Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28299 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28299 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1) Marcello Bonomelli, nato a Brescia il 16.1.1948;
2) Alberto Bottoli, nato a Mantova il 7.6.1942;
3) Giuseppe Bottoli, nato a Mantova il 15.3.1949;
4) Antonio Bruni, nato a Cantù (CO) il 22.12.1943;
5) Giampiero Colnaghi, nato a Monza (MI) il 19.9.1941;
6) Gianluigi Gatti, nato a Gavirate (VA) il 13.5.1947;
7) Cristiano Nardi, nato a Milano 1’8.1.1967;
8) Cinzia Ricchiuto, nata a Tricase (LE) il 16.4.1975;
9) Tommaso Ricchiuto, nato a Tiggiano (LE) il 27.10.1945;
10) Enzo Elegar Scappini, nato a Milano il 30.5.1945;
11) Ansaldo Energia s.p.a.;
12) Bonna Sabla soc.;
13) Fagioli s.p.a.;
14) Igeco Costruzioni s.p.a.;

Data Udienza: 10/11/2015

o

15) Impresa Bottoli Arturo s.p.a.;
16) Pietro Fiorentini s.p.a.;
17) Sitie Impianti Industriali s.p.a.
avverso la sentenza del 24 ottobre 2013 emessa dalla Corte d’appello di
Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;

udito il sostituto procuratore generale Paolo Canevelli, che ha concluso
chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di
primo grado nei confronti di tutti i ricorrenti, con trasmissione degli atti al
Tribunale di Milano per il prosieguo;
uditi gli avvocati Mario Zanchetti e Laura Miani, quest’ultima sostituto
processuale dell’avvocato Marco Deluca, difensori delle parti civili EniPower
s.p.a. e SAIPEM s.p.a., che hanno chiesto la conferma della sentenza
impugnata, in particolare con riguardo alle statuizioni civili;
uditi gli avvocati Marino Montanari e Nadia Germanà Tascona, difensori di
Marcello Bonomelli e della Fagioli s.p.a., gli avvocati Guido Carlo Alleva e
Paola Severino, difensori dell’Ansaldo Energia s.p.a., l’avvocato Savino
Mondello, difensore della Igeco Costruzioni s.p.a., l’avvocato Angelo Giarda,
difensore di Alberto Botta, Giuseppe Bottoli, Cristiano Nardi, Gianluigi Gatti
e della Pietro Fiorentini s.p.a., l’avvocato Piertacito Ruggerini, difensore
dell’Impresa Bottoli Arturo s.p.a., l’avvocato Daniela Covini, difensore di
Cinzia e Tommaso Ricchiuto, l’avvocato Giancarlo Maniga, difensore di Antonio
Bruni, l’avvocato Federico Cecconi, difensore della società Bonna Sabla, e
l’avvocato Aldo Meyer, difensore della Sitie Impianti Industriali s.p.a, che
hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano emessa in data 20
settembre 2011, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli
appellanti Marcello Bonomelli, Alberto Bottoli, Giuseppe Bottoli, Antonio Bruni,
Giampiero Colnaghi, Cinzia Ricchiuto, Tommaso Ricchiuto e Enzo Elegar

\

2

sentita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;

A

Scappini per estinzione dei reati ad essi ascritti a seguito di prescrizione,
confermando le statuizioni civili consistenti nel risarcimento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili Eni s.p.a, Enipower
s.p.a e Snamprogetti s.p.a., da liquidarsi in separato giudizio; in relazione alle
posizioni di Gianluigi Gatti e Cristiano Nardi ha confermato la sentenza
impugnata, che aveva già dichiarato la prescrizione dei reati contestati ai due

delle società Ansaldo Energia s.p.a., Bonna Sabla, Fagioli s.p.a., Igeco s.p.a.,
Impresa Bottoli Arturo s.p.a, Pietro Fiorentini s.p.a e Sitie Impianti Industriali
s.p.a., le prime due condannate, ognuna, alla sanzione pecuniaria di euro
150.000, le altre a quella di euro 50.000 ciascuna, tutte assoggettate alla
confisca per equivalente di somme di denaro, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 231
del 2001 (euro 98.700.000 per Ansaldo Energia s.p.a.; euro 590.375 per
Bonna Sabla; euro 383.000 per Fagioli s.p.a.; euro 769.724 per Igeco s.p.a.;
euro 562.930 per Impresa Bottoli Arturo s.p.a; euro 166.962 per Pietro
Fiorentini s.pa., euro 66.666 per Sitie Impianti Industriali s.p.a.); ha, infine,
revocato il sequestro delle giacenze esistenti sul conto corrente intestato ad
Antonio Bruni.
La vicenda processuale, per come rappresentata nella sentenza impugnata,
ha ad oggetto una serie di episodi di corruzione nell’ambito di appalti indetti
da Enipower, Enelpower e Snamprogetti per opere di rilevante valore nel
settore energetico. Nei diversi episodi ricorrono, secondo i giudici di merito,
analoghi schemi, secondo cui la società interessata alla partecipazione ad una
gara veniva contattata da un intermediario, che offriva o forniva informazioni
riservate utili per vincere l’appalto ovvero per ottenere vantaggi nella fase
esecutiva della gara; seguiva la copertura di fatture e contratti fittizi messi a
disposizione degli intermediari per giustificare il pagamento del corrispettivo,
stabilito in percentuale sul valore dell’appalto, che spesso veniva pagato su
estero e ripartito tra intermediari e corrotti. In questo schema un ruolo
strategico viene attribuito a Lorenzino Marzocchi e a Luigi Sacco Proila,
funzionari il primo di Enipower e il secondo di Snamprogetti, cioè delle due
società a partecipazione pubblica committenti gli appalti, ai quali la Corte
d’appello riconosce la qualifica di pubblici ufficiali ovvero incaricati di pubblico
servizio, e che vengono individuati come i soggetti corrotti, percettori delle

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imputati; ha, inoltre, confermato la responsabilità per gli illeciti amministrativi

tangenti in cambio di informazioni rese alle società partecipanti alle gare di
appalto.

2. Appalto per la fornitura ad Enipower di dodici impianti turbo gas (vicenda
Ansaldo Energia – Fagioli).
2.1. In questa vicenda sarebbe stata concordata una tangente del 3,5% sul

dodici turbogas al fine di assicurare ad Ansaldo Energia s.p.a. informazioni
utili per aggiudicarsi la gara sulla società concorrente Generai Electric;
l’accordo corruttivo sarebbe intervenuto nel marzo 2000 tra Gabriele Testa,
direttore commerciale di Ansaldo Energia, e Lorenzino Marzocchi, funzionario
di Enipower, e la tangente sarebbe stata pagata nel marzo 2003 da Ansaldo
Energia per il tramite della Fagioli s.p.a., il cui rappresentante legale era
Marco Bonomelli, che in questo modo si sarebbe assicurato tutti i trasporti
relativi alla commessa principale. La somma corrisposta al Marzocchi di euro
125.000 sarebbe stata coperta con un fittizio contratto di consulenza tra la
Fagioli s.p.a. e la Se.Te.Co. s.r.I., facente capo a Mauro Cartei, uno degli
intermediari legati a Marzocchi.
2.2. Marcello Bonomelli.
Gli avvocati Martino Montanari e Nadia Germanà Tascona hanno presentato
ricorso nell’interesse di Marcello Bonomelli, che in qualità di rappresentante
della Fagioli s.p.a. è stato accusato e condannato in primo grado, per la
vicenda di corruzione relativa all’appalto per la fornitura di 12 turbogas nei siti
Enipower da parte dell’Ansaldo Energia s.p.a., rispetto al quale la Fagioli
s.p.a. avrebbe ottenuto un subappalto per la fornitura di tutti i trasporti
relativi alla commessa principale (capo I.10).
Con il primo motivo si lamenta la mancata applicazione dell’art. 129,
comma 2, cod. proc. pen., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso
di prendere in esame i motivi proposti dalla difesa in base ai quali sarebbe
risultata evidente l’estraneità dell’imputato ai fatti contestati; inoltre, si
sottolinea un difetto di motivazione, in quanto i giudici avrebbero dovuto
motivare approfonditamente in ordine alla responsabilità dell’imputato in
presenza delle statuizioni civili, giungendo a pronunciare l’assoluzione.

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valore dell’appalto pari ad euro 987.005.000, per la fornitura ad Enipower di

1

Con il secondo motivo si denuncia il mancato riconoscimento che il reato
era già prescritto in primo grado, dal momento che il pagamento a Se.te.co .
s.r.l. risulta effettuato il 24.10.2003.
Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale,
nonché il vizio di motivazione, in relazione alla riconosciuta qualifica di
pubblico ufficiale al Marzocchi, sulla base del ruolo di

project manager

condotte esaurite, Marzocchi assume quel ruolo in Enipower e che in ogni caso
il riconoscimento della qualifica pubblicista è avvenuto su basi erronee,
determinate dalla sola considerazione del rapporto di dipendenza con una
società partecipata da Eni che svolgeva un’attività di rilevanza pubblica, senza
considerare che la produzione di energia elettrica non è di per sé attività
pubblica, dal momento che oggi la produzione e la fornitura di energia sono
esercitate in regime di concorrenza anche da imprese private.
Il quarto motivo censura la sentenza per avere escluso, senza peraltro
motivare, che la condotta attribuita al Bonomelli potesse integrare il diverso
reato di favoreggiamento reale.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione di legge e l’omessa
motivazione in ordine alla sollevata questione di carenza di legittimazione in
capo a Eni s.pa. e Snamprogetti s.p.a. a costituirsi parte civile nei confronti di
Bonomelli, dal momento che il reato a questi attribuito si riferisce all’accordo
intervenuto tra Marzocchi, per Enipower, e Ansaldo.
Nell’ambito dello stesso motivo, si lamenta anche chele spese processuali
liquidate a favore delle parti civili non rispettano i limiti tabellari e inoltre sono
state poste a carico degli imputati in via solidale, nonostante si tratti di
vicende del tutto autonome.
2.3. Fagioli s.p.a.
Gli avvocati Nadia Germanà Tascona e Marino Montanari hanno proposto
ricorso nell’interesse della Fagioli s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito
amministrativo previsto dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.15),
in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri
d’ufficio, contestato al capo 1.10 al proprio rappresentante legale Marcello
Bonomelli, società condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di euro
50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di euro 383.000.

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ricoperto in Enipower. A questo proposito si evidenzia che solo nel 2004, a

Con il primo motivo si deduce la violazione della legge penale e il vizio di
motivazione della sentenza per avere confermato la responsabilità della
società imputata, omettendo di applicare l’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
e di riconoscere l’evidenza dell’insussistenza del fatto e dell’estraneità alla
vicenda del legale rappresentante, che avrebbe portato ad escludere
l’esistenza del reato presupposto e ad assolvere la società Fagioli

non abbiano considerato la portata delle dichiarazioni rese da Mauro Cartei
che ha sempre escluso che l’ipotesi corruttiva riferita dal Marzocchi si fosse
realizzata.
Sotto un diverso profilo si evidenzia che, anche rispetto alla qualifica di
pubblico ufficiale attribuita al Marzocchi, i giudici sono incorsi in violazione di
legge e omissione di motivazione, non avendo considerato che il predetto era
stato nominato project manager in Enipower solo nel 2004 e che prima non
aveva mai avuto poteri decisionali e comunque non era a conoscenza di dati
sensibili da divulgare.
Con il secondo motivo si sostiene l’erroneità della sentenza per non avere
qualificato il fatto come favoreggiamento reale anziché come corruzione, dal
momento che la società sarebbe intervenuta solo per veicolare il prezzo
dell’illecito ad accordo tra Ansaldo e Marzocchi già perfezionato.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 5 d.lgs. 231/2001 e il
connesso vizio di motivazione non avendo i giudici preso in considerazione e
motivato in ordine all’interesse o al vantaggio derivante alla Fagioli s.p.a. dal
reato presupposto, limitandosi ad affermazioni generiche e apodittiche.
Con il quarto motivo si contesta la sentenza per la quantificazione del
profitto oggetto di confisca nonché in ordine alla sanzione applicata.
2.4. Ansaldo Energia s.p.a.
Gli avvocati Paola Severino e Guido Carlo Alleva hanno proposto ricorso
nell’interesse della Ansaldo Energia s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito
amministrativo previsto dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.6), in
relazione al reato di corruzione contestato al capo 1.10 al proprio direttore
commerciale Gabriele Testa, condannata al pagamento della sanzione
pecuniaria di euro 150.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di
euro 98.700.000.

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dall’imputazione contestatale. In particolare, si sostiene che i giudici di merito

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 192, comma 3, cod.
proc. pen. e il connesso vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata
ritenuto l’attendibilità delle dichiarazioni rese da Lorenzino Marzocchi,
coimputato sentito in dibattimento ai sensi dell’art.

197-bis cod. proc. pen.

dopo aver patteggiato la pena ex art. 444 cod. proc. pen., dichiarazioni su cui
i giudici hanno fondato la responsabilità di Ansaldo Energia, omettendo la

credibilità intrinseca. Si sottolinea come, con i motivi fatti valere in appello, si
erano indicate diverse contraddizioni nelle sue dichiarazioni, che però non
sono state neppure valutate: in particolare, si era evidenziato che Marzocchi
aveva parlato di una tangente pari al 3,5 % del valore dell’appalto indicato in
euro 987.005.000, mentre è risultato un pagamento di soli euro 125.000; il
presunto accordo tra Ansaldo Energia, Fagioli e Bonomelli è stato riferito
senza indicare alcun dettaglio di tempo o di luogo; nessun riferimento
all’influenza delle informazioni che sarebbero state fornite rispetto
all’aggiudicazione della gara da parte dell’Ansaldo; gli incontri tra Marzocchi e
Testa sono stati riferiti in termini del tutto vaghi. Si sottolinea, inoltre, come
le informazioni relative ai rendimenti delle macchine avrebbero potuto avere
rilievo nella fase di pre-qualifica, ma nessuna utilità avrebbero avuto ai fini
della gara e dell’aggiudicazione dell’appalto, vinto esclusivamente per il
miglior prezzo offerto, rispetto a quello della Generai Electric: anche su tali
questioni la Corte territoriale non ha fornito motivazione e anzi non ha
ritenuto di acquisire la consulenza tecnica di parte avente ad oggetto la
questione della rilevanza di tali informazioni in ordine al rendimento di
funzionamento della macchine.
Con il secondo motivo si censura la motivazione con cui la sentenza ritiene
dimostrato che la tangente sia stata pagata dalla Fagioli s.p.a., per conto
dell’Ansaldo, alla Se.te.co . s.r.I., ponendo in essere un contratto fittizio di
consulenza. La difesa aveva già evidenziato, con l’appello, che il contratto tra
Fagioli e Se.te.co . risulta stipulato il 23.10.2000, quindi prima della fase di
pre-qualifica, del bando di gara e della presentazione dell’offerta tecnica da
parte di Ansaldo Energia; mentre la convenzione con la società Fagioli, viene
stipulata da Ansaldo nel marzo 2001. Si tratta di elementi temporali che la
Corte d’appello non reputa rilevanti, considerando la possibilità che il
contratto con Se.te.co . possa essere stato stipulato in attesa di essere

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ricerca dei necessari riscontri individualizzati e limitandosi a valutare la sua

utilizzato per veicolare pagamenti futuri illeciti: sul punto la difesa sottolinea
come agli atti non vi sia alcun riscontro di ciò e che, pertanto, tale
affermazione appaia illogica in quanto del tutto apodittica. Sicché non vi sono
prove che permettano di ritenere che il pagamento da parte della società
Fagioli alla Se.te.co . sia stato effettuato per conto dell’Ansaldo.
Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione della sentenza per

ordine all’individuazione della condotta ascrivibile ad Ansaldo Energia nel
pagamento della ipotizzata tangente. Si sottolinea come i giudici di secondo
grado abbiano sostenuto che “altri hanno fatto fronte” agli obblighi assunti da
Testa con Marzocchi (dopo che il primo lasciò la società nel luglio 2001),
omettendo così di individuare la persona fisica a cui Testa avrebbe comunicato
i termini del patto corruttivo e, soprattutto, di accertare le condotte poste in
essere all’interno della società Ansaldo, funzionali al pagamento della
tangente stessa. Si tratta, a parere della difesa, di una omissione rilevante ai
fini del riconoscimento della responsabilità dell’ente, perché non è possibile
neppure accertare se il reato presupposto sia stato realizzato da un soggetto
appartenente all’ente, presupposto essenziale anche ipotizzando il ricorso alla
responsabilità autonoma ex art. 8 d.lgs. 231/2001, in quanto sebbene sia
possibile affermare la colpevolezza dell’ente qualora la persona fisica autore
del reato presupposto non sia identificata, tuttavia occorre sempre che
l’illecito amministrativo sia accertato in tutte le sue componenti. La questione
assume rilievo essenziale, secondo la difesa, in quanto il reato presupposto da
cui potrebbe derivare la responsabilità di Ansaldo Energia deve ritenersi
consumato con il pagamento della tangente (marzo 2003) e non con
riferimento all’accordo corruttivo intervenuto nel marzo 2000 tra Testa e
Marzocchi, in quanto all’epoca il d.lgs. 231/2001 non era entrato ancora in
vigore; ciò comporta la necessità che sia riconosciuta per lo meno una
condotta ascrivibile ad un soggetto interno ad Ansaldo che abbia concorso
all’effettuazione del pagamento illecito. In altri termini, l’art. 8 d.lgs.
231/2001 non esclude la necessità che sia accertata la riconducibilità del
soggetto agente ad una delle categorie previste dall’art. 5 d.lgs. cit., ancorché
non sia identificato, dovendosi per lo meno individuare l’organo interno ovvero
l’ufficio della società cui appartiene l’autore del reato presupposto, anche ai
fini dell’individuazione della disciplina da applicare, prevedendo gli artt. 6 e 7

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avere omesso di fornire risposte ai motivi contenuti nell’atto di appello in

.

d.lgs. cit. una diversa forma di responsabilità tra soggetti c.d. apicali e
dipendenti, anche dal punto di vista probatorio. Su questo aspetto la difesa
sostiene che neppure il ricorso per relationem alla sentenza di primo grado
riesce a colmare una tale omissione motivazionale, in quanto il Tribunale, nel
ricostruire la fase del pagamento, non fa alcun riferimento ad Ansaldo
Energia, ma menziona solo Testa, la cui condotta, come già detto, non

giudici di merito non hanno dato alcun rilievo neppure alle dichiarazioni di
Mauro Cartei, il quale avrebbe detto che la fuoriuscita di Testa dall’Ansaldo
determinò il “blocco dell’affare”.
Con il quarto motivo, premesso che la responsabilità della società Ansaldo
risulta contestata nel capo d’imputazione come derivante da una condotta
posta in essere da un dipendente, ai sensi dell’art. 7 d.lgs. 231/2001, si
assume che né il Tribunale né la Corte d’appello hanno proceduto
all’accertamento della responsabilità della società sulla base della disciplina
prevista da tale articolo: invero, il Tribunale ha erroneamente motivato
facendo riferimento ai presupposti applicativi di cui all’art. 6 d.lgs. cit., relativi
alla responsabilità da condotte degli apicali, limitandosi ad osservare che la
società non ha assolto all’onere della prova circa l’adozione del modello
organizzativo idoneo; anche la Corte d’appello non ha offerto alcuna
motivazione al riguardo. Infine, si precisa che, nella valutazione effettuata dal
Tribunale in ordine alle procedure di prevenzione dei reati, si è fatto
riferimento al momento dell’accordo tra Testa e Marzocchi ovvero al tempo
dell’aggiudicazione della commessa, senza considerare che un tale
accertamento andava riferito semmai alla fase di esecuzione del rapporto
corruttivo, cioè al segmento della condotta attinente ai pagamenti effettuati
da Ansaldo in favore di Fagioli quale corrispettivo delle attività di trasporto
eseguite sulla base della convenzione tra le due società e che costituiva il
veicolo della tangente. Anche su tali aspetti manca la motivazione: i giudici di
merito avrebbero dovuto considerare le procedure per verificare l’eventuale ‘
colpa di organizzazione in capo ad Ansaldo Energia, accertare l’inosservanza
degli obblighi di direzione o di vigilanza ex art. 7 d.lgs. cit. e controllare
l’esistenza del nesso causale.
Con il quinto motivo si deduce la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione nonché violazione della legge, con riferimento all’art. 8 d.lgs.

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assume rilevo ai fini della responsabilità dell’ente. Si sottolinea, infine, che i

231/2001, per essere stato applicato in mancanza dei presupposti richiesti,
nonché in relazione al rigetto della questione di legittimità costituzionale dello
stesso art. 8 cit. per contrasto con l’art. 76 Cost.
Sotto il primo profilo si ribadisce che le sentenze non hanno applicato
correttamente la disciplina contenuta nell’art. 8 cit., non avendo raggiunto la
prova in ordine alla sussistenza stessa di un reato di corruzione commesso

tipico sia riguardo all’elemento soggettivo. Invero, la Corte d’appello si è
limitata ad una affermazione apodittica, secondo cui sarebbe sufficiente la
certezza in ordine alla commissione del reato, poiché il ruolo e l’atteggiamento
psicologico emergerebbero attraverso “indici univoci”, rappresentati dalla
effettività dei pagamenti, dal vantaggio conseguito dalla società
nell’ottenimento dell’appalto: una motivazione questa che, secondo la difesa,
non spiega in che modo la società Ansaldo risulterebbe coinvolta nella
vicenda. Invero, si assume che una lettura costituzionalmente orientata
dell’art. 8 cit. ne limiterebbe l’applicazione ai casi di imputazione
soggettivamente alternativa, quando cioè non sia in discussione la figura o il
ruolo dell’autore individuale, ma vi sia incertezza sull’identità di esso nel
contesto di una ristretta cerchia di soggetti comunque individuati.
Sotto l’altro profilo si rileva come la Corte territoriale non abbia fornito una
adeguata risposta all’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 8 cit. in
relazione all’art. 76 Cost., eccezione che viene riproposta nel ricorso,
sostenendo l’eccesso di delega, in quanto l’art. 1, lett. e), legge n. 300 del
2000, non contemplava in alcun modo la previsione di una responsabilità
dell’ente anche nel caso in cui l’autore del reato non fosse stato individuato.
Con il sesto motivo si denuncia la mancanza di motivazione e l’erronea
applicazione della legge in relazione all’individuazione dell’interesse o del
vantaggio derivato alla società.
Con il settimo motivo si chiede di sollevare la questione di illegittimità
costituzionale del regime della prescrizione dell’illecito ex art. 22 d.lgs. 231
del 2001 per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.

3. Appalti per la fornitura degli impianti di riduzione del gas per i siti
Enipower di Ferrara e Mantova (vicenda Pietro Fiorentini s.p.a.).

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con il concorso di un dipendente della società, sia dal punto vista del fatto

3.1. Si tratta di due episodi relativi a due diverse tangenti che sarebbero
state corrisposte dalla società Pietro Fiorentini s.p.a., sempre tramite
intermediari, a Lorenzino Marzocchi, in cambio di informazioni tecniche
relative al dimensionamento degli impianti di riduzione del gas oggetto degli
appalti per i siti Enipower di Ferrara e Mantova. Le tangenti, secondo la
sentenza, sarebbero state corrisposte mediante la copertura formale di fittizi

Cozzi, e Se.te.co . s.r.I., riferibile a Cartei.
3.2. Gianluiqi Gatti e Cristiano Nardi.
Gli avvocati Angelo Giarda e Salvatore Pino hanno presentato un unico
ricorso nell’interesse dei due imputati Gatti e Nardi, il primo dirigente e il
secondo rappresentante legale della Pietro Fiorentini s.p.a., a cui erano stati
contestati ì due episodi di corruzione relativi alla fornitura di impianti di
riduzione del gas per’ i siti Enipower di Ferrara e Mantova (capi 1.3 e 1.4), reati
dichiarati estinti per prescrizione già in primo grado.
Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di nullità ex art. 179 cod. proc.
pen., determinata dalla mancata rinnovazione della citazione nei confronti dei
due imputati per l’udienza del 9.2.2010 attraverso la notificazione del verbale
del 12.1.2010, udienza quest’ultima in cui erano stati indicati come “assenti”,
condizione questa che avrebbe dovuto giustificare la loro formale vocatio in
judicium.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione, in quanto la Corte
territoriale avrebbe omesso ogni considerazione in ordine alla insussistenza in
atti della prova evidente dell’estraneità degli imputati ai fatti contestati, che
avrebbe prevalso sulla formula estintiva per prescrizione, considerando che
nei motivi di impugnazione si era rappresentata l’evidenza dell’estraneità di
Gatti e Nardi rispetto ai reati in questione, rilevando come dalle stesse
dichiarazioni di Lorenzino Marzocchi si sarebbe dovuto ritenere che questi
avesse assunto la qualifica di project manager, qualifica alla quale gli stessi
giudici di merito riconnettono il riconoscimento della qualità di pubblico
ufficiale – presupposto necessario per la sussistenza dei reati di corruzione -,
solo nel maggio del 2004, quando cioè gli impianti erano già stati progettati,
acquistati e costruiti, dovendo peraltro escludersi che in epoca precedente
Marzocchi abbia svolto, solo di fatto, le funzioni di project manager, così come
motiva la sentenza impugnata.

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contatti di consulenza stipulati con le società Potz Service Ltd., facente capo a

3.3. Pietro Fiorentini s.p.a.
Gli avvocati Angelo Giarda e Salvatore Pino hanno proposto ricorso
nell’interesse della Pietro Fiorentini s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito
amministrativo previsto dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.24),
in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri
d’ufficio, contestato ai capi 1.3 e 1.4 a Gianluigi Gatti e Cristiano Nardi, il

condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 50.000, oltre alla
confisca per equivalente dell’importo di euro 166.962.
Con il primo motivo si deduce la mancanza di motivazione in ordine ai reati
presupposto contestati alle persone fisiche, Gatti e Nardi. Si sostiene che, a
seguito della dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, avvenuta in
primo grado, i giudici di merito hanno omesso di prendere in considerazione la
sussistenza di tali reati in funzione dell’affermazione della responsabilità della
società Pietro Fiorentini, limitandosi ad escludere l’esistenza della prova
evidente dell’estraneità dei due imputati e omettendo l’esame dei motivi con
cui la difesa ha, tra l’altro, sostenuto che il Marzocchi non ricoprisse alcuna
funzione per cui gli potesse essere riconosciuta la qualifica di pubblico
ufficiale.
Con un secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 22 d.lgs.
231/2001 e il vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale rilevato
l’avvenuta prescrizione anche dell’illecito amministrativo, il cui termine deve
intendersi decorso al momento della sottoscrizione dei contratti di consulenza
con Potz (aprile 2001) e con Se.te.co . (maggio 2002).
Il terzo motivo attiene al vizio di motivazione sulla determinazione del
profitto oggetto di confisca, individuato dai giudici nel 10% del valore della
commessa, laddove si assume che per le gare in questione il profitto
conseguito sarebbe stato inferiore, come del resto sostenuto dal teste Alberto
Lorenzini, direttore amministrativo della società.

4. Commessa per la realizzazione di un impianto termoelettrico per il sito
Enipower di Mantova (vicenda Impresa Bottoli Arturo s.p.a.).
4.1. Secondo la ricostruzione contenuta in sentenza Alberto e Giuseppe
Bottoli, ai vertici della società Bottoli Arturo s.p.a., avrebbero promesso a
Lorenzo Marzocchi,

projet manager

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di Enipower s.p.a., una tangente

primo procuratore della società e il secondo amministratore delegato, società

sull’importo delle varianti relative alla commessa Enipower per la realizzazione
di un impianto termoelettrico per il sito di Mantova; in questo caso la
corruzione ipotizzata non è relativa all’aggiudicazione del contratto di appalto,
ma a contrattazioni nel corso dei lavori edilizi di realizzazione dell’impianto
con riferimento a nuovi prezzi e nuovi lavori resisi necessari. La tangente
sarebbe stata pagata mediante la stipula di un fittizio contratto di consulenza

4.2. Giuseppe Bottoli e Alberto Bottoli.
L’avvocato Angelo Giarda ha proposto ricorso anche nell’interesse di
Alberto e Giuseppe Bottoli, il primo legale rappresentante della Bottoli Arturo
s.p.a. e il secondo con un incarico di gestione.
Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di nullità ex art. 179 cod. proc.
pen., determinata dalla mancata rinnovazione della citazione nei confronti di
Giuseppe e Alberto Bottoli per l’udienza del 9.2.2010 attraverso la
notificazione del verbale del 12.1.2010, udienza quest’ultima in cui erano stati
indicati come “assenti”, condizione questa che avrebbe dovuto giustificare la
loro formale vocatio in judicium.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alla
risposta fornita dalla Corte d’appello sull’eccezione di incompetenza
territoriale. In particolare, si rileva l’erroneità della motivazione là dove i
giudici escludono la rilevanza del luogo dove sono avvenuti í pagamenti ritenuta “modalità esecutiva accessoria e contingente” – facendo invece
riferimento al luogo degli accordi corruttivi, ponendosi in contraddizione con
quanto affermato nella stessa sentenza per respingere la richiesta di
prescrizione dell’illecito amministrativo contestato alla società Pietro
Fiorentini, in cui invece si è fatto riferimento alle effettive dazioni di denaro.
Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione, in quanto la Corte
territoriale avrebbe omesso ogni considerazione in ordine alla insussistenza in
atti della prova evidente dell’estraneità degli imputati ai fatti contestati, che
avrebbe prevalso sulla formula estintiva per prescrizione, considerando che
nei motivi di impugnazione si era rappresentata l’evidenza dell’estraneità dei
due Bottoli rispetto al reato di corruzione di cui al capo 1.7 – relativo ad una
tangente versata per la realizzazione di un impianto termoelettrico per il sito
di Mantova -, rilevando come dalle stesse dichiarazioni di Lorenzino Marzocchi
si sarebbe dovuto ritenere che questi avesse assunto la qualifica di project

13

con !a società Se.te.co . di Mauro Cartei.

1,

manager, qualifica alla quale gli stessi giudici di merito riconnettono il
riconoscimento della qualità di pubblico ufficiale – presupposto necessario per
la sussistenza dei reati di corruzione -, solo nel maggio del 2004, quando cioè
gli impianti erano già stati progettati, acquistati e costruiti, dovendo peraltro
escludersi che in epoca precedente Marzocchi abbia svolto, solo di fatto, le
funzioni di project manager, così come motiva la sentenza impugnata.
4.3. Impresa Bottoli Arturo s.p.a.
L’avvocato Piertacito Ruggerini ha proposto ricorso nell’interesse della
Impresa Bottoli Arturo s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo
previsto dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.18), in relazione al
reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio,
contestato al capo 1.7 al proprio rappresentante legale Alberto Bottoli, società
condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 50.000, oltre alla
confisca per equivalente dell’importo di euro 562.930.
Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di incompetenza per territorio
dell’autorità giudiziaria di Milano e si contesta la decisione con cui la Corte
d’appello ha ritenuto l’eccezione intempestiva. Si assume che la competenza è
del Tribunale di Roma dove sarebbe stata corrisposta la tangente, pagata su
un conto corrente acceso in Roma a favore della società Se.te.co ., ovvero del
Tribunale di Mantova dove sarebbe stato concluso l’accordo corruttivo.
Con il secondo motivo si deduce la nullità del capo di imputazione per
indeterminatezza nella richiesta di rinvio a giudizio e nel decreto che dispone
il giudizio e si censura la motivazione della Corte d’appello che ha ritenuto
l’eccezione non formulata in primo grado. In particolare, si assume che nel
capo di imputazione risulti incerta la natura di pubblico ufficiale del Marzocchi
e non siano indicati gli atti contrari ai doveri d’ufficio posti in essere.
Con il terzo motivo si rileva l’erronea applicazione della legge processuale
nonché il vizio di motivazione, in quanto la Corte d’appello ha di fatto omesso
la valutazione in ordine alla sussistenza del reato presupposto e l’esame dei
motivi ad esso riferibili, ritenendo, erroneamente, di limitare l’accertamento
sulla responsabilità dell’ente alla verifica circa l’esistenza della prova evidente
dell’innocenza degli imputati, accertamento giustificato in presenza della
riconosciuta prescrizione dei reati riguardo alle persone fisiche, ma non certo
sufficiente con riferimento alle persone giuridiche, per le quali l’accertamento
avrebbe dovuto essere completo e globale.

14

t

Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 192, comma 3, cod.
proc. pen. in ordine all’utilizzazione delle dichiarazioni di Marzocchi, imputato
di reato connesso, senza alcuna riscontro con altri elementi di prova.
Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 512 e 513 cod. proc.
pen., con riferimento all’acquisizione dei verbali di interrogatorio di Mauro
Cartei, coimputato patteggiante. Si assume che tali verbali non potevano

trovava nell’impossibilità di rendere dichiarazioni e avrebbe potuto essere
sentito nelle forme previste dall’art. 119 cod. proc. pen.
Con il sesto motivo si eccepisce l’illegittimità costituzionale del d.lgs. 231
del 2001 e in particolare degli artt. 5, 6 e 25 per violazione degli artt. 27, 77 e
117 Cost., ritenendo che la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche non sia rispettosa della legge delega n. 300 del 2000, che
non prevedeva una responsabilità di tipo oggettivo per l’ente, con una
ingiustificata inversione dell’onere probatorio.
Con un articolato settimo motivo si censura la sentenza per avere
riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale a Lorenzino Marzocchi.
Con l’ottavo motivo si assume il vizio di motivazione della sentenza per non
avere individuato l’esistenza di una effettiva promessa di un compenso per
atti contrari ai doveri d’ufficio tra Bottoli e Marzocchi.
Con il nono motivo si denuncia la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc.
pen., in quanto la sentenza ha ritenuto che il Marzocchi sia intervenuto come
funzionario di fatto nella contrattazione, laddove l’imputazione faceva
riferimento al ruolo di project manager.
Con il decimo motivo si deduce la violazione dell’art. 6 d.lgs. 231/2001 e il
connesso vizio di motivazione, avendo i giudici affermato che la società, al
momento del fatto, era priva di un modello organizzativo, mentre, secondo
quanto dichiarato da alcuni testimoni, i modelli erano stati adottati, sicché il
giudice avrebbe dovuto verificarne l’idoneità, cosa che non è avvenuta.
Con l’undicesimo motivo si sostiene che il regime di sospensione delta
prescrizione prevista nel d.lgs. 231/2001 è illegittima in rapporto a quanto
prescritto nella Convenzione di Mérida, che consente la sospensione del
termine solo se il soggetto si sottrae alla giustizia. Ne consegue, pertanto, che
anche l’illecito amministrativo avrebbe dovuto essere considerato prescritto.

15

essere acquisiti ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., in quanto il Cartei non si

Con il dodicesimo motivo si censura la sentenza per aver confermato una
sanzione pecuniaria eccessiva, senza alcuna motivazione al riguardo.
Con il tredicesimo motivo si contesta la determinazione del valore della
confisca del profitto, calcolato sul valore complessivo dell’appalto anziché in
rapporto ai nuovi prezzi e all’aumento di valore dell’appalto.

nei siti Enipower di Ravenna e Mantova (vicenda Sitie Impianti Industriali
s.p.a.).
5.1. Anche in questo caso le sentenze hanno ritenuto che l’accordo
corruttivo si sia concretizzato nel versamento di una tangente pari al 3%
dell’importo dell’appalto, poi aggiudicato a Sitie Impianti Industriali s.p.a.,
che avrebbe corrisposto la somma complessiva di euro 20.000 a Lorenzino
Marzocchi, in cambio di notizie e informazioni utili per la partecipazione alla
gara.
5.2. Sitie Impianti Industriali s.p.a.
L’avvocato Aldo Meyer ha proposto ricorso nell’interesse della Sitie Impianti
Industriali s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto
dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.26), in relazione al reato di
concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, contestato al
capo 1.16 al proprio rappresentante legale Mauro Barzetti, società condannata
al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 50.000, oltre alla confisca per
equivalente dell’importo di euro 66.666.
Con il primo motivo si deduce l’omessa motivazione in ordine alla
responsabilità della società con riferimento ai reati presupposti, indicati nel
capo di imputazione ai punti 1.16 e L.13, entrambi attribuiti a Mauro Barzetti,
per il quale, all’udienza dell’11.5.2010, il Tribunale dichiarava non doversi
procedere per morte dell’imputato: in particolare, sarebbe stata del tutto
omessa la motivazione in ordine al reato presupposto di cui al capo L.13, per
il quale è stata pure riconosciuta la responsabilità della persona giuridica in
questione.
Con il secondo e articolato motivo si censura la sentenza sotto diversi
profili, tutti attinenti alla riconosciuta qualifica di pubblico ufficiale a Lorenzo
Marzocchi. Si precisa che tutte le persone giuridiche coinvolte in questa
vicenda sono soggetti privati e non enti pubblici, compresi Enipower e

16

5. Appalti per la fornitura di lavori elettrostrumentali e passerelle portacavi

Snamprogetti; la natura pubblicista è esclusa anche dalla disciplina dei
contratti di appalto; deve escludersi che Marzocchi abbia avuto compiti e
funzioni specifici nell’assegnazione dell’appalto e nella sua esecuzione.
Con il terzo motivo si contesta l’attribuzione al Marzocchi della qualifica di
pubblico ufficiale. Innanzitutto si sostiene che, all’epoca dei fatti, non rivestiva
il ruolo di project manager, come erroneamente ritenuto in sentenza, funzione

Ravenna e di Mantova erano già stati costruiti.
Con il quarto motivo si rileva come la sentenza non abbia individuato gli
atti contrari ai doveri d’ufficio.
Con il quinto motivo si denuncia l’erronea qualificazione del fatto, che
andava inquadrato nel reato di millantato credito, non previsto tra i reati
presupposto della responsabilità dell’ente, ovvero nel reato di concussione.
Con il sesto motivo si lamenta l’eccessività della sanzione applicata.

6. Appalto per la fornitura di una sottostazione per i siti Enipower di

Ravenna e di Brindisi (vicenda Nuova Magrini Galileo s.p.a.).
6.1. Anche in questo caso l’imputazione individua Marzocchi come il
soggetto che fornisce indebite comunicazioni sulle gare, mentre Giampiero
Colnaghi viene considerato l’intermediario che collega le imprese partecipanti
alla gara con le strutture interne di Enipower, fornendo coperture per i
pagamenti illeciti delle tangenti funzionali a far ottenere alla Nuova Magrini
Galileo s.p.a. l’aggiudicazione per le sottostazioni dei siti di Ravenna e
Brindisi.
6.2. Giampiero Colnaghi.
Nel ricorso proposto dall’avvocato Raffaele Della Valle, nell’interesse di
Colnaghi, sono dedotti due distinti motivi attinenti alla confisca disposta.
Il primo riguarda il vizio di motivazione, in quanto la Corte d’appello
avrebbe omesso di esaminare il motivo con cui si contestava la disposta
confisca di documenti e del denaro in sequestro, senza neppure quantificare la
somma in rapporto alla tangente effettivamente percepita per
l’intermediazione nella vicenda dell’appalto per la fornitura di una
sottostazione per il sito Enipower di Ravenna, limitandosi solo a dichiarare la
prescrizione del reato di corruzione di cui al capo 1.2; con il secondo si
denuncia l’erronea applicazione degli artt. 240 e 322-ter cod. pen., rilevando,

\‘,

17

che aveva ricoperto solo nel maggio 2004, quando cioè gli impianti di

da un lato, che non risulta a che titolo sia stato sequestrato il denaro, se cioè
come prezzo ovvero profitto del reato, dall’altro, che la confisca è stata
disposta erroneamente, nonostante la vicenda processuale si sia conclusa non
con una sentenza di condanna, ma con la dichiarazione di estinzione del reato
per prescrizione.

Appalto per la posa in opera di tubazioni, fognature e canali per il

completamento della centrale termoelettrica Enipower di Brindisi (vicenda
Igeco – Bonna Sabla).
7.1. Secondo la ricostruzione delle sentenze di merito, nella vicenda
relativa all’appalto per le opere di completamento della centrale termoelettrica
Enipower di Brindisi vi sarebbero stati due distinti episodi di corruzione,
consistiti nel pagamento di tangenti versate da società per ottenere
facilitazioni nelle forniture e negli appalti.
In particolare, Reneè Latinus, all’epoca legale rappresentante della società
francese Bonna Sabla, si sarebbe accordato, tramite Antonio Bruni, Consorti e
Scappini, che agivano quali intermediari, con Sacco Proila, funzionario della
Snamprogetti, per il versamento di una tangente di euro 145.156,38 in
cambio di informazioni sulla gara per la fornitura di tubazioni per opere civili
da destinare al sito Enipower di Brindisi, coprendo la tangente con fatture
emesse dalla società Tecnoforniture di Scappini e rappresentative di
consulenze fittizie, il tutto nell’interesse della Bonna Sablà, società fornitrice
delle tubature.
L’altro episodio corruttivo riguarda una tangente di euro 256.613,68, pari
al 3% del valore dell’appalto per le opere di completamento della centrale
termoelettrica Enipower di Brindisi, versata dai vertici della Igeco Costruzioni
s.p.a., Cinzia e Tommaso Ricchiuto, in favore di Luigi Sacco Proila, funzionario
della Snamprogetti s.p.a., che avrebbe fornito informazioni riservate per
realizzare la migliore offerta, tramite l’intermediazione di Antonio Bruni e Enzo
Scappini, coprendo il pagamento della dazione illecita con fittizie consulenze
richieste alla società Tecnoforniture s.r.l. di Scappini, il tutto nell’interesse
della società Igeco Costruzioni.
7.2. Enzo Elegar Scappini.
L’avvocato Lucio Lucia ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di
Enzo Elegar Scappini, rappresentante in Italia della ditta francese Bonna Sablà

\\.

18

7.

e ritenuto uno degli intermediari negli episodi di corruzione di cui ai capi L.18
e L.20.
Con il primo motivo si denuncia l’erronea applicazione della legge penale,
con riferimento all’art. 357 cod. pen. e alla nozione di pubblico ufficiale. In
particolare, si contesta la sentenza impugnata per avere attribuito la qualità di
pubblico ufficiale a Sacco Proila, all’epoca funzionario della Snamprogetti e

per azioni e sottolineando, invece, la sua struttura di società a partecipazione
pubblica, operante in un settore assolutamente strategico come quello
dell’energia, di interesse pubblico. Al contrario, si assume che l’art. 357 cod.
pen. richiede il concreto esercizio della pubblica funzione, senza alcun
riferimento al rapporto di dipendenza di una pubblica amministrazione, in
quanto ciò che viene ad avere rilevanza è lo svolgimento effettivo e concreto
di un’attività pubblicistica. L’indagine sulla qualifica di pubblico ufficiale deve,
innanzitutto, essere incentrata sull’attività svolta al momento della
commissione del reato e, inoltre, deve avere ad oggetto i poteri attribuiti al
soggetto, in grado cioè di porre in essere atti autoritativi o certificativi nonché
di manifestare la volontà della pubblica amministrazione. Tali poteri non si
rinvengono in capo al Sacco Proila che era un semplice dipendente della
Snamprogetti che svolge un’attività che niente ha a che fare con il settore
della produzione energetica, essendo una società di ingegneria e di
progettazione che opera sul libero mercato, non riconducibile agli enti pubblici
ovvero a società che svolgono attività di natura pubblica. Esclusa la qualifica
di pubblico ufficiale al presunto corrotto, conseguentemente non sarebbe
configurabile il reato di corruzione contestato allo Scappini.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione al
riconoscimento della qualità di pubblico ufficiale, sostenendo che la sentenza
non ha fornito alcuna spiegazione al riguardo, limitandosi apoditticamente ad
attribuire al Sacco la qualità di Intraneus.
Con il terzo motivo si fa valere il travisamento della prova in relazione alle
dichiarazioni rese dallo stesso Sacco Proila, che ha recisamente negato di
avere fornito informazione sull’appalto, dichiarazioni ignorate dai giudici di
merito, omissione rilevata in appello ma neppure considerata dalla Corte
territoriale.

\

19

presunto corrotto, ritenendo irrilevante che tale ente operasse come società

Con il quarto motivo si lamenta l’omessa motivazione sulla mancata
dichiarazione di avvenuta prescrizione del reato da parte del Tribunale.
Riguardo all’episodio riferito alla società Bonna Sablà, in cui il reato è
contestato “dal 2.12.2002 al 29.9.2003” (capo L.18), si evidenzia che per i
medesimi fatti il Tribunale ha dichiarato l’estinzione per prescrizione in
relazione alla posizione di Reneè Latinus, amministratore unico della Bonna

Igeco s.r.I., contestato fino al 3.8.2004, il Tribunale non avrebbe considerato
che, in mancanza della prova della dazione del compenso illecito, il momento
di consumazione del reato di corruzione è rappresentato dalla formazione
dell’accordo illecito, che nel caso in esame sarebbe intervenuto prima della
presentazione dell’offerta da parte della Igeco, cioè nel dicembre 2002.
Con il quinto motivo si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alle
statuizioni civili.
7.3. Antonio Bruni.
L’avvocato Giancarlo Maniga ha proposto ricorso per cassazione
nell’interesse di Antonio Bruni, ritenuto l’intermediatore della vicenda
corruttiva di cui al capo L.18 [e L. 20?].
Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza di primo grado e,
conseguentemente, di quella di appello, per violazione dell’art. 521, comma 2,
cod. proc. pen., per mutamento del fatto contestato con il decreto che
dispone il giudizio. In sostanza, rispetto al fatto contestato, secondo cui Bruni
avrebbe, in concorso con altri imputati, concordato il pagamento di una
tangente per l’aggiudicazione di una commessa relativa ad un impianto in
Brindisi a favore di Igeco s.r.l. in cambio di informazioni riservate, condotta
posta in essere successivamente alla pubblicazione del bando, la sentenza di
merito avrebbe capovolto gli elementi della condotta, collocandola prima della
pubblicazione del bando, introdotto l’apporto concorsuale di un diverso
soggetto, Lorenzino Marzocchi, e individuato un altro soggetto commerciale.
Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione, in quanto la
sentenza di appello avrebbe omesso di esaminare le doglianze relative alla
mancata correlazione tra accusa e sentenza.
Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale in
ordine alla ritenuta sussistenza della qualità di pubblico ufficiale del Sacco
Proi la.

\-\
20

Sablà (capo L.19); in ordine all’altro episodio di corruzione riguardante la

Con il quarto motivo si lamenta la mancanza di motivazione in ordine alle
prove incriminatrici, alle prove a discarico prodotte e ai relativi motivi di
appello dedotti. Il riferimento è, tra l’altro, alle dichiarazioni rese da Consorti,
che ha sempre escluso di avere ricevuto informazioni, nonché alle
dichiarazioni di Sacco Proila, che ha riferito che all’epoca dei fatti era già in
pensione e che l’appalto esulava dalle sue funzioni e competenze; inoltre,

società di Scappini, contratto a cui andavano riferiti i pagamenti in favore del
Bruni, a titolo di consulenze effettuate. Di tali prove a discarico non vi sarebbe
stata alcuna valutazione.
Con il quinto motivo si lamenta l’avvenuta condanna alla rifusione della
spese alle parti civili a carico degli imputati in solido, nonostante si tratti di
posizioni differenziate.
7.4. Cinzia Ricchiuto e Tommaso Ricchiuto.
L’avvocato Daniela Covini ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse
di Cinzia e Tommaso Ricchiuto, legali rappresentanti della Igeco s.p.a. ai quali
è stato contestato il reato di corruzione di cui al capo L.20.
Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per inosservanza
dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in quanto la
Corte territoriale ha omesso di considerare gli evidenti elementi di prova,
indicati nell’atto di appello, che avrebbero giustificato il proscioglimento di
merito degli imputati. Si sottolinea che i giudici avrebbero dovuto esaminare
in maniera approfondita i motivi dedotti, in considerazione del fatto che vi era
stata condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e che il
reato in questione costituiva il presupposto per affermare la responsabilità
amministrativa della società.
Sempre in relazione al primo motivo, si contesta la sentenza per avere
attribuito la qualifica di pubblico ufficiale a Sacco Proila, che peraltro dal
gennaio 2003 era già in pensione.
Sotto un ulteriore profilo si sottolinea che la sentenza non ha indicato il
contenuto dell’accordo corruttivo ovvero l’atto contrario ai doveri d’ufficio in
cui si sarebbe sostanziata la condotta costitutiva del reato di corruzione.
Secondo l’impostazione accusatoria, gli imputati avrebbero ricevuto
informazioni riservate da Sacco Proila attraverso intermediari, informazioni
che avrebbero consentito il miglioramento dell’offerta operata dalla Igeco

21

sarebbe stato ignorato il contratto tra la Igeco s.r.l. e la Tecnoforniture,

rispetto a quelle degli altri concorrenti: ma non è stata raggiunta la prova
dell’accordo, avendo Sacco Proila sempre negato che sia stato proposto un
patto da parte degli imputati, dichiarazioni favorevoli agli imputati ma del
tutto trascurate dai giudici.
Infine, si contesta quanto ritenuto in sentenza in ordine alla configurabilità
come prezzo del reato dei pagamenti delle fatture di Tecnoforniture s.r.I.,

a prestazioni effettivamente svolte dallo Scappini in favore della Igeco.
Con il secondo motivo si lamenta il mancato riconoscimento
dell’intervenuta prescrizione del reato in primo grado, con tutte le
conseguenze sul piano delle statuizioni civili. Non essendovi stata la prova
della consegna del denaro, la consumazione del reato deve ritenersi avvenuta
con la formazione dell’accordo che risale al dicembre 2002.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc.
pen., in quanto le sentenze di merito avrebbero fatto riferimento agli
interventi di Cartei, Cozzi e Marzocchi, circostanze non contestate nel decreto
di citazione a giudizio e rispetto alle quali gli imputati non si sono potuti
difendere.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 578 cod. proc. pen. e
il connesso vizio di motivazione, avendo la Corte d’appello omesso di
esaminare le doglianze ai fini della conferma delle statuizioni civili.
Sotto un diverso profilo si sostiene che non risulta alcuna motivazione
neppure in relazione alla sussistenza del danno subito dalle parti civili come
conseguenza delle condotte degli imputati, dovendo escludersi ogni ipotesi di
danno da immagine o da tangente.
Infine, non risulta che i giudici abbiano esaminato le richieste di esclusione
delle parti civili Eni spa e Snamprogetti.
7.5. Igeco Costruzioni s.p.a.
L’avvocato Salvino Mondello ha proposto ricorso nell’interesse della Igeco
Costruzioni s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto
dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.17), in relazione al reato di
concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, posto
dall’amministratore delegato Cinzia Ricchiuto e contestato al capo L.20,
società condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 50.000,
oltre alla confisca per equivalente dell’importo di euro 769.724.

22

pagamenti che corrispondevano, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici,

Con il primo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di
motivazione, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame
specifico delle doglianze contenute nell’atto di appello con cui si contestava la
sussistenza del reato presupposto, omissione impropriamente giustificata in
presenza della causa di estinzione per prescrizione del reato attribuito alle
persone fisiche. Si assume che, dal momento che il reato di corruzione

secondo grado avrebbero dovuto procedere ad un esame analitico ed
approfondito in ordine alla integrazione di tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie, compresi gli elementi del reato presupposto.
In primo luogo, si sottolinea come i giudici non abbiano considerato quanto
dedotto in sede di appello con riferimento alla insussistenza del reato
presupposto per la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale in capo al
presunto corrotto, cioè Sacco Proila, dipendente della Snamprogetti e addetto
all’ufficio acquisti: anche ad ammettere la natura pubblicistica della
Snamprogetti, ciò non sarebbe comunque sufficiente a qualificare come
pubblico ufficiale il Sacco Proila, in quanto tale qualifica discende dalla natura
dell’attività effettivamente e concretamente svolta dal soggetto e nel caso in
esame il presunto corrotto si occupava solo dell’attività commerciale della
società, che non implicava esercizio o spendita di poteri autoritativi o
certificativi; d’altra parte deve escludersi, secondo la difesa, anche l’ipotesi
che il Sacco Proila si sia di fatto ingerito nell’esercizio dell’atto di ufficio, dal
momento che questi era andato in pensione nel gennaio 2003 e che
comunque ha sempre escluso di avere avuto possibilità di influire sul
compimento dell’atto di ufficio.
Inoltre, si assume che la sentenza avrebbe omesso di individuare il patto
corruttivo e il suo oggetto, cioè l’atto di ufficio contrario ai doveri di ufficio. I
giudici avrebbero trascurato che le informazioni riservate sarebbero state
passate al Consorti quando il Sacco Proila era già stato collocato in pensione.
D’altra parte, il tentativo operato in sentenza di spostare in avanti l’accordo
per favorire l’Igeco non trova fondamento negli atti e, in ogni caso, si rivela
inconferente ai fini della sussistenza del reato di corruzione, in quanto
finirebbe per ipotizzare reati quali la turbata libertà degli incanti o la
collusione tra privati partecipanti che non fungono da presupposti per la
responsabilità degli enti.

23

costituisce il presupposto fattuale della responsabilità della società, i giudici di

Infine, i giudici avrebbero ritenuto erroneamente confermato l’assunto
accusatorio, secondo cui il pagamento delle fatture emesse da Tecnoforniture
s.r.l. in favore di Igeco, per complessivi euro 256.613,68, costituirebbe il
prezzo del reato, trattandosi del pagamento di una tangente corrispondente al
3% dell’importo dell’appalto. Invero, si assume che le fatture non si riferivano
a consulenze fittizie, ma a prestazioni effettivamente svolte in favore della

ingegneristica, come da documentazione prodotta.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di
motivazione determinati dalla circostanza che la Corte d’appello ha fondato la
responsabilità della società sul presupposto dell’inidoneità del modello
organizzativo, senza esaminare le specifiche doglianze contenute nell’atto di
impugnazione e volte a dimostrare la idoneità della misure organizzative
adottate, ma limitandosi a confermare quanto sostenuto nella sentenza di
primo grado.
Con il terzo e subordinato motivo si denuncia la violazione egli artt. 69, 12
e 19 d.lgs. n. 231/2001 in relazione alla comminazione della sanzione
pecuniaria e alla determinazione dell’entità della confisca, anche sotto il
profilo della motivazione, avendo i giudici di secondo grado confermato la
prima decisione senza esaminare le critiche contenute nell’atto di appello. In
particolare, con riferimento alla somma oggetto di confisca si assume che la
quantificazione nella misura del 10% del valore dell’appalto, corrispondente al
profitto derivante dal reato, si fondi su una arbitraria presunzione che non
distingue tra vantaggio economico conseguente al reato e incremento
economico determinato da una prestazione lecita eseguita in favore della
controparte nell’ambito di un regolare rapporto contrattuale.
7.6. Bonna Sabla.
Gli avvocati Federico Cecconi e Paolo Pacciani hanno proposto ricorso
nell’interesse della società Bonna Sabla, ritenuta responsabile dell’illecito
amministrativo previsto dall’art. 25, comma 3, d.lgs. 231/2001 (capo R.9), in
relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri
d’ufficio, posto dal legale rappresentante Latinus Reneè, contestato al capo
L.19 e dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, società condannata al
pagamento della sanzione pecuniaria di euro 150.000, oltre alla confisca per
equivalente dell’importo di euro 590.375.

24

Igeco da parte di Tecnoforniture s.r.l. di Scappini per consulenze di natura

Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 8, 69 d.lgs. 231/2001
e 157 cod. pen., in quanto la responsabilità della società Bonna Sabla per
l’illecito amministrativo contestato è stata affermata omettendo ogni
valutazione in ordine al reato presupposto e alla stessa responsabilità della
persona fisica, Reneè Latinus, che tale reato avrebbe dovuto realizzare
nell’interesse della società in cui egli ricopriva posizioni di vertice. Si sostiene

della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ad escludere
l’esistenza di prove evidenti dell’estraneità del Latinus ai fatti addebitatigli,
senza considerare che tale valutazione, operata ai sensi dell’art. 129, comma
2, cod. proc. pen. in rapporto alla responsabilità della persona fisica, non si
giustifica con riferimento alla responsabilità dell’ente, che anche quando si
configura come responsabilità autonoma ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 231/2001
deve essere accertata in maniera completa, con riferimento pure alla
sussistenza del reato presupposto e al ruolo dell’autore dello stesso. Peraltro,
si sottolinea come in questo modo la Corte territoriale abbia omesso di
esaminare i motivi dedotti nell’atto di appello, diretti a contestare la ritenuta
responsabilità della società dimostrando l’insussistenza del resto presupposto
commesso dal Latinus.
Con il secondo motivo si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 319 cod.
pen. da parte della Corte d’appello per avere attribuito la qualifica di pubblico
ufficiale a Sacco Proila. L’esclusione di tale qualifica avrebbe fatto venir meno
lo stesso reato presupposto per la responsabilità amministrativa dell’ente. Le
critiche sono analoghe a quelle proposte nei ricorsi già esaminati.
Il terzo motivo riguarda il vizio di motivazione, nella forma del
travisamento della prova per omissione, per avere la sentenza ignorato le
dichiarazioni rese da Sacco Proila in data 26.10.2010 ai sensi dell’art.

197-bis

cod. proc. pen., nel corso del giudizio di primo grado, in cui, pur ammettendo
le sue responsabilità in alcune vicende corruttive contestatigli, negava invece
il suo coinvolgimento nell’episodio riguardante l’appalto della società Bonna
Sabla.
Sotto un diverso profilo si rileva che la mancata considerazione di tali
dichiarazioni di contenuto liberatorio ha impedito anche l’applicazione dell’art.
530 cod. proc. pen.

25

che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello si siano limitati, in presenza

Con il quarto motivo si deducono ulteriori travisamenti, relativi ad alcune
testimonianze acquisite agli atti.
Si assume che i giudici dell’appello non avrebbero compiuto alcuna
valutazione delle produzioni documentali e delle testimonianze acquisite da
cui avrebbero potuto desumere l’estraneità di Reneè Latinus all’ipotizzato
accordo corruttivo nell’interesse della società. Il riferimento è ad una serie di

ruolo di intermediario con l’estero per conto della Bonna Sabla, circostanza
confermata dalle testimonianze di Jean Michel Renè Andrè Testa e di Brigitte
Henery Barbaut, il primo responsabile affari legali di Bonna Sabla e la seconda
direttrice delle risorse umane della stessa società, che hanno sostenuto che
dal giugno 2002, con effetto dal gennaio 2003, la direzione del settore estero
era stata assunta da Menardi, mentre Latinus era stato spostato al settore
acquisti ed attività strategiche.
Inoltre, si evidenzia un altro travisamento relativo alle dichiarazioni rese
da Francois Daniel Feuillet, responsabile dei servizi e delle opere presso Bonna
Sabla, in base alle quali, secondo la difesa, emergerebbe che la Bonna Sabla
non aveva alcun interesse ad acquisire informazioni tecniche da soggetti
interni alla Snamprogetti da remunerare con tangenti coperte con fatture
relative a false consulenze, in quanto quelle informazioni la società già le
conosceva per averle ricevute lecitamente dai vertici di Enipower.
Con un ultimo e subordinato motivo, collegato ai travisamenti denunciati, si
rileva come la sentenza sia incorsa anche nella violazione dell’art. 533 cod.
proc. pen., avendo omesso di pronunciare sentenza di assoluzione
quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. non essendo
stata raggiunta la prova della colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio.
In data 4 settembre 2015 gli avvocati Cecconi e Pacciani hanno depositato
motivi nuovi, che in realtà sono memorie difensive, in quanto replicano gli
stessi motivi già dedotti nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Quasi tutti gli imputati, persone fisiche e persone giuridiche
(Bonomelli, Gatti, Nardi, Scappini, Bruni, Ricchiuto, Fagioli s.p.a., Impresa
Bottoli Arturo s.p.a., Sitie Impianti Industriali s.p.a., Igeco Costruzioni s.p.a. e

26

e-mail e fax da cui risulterebbe che, all’epoca dei fatti, Latinus non copriva il

Bonna Sabla), hanno presentato motivi diretti a censurare la sentenza
d’appello per aver confermato la sussistenza della qualifica soggettiva di
rilievo pubblicistico nei confronti di Lorenzino Marzocchi e Luigino Sacco Proila,
il primo funzionario di Enipower, l’altro di Snamprogetti.
Si ritiene opportuno trattare unitariamente tali motivi, comuni a più
ricorsi, perché il loro esame appare preliminare, dal momento che la stessa

pubblico ufficiale ovvero di incaricato di pubblico servizio in capo al Marzocchi
e al Sacco Proila.
Infatti, dalla ricostruzione che le due sentenze di merito hanno fatto delle
diverse vicende corruttive oggetto di questo processo emergono le figure
centrali dei due funzionari, che agivano nell’ambito di un sistema ramificato e
organizzato, in cui le società interessate a partecipare alle gare contattavano
o

venivano contattate da intermediari, i quali offrivano o fornivano

informazioni riservate, utili per vincere la gara o per ottenere vantaggi nella
fase esecutiva della stessa, informazioni che venivano procurate da Marzocchi
e Sacco Proila; quindi seguiva il pagamento del corrispettivo (“tangente”) da
parte delle società, stabilito in percentuale sul valore della commessa,
pagamento che veniva coperto da contratti fittizi di consulenza o da fatture;
infine, il corrispettivo veniva ripartito tra intermediari e funzionari corrotti.
Ne consegue che solo il riconoscimento della qualifica pubblicistica in
capo ai due dipendenti di Enipower e Snamprogetti, che in tale vicenda
sarebbero stati i soggetti corrotti, consentirebbe di ravvisare il reato di
corruzione.
Su questi aspetti la Corte d’appello ha confermato la soluzione offerta dal
primo giudice, soluzione che il Collegio ritiene sostanzialmente di avallare.
I giudici di merito correttamente si sono richiamati alla concezione
oggettiva delle qualifiche pubblicistiche, ponendo l’accento non sull’esistenza
di un rapporto di dipendenza del soggetto con lo Stato o con altro ente
pubblico, ma piuttosto sui caratteri qualificanti l’attività svolta in concreto dai
soggetti, che deve potersi definire, a seconda dei casi, come pubblica funzione
o come pubblico servizio. Può dirsi, riprendendo una felice definizione di
un’attenta dottrina, che tali qualifiche soggettive si acquistano “non per ciò
che si è, ma per ciò che si fa”.

\

27

esistenza dei reati contestati dipende dal riconoscimento della nozione di

Infatti, sulla base degli artt. 357 e 358 cod. pen., le qualifiche di pubblico
ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sono collegate alle attività svolte,
che possono definirsi come pubblica funzione amministrativa o come pubblico
servizio non per il legame tra il soggetto e un ente pubblico, ma per la
disciplina pubblicistica che regola l’attività nonché per i contenuti giuridici
pubblici che la connotano, che per quanto riguarda il servizio pubblico sono

comunque da escludere dalla categoria i soggetti che svolgono semplici
mansioni di ordine ovvero che prestino un’opera meramente materiale.
Le due categorie sono accomunate, quindi, da una prospettiva funzionaleoggettiva, nel senso che entrambe postulano il criterio di delimitazione
“esterna” imperniato sulla natura della disciplina pubblicistica dell’attività
svolta. L’elemento che le differenzia è costituito dal fatto che il pubblico
ufficiale è dotato di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, mentre
l’incaricato di pubblico servizio difetta di tali poteri, nonostante la sua attività
sia comunque riferibile alla sfera pubblica: in altri termini, è la tipicità dei
poteri elencati nell’art. 357 cod. pen. che fonda la differenza.
Nel caso in esame, deve sicuramente escludersi che i due dipendenti della
Enipower e della Snamprogetti fossero pubblici ufficiali, non essendo titolari
dei poteri e delle funzioni richiamati dall’art. 357 cod. pen. Resta, quindi, da
accertare se gli stessi possano essere considerati incaricati di pubblico
servizio.
Anche in riferimento a questa figura la riforma attuata con la legge n. 86
del 1990 ha introdotto una nozione oggettiva della qualifica di incaricato di
pubblico servizio. L’art. 358 cod. pen., infatti, attribuisce tale qualifica a coloro
che, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, prescindendo
dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione,
fornendo poi, nel secondo comma, la definizione di pubblico servizio, inteso
come un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma
senza i poteri tipici di questa, con esclusione di attività concretizzantesi in
semplici mansioni di ordine o di opera meramente materiale.
Come è noto, la giurisprudenza ha cercato di individuare gli indici
sintomatici del carattere pubblicistico dell’attività svolta, facendo riferimento
alla natura pubblica dell’ente da cui promana l’attività del soggetto, al
perseguimento di finalità pubbliche, all’impiego di pubblico denaro, alla

28

quantitativamente inferiori (rispetto a quelli della funzione pubblica), tali

soggezione a controlli pubblici, in ogni caso escludendo, tra i criteri idonei a
qualificare come di rilievo pubblico l’attività svolta, la forma giuridica dell’ente
e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico. Di conseguenza, la
giurisprudenza riconosce la qualifica di incaricato di pubblico servizio anche al
dipendente di una società privata che eserciti un servizio pubblico, a
condizione, ovviamente, che il soggetto abbia svolto in concreto un’attività

applicazioni giurisprudenziali delle qualifiche pubblicistiche che hanno
sollevato maggiori perplessità, soprattutto in dottrina, sono state quelle che
hanno riguardato gli operatori d’impresa, soprattutto nel settore delle c.d.
privatizzazioni.
In quest’ambito il giudice penale in alcuni casi ha esteso lo statuto penale
dei pubblici agenti o degli incaricati di pubblico servizio nei confronti di
soggetti operanti negli enti privatizzati, riconoscendo che la trasformazione
dell’ente pubblico in società per azioni non cancella di per sé le connotazioni
proprie della originaria natura pubblica dell’ente, in ogni caso ribadendo che i
soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per
azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico
servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una
normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti
privatistici (cfr., Sez. 5, n. 23465 del 26/04/2005, Laghi; Sez. 6, n. 49759 del
27/11/2012, Zabatta; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi; Sez. 5, n.
31660 del 13/02/2015, Barone).
In questi casi, la giurisprudenza valorizza, tra gli indici di riconoscibilità
del rilievo pubblico dell’attività, quello del controllo gestionale e finanziario
dello Stato sugli enti privatizzati, anche in considerazione di quanto affermato
dalla Corte costituzionale, secondo cui la semplice trasformazione degli enti
pubblici economici non può essere ritenuto motivo sufficiente ad escludere il
controllo della Corte dei conti, almeno fino a quando permanga inalterato
l’apporto finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti,
ossia fino a quando permanga una partecipazione maggioritaria dello Stato al
capitale azionario di tali società (Coste cost., sent. n. 466 del 1993).
In ogni caso, gli indici sintomatici del carattere pubblico dell’attività svolta
devono necessariamente collegarsi ad una disciplina che abbia connotazioni
pubblicistiche.

29

che in tale servizio pubblico rientri. In questo senso, deve rilevarsi come le

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidenziato come Enipower
s.p.a. sia una società controllata al 100% da Eni, controllata, a sua volta,
dallo Stato, nella misura del 30%, tramite la Cassa depositi e prestiti e il
Ministero dell’Economia e che Snamprogetti s.p.a. è anch’essa una società del
gruppo Eni, acquisita da Saipem s.p.a. sempre dello stesso gruppo, posseduta
al 43% da Eni: Enipower opera prevalentemente nei settori della generazione

nuove centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica e vapore
alimentate a gas naturale; Snannprogetti è una società di ingegneria che si
occupa, tra l’altro, della costruzione di impianti e condotte per il trasporto di
gas, di prodotti petroliferi con tutti i relativi impianti accessori.
In sostanza si tratta di società che operano nei settori c.d. speciali – nella
specie quello dell’energia -, sottoposti a regimi derogatori, soprattutto per
quanto concerne la disciplina degli appalti, in ragione sia della tipologia degli
operatori, che sono quasi sempre società a partecipazione pubblica che
agiscono in un sostanziale regime di monopolio, sia del rilievo strategico di tali
attività per l’intera economia nazionale.
Articolato è il percorso giustificativo del giudice di primo grado, per
sostenere il rilievo pubblicistico delle attività svolte dalle due società.
In primo luogo, viene messo in risalto il principio della responsabilità
contabile per il danno derivato all’ente pubblico partecipante dalla mela gestio
dei dipendenti delle suddette società, nei limiti in cui è stato riconosciuto dalle
sentenze della Corte dei conti nelle vicende in oggetto, sentenze che, pur
affermando la giurisdizione ordinaria, hanno ritenuto indirettamente la
valenza pubblicistica dell’attività delle società partecipate.
Tuttavia, lo stesso Tribunale ammette la non decisività di tale criterio e si
concentra su un altro indice del rilievo pubblico delle attività svolte, quello
della disciplina degli appalti nei settori speciali, ancorché liberalizzati.
A parere di questo Collegio è questo, nel caso in esame, il criterio
selettivo per poter affermare la sussistenza del rilievo pubblicistico dell’attività
svolta dalle due società.
L’obbligatorietà delle procedure di evidenza pubblica consente di ritenere
configurabile la qualifica soggettiva di cui all’art. 358 cod. pen. nell’ambito
delle attività svolte dalla società privata, in quanto presuppone il
riconoscimento e la necessità che quel servizio pubblico sia sottoposto ad un

30

e vendita di energia elettrica e dal 2000 ha gestito la realizzazione di cinque

regime “amministrativo”, che assicuri la tutela della concorrenza assieme
all’imparzialità della scelta del soggetto aggiudicatario, esigenza che rileva in
quei contesti, come appunto i settori c.d. speciali, ritenuti strategici per gli
interessi pubblici dello Stato. Del resto, il solo contesto della procedura di gara
può essere un indice sintomatico del rilievo pubblicistico delle attività
interessate, giustificando il riconoscimento delle qualifiche di cui agli artt. 357

In tali settori speciali è previsto che anche le società private che vi
operano siano tenute all’osservanza delle gare a partecipazione pubblica, nel
rispetto della concorrenza e della trasparenza, in funzione di prevenire il
fenomeno della corruzione e di limitare la discrezionalità nella scelta del
contraente per ottenere la migliore offerta. In altri termini, anche in presenza
di una tendenziale liberalizzazione dei mercati, nei settori speciali, tra cui
quello energetico, le attività contrattuali dei soggetti che vi operano
avvengono mediante appalti di forniture e di servizi regolati da norme di
diritto pubblico, che disciplinano le procedure da osservare, limitando il ricorso
alla trattativa privata e prevedendo anche forme di controllo pubblico. La
rilevanza strategica per l’economia nazionale delle attività riconnprese nei
settori c.d. speciali determina un regime in deroga rispetto a quello degli
appalti ordinari, anche in ragione delle situazioni di quasi monopolio (servizi di
rete) in cui operano i soggetti aggiudicatari.
Tale situazione diventa evidente con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (artt.
206, 208, 219), ma la si ritrova anche nella disciplina precedente di cui al
d.lgs. n. 158 del 1995, in vigore all’epoca dei fatti: lo scopo è sempre stato lo
stesso, quello cioè di compensare l’alterazione concorrenziale derivante dalla
presenza di soggetti privati ammessi nei settori speciali, perché aventi
determinate caratteristiche, con l’imposizione delle procedure di evidenza
pubblica anche per le società private.
Nei casi in esame tutte le forniture in cui vi è stata l’ingerenza di
Marzocchi e Sacco Proila sono avvenute con la procedura di gara ad evidenza
pubblica, come accertato dai giudici di merito, e tutte erano relative a
forniture di strumenti necessari per la realizzazione dei lavori di costruzione
delle nuove centrali nei siti Enipower, che ai sensi dell’art. 1 del d.l. 7 febbraio
2001, n. 7, convertito nella legge 9 aprile 2002, n. 55 (misure urgenti per
garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), erano ritenute opere di

31

e 358 cod. pen.

pubblica utilità e assoggettate ad autorizzazione unica rilasciata dal Ministero
delle attività produttive. I relativi appalti avevano ad oggetto il servizio di
alimentazione delle reti, destinate al servizio pubblico e in quanto tali era
prevista la pubblicazione nella GUCE e le stesse società rientravano tra gli enti
aggiudicatari nei settori del trasporto e distribuzione di gas e energia elettrica,
in particolare Enipower veniva considerato ente produttore di energia ai sensi

E’ su questi elementi rappresentati dalla sentenza di primo grado che la
Corte d’appello milanese ha fondato il suo giudizio, sostenendo come l’attività
delle due società si inserisse in un “settore assolutamente strategico come
quello dell’energia, che lo Stato non può dismettere del tutto”, precisando
come la struttura di società per azioni, a partecipazione mista, non può
condurre a disconoscere il rilievo pubblicistico del settore in cui operano, in
quanto la veste privatistica è funzionale ad assicurare a tali soggetti di poter
operare con maggior snellezza nei contesti europei e internazionali, per poter
concorrere su un piano di parità con le altre società. Nella sua estrema
sinteticità la sentenza di appello conferma l’impostazione accolta dal
Tribunale.
Le condotte di Marzocchi e di Sacco Proila si sono inserite nell’ambito di
tali attività strategiche di competenza delle due società e sono consistite nel
fornire, sulla base di una serie di accordi corruttivi con rappresentanti delle
società private che partecipavano alle gare, dati tecnici riservati oggetto del
contratto ad evidenza pubblica, quindi informazioni non dovute in grado di
pregiudicare lo svolgimento imparziale della gara e di alterare l’effettiva
concorrenza dei soggetti partecipanti. Più precisamente, deve rilevarsi che si è
trattato di condotte poste in essere in violazione delle regole di evidenza
pubblica previste in tali settori speciali, funzionali non solo ad evitare il
verificarsi di fenomeni corruttivi, ma anche ad assicurare che tra soggetti che
agiscono in situazioni di sostanziale monopolio siano rispettate le regole della
concorrenza in vista dell’ottenimento della migliore offerta. L’accordo
corruttivo ha riguardato direttamente la procedura di gara, falsandola e così
incidendo proprio sull’elemento distintivo attributivo del rilievo pubblico
dell’attività svolta dalle due società e delle funzioni affidate ai due dipendenti.
A questo proposito, confermando quanto sostenuto dai giudici di merito,
deve ritenersi che non appare decisivo che l’atto contrario ai doveri d’ufficio

32

del d.lgs. n. 79 del 1999, che operava sulla base di concessioni.

sia ricompreso nelle mansioni ricoperte dall’incaricato di pubblico servizio, dal
momento che è sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze
dell’ufficio a cui il soggetto appartiene ed in rapporto al quale gli sia permesso
di potersi ingerire, anche solo di fatto (Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003,
Balsano; Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Martinelli). In questo senso, sono
superate le obiezioni difensive sulla titolarità formale delle funzioni da parte di

mero fatto nell’esercizio dell’atto di ufficio – nella specie la gara – può portare
a configurare la responsabilità del pubblico ufficiale o dell’incaricato di
pubblico servizio, al di là delle competenze specifiche.
Riconosciuta la qualifica di incaricati di pubblico servizio nei confronti di
Marzocchi e di Sacco Proila, può passarsi ad esaminare i ricorsi proposti dagli
imputati.

2. Marcello Bonomelli
2.1. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.
E’ costante la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che il giudice di
appello, quando dichiara estinto il reato per effetto della prescrizione e in
primo grado è intervenuta condanna, è tenuto a decidere sull’impugnazione
agli effetti civili e, a tal fine, i motivi di impugnazione proposti dall’imputato
devono essere esaminati compiutamente, non potendo essere confermata la
condanna al risarcimento del danno sulla base della mancata prova
dell’innocenza dell’imputato ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Ne consegue che la sentenza di appello che non compia, in tal caso, un
esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell’imputato deve essere
annullata limitatamente alla conferma delle statuizioni civili (cfr., Sez. U, n.
40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087; Sez. 6, n. 16155 del
20/03/2013, Galati, RV. 255666; Sez. 5, n. 3869 del 07/10/2014, Lazzari, Rv.
262175; Sez. 6, n. 44685 del 23/09/2015, N., Rv. 265561).
Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente e motivatamente
escluso che, in presenza della causa estintiva del reato costituita
dall’intervenuta prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneità
dell’imputato rispetto ai fatti contestati, ma si è limitata a tali affermazioni,
mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., procedere
all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello, per accertare la

33

Marzocchi e di Sacco Proila, dovendosi riconoscere che anche l’ingerenza di

responsabilità ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza
concernenti gli interessi civili, dal momento che il Bonomelli era stato
condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
I giudici hanno fermato l’accertamento alla verifica dell’insussistenza
della prova evidente dell’estraneità dell’imputato rispetto ai fatti contestati,
omettendo di procedere all’analisi dei motivi in relazione agli interessi civili,

condanna al risarcimento dei danni risulta priva della necessaria motivazione.
2.2. Parzialmente fondato è pure il quinto motivo, con cui si contesta la
legittimazione di alcuni soggetti a costituirsi parte civile. In particolare, deve
essere accolto il motivo limitatamente alla legittimazione di Snamprogetti a
costituirsi come parte civile nei confronti dell’imputato, tenuto conto che i
reati di cui è chiamato a rispondere Bonomelli non riguardano episodi di
corruzione che hanno visto coinvolta Snamprogetti, tramite funzionari ad essa
appartenenti; mentre deve confermarsi la legittimazione di ENI s.p.a. in
considerazione del legame con Enipower, che risulta coinvolta nell’episodio di
corruzione tramite il Marzocchi.
Per il resto il quinto motivo è da ritenersi, allo stato, assorbito.
2.3. Con riferimento al secondo motivo, con cui si eccepisce l’avvenuta
prescrizione del reato ancor prima della sentenza di primo grado, si rileva che,
effettivamente, la Corte d’appello sembra cadere in contraddizione, dal
momento che, da un lato, confermando la condanna alle statuizioni civili,
seppure omettendo – come si è visto – ogni motivazione al riguardo, sembra
riconoscere che la prescrizione si è verificata nel corso del giudizio di secondo
grado, dall’altro, indica come data di consumazione del termine di prescrizione
il 1° luglio 2011 (v. pag. 22 della sentenza), epoca precedente alla sentenza
di primo grado, che è del 20 settembre 2011, nel qual caso avrebbe dovuto
revocare le statuizioni civili.
Tuttavia, la sentenza non indica con precisione l’epoca di consumazione
del reato contestato al capo 1.10 – che il ricorrente colloca al 24.10.2003,
mentre il capo di imputazione si riferisce al 2004 -, sicché spetterà al giudice
del rinvio verificare, preliminarmente, tale circostanza ed eventualmente
disporre la revoca delle statuizioni civili.

‘\\\
34

come impone il citato art. 578 cod. proc. pen., sicché la conferma della

2.4. Il terzo motivo riguarda la qualifica soggettiva e il ruolo di Marzocchi,
per cui si rinvia a quanto già detto in proposito.
2.5. Il quarto motivo è del tutto infondato, in quanto dagli atti non
emerge alcun elemento in base al quale ipotizzare il reato di favoreggiamento
reale, cui si riferisce il ricorrente, sicché il mancato esame di tale motivo da
parte della Corte d’appello non costituisce causa di annullamento della

27202 del 11/12/2012, Tannoia, Rv. 256314; Sez. 4, n. 24973 del
17/04/2009, Ignano, Rv. 244227). Infatti, la contestazione mossa al
Bonomelli è quella di aver svolto l’attività di intermediario nel pagamento della
tangente “Ansaldo”, non quella di aver prestato il suo aiuto per assicurare il
prezzo del reato.

3. Gianluigi Gatti e Cristiano Nardi
I ricorsi, contenenti i medesimi motivi, proposti nell’interesse di Gianluigi
Gatti e Cristiano Nardi sono infondati.
3.1. Con il primo motivo si propone nuovamente l’eccezione di nullità del
giudizio di primo grado e della successiva attività processuale per la mancata
rinnovazione della citazione degli imputati all’udienza del 9.2.2010 a seguito
del rinvio disposto all’udienza precedente, in cui non era stata dichiarata la
loro contumacia, ma erano stati indicati come imputati assenti, situazione che
avrebbe giustificato una nuova vocatio in judicium.
L’omessa verifica dei presupposti per la dichiarazione di contumacia e la
semplice annotazione nel verbale che l’imputato è “assente” dà luogo ad una
anomalia che non consente di stabilire se si tratta di mancata presenza
determinata da oggettiva impossibilità a comparire ovvero di volontaria
sottrazione al contraddittorio, con la conseguenza che una tale incertezza
deve essere intesa a favore dell’imputato non comparso e non dichiarato
contumace, rinnovando la citazione.
Qualora, come nel caso in esame, sia omesso l’avviso del rinvio
dell’udienza all’imputato non comparso, che non abbia allegato alcun legittimo
impedimento e rispetto al quale non sia stata dichiarata la contumacia, ciò
comporta una nullità di ordine generale a regime intermedio, che deve essere
eccepita dal difensore nella prima occasione utile, ai sensi dell’art. 182,
comma 2, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 1, n. 18147 del 02/04/2014, Messina,

35

sentenza impugnata, stante la sua manifesta infondatezza (cfr., Sez. 5, n.

Rv. 261995; Sez. 5, n. 12182 del 07/06/2013, Santorsola, Rv. 262736; Sez.
5, n. 13283 del 17/01/2013, Bucca, Rv. 255188; Sez. 2, n. 25675 del
19/05/2009, Gurgone, Rv. 244170).
Non si condivide l’orientamento che ritiene trattarsi di una nullità
assoluta, in quanto non può dirsi che in simili ipotesi si verifichi una omessa
citazione dell’imputato (contra, Sez. 4, n. 47791 del 22/11/2011, Cravana,

Tuttavia, nella specie, sebbene la nullità sia stata tempestivamente
eccepita all’udienza del 9.2.2010 dall’avvocato Andrea Righi, deve rilevarsi
che il reato contestato ai due imputati è stato dichiarato prescritto e che in
presenza di una causa di estinzione del reato non è rilevabile nel giudizio di
legittimità la sussistenza di una nullità di ordine generale, perché l’inevitabile
rinvio al giudice del merito è incompatibile con il principio dell’immediata
applicabilità della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/ 2001,
Cremonese, Rv. 220511).
Peraltro, la nullità dedotta non è rilevante neppure ai sensi dell’art. 578
cod. proc. pen., in quanto nella presente fattispecie la prescrizione è stata
dichiarata già con la sentenza di primo grado, sicché non vi è stata alcuna
pronuncia sugli interessi civili che possa giustificare l’esame dell’eccezione
proposta.
Il motivo, pertanto, è infondato, seppure per ragioni diverse da quelle
indicate nella sentenza impugnata.
3.2. Infondato è pure il secondo motivo, dovendo escludersi che vi sia in
atti la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo oggettivo
che soggettivo, che avrebbe giustificato una pronuncia assolutoria nel merito.
La Corte d’appello a pagg. 23 e 24 ha rilevato come manchi del tutto la prova
evidente che qualcuno degli imputati sia estraneo agli addebiti, in questo
modo escludendo la possibilità di ricorrere all’art. 129, comma 2, cod. proc.
pen. in presenza di una causa di estinzione del reato e, inoltre, ha ribadito
l’infondatezza delle questioni poste dalla difesa dei due imputati con
riferimento alla figura del Marzocchi, evidenziando l’irrilevanza della questione
relativa all’epoca in cui il funzionario ha effettivamente svolto le funzioni di
project manager, sottolineando la sufficienza, ai fini della sussistenza del
reato, dell’ingerenza di mero fatto nell’esercizio dell’atto d’ufficio.

36

Rv. 25246; Sez. 5, n. 45127 del 28/05/2013, De Vecchi, Rv. 257557).

3.3. L’infondatezza dei motivi determina il rigetto dei ricorsi, con la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

4. Giuseppe e Alberto Bottoli.
4.1. Il primo motivo è infondato.
Si richiamano le considerazioni svolte a proposito dell’analogo motivo

che non è rilevabile nel giudizio di legittimità, perché l’inevitabile rinvio al
giudice del merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità
della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/ 2001, Cremonese, Rv.
220511).
Tuttavia, nella specie la prescrizione è stata dichiarata per la prima volta
in appello, sicché l’eccezione dedotta deve essere esaminata con riferimento
agli interessi civili, essendo stati entrambi gli imputati condannati al
risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
Trattandosi di nullità a regime intermedio, andava dedotta nella prima
occasione processualmente utile, ma nella specie non risulta sia stata eccepita
tempestivamente ed infatti all’udienza del 9.2.2010, a seguito del rinvio
disposto nella precedente udienza del 12.1.2010, il difensore di Alberto e
Giuseppe Bottoli ha chiesto solo l’estromissione della parte civile, senza
eccepire alcuna nullità relativa alla omessa rinnovazione della citazione dei
due imputati. Sicché l’eccezione dedotta con il ricorso per cassazione deve
considerarsi tardiva.
4.2. Il secondo motivo relativo alla eccezione di incompetenza territoriale
è da ritenere infondato.
L’eccezione è già stata respinta dalla Corte d’appello, che ha spiegato che
i pagamenti cui si riferiscono i ricorrenti non possono considerarsi come il
momento esecutivo dell’accordo corruttivo che si completa con la dazione
dell’utilità, nel senso che si tratterebbe di pagamenti estranei all’accordo e
come tali inidonei a determinare la competenza per territorio, aggiungendo
che l’accordo, determinativo del luogo di competenza, si sarebbe realizzato tra
i Bottoli e il Marzocchi.
Si tratta di una valutazione che finisce per riguardare aspetti di fatto che
il ricorso tende a contestare, ma in maniera generica e apodittica, sicché in

37

dedotto nel ricorso di Gatti e Nardi sulla natura della nullità e sulla circostanza

questa sede non può che confermarsi la ricostruzione offerta dal giudice di
secondo grado.
4.3. E’ invece fondato il terzo motivo nei limiti di seguito indicati.
La Corte d’appello ha correttamente e motivatamente escluso che, in
presenza della causa estintiva del reato costituita dall’intervenuta
prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneità dei due

mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., procedere
all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello per accertare la
responsabilità ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza
concernenti gli interessi civili, dal momento che gli imputati erano stati
condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

5. Giampiero Colnaghi.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto Giampiero
Colnaghi ha fatto pervenire una dichiarazione di espressa rinuncia
all’impugnazione.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una
somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo
determinare in euro 300,00.

