Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28303 del 03/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28303 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MASE’ ELISABETTA nato il 10/02/1955 a STREMBO

avverso la sentenza del 31/10/2014 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Antonio CORBO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Massimo GALLI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni dell’avvocato Maria Cristina OSELE, difensore di fiducia
delle partì civili, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni dell’avvocato Monica BAGGIA, difensore di fiducia di
Elisabetta Masè, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 03/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 31 ottobre 2014, la Corte di appello di Trento, per
quanto di interesse in questa sede, in parziale riforma della sentenza pronunciata
dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trento, all’esito di giudizio
abbreviato condizionato, ha condannato Elisabetta Masé per calunnia e plurimi
falsi materiali in atto pubblico commessi da privato alla pena ritenuta di giustizia.
Precisamente, secondo la Corte di appello, la calunnia era stata commessa in

avrebbe accusato falsamente, pur sapendola innocente, Paola Giovannelli, del
reato di lesioni personali volontarie cagionatele all’interno degli uffici del comune
di Strembo in data 27 maggio 2010; i falsi materiali erano stati commessi tra il
maggio ed il giugno 2010, mediante la formazione di copie fotostatiche di
certificati medici depositate unitamente alla querela il 23 agosto 2010 o
comunque utilizzate nei confronti del proprio datore di lavoro, il comune di
Strembo.
La sentenza di primo grado, invece, aveva ritenuto la responsabilità della
Masé per i reati concernenti le falsità materiali in atto pubblico commesse da
privato, ma aveva assolto l’imputata dal reato di calunnia perché il fatto non
sussiste. A fondamento della statuizione assolutoria, il G.u.p. aveva richiamato
fondamentalmente la ragione «squisitamente processuale» della mancata
adozione di una decisione nel giudizio pendente davanti al giudice di pace per il
reato di lesioni addebitato a Paola Giovannelli in danno della Masé, ed
irritualmente sospeso in attesa della pronuncia sulla contestazione concernente
la calunnia.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello indicata in epigrafe l’avvocato Monica Baggia, quale difensore di fiducia
della Masé, articolando tre motivi.
2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art.
368 cod. pen., nonché contraddittorietà o manifesta illogicità della sentenza
impugnata, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Si deduce che: la decisione della Corte di appello ha del tutto ignorato il
rapporto di pregiudizialità logica intercorrente tra il giudizio di lesioni personali
ed il giudizio di calunnia, limitandosi a rappresentare l’autonomia processuale tra
i due giudizi; la pendenza di un processo penale a carico della persona offesa
proprio per il reato che si assume essere l’oggetto della calunnia è elemento
significativo per desumere l’insussistenza materiale del fatto di cui all’art. 368
cod. pen. o comunque il difetto del dolo in capo al supposto calunniatore; la
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data 23 agosto 2010, mediante deposito di querela, con la quale l’imputata

genuinità del certificato medico redatto presso il Pronto Soccorso dell’ospedale di
Tione, ed attestante le lesioni subite dalla Masé in data 27 maggio 2010 non è
stata mai posta in discussione; il teste Righi ha dichiarato di aver incontrato la
Masé, turbata ed agitata, presso gli uffici comunali di Strembo immediatamente
dopo le denunciate lesioni, e non ha visto ferite o segni visibili perché la donna
gli era passata davanti senza fermarsi e parlando tra sé e sé.
2.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art.
603, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all’art. 6 CEDU per l’omessa

Ruggero Righi, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Si deduce che la Corte d’appello ha fondato la decisione di condanna sulla
base della rilettura delle dichiarazioni di Ruggero Righi, assunte dal Giudice
dell”udienza preliminare in contraddittorio tra le parti, violando i principi
desumibili dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, che gli imponevano di procedere alla riassunzione della testimonianza
anche di ufficio.
2.3 Nel terzo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art.
479 cod. pen., in relazione all’art. 49, secondo comma, cod. pen., a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Si deduce che le falsificazioni documentali, diversamente da quanto ritiene
la sentenza impugnata, costituiscono «modifiche non solo inidonee ad alterare il
contenuto probatorio [degli atti interessati], ma anche inutili sotto il profilo della
cd. immutatio veri», in quanto «grossolane integrazioni/correzioni che hanno
investito parti e elementi accessori dei documenti in oggetto, senza dunque
incidere sull’esistenza ed efficacia degli stessi e senza alterarne il significato
originario». Si osserva, in particolare, che: a) il certificato rilasciato dal Pronto
Soccorso il 27 maggio 2010, la cui genuinità non è mai stata messa in dubbio, «è
di per sé sufficiente a fornire la prova delle lesioni»; b) la contraffazione del
certificato del 4 giugno 2010, caratterizzata dalla sostituzione della parola
«armadio» alla parola «muro», è immediatamente visibile ed innocua, perché il
riferimento all’«armadio» risultava già dalla certificazione del 27 maggio; c)
l’alterazione dell’orario riportato sul certificato dell’INAIL, una volta mutato da
13.03 a 13.05, e l’altra da 13.03 a 13.45 è ininfluente sia sul significato dell’atto
in sé, sia ai fini della prova delle lesioni; d) le aggiunte ai due certificati rilasciati
dal dott. Cozzio, eseguite operando in una l’addizione delle parole «setto nasale»
e nell’altra l’addizione «aggressione avvenuta il 27/05/2010 ore 13,00 circa»,
sono in realtà riferibili proprio al medico, come può evincersi da semplici
comparazioni con altri documenti provenienti da quest’ultimo, e comunque
inidonee ad incidere sul significato della certificazione.
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rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riferimento alla testimonianza di

3. In data 24 maggio 2016, ha depositato memoria l’avvocato Maria Cristina
Osele, quale difensore di fiducia della parte civile Paola Giovannelli.
Nell’atto, in particolare, si evidenzia che: a) nelle more del giudizio di
cassazione, il giudice di pace ha assolto Paola Giovannelli dal reato di lesioni
personali in danno di Elisabetta Masé “perché il fatto non sussiste”, con sentenza
divenuta irrevocabile; b) la valutazione della deposizione del teste Righi è
identica sia nella sentenza di appello, sia in quella di primo grado, che ha

processuali; c) la natura dolosa delle falsificazioni dei certificati medici è stata
valorizzata anche dalla Corte di appello di Trento, sezione lavoro, nella sentenza
che ha confermato la legittimità del licenziamento della Masé da parte del
Comune di Strembo, e dal giudice di pace nel procedimento per il reato di lesioni
volontarie ascritte alla Giovannelli.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Infondato è il primo motivo, che contesta la configurabilità del reato di
calunnia sia per motivi di ordine processuale, sia per ragioni attinenti alla
ricostruzione logica dei fatti.
2.1. La tesi secondo cui la pendenza del procedimento penale a carico del
preteso calunniato, nella specie la Giovannelli, escluderebbe la sussistenza del
fatto già da un punto di vista materiale, o comunque il dolo, è manifestamente
priva di fondamento.
Costituisce principio più volte affermato in giurisprudenza, e che il Collegio
condivide, quello secondo cui la sospensione del processo è un mezzo
eccezionale al quale il giudice deve fare ricorso solo quando la legge
espressamente lo consenta e cioè quando la decisione dipende dalla risoluzione
di una questione pregiudiziale costituzionale o euro-unitaria ovvero civile o
amministrativa, ai sensi dell’art. 3 cod. proc. pen., con la conseguenza che, fuori
da tali casi, il giudice è tenuto a risolvere ogni altra questione pregiudiziale,
seppure con efficacia non vincolante (cfr., in particolare, Sez. 5, n. 14972 del
24/03/2005, La Delfa, Rv. 231326 e Sez. 1, n. 503 del 20/01/1998, Allegri, Rv.
210767). In questo ordine di idee, del resto, si è anche escluso che l’art. 3 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevede che il procedimento penale possa
essere sospeso per la pendenza di altro procedimento penale, si ponga in
contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, sul rilievo che la disciplina
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pronunciato l’assoluzione per la calunnia solo in ragione di supposti vincoli

fissata da tale enunciato normativo costituisce espressione di una ragionevole
scelta del legislatore ispirata all’intento di garantire la massima autonomia di
giudizio in ciascun procedimento penale, nell’ambito del quale deve essere
sempre e comunque ricercata la verità, senza condizionamenti derivanti dagli
elementi raccolti in altri procedimenti (così Sez. 1, n. 38171 del 20/09/2006, De
Masi, Rv. 234958).
Di conseguenza, nonostante la pendenza del procedimento penale per
lesioni personali a carico della persona offesa del presente giudizio, doveroso è

la soluzione adottata e consistita nell’affermazione della responsabilità penale
della asserita vittima delle lesioni per il delitto di calunnia.
2.2. Le critiche attinenti al difetto di motivazione muovono dalla genuinità
del certificato medico rilasciato dal Pronto Soccorso dell’ospedale di Tione in data
27 maggio 2010, attestante le lesioni subite dalla Masé e dalle dichiarazioni del
teste Righi, il quale, subito dopo il fatto delle lesioni asseritamente procurate alla
Masé dalla Giovannelli, pur non notando alcuna ferita, aveva visto la prima
passare velocemente davanti a lui agitata e turbata.
Trattasi di censure che non evidenziano manifesta illogicità, mancanza o
contraddittorietà della motivazione.
La sentenza impugnata ha posto a fondamento del proprio giudizio di
condanna per la calunnia proprio le dichiarazioni del teste Righi, la condotta della
Masé subito dopo la denunciata aggressione, la successiva presentazione di
certificati medici alterati. Invero, si rappresenta che il teste Righi ha riferito che
la Masé subito dopo il diverbio con la Giovannelli del 27 maggio 2010 gli aveva
detto: «non ne posso più, mi fa venire il mal di cuore adesso vado dal dottore e
dai carabinieri», senza fare alcun cenno a violenze sulla sua persona o a ferite, e
che, inoltre, egli, pur avendo visto la Masé solo lateralmente, non aveva notato
segni visibili o ferite. Si aggiunge, poi, che la Masé si è recata al Pronto Soccorso
dell’ospedale per farsi refertare solo due ore e mezzo dopo lo “scontro” con la
Giovannelli, e ciò risulta incompatibile con una perdita di sangue in corso, come
denunciato, e con la dichiarata intenzione di procedere alla denuncia; inoltre, il
referto medico conseguentemente redatto attesta ecchimosi, ma non la
denunciata epistassi. Si osserva, ancora, che le immutazioni riscontrate nei
certificati medici prodotti dalla Masé, alterati negli orari e recanti aggiunte
apocrife relative all’aggressione ed alle parti del corpo, si caratterizzano tutte per
la convergente direzione intesa a «rendere graniticamente credibile l’accusa
costruita contro la Giovannelli». Questo essendo il percorso argomentativo della
sentenza impugnata, può perciò concludersi che la stessa ha offerto una

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stato l’accertamento “a tutto campo” compiuto dal giudice di merito, e legittima

indicazione puntuale ed immune da vizi logici delle ragioni del convincimento
raggiunto in ordine alla sussistenza della calunnia e del dolo dell’imputata.

3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, che lamenta l’omessa
rinnovazione dell’esame del teste Righi, già sentito dal giudice dell’udienza
preliminare che aveva poi pronunciato assoluzione della Masé dall’accusa di
calunnia.
Invero, le dichiarazioni del teste Righi non sono state valutate inattendibili

pronunciata dal Tribunale ha ragioni esclusivamente processuali, perché
incentrata sull’erroneo presupposto secondo cui la condanna per calunnia
presuppone indefettibilmente l’avvenuta pronuncia di un decisione irrevocabile
sul reato presupposto. Si può anche aggiungere che una – non necessaria conferma dell’assenza di mutamenti nel giudizio sull’attendibilità delle
affermazioni del testimone è desumibile anche dall’argomentazione esposta nel
motivo di ricorso: questo, infatti, si limita a citare in termini generali la
giurisprudenza sovranazionale e di legittimità in materia di «diverso
apprezzamento» della prova orale da parte del giudice di appello rispetto a
quello di primo grado, senza indicare quale sarebbe stato in concreto, il «diverso
apprezzamento» delle dichiarazioni del Righi.

