la denuncia di illegittimità
dell’attività posta in essere dai militari in immediato prosieguo di tempo
– vale a dire, l’utilizzo dello stesso cellulare del TRUNZO per inviare alla
donna il relativo contrordine – non sia stata accompagnata
dall’indicazione della norma di legge che sarebbe stata violata da una
condotta all’evidenza finalizzata ad evitare l’occultamento della droga,
ossia di ciò che da subito si configurava come l’oggetto del reato

dal minimo edittale cui si era attenuto il giudice di prima istanza.

R.G.Cass. n. 32474/15

Corte Suprema di Cassazione

– preesistente e perdurante – di detenzione illecita di sostanza
stupefacente.
Fermo quanto sopra, non vi è comunque alcuna necessità di
indugiare oltre sulla questione, atteso il sicuro difetto di rilevanza della
stessa, poiché il dato significativo ed assorbente è che i Carabinieri,
appostatisi nei pressi dell’orto in effetti adiacente all’abitazione del
TRUNZO e della convivente, abbiano constatato che lo zio dell’imputato

con un involto in mano, risultato contenere 7 panetti di hashish: il relativo
sequestro, infatti, in quanto concernente corpo del reato e perciò atto
dovuto, è del tutto indifferente all’attività che vi è a monte, (cfr. Cass.
Sez. 1, sent. n. 42010 del 28.10.2010, Rv. 249021; v. anche Cass. Sez.
6, sent. n. 37800 del 23.06.2010, Rv. 248685), sulla quale sola ha invece
inteso intrattenersi il giudice d’appello.

3.

Manifestamente infondati e, insieme, irrilevanti sono il secondo

ed il terzo profilo di doglianza, che ben possono essere affrontati
congiuntamente.
Invero, l’assunto difensivo circa l’erronea qualificazione come
dichiarazioni spontanee delle affermazioni rese da Gino TRUNZO alla vista
dei Carabinieri – “Non è mia, è di Roberto” – da ritenersi asseritamente
frutto della sollecitazione rivolta all’uomo dai militari medesimi con
conseguente violazione del disposto dell’art. 195 co. 4 cod. proc. pen.,
come pure la tesi dell’incapacità a testimoniare del predetto Gino
TRUNZO, per via della sua riferita patologia, per un verso omettono di
considerare che le norme processuali di cui si lamenta la violazione sono
tutte concernenti la fase dibattimentale, laddove, nel caso di specie, ci si
trova in presenza di atti d’indagini, pienamente utilizzabili in funzione
della decisione finale per effetto dell’opzione espressa dall’imputato per la
definizione del giudizio a suo carico con le forme del rito abbreviato (cfr.,
in termini, fra le tante, Cass. Sez. 3, sent. n. 23273 del 30.04.2015, Rv.
263884; Sez. 5, sent. n. 8376 del 27.09.2013 – dep. 21.02.2014, Rv.
259042; Sez. 6, sent. n. 115 del 02.10.2012 – dep. 03.01.2013, Rv.
254007). Per altro verso, trascurano che, alla luce del pacifico contenuto
degli sms inviati dal TRUNZO e dell’altrettanto incontestabile sequestro
dei 7 panetti di hashish di cui si è detto, le dichiarazioni dello zio del
ricorrente possono tranquillamente essere escluse dal compendio
probatorio – così come correttamente opinato dalla Corte distrettuale senza che risulti in alcun modo inficiata la portata stringente ed univoca

uscì da casa, si diresse verso l’orto in questione e poco dopo fece ritorno

R.G.Cass. n. 32474/15

Corte Suprema di Cassazione

dei restanti elementi pienamente utilizzabili. Ciò che vale a superare
anche il quarto motivo di ricorso, al di là della sua genericità, essendosi
sostanziato nella sua mera ed apodittica enunciazione.

4.

Pure inconsistente è il residuo motivo di ricorso, in tema di

trattamento sanzionatorio.
Tanto vale, con particolare evidenza, per il profilo in tema di

comunque resa sul punto dal giudice d’appello, la doglianza in esame si
limita – ancora una volta – a censurare la soluzione adottata, senza
esplicitare il presunto vizio del ragionamento del giudice di merito che,
d’altro canto, ben si sarebbe potuto limitare a rilevare come la peculiare
tipologia di recidiva ascritta fosse ex lege preclusiva di un giudizio diverso
dalla mera equivalenza. Ma vale anche rispetto alla diretta
determinazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte catanzarese, dovendosi confrontare con il ripristino
dell’originaria separazione delle tipologie di droghe prevista dalla iniziale
formulazione dell’art. 73 D.P.R. 309/90, con conseguente diversità degli
apparati edittali di riferimento, per effetto della nota sentenza n. 32/2014
della Corte Costituzionale, ha implicitamente – e, soprattutto,
correttamente – opinato che, in siffatta ipotesi, connotata da una
sensibile riduzione tanto del limite inferiore quanto di quello superiore
della pena irroganda, l’essersi il primo giudice attestato sul minimo
edittale non vincolasse in alcun modo il giudice d’appello, salvo che il
fatto fosse, oggettivamente, di minimale gravità, ovvero salvo che fosse
possibile sostenere, sulla scorta dell’apparato argonnentativo della
pronuncia di primo grado, che quel giudice avesse inteso comunque
formulare un giudizio di limitatissimo disvalore del fatto sottoposto alla
sua attenzione, di talché la pena minima inflitta avesse costituito mero
corollario necessitato di siffatta premessa: ciò che evidentemente non è
nel caso di specie, come emerge sia dal dato quantitativo, che
dall’esplicito riferimento, contenuto nella parte motiva della sentenza
impugnata dedicata alla pena, alla “non trascurabile gravità del fatto”,
oltre che alla “entità dei precedenti” a carico dell’imputato.
I principi testé enunciati si conformano all’orientamento già da
tempo espresso da questo giudice di legittimità e di recente ribadito,
proprio con riferimento alle vicissitudini della normativa in tema di
sostanze stupefacenti, orientamento da cui non vi è pertanto motivo di
derogare:

giudizio di comparazione, posto che, a fronte di una motivazione

R.G.Cass. n. 32474/15

Corte Suprema di Cassazione

“In tema di stupefacenti, il principio dell’applicazione della disciplina più
favorevole determinatasi per effetto della sentenza della Corte
costituzionale n. 32 del 2014, con riferimento al trattamento
sanzionatorio relativo ai delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990,
in relazione alle cosiddette “droghe leggere”, non impone al giudice di
appello o del rinvio di rimodulare la sanzione adeguandosi ai criteri in
precedenza utilizzati dal giudice di merito, potendo egli rideterminarla

divieto di sovvertire il giudizio di disvalore espresso dal precedente
giudice. (Fattispecie in cui la Corte, rilevato che, nessuno dei precedenti
giudici di merito aveva espresso alcuna valutazione di scarsa offensività
della condotta, pur risultando determinata la pena nell’allora vigente
minimo edittale, ha ritenuto legittima la decisione del giudice del rinvio
che aveva rideterminato la pena discostandosi dal minimo senza tuttavia
attestarsi nel massimo edittale).” (così Cass. Sez. 4, sent. n. 46973 del
06.10.2015, Rv. 265209; adde, in senso conforme ed ancor più di
recente, Cass. Sez. 6, sent. n. 6850 del 09.02.2016, Rv. 266105).
Da quanto sopra discende, in definitiva, l’insussistenza del
denunciato vizio di violazione di legge, come pure del parimenti eccepito
vizio motivazionale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 21.06.2016

nell’ambito della nuova cornice edittale, con il solo limite costituito dal

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA