Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28300 del 01/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28300 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari
Dzhangveladze Merab, nato in Georgia il 20/11/1961
Odisharia Guram, nato in Georgia il 06/12/1959
Pipia Irakli, nato a Sukhunni (Georgia) il 20/08/1978
Uglava Roin, nato in Georgia, il 16/06/1963
Nemsitsveridze Temur Tevdorovich, nato in Russia il 29/05/1954
Gurchiani Giorgj, nato in Georgia, il 22/01/1978
Kuprashvili Besik, nato in Georgia, il 19/02/1979
Povlov Valerji, nato in Lituania il 27/11/1982

avverso la sentenza del 17/07/2015 della Corte di appello di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Pinelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio per Pipia limitatamente

Data Udienza: 01/04/2016

alla misura della espulsione e rigetto nel resto; per l’inammissibilità o il rigetto
degli altri ricorsi.
udito il difensore di Dzhangveladze Merab, avv. Francesco Paolo Sisto, che ha
concluso riportandosi a tutti i motivi di ricorso e chiedendo il rigetto del
Procuratore generale;
udito il difensore di Odisharia Guram, avv. Fabio Costa, e di Pipia Irakli, in
sostituzione dell’avv. Maddalena Merafina, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale e per raccoglimento dei

udito il difensore di Uglava Roin, Gurchiani Giorgj e Kuprashvili Besik, avv.
Donatello Donofrio, in sostituzione degli avv.ti Olivier° Villars De Carolis,
Aurelio Gironda Veraldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso del
Procuratore Generale e raccoglimento dei ricorsi dei propri assistiti.

RITENUTO IN FATTO

1.

Il procedimento trae origine da un fatto delittuoso, per il quale si

procede con separato giudizio, avente ad oggetto un omicidio avvenuto in Bari
nel gennaio del 2012, di cui è rimasto vittima un cittadino georgiano.
La svolta attività di indagine, dispiegatasi in ambito nazionale ed
internazionale con l’impegno delle Procure della Repubblica presso i Tribunali
di Bari e Firenze, l’Europol e l’Interpol, ha fornito, secondo iniziale
imputazione, un quadro sulle modalità di costituzione di due associazioni
criminose, di origine georgiana, operanti in antagonismo tra loro e
contrassegnate da metodo mafioso.
L’instaurato processo risulta così relativo a sodalizio, il ‘Clan Kutaisr,
articolazione della più vasta organizzazione criminale denominata ‘ladri in
legge’, che prende il nome dalla città dei suoi fondatori e che si contrappone
al ‘Clan Tlibisi-Rustavr, gruppo equiparato, per legislazione introdotta in
Georgia nel 2005 sul racket e la criminalità organizzata, alle organizzazioni
criminali mafiose, per gli scopi perseguiti e per i metcdi violenti utilizzati.

2. Con sentenza del 10 giugno 2014, il Giudice per l’udienza preliminare
del Tribunale di Bari ha assolto Dzhangveladze Merab e Kuprashvili Besik dai
reati-fine di estorsione e di furto in abitazione loro contestati in forma
continuata, aggravata, ed in concorso con altri, deceduti o per cui si
procedeva separatamente (artt. 61 n. 2, 81, 110, 629 cod. pen.; art. 7 legge
n. 203 del 1991; artt. 61 n. 2, 81, 110, 624-bis cod. pen.; art. 7 legge n. 203
del 1991) ed ha riconosciuto gli imputati colpevoli, insieme a Odisharia
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ricorsi;

Guram, Pipia Irakli, Uglava Roin, Nemsitsveridze Temur Tevdorovich,
Gurchiani Giorgj, Povlov Valerji, Tuguschi Akika Gelaevich, del delitto di
associazione a delinquere di cui all’art. 416 cod. pen., così riqualificata
l’originaria imputazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo a) della rubrica),
associazione operante in Italia ed in tutta Europa, in epoca antecedente
all’anno 2012 e sino all’attualità.

3.La Corte di appello di Bari, con pronuncia del 17 luglio 2105, ha

locale Tribunale, appellata da Dzhangveladze Merab, Odisharia Guram, Pipia
Irakli, Uglava Roin, Nemsitsveridze Temur Tevdorovich, Gurchiani Giorgj,
Kuprashvili Besik, Povlov Valerji, Tuguschi Akika Gelaevich nonché dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari.

3.

Propongono ricorso per cassazione avverso l’indicata sentenza il

Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ed i prevenuti.

4. Il Procuratore generale denuncia l’impugnata sentenza per mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen.) nella parte in cui la Corte territoriale, confermando la
sentenza di primo grado, ha riqualificato l’associazione a delinquere costituita
in Italia dagli imputati, ai sensi dell’art. 416 cod. pen., disconoscendo così alla
stessa il carattere mafioso e transnazionale di cui all’imputazione.
Il ricorrente, nella premessa che il carattere mafioso debba individuarsi
non nel ricorso all’uso della violenza per dare soluzione dei conflitti, ma nella
capacità intrinseca del clan di incutere timore all’esterno, contesta alla Corte
di merito di avere ritenuto in modo illogico, all’esito dello svolto processo,
l’insussistenza della prova circa l’indicata capacità intimidatrice.
I giudici di appello pur descrivendo analiticamente le componenti
dell’elemento oggettivo dell’associazione (tra le quali figurano: l’affiliazione;
il conferimento di qualifiche individuanti i vari livelli della scala gerarchica;
l’organizzazione di summit operativi detti shodka; l’esistenza di una cassa
comune; la presenza all’interno degli istituti di pena di soggetti deputati a
fungere da referenti dell’organizzazione e da garanti del trattamento
privilegiato riservato ai componenti dell’associazione; l’utilizzo di pragoni o
comunicazioni scritte simili ai Ipizzini’ utilizzati dalla mafia siciliana per
portare i sodali a conoscenza delle novità relative alla vita dell’associazione
ed alla nomina di nuovi adepti; la disponibilità di armi) e, ancora, l’elemento
psicologico del reato, fondato sull’accettazione delle regole interne che
3

confermato la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del

affidano la soluzione dei conflitti all’uso della violenza, avrebbe
contraddittoriamente escluso il ricorso della fattispecie delittuosa di cui
all’art. 416-bis cod. pen.
L’inserimento inoltre operato dalla Corte tra i parametri utili per
ricostruire, secondo facta condudentia, la figura di cui all’art. 416-bis cod.
pen., diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale in primo grado, di una
serie di accadimenti e condotte avrebbe evidenziato la contraddittorietà
delle raggiunte conclusioni.

dall’agenzia di spedizione georgiana operante in Italia, con imposizione dì
tangenti sulle merci spedite; per l’omicidio di tale Thcuradze, da cui erano
state avviate le indagini sulla lotta tra i due clan rivali; per il coinvolgimento
dell’associazione in un’attività di furti in appartamenti in Bari.
La riconduzione all’associazione, tutta, del controllo esercitato dallo
Tchuradze sull’attività di spedizione a Bari avrebbe confermato la
trasmissione della caratura criminale del primo all’associazione stessa e,
quindi, il carattere mafioso del sodalizio.