4. Infondato, infine, è anche il terzo motivo di ricorso, concernente la
innocuità o la irrilevanza dei falsi materiali relativi alle copie fotostatiche di
certificati medici, le quali sono state prodotte dalla Masé unitamente alla querela
contro la Giovannelli o depositate al Comune di Strembo, suo datore di lavoro.
4.1. E’ utile premettere che le censure escludono espressamente
l’ascrivibilità delle alterazioni all’imputata solo con riferimento alle copie dei due
certificati rilasciati dal dott. Cozzio nelle date del 31 maggio 2010 e del 13 luglio
2010. Peraltro, queste doglianze sulla non riferibilità dei fatti materiali di
immutatio veri alla Masé sono diverse da quelle consentite in sede di legittimità,
perché si limitano ad opporre alle conclusioni della sentenza impugnata (e di
quella di primo grado) una diversa ricostruzione dei fatti, fondata sulla asserita
identità «a colpo d’occhio» della grafia del dott. Cozzio e di quella dell’autore
delle alterazioni.
4.2. Per quanto attiene alla dedotta innocuità o irrilevanza degli altri falsi, la
stessa è affermata perché la sostituzione della parola «muro» con la parola
«armadio» nel certificato del 4 giugno 2010 sarebbe visibile e comunque relativa
a circostanza risultante già dal certificato del 27 maggio 2010, mentre le
alterazioni degli orari operate sulle copie dei certificati INAIL del 14 giugno 2010
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dal primo giudice e, invece, attendibili dalla Corte di appello: l’assoluzione

sarebbero ininfluenti rispetto alla finalità documentativa di tali atti, diretta ad
accertare la durata della malattia diagnosticata, e non utili ad avvalorare la tesi
dell’imputata fissando il momento delle lesioni alle ore 13,45, invece che alle ore
13,03, ossia in un momento in cui la stessa aveva già lasciato il Comune.
Anche in questo caso immune da vizi è il ragionamento della sentenza
impugnata, che conclude per la rilevanza delle falsificazioni sottolineando come
le stesse siano coerenti con l’obiettivo di accreditare le accuse di lesioni, che
saranno poi formulate dalla Masé contro la Giovannelli nella querela del 23

4.3. Né può ritenersi che i falsi siano innocui o irrilevanti perché relativi ad
elementi accessori dell’atto e diversi da quelli che attengono al contenuto tipico
dell’attestazione. Invero, non appare discutibile che tutte le componenti di un
atto, anche quando di per sé non necessarie o comunque non direttamente
rilevanti ai fini dell’effetto attestativo tipico, se inserite nel documento, ripetono
da questo la loro idoneità funzionale ad asseverare l’esistenza di quanto indicato,
almeno laddove, come nel caso di specie, l’inserimento di tali componenti
accessorie avviene proprio per dare (o concorrere a dare) prova dei fatti da esse
rappresentati. Pure in questa tipologia di ipotesi, infatti, viene lesa la fiducia
della collettività sul significato attribuibile all’atto, quale fonte di effetti giuridici.
In linea con queste osservazioni, può anche richiamarsi il consolidato
orientamento giurisprudenziale che esclude la “inutilità” della falsa
autenticazione, compiuta da un pubblico ufficiale, della sottoscrizione sostitutiva
di un atto notorio, perché l’asseverazione, sebbene non richiesta, può comunque
potenziare l’efficacia probatoria dell’atto (così, in particolare, Sez. 5 n. 6204 del
30/11/2010, dep. 2011, Colla, Rv. 249260, nonché Sez. 6, n. 6885 del
10/01/12002, Alasia, Rv. 222246), anche ed eventualmente a fini diversi da
quello per il quale il documento è stato predisposto (per questi rilievi, cfr.,
specificamente, Sez. 6, Alasia, cit., la quale ha osservato che «falso inutile è
soltanto quello che cade su un atto assolutamente privo di valenza probatoria»,
e che «la lesione del bene protetto provocata dalla falsa autenticazione di una
sottoscrizione ad opera del pubblico ufficiale non viene certo meno se quell’atto,
non sia più considerato necessario ai fini del compimento di una certa attività da
parte del privato e tuttavia – lungi dal venire cancellato come categoria dal
mondo del giuridico – conservi il suo valore probatorio a ogni altro possibile
effetto», ad esempio per dare «dimostrazione che la persona partecipante era in
vita o si trovava in un certo luogo al momento della redazione dell’atto»).

5. In conclusione, quindi, l’infondatezza dei motivi proposti impone il rigetto
del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed
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agosto 2010.

alla refusione delle spese di fase in favore della parte civile Paola Giovannelli, che
si stima equo liquidare, complessivamente, in Euro 3.500 (tremilacinquecento),
oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e a rifondere alla parte civile Paola Giovannelli le spese sostenute nel

generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A.
Così deciso il 3 giugno 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

presente grado di giudizio, che liquida in euro tremilacinquecento, oltre spese

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