Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2831 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2831 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Lezzi Emanuele, nato a S. Cesario di Lecce, il 4/6/1974;

avverso la sentenza del 13/2/2013 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Alberto Alfieri, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13 febbraio 2013 la Corte d’appello di Lecce confermava la
condanna alla pena di giustizia di Lezzi Emanuele per il reato di tentata violenza privata

Data Udienza: 18/12/2013

ai danni di Mazzeo Mario e, in parziale riforma della pronunzia di primo grado,
concedeva all’imputato il beneficio della non menzione.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia
articolando due motivi. Con il primo deduce l’errata applicazione dell’art. 610 c.p. e
correlati vizi di motivazione, rilevando come per la configurabilità del reato di violenza
privata sia necessario che l’agente eserciti nei confronti della vittima violenza o
minaccia e come la condotta tenuta dall’imputato non abbia mai assunto una tale

della sua deposizione e contraddittoriamente anche dalla stessa Corte territoriale
allorquando questa ha ammesso che la libertà di autodeterminarsi del Mazzeo non è
mai stata validamente compromessa. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta
un’ulteriore violazione della legge penale sostanziale in merito alla conferma della
dosimetria della pena, erroneamente fondato dai giudici d’appello sulla circostanza che
il Lezzi, in quanto guardia giurata, avrebbe abusato della sua qualità di incaricato di
pubblico servizio, qualifica invero attribuibile al medesimo solo in relazione ai propri
compiti di istituto e non certo alla sollecitazione del Mazzeo a divenire cliente del
servizio di vigilanza per cui lavorava. Non di meno la Corte distrettuale avrebbe negato
le attenuanti generiche all’imputato sostenendo in maniera contraddittoria che la difesa
non avesse prospettato alcun elemento positivo in tal senso, mentre in precedenza
aveva dato atto di come fosse stata invocata l’incensuratezza del Lezzi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.
1.1 Quanto alle censure mosse con il primo motivo deve ricordarsi come, per il
costante insegnamento di questa Corte, la minaccia rilevante ai fini dell’integrazione del
delitto di violenza privata consiste in qualsiasi comportamento o atteggiamento,
ancorchè non esplicito, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di
un danno ingiusto al fine di ottenere che, mediante la detta intimidazione, il soggetto
passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa (ex multis Sez. 2, n. 3609
del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249162). Correttamente dunque i giudici
d’appello hanno identificato nella condotta tenuta dall’imputato gli estremi della
minaccia tipica ai sensi dell’art. 610 c.p., atteso che egli, prospettando il falso pericolo
che la sua abitazione fosse il reale obiettivo dei ladri che avevano cercato di svaligiare
pochi giorni prima quella del suo vicino (non riuscendovi proprio per il tempestivo
intervento dei colleghi del Lezzi) e sottolineando insistentemente come gli stessi
fossero ancora a piede libero, aveva poi pressantemente invitato la persona offesa a
stipulare un contratto di vigilanza. In tal modo egli aveva infatti cercato di ridurre la

coloritura, circostanza espressamente esclusa dalla stessa persona offesa nel corso

capacità di autodeterminarsi del Mazzeo per il suo profitto, sfruttando il disagio
psicologico determinato dalle sue rivelazioni.
1.2 Manifestamente infondate sono poi le ulteriori censure mosse alla motivazione della
sentenza, atteso che la Corte distrettuale ha tenuto conto del fatto che il Mazzeo
avesse dichiarato di non aver ricevuto una esplicita minaccia (p. 9 della sentenza), ma,
come detto correttamente, ha ritenuto comunque tipica la condotta dell’imputato.
Quanto poi alla presunta contraddizione in cui sarebbero caduti i giudici del merito è

della libertà di autodeterminazione della vittima al solo fine di sottolineare come la
consumazione del reato si sia fermata allo stadio del mero tentativo, non avendo la
persona offesa poi ceduto all’intimidazione, e non certo per negare l’idoneità dell’azione
posta in essere dal Lezzi a determinare l’evento del delitto di violenza privata.

2. Infondato è anche il secondo motivo, atteso che la Corte territoriale ha all’evidenza
inteso giustificare la valutazione sul disvalore del fatto in relazione alla circostanza che
il Lezzi avrebbe abusato della qualifica di incaricato di pubblico servizio collegata ai
propri compiti di istituto nel senso che egli aveva sfruttato l’attendibilità del suo ruolo di
guardia giurata per rendere più credibili al Mazzeo le sue rivelazioni e non già per
affermare che il reato sarebbe aggravato dall’abuso di tale qualifica (aggravante né
contestata, né ritenuta dai giudici d’appello). Quanto infine al diniego delle attenuanti
generiche è appena il caso di ricordare come, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 62 bis
c.p. (di cui dunque i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione) l’incensuratezza
dell’imputato non è motivo sufficiente a giustificare il riconoscimento delle suddette
attenuanti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/12/2013

appena il caso di evidenziare come gli stessi abbiano escluso l’effettiva compromissione

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