5. Il difensore di fiducia di Dzhangveladze Merab affida il proposto
mezzo a due motivi.
5.1. Con la prima delle articolate critiche, il ricorrente denuncia (art.
606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen.) inosservanza della legge
penale e delle norme processuali stabilite a pena di nullità e
contraddittorietà e/o illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 20,
21, comma 2, cod. proc. pen.
La Corte territoriale avrebbe infondatamente ritenuto la sussistenza
della giurisdizione italiana, nonostante: il sodalizio criminoso si fosse
costituito nella città georgiana di Kutaisi; il vincolo fosse sorto da accordi
conclusi fuori dal territorio italiano; nessuna attività e nessuna riunione
penalmente rilevante avesse avuto svolgimento in Italia; le attività
delittuose (estorsione e furti in appartamenti) contestate ai capi b) e c) della
rubrica come commesse in Bari, non rientrassero tra i delitti programmati o
non fossero state neppure compiute, come riconosciuto dal primo giudice.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente apprezzato l’esistenza della
competenza territoriale del Tribunale di Bari, perché in Bari sarebbe stata
ritenuta la realizzazione del delitto di estorsione contestato al capo b) della
rubrica.
La medesima Corte sarebbe comunque giunta all’affermazione della
competenza nella premessa che non potesse essere individuato con
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*??9/

Tanto sarebbe valso per il controllo sull’attività economica svolta

precisione il luogo in cui l’associazione si era costituita e dove era stata
realizzata una parte della sua attività tipica e, quindi, in applicazione del
criterio del radicamento nel luogo in cui erano stati perpetrati i reati
connessi, in ordine di decrescente gravità, ai sensi dell’art. 16 cod. proc.
pen. e, in subordine, delle regole suppletive di cui all’art. 9, commi 2 e 3,
cod. proc. pen.
La difesa richiama giurisprudenza di legittimità per la quale la
competenza si radica, per i reati associativi, nel luogo in cui si è manifestata

centro di coordinamento e controllo dell’associazione, secondo il ruolo alla
prima riconosciuto dagli esiti delle svolte intercettazioni.
In senso contrario non avrebbe invece avuto rilievo

il luogo di

consumazione dei singoli reati commessi in attuazione del programma
criminoso salvo che, per numero e consistenza, gli stessi non rivelino il
luogo di operatività dell’associazione.
Nell’impossibilità di fissare la competenza per territorio in applicazione
del criterio del luogo di consumazione del reato permanente di cui all’art. 8,
comma 3, cod. proc. pen., il difensore deduce come debba farsi riferimento
ai criteri suppletivi di cui all’art. 9 cod. proc. pen., e quindi anche a quello
che radica la competenza in capo al giudice del luogo in cui si è verificata
una parte dell’azione o dell’omissione.
Dovendo quest’ultima locuzione interpretarsi in senso conforme alla
teoria della ‘ubiquità dell’illecito’ applicata in materia di giurisdizione — per
la quale anche una minima parte della condotta delittuosa, anche se
penalmente irrilevante, vale a sostenere la giurisdizione domestica — la
competenza territoriale avrebbe dovuto individuarsi in quella del Tribunale di
Roma, in cui parte della condotta delittuosa si era tenuta.
Ogni diversa interpretazione avrebbe infatti, e più radicalmente, escluso
la stessa giurisdizione del giudice italiano.
Né, deduce ancora il ricorrente, può condurre a diverse conclusioni il
principio della perpetuati° iurisdictionis,
territorio si determina con criterio

per il quale la competenza per

ex ente in ragione degli elementi

disponibili al momento della formulazione dell’imputazione.
La scelta dell’imputato per il rito abbreviato avrebbe reso invero
disponibili, sino dalla conclusione delle indagini, gli elementi che avrebbero
rivelato l’incompetenza del Tribunale di Bari.
5.2. Con il secondo motivo, la difesa del prevenuto fa valere
violazione di legge penale e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b)
ed e) cod. proc. pen.), deducendo con riferimento al reato associativo di cui
5

e realizzata l’operatività della struttura e quindi, nella specie, in Roma,

al capo a) la carenza di prova in ordine ad un seppure generico programma
criminoso, nell’insufficienza del compendio intercettativo che non
consentirebbe di individuare, con chiarezza, se le ideazioni avessero avuto
poi concreta realizzazione.

6. La difesa di Guram Odisharia articola tre motivi di ricorso.
6.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge penale (art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 416 cod. pen. ed

La Corte di appello avrebbe sostenuto, facendo ricorso alla motivazione
per relationem, la sentenza di primo grado, qualificando i motivi di gravame
inammissibili in quanto reiterativi di doglianze già proposte e disattese dal
primo giudice.
I giudici territoriali muovendo da quanto definito dal ricorrente in
termini di ‘clichè indiziari’, quali gli esiti di captazioni telefoniche ed
ambientali, contestati nei loro contenuti e consistenti nella mera menzione
di

facta condudentia

integrativi della ritenuta ipotesi associativa

(affiliazione; conferimento di qualifiche; osservanza di regole rigide del
sodalizio; summit operativi, tra i quali quello tenutosi a Dubai; cassa
comune; nomina di soggetti preposti a garantire ai ‘ladri in legge’
trattamenti privilegiati all’interno di istituti penitenziari; disponibilità di armi
e ricorso a metodi violenti integranti gli estremi della contestata
associazione) e, in ogni caso, meri mezzi di ricerca della prova — elevati a
rango di prova per il solo fatto che gli imputati avevano scelto il rito
abbreviato, non espressivo della rinuncia dei prevenuti a difendersi —, non
si sarebbero confrontati con le censure difensive svolte in appello.
Per queste ultime i ricorrenti avevano infatti apportato elementi di
novità sia per i profili in fatto che per quelli logico-giuridici quanto agli
estremi integrativi della contestata associazione, quanto: alla finalità del
programma delittuoso; al pactum sceleris; alla consapevolezza dei sodali di
aderire ad una soci etas sceleris nel ruolo da ciascun partecipante assolto.
6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge
e vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in
relazione all’art. 81 cpv cod. pen.), nella parte in cui la Corte di appello ha
negato, pur nell’unicità del disegno criminoso, l’applicazione

della

continuazione rispetto alla sentenza del Tribunale di Lucca (prodotta) di
applicazione della pena concordata di tre anni di reclusione ed euro
4.000,00 di multa, per fatti di ricettazione di documenti falsi e di utilizzo di

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°V7

all’art. 3 della legge n. 146 del 2015).

armi finalizzati alla realizzazione degli scopi dell’associazione criminale
contestata.
Deduce la difesa come: non sia di ostacolo alla continuazione, il rito
prescelto; vi sia interesse ad introdurre il relativo motivo, atteso il
trattamento sanzionatorio più mite che dall’istituto invocato consegue al
prevenuto; ricorrano la violazione in tempi diversi delle stesse norme e
l’identità del disegno criminoso.
6.3. Con il terzo motivo, il ricorrente fa valere violazione della norma

cod. pen.).
I giudici di appello non avrebbero debitamente calibrato l’inflitta
condanna ai fatti-reato ascritti.
Non concedendo le attenuanti generiche e non esplicitando le ragioni
del diniego non avrebbero valorizzato la condotta

ante acta,

quella

successiva e le eventuali motivazioni che avevano determinato l’imputato a
delinquere.

7. La difesa del prevenuto Irakli Pipia affida il proposto mezzo a tre
motivi.
7.1. Con il primo motivo, il ricorrente fa valere l’inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc.
pen.) per avere la Corte territoriale ritenuto l’inammissibilità delle eccezioni
di difetto di giurisdizione italiana e di competenza territoriale del Tribunale di
Bari, in quanto sollevate in limine al giudizio abbreviato e quindi una volta
deliberata l’ordinanza introduttiva del rito speciale.
La difesa richiama giurisprudenza di legittimità per la quale la richiesta
di rito abbreviato non implica accettazione della competenza territoriale del
giudice e non comporta rinuncia a contestarla, non potendo l’imputato
essere costretto a scegliere tra le due possibilità, entrambe
costituzionalmente garantite, di fare ricorso a riti alternativi e di essere
giudicato dal giudice naturalmente competente.
Contesta il ricorrente il criterio di cui all’art. 16 cod. proc. pen.,
applicato dai giudici di merito per affermare la giurisdizione del giudice
italiano e la competenza territoriale di quello barese.
Siffatto criterio, che radica la competenza nel luogo in cui sono stati
perpetrati i reati connessi in ordine di decrescente gravità, sarebbe valso per
uno solo degli imputati, il Merab, cui era stato contestato il delitto di
estorsione dal quale egli era poi stato assolto.

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adi

penale (art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art.133

L’assoluzione avrebbe escluso anche l’applicabilità della perpetuati°
iurisdictionis, invece ritenuta dai giudici di appello, risultando ipotizzata nel
capoluogo pugliese la perpetrazione del reato di estorsione.
Per la residua ipotesi associativa, contestata e ritenuta per tutti gli altri
prevenuti, nella incerta individuazione del luogo in cui avevano trovato
svolgimento le attività di ideazione e pianificazione del programma
criminoso, si sarebbe dovuto fare applicazione dei criteri sussidiari di cui
all’art. 9 cod. proc. pen., secondo l’Ordine gerarchico ivi previsto e, quindi,

al luogo di residenza, dimora e domicilio dell’imputato.
Non risultando noto il primo estremo, la competenza sarebbe stata, ai
sensi del secondo comma dell’art. 9 cod. pen., quella del Tribunale di Roma,
atteso che in Roma aveva domicilio la quasi totalità degli imputati.
7.2. Con il secondo motivo, la difesa del Pipia fa valere l’erronea
applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b), in relazione
all’art. 416 cod. pen.).
La Corte di appello in ragione di poche captazioni telefoniche ed
ambientali avrebbe ritenuto la prova degli elementi strutturali della
contestata associazione e, quindi: la sussistenza del vincolo permanente
associativo tra i correi e della corrispondente accettazione; la struttura
organizzativa e l’indeterminatezza del programma, non circoscritto a
specifici reati, ma generale ed indeterminato; la consapevolezza, per il
richiesto dolo specifico, di ogni associato di far parte del sodalizio, del ruolo
assegnatogli e del contributo dato.
La Corte avrebbe poi errato nel qualificare la mera connivenza del
prevenuto quale partecipazione al ‘Clan Kutaisi’.
7.3. Con il terzo ed il quarto motivo, il difensore censura l’impugnata
sentenza per erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen.) quanto alla ritenuta misura di sicurezza
dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (artt. 202 – 235 cod.
pen.) e la mancanza di motivazione sull’attualità della pericolosità sociale
quale requisito indefettibile per [‘applicazione della misura stessa.
Deduce il ricorrente come la sentenza manchi di riferimenti a
circostanze concrete, idonee a provare l’attuale pericolosità del prevenuto
in ragione: del titolo accertato (associazìone a delinquere, in difetto di
condanna per i reati-fine da cui erano stati assolti i componenti
dell’associazione imputati) e dei risultati del trattamento carcerario.

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avuto riguardo al luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o omissione e

8. Il difensore di fiducia dei prevenuti Gorgi Gurchiani, Besik Kuprashvili
e Roin Uglava articola un unico motivo di ricorso, con cui deduce violazione
di norma penale e vizio di motivazione (art. 606, lett. b) ed e) cod. proc.
pen. in relazione all’art. 416 cod. pen.).
La Corte di appello di Bari, rinviando alla motivazione spesa dal primo
giudice ha ritenuto, pur in difetto del perseguito programma delinquenziale
— i due imputati erano già stati assolti in primo grado infatti dai reati di
estorsione e furto e mancava la prova in ordine al falso —, l’esistenza di

commissione di una serie indeterminata di reati di falso e contro il
patrimonio (furti in appartamenti ed estorsioni), per controllare l’attività
delle agenzie di spedizioni gestite in Bari da cittadini georgiani.
In ordine al falso, la Corte sarebbe incorsa altresì nel vizio di
motivazione non tenendo conto delle doglianze difensive, in particolare,
nella parte in cui per le stesse si faceva valere l’insussistenza del relativo
reato-fine.
Si allega infatti sul punto dalla difesa il giudizio speso dal Tribunale del
Riesame di Bari sull’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza a carico di
soggetto destinatario di misura cautelare che avrebbe rivestito il ruolo di
falsificatore di documenti, per conto dell’associazione.

9.

I prevenuti Tevdorovich Temur Nemsitsverídze e Valerli Povlov

propongono ricorso per cassazione, in proprio, facendo valere violazione di
legge e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b),
in relazione all’art. 416 cod. pen., ed e) cod. proc. pen.) poiché nessun
reato-fine sarebbe stato loro contestato e le prove raccolte non avrebbero
individuato un contributo fattuale né un atteggiamento psicologico di
adesione al programma delinquenziale.
Avrebbe altresì fatto difetto una condotta di durata e la prova di una
controprestazione dell’associazione in favore dei prevenuti e quindi, nel
complesso, una dimensione personale del rapporto instaurato con
l’associazione.

10. Con atto depositato in data 11 novembre 2015, il prevenuto Povlov
articola due ulteriori motivi di ricorso con cui denuncia vizio di motivazione e
di inosservanza ed erronea applicazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b)
ed e) cod. proc. pen.).
Il ricorrente fa valere la mancanza di prova in ordine alla partecipazione
al delitto associativo di cui all’art. 416 cod. pen., illogicamente ritenuta dal
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una struttura criminale organizzata ed operante in Italia, finalizzata alla

Tribunale con argomenti, poi ripresi dalla Corte di Appello, relativi ad un
episodio di tentato omicidio commesso in Mechelen il 4 agosto 2011 e
comunque in ragione di esiti intercettativi che avrebbero attestato
l’esistenza di costanti contatti tra lo stesso ed i capi dell’organizzazione
criminale.
Un’attenta disamina dei contenuti intercettativi non avrebbe infatti
consentito di ritenere la partecipazione del ricorrente all’associazione, non
risultando il ricorrente nominato quale ‘ladro in legge’ e non apparendo lo

I due episodi del 1 maggio e del 15 maggio del 2012, accertati nel corso
di Servizi di Osservazione e Controllo del Servizio Centrale Operativo di
Roma e della Squadra Mobile della Questura di Bari e, ancora, della Squadra
Mobile di Bari, non avrebbero deposto per l’esistenza in capo al prevenuto di
alcuna condotta agevolativa o rafforzativa dell’altrui proposito criminale o di
un contributo causale ai fini criminosi dell’associazione.
Nel primo degli indicati episodi, infatti, il prevenuto si accompagnava a
soggetto per le cui sorti esprimeva preoccupazione il Merab, trattandosi di
persona arrestata per il possesso di documenti falsi, ed in detto contesto il
prevenuto mostrava una condotta collaborativa con gli operanti impegnati
nell’identificazione.
Nel secondo, il ricorrente si trovava all’interno di un’autovettura che
affiancava altra vettura in cui si trovavano il Pipia ed il Merab, nel corso di
un controllo di polizia delle cui dinamiche l’imputato si disinteressava.
Per gli indicati esiti di prova, al più sarebbe stata configurabile una
condotta di favoreggiamento per l’aiuto episodico fornito dal prevenuto agli
associati al fine di eludere le investigazioni e sottrarsi alle ricerche.
Incorrendo poi in vizio di motivazione, l’impugnata sentenza non
avrebbe operato alcuna valutazione in ordine alla determinazione della pena
base oltre il minimo edittale, non provvedendo ad indicare le ragioni che
nell’apprezzamento dei requisiti indicati nell’art. 133 cod. pen. avevano
condotto la Corte territoriale alla fissazione del ritenuto quantum.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La posizione di Tuguschi Akika Gelaevich è stata separata da quella
degli altri imputati, come da provvedimento adottato da questa Corte
all’udienza del 1 aprile 2016, risultando il prevenuto ristretto in Belgio e non
raggiunto da notifica dell’avviso dell’udienza da celebrarsi dinanzi alla Corte di
cassazione, non registrandosi per la posizione dal ricorrente ricadute d’indole
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Q91

stesso interessato alle dinamiche dell’associazione stessa.

sostanziale e processuale in punto di integrazione della ritenuta fattispecie
associativa.

2. Vanno in via pregiudiziale apprezzati i vizi di difetto di giurisdizione e
di competenza dedotti dai ricorrenti Dzhangveladze Merab ed Irakli Pipia.

3. Diversa è la sorte, nel vaglio delle due indicate posizioni, della
sollevata questione, definendosi la stessa, come correttamente stimato dai

punto di violazione di legge processuale e vizio di motivazione, quanto
all’Irakli, in un rilievo di inammissibilità.
La Corte di appello di Bari nel fare corretta applicazione di consolidati
principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità ha rilevato come non
avendo l’Irakli, giudicato in abbreviato, sollevato le indicate questioni
pregiudiziali in limine rispetto all’ammissione al rito speciale prescelto, in cui
difetta il segmento processuale dedicato alla trattazione di questioni
preliminari, abbia, per l’adottata condotta processuale, rinunciato alla
duplice eccezione di difetto di giurisdizione e di incompetenza per territorio
(Sez. 6, n. 45868 del 03/11/2011, Cirfera, Rv. 250989; Sez. U, n. 27996
del 29/03/2012, Porcelli, Rv. 252612).

4. Per il resto, le prospettate questioni sono infondate.
4.1. Quanto alla prima delle sollevate pregiudiziali, secondo costante
giurisprudenza di legittimità, per l’affermazione della giurisdizione italiana in
relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che, per la teoria
della ubiquità, nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un
frammento della condotta, che, se pure privo dei requisiti di idoneità e di
inequivocità richiesti per il tentativo, sia comunque apprezzabile collegando
la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio
estero (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 (dep. 2014), Amato, Rv. 259486;
Sez. 4, n. 44837 del 11/10/2012, Krasniqi, Rv. 254968).
Il principio va declinato anche quanto alla componente soggettiva del
reato, affermandosi da questa Corte che in caso di concorso di persone nel
reato, ai fini della sussistenza della giurisdizione penale dello Stato italiano e
la punibilità di tutti i concorrenti, è sufficiente che nel territorio dello Stato
sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione da parte di
uno qualsiasi dei concorrenti (Sez. 3, n. 11664 del 18/02/2016, Callea, Rv.
266320).

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Poti

giudici di merito, con motivazione che non si presta a censura alcuna in

Rileva per i segnati termini, quanto alla ritenuta ipotesi associativa (art.
416 cod. pen.), secondo congruo e corretto apprezzamento condotto dai
giudici del merito, l’organizzazione ad opera del prevenuto Dzhangveladze
di una riunione o skhodka dell’associazione, in Roma, località Borgo della
Merluzza, valorizzandosi per l’impugnata sentenza, come attraverso
l’indicata iniziativa si sia dato riscontro e concretezza all’indicato proposito.
Per le attività in cui si sarebbe tradotta l’assunta iniziativa (prenotazione
sala e servizio catering), quest’ultima non sarebbe rimasta nella fase della

insindacabile in questa sede resa sul punto dai giudici di merito, come
espressiva di una oggettiva ed incontrovertibile manifestazione esterna del
sodalizio.
Alla stessa infatti si sarebbe affidato, come chiaramente riportato
impugnata sentenza, per volontà del prevenuto, l’esigenza di fare fronte agli
attriti interni al gruppo criminale anche per riequilibrio delle dinamiche delle
due fazioni sorte all’interno del sodalizio (il ‘Clan Kutaisi’, ed il ‘Clan TlibisiRustavi1 ), per un’attività, nel suo complesso, volta a garantire sopravvivenza
e persistente operatività del sodalizio.
La centralità dell’episodio predica della sussistenza della giurisdizione
italiana.
4.2. La questione della competenza per territorio.
La questione si pone per i reati, in rapporto di connessione, della
fattispecie associativa e dei ‘delitti-fine’ di estorsione e furto in
appartamenti, perpetrati.
Alle correlate condotte si accompagnerebbero le competenze di Roma,
luogo in cui si sarebbe dovuta tenere l’indicata riunione di cui sono disegnati
dai giudici di merito tracce rilevanti ai fini della pure dedotta questione di
giurisdizione (art. 6 cod. pen.) e quella di Bari, nel cui territorio sarebbero
stati perpetrati, invece, i ‘reati-fine’ dei furti in appartamento e delle
estorsioni ai danni dell’agenzia di spedizione, L’Italiano s.r.l.
La regula iuris espressa da questa Corte, ed a cui espressamente si
richiama la Corte di merito, vuole che, al fine di determinare il giudice
competente per territorio, nel caso in cui non sia possibile in alcun modo
verificare un radicamento sul territorio dell’attività dell’associazione, in se
stessa considerata, venga in considerazione l’art. 16 cod. proc. pen. e, solo
quando non sia possibile individuare alla stregua di quest’ultimo il luogo
della condotta o di parte di essa per i ‘reati-fine’, in ordine di decrescente
gravità, soccorreranno i criteri suppletivi di cui all’art. 9, commi secondo e
terzo, stesso codice (Sez. 1, n. 49356 del 17/11/2009, Osmanovic, Rv.
12

mera ideazione, risultando l’indicata riunione, secondo motivazione

245644; Sez. 1, n. 40825 del 27/10/2010, Di Perna, Rv. 248467), in
ragione del carattere residuale di quest’ultima previsione (S.U. n. 40537 del
16/07/2009, Orlandelli, Rv. 244330).
Il radicamento della competenza per territorio nel luogo di
manifestazione del reato è attuazione del principio di rilevanza costituzionale
sul giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), inteso
come tendenzialmente diretto ad individuare il naturale e fisiologico
svolgimento del processo nel /ocus commissi delicti (Corte Cost., sentenza n.

I criteri di cui all’art. 9 cod. proc. pen. quindi non soccorrono nell’ordine
inverso voluto dai ricorrenti, ma solo in ultimo estremo soccorso, segnando
gli stessi un allontanamento dal criterio della naturalità-territorialità del
giudice.
L’istituto della connessione e la derivata regola di competenza per
territorio è destinata inoltre ad operare (ai sensi dell’art. 12 lett. c) cod.
proc. pen., Sez. 6, n. 37014 del 23/09/2010, Della Giovanpaola, Rv.
248746) in ogni direzione e quindi anche rispetto a quei soggetti ai quali non
è imputata la realizzazione dei ‘reati-fine’ — i ‘reati-fine’ sono stati ritenuti,
nella specie, quanto a due soli dei correi —, conseguendo ad una contraria
esclusiva interpretazione, una importante ricaduta sull’applicabilità stessa
dell’istituto della connessione.
In piena e conforme adesione ai canoni dettati dalla giurisprudenza di
legittimità, la Corte di merito ha poi ritenuto per il principio della perpetuatio
iurisdictionis, in ragione del quale la competenza si individua con criterio ex
ante sulla scorta degli elementi disponibili al momento della formulazione
dell’imputazione (Sez. 4, n. 14699 del 12/12/2012 (dep. 2013), Perez
Garcia, Rv. 255498), l’insensibilità della questione della competenza agli
sviluppi di merito.
Più puntualmente, le intervenute assoluzioni per i reati-fine segnano,
come correttamente rilevato dai giudici di merito, uno sviluppo del ‘merito’
della vicenda, legato, come tale, agli accertamenti ex post, operati, ormai,
in sede di giudizio.
Né rileva il fatto che, tanto invece deduce la difesa del Dzhangveladze,
al termine delle indagini la questione della competenza per territorio sarebbe
apparsa ‘disponibile’ e quindi chiara agli atti nel suo corretto radicamento,
per il Tribunale, giudice di primo grado: resta infatti ferma la prospettazione
di cui all’imputazione, salve le eccezioni tempestivamente proposte.

13

168 del 2008; in motivazione: Sez. 1, n. 49356 cit.).

La teoria dell’ubiquità — come richiamata dalle difese — se è valida in
materia di giurisdizione, non vale invece a diversamente radicare la
competenza per territorio.
Sugli indicati pacifici principi, la questione sulla competenza è pertanto
i nfondata.

5. Resta da valutare, nel merito, la questione qualificatoria oggetto del
ricorso proposto, per le denunciate figure della violazione di legge e del vizio

stessa, corretta sia stata la riconduzione operata dal primo giudice, e
confermata in grado di appello, del sodalizio georgiano di ‘ladri in legge’ alla
fattispecie associativa semplice, di cui all’art. 416 cod. pen., invece che a
quella di stampo mafioso, di cui all’art. 416-bis cod. peri.
Il ricorso è infondato.
Con argomentazione che dipana senza cadute logiche la questione, in
un quadro di corretta composizione degli elementi tratti dal definito
compendio di prova, i giudici di merito analizzano gli elementi di struttura
dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Per siffatta disamina, per la quale può in questa sede operarsi un
raccordo delle motivazioni rese dai giudici di merito di primo e secondo
grado, si pone in corretta evidenza l’accento, quale elemento caratterizzante
il sodalizio mafioso, sulla proiezione esterna, e diffusa, della capacità
dell’organizzazione di intimidire e condizionare la collettività insediata nel
territorio in cui è radicata.
Si segnala per l’indicato percorso come la forza intimidatrice costituisca
1″in sé’ dell’associazione (pp. 70 e 67 Gup; p. 47 Corte di appello), nella
peraltro evidenziata evidenza che l’assoggettamento e l’omertà che
all’intimidazione conseguono devono riferirsi non ai componenti del
sodalizio, per un effetto di `succubanza interna’, ma ai soggetti nei cui
confronti si dirige l’azione delittuosa (p. 49, sentenza Corte di appello),
connotandosi l’associazione di tipo mafioso, per la sua tendenza a proiettarsi
verso l’esterno, nel suo radicamento nel territorio in cui attecchisce e si
espande (Sez. 6, n. 34874 del 15/07/2015, Paletta, Rv. 264647).
Nella convinzione dei soggetti, nei cui confronti si dirige l’azione
delittuosa, di trovarsi esposti, senza possibilità di difesa, al pericolo,
maturando in tal modo i primi uno stato di soggezione psicologica e di
Soccombenza rispetto ad una forza dì prevaricazione ed intimidatrice
effettiva e concreta (Sez. 1, n. 29924 del 23/04/2010, Spartà, Rv. 248010;
Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Amurri, Rv. 253457).
14

di motivazione, dal P.g. presso la Corte di appello di Bari e se quindi, per la

Risponde ancora all’indicato principio di diffusività del fenomeno
intimidatorio ed a predicare quindi dell’esistenza di struttura mafiosa, la
realizzazione di reati-fine attuativi del programma criminoso, compiuti
mediante utilizzo del metodo mafioso (Sez. 6, n. 30059 del 05/06/2014,
Bertucca, Rv. 262398, in una fattispecie relativa alle cdd. ‘locali’ lombarde
della ‘ndrangheta ), nel dichiarato collegamento dell’associazione con clan la
cui sola forza evocativa, nella certa appartenenza dello stesso a sodalizio di
tipo mafioso, è destinata a sortire l’indicato effetto (Sez. 2, n. 25360 del

Perché si abbia il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., è necessario che
l’associazione abbia conseguito, in concreto, nell’ambiente in cui opera,
un’effettiva capacità di intimidazione che non può ritenersi derivare dalla
mera adozione di stili di comportamento, in uso a dan operanti in altre aree
geografiche, anche transnazionali, risultando necessario accertare il
radicamento dell’associazione per quelle peculiari connotazioni che
caratterizzano la struttura di riferimento (Sez. 5, n. 19141 del 13/02/2006,
Bruzzaniti, Rv. 234403).
Il P.G. ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione della
sentenza d’appello nella parte in cui la Corte di merito ha, da una parte,
valorizzato quei facta condudentia sintomatici della natura mafiosa del ‘Clan
Kutaisi’, di cui si contesta l’appartenenza ai prevenuti, e, dall’altra, escluso il
carattere mafioso dell’associazione argomentando dalla mancanza di quella
forza intimidatrice, nascente dal vincolo tra gli associati ed in grado di
provocare assoggettamento ed omertà.
Tra i facta segnalati: il controllo economico del territorio attraverso
l’attività di un’agenzia di spedizione in Georgia operante in Bari ed alla quale
veniva imposto il pagamento di una tangente per sostenere “i ladri in legge”
che si trovavano ristretti in carcere; l’omicidio di tale Thcuradze espressione
della lotta del ‘Clan Kutaisi’ con il rivale ‘Clan di Tiblisi/Rustavr; il
coinvolgimento dell’associazione nell’attività dei furti in appartamento in
Bari.
La critica non è destinata a sortire l’effetto voluto, non riuscendo a
segnalare dell’impugnata sentenza, intime contraddizioni.
La Corte di Bari nel dare definizione alla struttura associativa sottolinea
della stessa tutta una serie di emergenze destinate ad evidenziare:
l’adozione di metodo violento per l’affermazione sul clan rivale, con
condivisione del primo da parte degli associati; la disponibilità di una cassa
comune (obshak); un’articolata struttura organizzativa comprensiva della
nomina, tra i sodali, di makurebeli, soggetti che all’interno degli istituti di
15

15/05/2015, Concas, Rv. 264120).

pena fungevano da referenti dell’organizzazione e garanti di un trattamento
privilegiato intramurario per gli appartenenti al ‘ladri in leggi’; l’utilizzo di
pragoni o ‘pizzinr simili a quelli in uso alla mafia siciliana e finalizzati a
realizzare, tra i sodali, una rete di diffusione di notizie interne
all’associazione.
Per l’indicata attività, la Corte di merito correttamente confina il
delineato fenomeno in una dimensione ancora interna alla struttura,
contrassegnata dalla lotta tra i due clan rivali ed in cui il controllo economico

spedizione di nazionalità georgiana.
In siffatto contesto, l’impugnata sentenza sottolinea, con motivazione
che si discosta da quella di primo grado e che non si presta a censura
alcuna, in quanto di piena e ragionata adesione ai richiamati principi di
diritto di questa Corte, come maturi anche il fatto omicidiario perpetrato ai
danni di Thcuradze, soggetto la cui autorità criminale risulta espressiva della
forza del ‘clan Kutaisi’, quello di appartenenza che come tale risente della
sofferta uccisione («… ci hanno sparato a tutti quanti», p. 44 sentenza
Corte di appello).
La forza intimidatrice è quindi quella esercitata, così argomenta la Corte
di merito, in modo concludente rispetto alla raggiunta decisione, nei
confronti di soggetti intranei all’associazione, senza che la prima assuma
quella dimensione diffusa, ed a proiezione esterna, in grado di indirizzarsi a
terzi e di ordire, nei suoi esiti, l’omertoso assoggettamento di un intero
tessuto territoriale di insediamento, in forza della mera capacità evocativa
della più ampia organizzazione che il clan riveste, in una relazione transitiva
di metonirnico rilievo.
Ammesso pure che la capacità intimidatoria perché si abbia una
associazione ex art. 416-bis cod. pen. non debba avere necessariamente ad
oggetto una intera comunità territoriale, ma possa esercitarsi anche
all’interno di una più limitata comunità etnica, quale può qualificarsi quella
dei georgiani residenti in Bari, i giudici di merito hanno poi negato, con
motivazione che ancora non si presta a censure di illogicità, anche siffatto
requisito.
La sfera di influenza del sodalizio criminoso ‘ladri in leggi’, facente capo
al Dzhangveladze del ‘Clan Kutaisi’, cui apparteneva l’ucciso, consisteva
comunque nell’assoggettare all’obbligo della tangente, versata in cambio
della protezione contro le mire estorsive del clan rivale ‘Tlibisi-Rustavr, solo
alcuni tra gli operatori del settore e, in particolare, l’agenzia di spedizioni
italo-georgiana, operante in Bari, ‘l’Italiano’.
16

condotto per esercizio di estorsioni vede quali destinatari agenzie di

La disegnata settorialità dell’ambito dì incidenza del metodo adottato
dall’associazione esclude ogni capacità intimidatoria della stessa, anche nella
pure ammessa dimensionata attualità del fenomeno mafioso.
Per ulteriore passaggio, che si apprezza per congruità e logica
conducenza, i giudici di merito rilevano che la mera menzione in ambito
codicistico, all’ultimo comma 416-bis cod. pen., della figura
dell’associazione straniera di stampo mafioso non valga ad ammetterne
l’esistenza in ambito extranazionale.

confrontarsi con i requisiti di cui all’art. 416-bis, comma 3, cod. pen. e
quindi, nello scrutinato fenomeno criminale, con i carattere di sussistenza
del metodo mafioso-intimidatorio (Sez. 1, n. 24803 del 05/05/2010, Claire,
Rv. 247803).
Nella insufficienza, in termini di prova, della mera notorietà e, per
converso, nella necessaria richiesta esistenza di specifici accertamenti
sostenuti da decisioni irrevocabili dell’autorità giudiziaria (art. 238-bis cod.
proc. pen.) (Sez. 6, n. 34491 del 14/06/2012, Montagno Bozzone, Rv.
253653), dirette ad attribuire, in quanto storia giudiziaria, una risalenza al
passato all’indagato fenomeno (Sez. 2, n. 28602 del 06/05/2015, Pappadà,
Rv. 264138).
Il ricorso proposto dal P.G. presso la Corte di appello di Bari è, pertanto,
infondato.

6. Quanto alle singole posizioni, l’integrazione della sentenza in grado di
appello, per tecnica motivatoria che richiama quella di primo grado nelle
debite forme e per i rilevanti contenuti, consente, si osserva
preliminarmente in risposta alle deduzioni difensive venute dai proposti
ricorsi ed a cui si accennerà nella valutazione delle singole posizioni, di
apprezzare come correttamente ritenuta l’esistenza dell’associazione a
carico di tutti i prevenuti, per passaggi argomentativi che non registrano
illogicità manifeste, ma che anzi appaiono raccordate, nelle loro
articolazioni, secondo uno schema logico pieno.
La Corte motiva ampiamente sull’esistenza dell’associazione ‘ladri in
legge’ che viene ad essere definita nei termini di cui all’art. 416 cod. pen.,
per richiamo agli indici sintomatici: della permanenza o stabilità del vincolo,
della indeterminatezza del programma criminoso e dell’esistenza di una
minima struttura organizzativa, propria di ogni associazione a delinquere
non altrimenti connotata (tra le altre: Sez. 2, n. 16339 del 17/01/2013,
Burgio, Rv. 255359).
17

427A

Resta infatti sempre affidato all’interprete il necessario compito di

Gli indicati elementi costitutivi vengono ricostruiti dai giudici di merito in
ragione degli esiti intercettativi e del loro dare conto, in un rapporto di
dinamica e reciproca intersecazione di contenuti e situazioni, di una
struttura criminale finalizzata alla commissione di una serie interminata di
reati, in cui confluiscono una serie di falsi finalizzati alla creazione di
documenti di identità e di reati contro il patrimonio e comunque diretti ad
esercitare il controllo, attraverso metodi estorsivi, sull’attività di agenzie di
spedizione gestire in Bari da cittadini georgiani.

dell’associazione — a fronte di rilievi difensivi volti contestare della ritenuta
associazione ogni obiettivo estremo, secondo quanto di seguito si dirà
relativamente ai motivi articolati nei singoli ricorsi — i facta condudentia :
dell’affiliazione

(koravanat);

del conferimento di qualifiche individuali;

dell’organizzazione di summit (shodka quello tentato a Roma e quello
realizzato a Dubai) finalizzati a concordare strategie, dirimere conflitti interni
ed assumere le più importanti decisioni; dell’esistenza di una cassa comune
(obshak); dell’utilizzo di ‘pizzinii (pragoni) o comunicazioni scritte dirette a
portare a conoscenza degli associati i momenti della vita della struttura;
della nomina di makurebeli

o di referenti interni a strutture carcerarie e

garanti del trattamento riservato ai ‘ladri in legge’ che si trovino ristretti; del
ruolo di capo della struttura assolto dal Dzhangveladze espressione del
sodalizio e del suo funzionamento per osservanza di precise regole.
Restano pertanto soddisfatti per gli indicati contenuti gli estremi di
oggettiva consistenza della contestata fattispecie associativa per un
argomentare che non rivela sgrammaticature in punto di logica e che
provvede a puntualizzare dell’organizzazione momenti di decisivo rilievo.
7. Il ricorso di Merab Dzhangveladze è infondato.
7.1. Il primo motivo per le proposte questioni di giurisdizione e
competenza rinviene risposta in quanto già rilevato sub n. 4, restando ogni
altro profilo di contraddittorietà della motivazione in ogni caso assorbito per
la resa motivazione, rispettosa dei più sopra richiamati principi della
giurisprudenza di legittimità.
7.2. Il secondo motivo con cui il ricorrente fa questione in ordine
all’apprezzata integrazione da parte dei giudici di appello, che sul punto si
richiamano anche alla motivazione resa dal Gup in primo grado, del reato
associativo di cui all’art. 416 cod. pen. è manifestamente infondato.
Il compendio di prova così come composto ed articolato nell’impugnata
motivazione riesce a dar conto dell’esistenza dell’associazione e della
partecipazione alla stessa del prevenuto, nel ruolo apicale al medesimo
18

Vengono più volte richiamati, per l’assolto rilievo sintomatico della vita

contestato per il rilevante apporto organizzativo e decisionale dal
Dzhangveladze reso.
Il ricorso è pertanto infondato.

8. Il ricorso di Guram Odisharia.
8.1. Con un primo motivo di ricorso, il prevenuto Guram Odisharia
denuncia dell’impugnata sentenza vizio di motivazione quanto alla ritenuta
riconduzione delle contestate condotte all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416

Il motivo, a cui il ricorrente riconduce articolate e plurime censure che
toccano ora la tecnica di motivazione adottata dai giudici di appello per
richiamo della sentenza di primo grado ora la definibilità del quadro di prova
nel giudizio cartolare di cui all’art. 438 cod. proc. pen. ora, ancora, natura e
contenuti delle pronunzie di inammissibilità in grado di appello, è infondato.
Risponde a corretto canone la motivazione per relationem adottata dal
giudice di appello per richiamo alla sentenza di primo grado secondo una
originale ed autonoma valutazione che non è di mera assertiva conferma
della prima decisione, ma che risulti espressiva di meditato apprezzamento
anche sulla coerenza con la propria decisione (Sez. 6, n. 48428 del
08/10/2014, Barone, Rv. 261248) e che dia compiutamente conto dei motivi
di appello (Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013 (dep. 2014), Balzanno, Rv.
259316).
Ogni censura spesa dalla difesa, in ordine ad un improprio e
pregiudiziale significato attribuito dai giudici di merito al giudizio abbreviato,
appare sfocata non valendo ad evidenziare illegittime e pregiudizievoli — per
una implicita rinuncia, che si vorrebbe dalla Corte di appello adottata,
dell’imputato a difendersi — letture del rito prescelto, certo essendo che
consegua al giudizio abbreviato una giudicabilità del prevenuto, che siffatta
scelta abbia operato, sul dato cartolare agli atti.
Correttamente la Corte, che qualifica in termini di inammissibilità le
relative deduzioni difensive, conclude per la necessità che la critica portata
alla sentenza dall’imputato che abbia optato per il rito abbreviato venga
condotta secondo stringenti e definiti ambiti, diretti a far carico al primo
della iniziale scelta.
Argomento questo che non vale a sottolineare una rinuncia
dell’imputato all’esercizio del diritto di difesa, ma a modulare detto esercizio
secondo puntuali percorsi per modalità congruamente derivanti dall’iniziale
scelta definitoria: così per la necessità che ogni articolata critica al
compendio di prova venga dedotta per precisi contenuti, diretti a
19

cod. pen. e art. 3 I. n. 146 del 2006.

rappresentare non una mera alternativa lettura del dato in atti, ma
l’illogicità di quanto del medesimo compendio ritenuto nell’impugnata
sentenza.
L’analitica disamina dei contenuti di una serie di conversazioni tra il
prevenuto e Merab o di conversazioni delle quali comunque Dzhangveladze è
destinatario, consente piuttosto alla Corte di Bari di argomentare in modo
congruo e consequenziale in ordine all’apporto del ricorrente
all’associazione, in una dimensione dinamica che dà conto della

operativi della vita associativa e quindi dell’organicità dello stesso al
sodalizio criminoso quale uomo di fiducia del capo, Merab Dzhangveladze.
8.2. Per ulteriore motivo, il ricorrente Odísharia censura la sentenza
impugnata perché ha avere negato allo stesso l’applicazione dell’istituto
della continuazione (art. 81 cpv cod. pen.) tra i fatti contestati come
commessi in Bari e quelli di ricettazione di documenti falsi e di utilizzo di
armi, per la realizzazione degli scopi dell’organizzazione criminale, oggetto
della sentenza emessa, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., dal Tribunale di
Lucca.
lE motivo è infondato.
Rileva questa Corte come non vi sono elementi evidenti per cogliere
l’esistenza della continuazione, nella presenza di un onere del ricorrente,
rimasto insoddisfatto nel grado di merito in cui la questione è stata
sollevata, di dedurre in modo specifico gli estremi dell’istituto di cui pure si
invoca l’applicazione.
Tanto è espresso dalla motivazione adottata nella sentenza della Corte
di appello, nella parte in cui (punto 10.2. motivazione, p. 59) si qualifica
come non chiara la sentenza di patteggiamento.
I giudici di merito infatti implicitamente registrano, nell’affermata non
valutabilità della identità del disegno criminoso (art. 81 cpv cod. pen.), il
difetto di deduzione sul punto della parte appellante.
8.3. Con un terzo motivo, il prevenuto Odisharia censura la sentenza
della Corte

di

appello di Bari in ordine all’applicato trattamento

sanzionatorio, denunciando la mancata concessione delle attenuanti
generiche (art. 62-bis cod. pen.) e la mancata inflizione di pena meno
severa.
Il motivo è infondato.
La sentenza infatti con motivazione che non si espone a censura alcuna
in questa sede ha fatto corretta applicazione del principio, proprio della
giurisprudenza di legittimità, sull’insufficienza dello stato di incensuratezza
20
°IP?

partecipazione dell’Odisharia ad una serie di rilevanti momenti decisionali ed

dell’imputato ai fini della concessione del beneficio (Sez. 3, n. 44071 del
25/09/2014, Papini, Rv. 260610).
La sentenza impugnata sottolinea altresì la presenza di elementi ostativi
al riconoscimento del beneficio connotati da particolare negatività, in tal
senso argomentando: dall’intrinseca gravità del reato; dal derivato allarme
sociale; da una serie di indici comportamentali (disinvoltura manifestata dal
prevenuto, in una agli altri sodali, nell’utilizzo di documenti falsi per sottrarsi
ai controlli di polizia; ampia disponibilità di capitale; facilità di radicamento

indicativi di una personalità criminale di particolare allarme sociale.
Il ricorso proposto da Guram Odisharia va pertanto, in via conclusiva,
rigettato.
9. Il ricorso di Iraklí Pipia.
9.1. Del primo motivo di ricorso articolato per violazione di legge
processuale ed in cui si intersecano i temi della giurisdizione e della
competenza e del regime di deducibilità degli stessi ove la scelta del
prevenuto si sia orientata per il rito abbreviato, si è già detto supra, sub n. 3
i cui contenuti quindi si richiamano.
9.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta dal prevenuto
l’impugnata sentenza per avere la stessa ritenuto l’esistenza di un sodalizio
criminoso ai sensi dell’art. 416 cod. pen., nei richiesti caratteri di stabilità
del vincolo, indeterminatezza del programma criminoso e di sussistenza di
una minima organizzazione, partecipato dal Pipia.
La Corte motiva ampiamente sul punto anche per richiamo alla
articolata sentenza di primo grado, in cui vengono, in modo assolutamente
puntuale, ricomposti gli esiti intercettativi di una pluralità di conversazioni
intercorse tra i prevenuti, in una chiara adesione del singolo prevenuto al
gruppo in ragione delle evidenziate condotte di partecipazione in adesione al
piano associativo nella continuità, frequenza ed intensità dei rapporti con gli
altri associati (Sez. 5, n. 51400 del 26/11/2013, Abbondanza, Rv. 257991;
Sez. 6, n. 11446 del 10/05/1994), Nannerini, Rv. 200938).
9.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato,
La Corte infatti motiva congruamente in ordine all’esistenza dell’attuale
pericolosità del prevenuto e quindi sul ricorso dei presupposti applicativi
della misura di sicurezza dell’espulsione (artt. 202-203, 235 cod. pen.),
valendo in tal senso la motivazione resa sulla insussistenza dei motivi di
concessione delle attenuanti generiche (punto 22, p. 82 sentenza Corte di
appello), ogni altra valutazione in via presuntiva risultando poi contenuta
nell’apprezzata esistenza, a carico del prevenuto, del fatto associativo.
21

°)1

della propria organizzazione in Italia) congruamente apprezzati come

-t

10. I ricorsi proposti da Uglava Roin, Gurchiani Giorgj e Kuprashvili
Besik sono infondati per profili dedotti e contenuti articolati, destinati a
tradursi in inammissibilità.
Come riportato sub n. 6, la Corte territoriale dà ampio conto della
struttura del fenomeno associativo contestato a tutti i prevenuti per
sintomatica indicazione sia di peculiari ed obiettivi momenti della struttura
che delle modalità di svolgimento della vita della stessa, con la cui analiticità

mezzo.

11. Il ricorso di Nemsitsveridze Temur Tevdorovich è infondato.
La motivazione della Corte, anche per autonomo richiamo agli
argomenti resi in primo grado dal Gup sul punto, sottolinea gli ampi
contenuti di prova attestanti l’adesione del prevenuto all’organizzazione
criminale come consigliere e braccio destro di Dzhangveladze Merab, nei
peculiari contenuti dì conversazioni intercorse tra lo stesso ed altri associati
(come il Kuprashvili, il Dzhangveladze ed il Pipia) che univocamente
vengono valorizzati per leggere conoscenza di circostanze rilevanti al gruppo
ed organicità allo stesso, nella chiara affermazione, anche, del prevenuto
alla sua contestata appartenenza ai ‘ladri in leggi’ riscontrati negli esiti delle
indagini svolte dall’autorità giudiziaria della Repubblica Ceca riportati nella
sentenza di primo grado.
Restano pertanto incongrui i rilievi difensivi condotti in ricorso,
articolati in ordine alla ricorrenza dei presupposti integrativi dell’associazione
di cui all’art. 416 cod. pen. e che giungono ad ipotizzare in capo al
prevenuto, in un sostanziale mancato dialogo difensivo con la motivazione
impugnata, la configurabilità della finitima figura, rispetto a quella ritenuta
di associato, di concorrente esterno.

12. Il ricorso articolato da Valerji Povlov si presta ad identica censura.
12.1. La denunciata, per il primo dei proposti motivi, errata applicazione
della legge penale per l’apprezzata, in sentenza, riconducibilítà della
condotta ritenuta in capo al ricorrente nella fattispecie associativa di cui
all’art. 416 cod. pen. non è critica perspicua.
La motivazione impugnata anche per il Pavlov argomenta con carattere
di pienezza sull’esistenza della contestato fenomeno associativo.
Valga quanto già rilevato nell’esame degli altri ricorsi, per i quali si
propone questione sulla integrazione del reato contestato, in un ampio
22

non si confrontano le ragioni poste dai ricorrenti a sostegno del proposto

panorama di prova di cui dà pienamente conto l’impugnata sentenza ed in
cui si combinano esiti di servizi di osservazione e controllo del Servizio
Operativo di Roma ed intercettazioni su utenze telefoniche che vedono, nel
loro complesso, il prevenuto organicamente inserirsi in importati momenti
della vita del gruppo.
Dei motivi ulteriori (per atto depositato in data 11 novembre 2015)
quello avente ad oggetto la contestata integrazione della fattispecie
associativa non riesce ad introdurre sostanziali profili di novità rispetto alla

Inammissibilità.
Del tutto generico e comunque infondato è poi l’ulteriore motivo dedotto
quanto alla dosimetria della pena.
La Corte territoriale fa propria sul punto la motivazione resa dal Gup in
primo grado (p. 124) e soddisfa il richiamo ai parametri di cui all’art. 133
cod. peri. nel fissare il quantum di pena.
Il ricorso è pertanto infondato.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le parti private ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 01/04/2016

già vagliata materia e come tale riveste, finanche, carattere di

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