6. Enzo Elegar Scappini
6.1. I primi due motivi ripropongono la questione della qualifica
soggettiva da attribuire a Sacco Proila, sicché sul punto si rinvia a quanto
detto in precedenza.
6.2. Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione sotto forma di
travisamento della prova, censurando la sentenza che ha dichiarato la
prescrizione del reato. Il motivo è inammissibile, in quanto in presenza di una
causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in
sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento
che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l’obbligo di
dichiarare immediatamente la prescrizione, dall’altro, sarebbe incompatibile
con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento (cfr., Sez. U, n.
1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del
19/03/2009, Staffini, Rv. 244001).

38

imputati rispetto ai fatti loro contestati, ma si è limitata a tali affermazioni,

6.3. Infondato è anche il quarto motivo.
A differenza di quanto dedotto nel ricorso, la sentenza ha esaminato il
motivo con cui il ricorrente aveva eccepito l’avvenuta prescrizione del reato
contestato al capo L.18, respingendo l’eccezione e indicando al 3 febbraio
2012 la data in cui si sarebbe verificata l’estinzione del reato per intervenuta

Per l’episodio corruttivo relativo all’impresa Igeco s.r.I., si osserva che la
contestazione indica il 3 agosto 2004 come la data di consumazione del reato,
sicché anche in questo caso deve escludersi che la prescrizione sia intervenuta
prima della decisione del Tribunale.
6.4. E’, invece, fondato il quinto motivo per le stesse ragioni svolte
esaminando il ricorso Bonomelli (v. §. 2.1.).

7. Antonio Bruni.
7.1. I primi due motivi sono infondati, dovendo convenirsi con quanto
rilevato dai giudici di appello sia in ordine al fatto che la deduzione sembra
diretta a fornire un argomento difensivo a dimostrazione dell’estraneità
dell’imputato alla contestazione, sia là dove si esclude la violazione dell’art.
521 cod. proc. pen.
Nella specie non vi è stata una mancata correlazione tra contestazione e
sentenza, in quanto deve escludersi ogni ipotesi di mutamento essenziale
dell’accusa, tanto da configurare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione in
grado di arrecare un effettivo pregiudizio dei diritti della difesa. In altri
termini, non risulta alcuna trasformazione radicale degli elementi essenziali
della fattispecie, che abbia impedito di rinvenire un nucleo identificativo della
condotta contestata. Gli elementi indicati dal ricorrente e ritenuti differenti
rispetto all’iniziale contestazione (pubblicazione del bando; riferimento al
Marzocchi; soggetto commerciale coinvolto) lasciano immutato il nucleo
dell’accusa nei confronti del Bruni e sono il frutto dello sviluppo istruttorio
sulla base dell’iniziale contestazione, tutti elementi rispetto ai quali l’imputato
si è difeso.
7.2. Riguardo al terzo motivo, in cui si contesta la qualità di pubblico
ufficiale del corrotto, si rinvia a quanto sopra sostenuto.

39

prescrizione, quindi successivamente alla sentenza di primo grado.

7.3. Il quarto motivo introduce un vizio di motivazione che, in presenza
di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non è
rilevabile in sede di legittimità, dal momento che l’annullamento con rinvio
della sentenza, da un lato, determinerebbe per il giudice l’obbligo di dichiarare
immediatamente la prescrizione, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo
dell’immediata declaratoria di proscioglimento (cfr., Sez. U, n. 1653 del

Rv. 244001).
Tuttavia, sebbene il motivo sia inammissibile ai fini della responsabilità
penale, può essere accolto con riguardo alle statuizioni civili, considerando
che il ricorso è stato presentato anche ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen.,
da intendersi, appunto, come riferito alla contestazione degli interessi civili.
In questo senso è da accogliere il motivo limitatamente al punto in cui
lamenta il mancato esame delle questioni poste con l’appello che, così come in
altre posizioni, andavano esaminate ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen.
7.4. Il quinto motivo è, allo stato, assorbito.

8. Tommaso e Cinzia Ricchiuto.
8.1. Il primo motivo è infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha escluso che vi sia in atti la prova
evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo oggettivo che
soggettivo, il che avrebbe giustificato una pronuncia assolutoria nel merito.
Nello stesso motivo si censura la sentenza per aver riconosciuto la
qualifica di pubblico ufficiale a Sacco Proila, ma sul punto sì rinvia a quanto si
è osservato in precedenza.
Con le altre questioni dedotte nel medesimo motivo si fa valere il vizio di
motivazione che, come si è visto, non è rilevabile in sede di legittimità in
presenza di una causa di estinzione del reato, nella specie prescrizione (cfr.,
Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del
19/03/2009, Staffini, Rv. 244001).
8.2. Infondato è il secondo motivo, in quanto dalla sentenza risulta che il
pagamento delle tangenti si è protratto fino al 3 agosto 2004, sicché deve
escludersi che la causa estintiva della prescrizione si sia verificata prima della
sentenza del Tribunale.

40

21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del 19/03/2009, Staffini,

8.3. Con riferimento al motivo con cui si assume la violazione degli artt.
521 e 522 cod. proc. pen., valgono le considerazioni svolte in relazione al
ricorso proposto da Bruni. Anche in questo caso deve escludersi che vi è stata
una mancata correlazione tra contestazione e sentenza. Non risulta alcuna
trasformazione radicale degli elementi essenziali della fattispecie, che abbia
impedito di rinvenire un nucleo identificativo della condotta contestata. Gli

contestazione lasciano immutato il nucleo dell’accusa e sono il frutto dello
sviluppo istruttorio sulla base dell’iniziale contestazione, tutti elementi rispetto
ai quali gli imputati si sono difesi.
8.4. E’, invece fondato, il quarto motivo.
Come si è già detto, la Corte d’appello ha correttamente e motivatamente
escluso che, in presenza della causa estintiva del reato costituita
dall’intervenuta prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneità
dell’imputato rispetto ai fatti contestati, ma si è limitata a tali affermazioni,
mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., procedere
all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello per accertare la
responsabilità ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza
concernenti gli interessi civili, dal momento che entrambi gli imputati sono
stati condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
I giudici hanno fermato l’accertamento alla verifica dell’insussistenza
della prova evidente dell’estraneità dell’imputato rispetto ai fatti contestati,
omettendo di procedere all’analisi dei motivi in relazione agli interessi civili,
come impone il citato art. 578 cod. proc. pen., sicché la conferma della
condanna al risarcimento dei danni risulta priva della necessaria motivazione.

9. Ansaldo Energia s.p.a.
9.1. Devono ritenersi manifestamente infondati il primo e il settimo
motivo.
Con il primo la ricorrente censura la sentenza in ordine all’attendibilità
delle dichiarazioni accusatorie di Marzocchi, che la Corte d’appello ha ritenuto
pienamente credibile, anche sulla base dei riscontri che le sue dichiarazioni
hanno ottenuto nei tabulati in cui sono stati annotati e contabilizzati i
pagamenti illeciti, negli appunti manoscritti, nei fax attraverso cui comunicava
le informazioni agli intermediari e nei conti correnti. Conseguentemente, deve

41

elementi indicati dai ricorrenti e ritenuti differenti rispetto all’iniziale

escludersi il vizio di motivazione denunciato e l’erronea applicazione dell’art.
192, comma 3, cod. proc. pen., dal momento che vi è stata la puntuale
ricerca dei riscontri.
9.2. Con l’altro motivo si chiede di sollevare la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 22 d.lgs. 231 del 2001 per asserito contrasto con gli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost.

secondo le prospettazioni difensive, nella sostanziale irragionevolezza della
disciplina della prescrizione per gli illeciti commessi dall’ente-imputato,
rispetto al regime che lo stesso istituto prevede per gli imputati persone
fisiche, nel senso che non si ravvisa alcuna plausibile ragione che giustifichi
una diversità di trattamento tra persone giuridiche e persone fisiche, dal
momento che identica è la ragione che legittima la prescrizione in entrambi i
casi: il venir meno dell’interesse alla punizione per il decorso del tempo.
La questione appare manifestamente infondata.
In sostanza, secondo la difesa, nella materia della responsabilità
amministrativa degli enti la disciplina della prescrizione dovrebbe essere
regolamentata in termini analoghi, se non identici, a quella prevista dal codice
penale per gli imputati persone fisiche, in quanto comune ai due illeciti
sarebbero la connotazione e la ratio dell’istituto della prescrizione.
Questo ragionamento non considera che la responsabilità dell’ente si
fonda su un illecito amministrativo e la circostanza che tale illecito venga
accertato nel processo penale, spesso unitamente all’accertamento del reato
posto in essere dalla persona fisica, non determina alcun mutamento della sua
natura: il sistema di responsabilità ex delicto di cui al d.lgs. 231 è stato
qualificato come

tertium genus

(Sez. U, n. 38343 del 18/09/2014,

TyssenKrupp s.p.a), sicché non può essere ricondotto integralmente
nell’ambito e nelle categorie dell’illecito penale. Pertanto, se i due illeciti
hanno natura differente, allora può giustificarsi un regime derogatorio e
differenziato con riferimento alla prescrizione.
Né, d’altra parte, può ritenersi che il richiamo contenuto nell’art. 35 d.lgs.
231/2001 alle disposizioni relative all’imputato abbia come effetto una
parificazione totale dell’ente alla persona fisica, con conseguente necessità di
una uniformità dei vari istituti: l’estensione alla disciplina relativa all’imputato
riguarda prevalentemente le norme processuali e, inoltre, la disposizione

42

La presunta incompatibilità con le norme costituzionali consisterebbe,

contiene una clausola di compatibilità significativa, perché sottolinea il
riconoscimento di una oggettiva impossibilità di una completa parificazione,
tanto è vero che numerose sono le deroghe previste nel modello di
responsabilità delle persone giuridiche.
Invero, l’art. 22 d.lgs. 231/2001 ha puntualmente attuato i principi di
delega contenuti nella legge 29 settembre 2000, n. 300, che, all’art. 11, lett.

essere regolata dalle norme del codice civile, disposizione che replicava, con
altrettanta puntualità, il contenuto dell’art. 28 legge 24 novembre 1981, n.
689, che proprio in materia di illecito amministrativo richiama la disciplina
della prescrizione del codice civile.
E’ evidente che in questa materia il legislatore ha attuato una
differenziazione del regime di prescrizione avendo ben presente le ragioni,
consistenti nella diversità tra illecito amministrativo, fondante la responsabilità
delle persone giuridiche, e reato e, conseguentemente, adeguando la
disciplina della prescrizione riferita all’ente al regime già previsto dalla legge
generale sulla depenalizzazione del 1981 per l’illecito punitivo amministrativo.
Non vi è spazio per ritenere l’esistenza di un trattamento differenziato
irragionevole, come assume la difesa.
D’altra parte, deve escludersi che la disciplina prevista dall’art. 22 cit. sia
confliggente con il principio costituzionale della ragionevole durata del
processo (art. 111, secondo comma, Cost.), anche inteso come diritto ad
essere giudicato senza ritardo, con riferimento all’art. 24 Cost. e all’accezione
del canone di ragionevole durata in termini di garanzia soggettiva.
Il riferimento alla durata ragionevole del processo, inserito nella
Costituzione con la riforma del 1999 (legge cost. n. 2 del 1999), sviluppa
principi già contenuti nell’art. 6 CEDU e nell’art. 14 del Patto internazionale
per i diritti civili – che però sottolineano, prevalentemente, il diritto della
persona ad essere giudicata in tempi ragionevoli -, ma accentua il profilo,
eminentemente oggettivo, di garanzia della giurisdizione. In altri termini, l’art.
111, secondo comma, Cost. esprime un principio rivolto soprattutto al
legislatore, perché predisponga gli strumenti normativi in grado di contenere i
tempi del processo e di assicurare una giustizia efficiente. Tuttavia, la
ragionevole durata cui si riferisce il principio costituzionale non deve essere
intesa come semplice speditezza in funzione di un’efficienza tout court, ma

\

43

r), prevedeva espressamente che l’interruzione della prescrizione dovesse

piuttosto come razionale contemperamento dell’efficienza con le garanzie, la
cui concreta attuazione è rimessa alle opzioni del legislatore.
Ciò premesso, non può certo affermarsi che la prescrizione, così come
disciplinata nell’art. 22 d.lgs. 231 del 2001, sia in contrasto con il principio
dell’art. 111, secondo comma, Cost.: in questo caso il legislatore ha, da un
lato, introdotto un termine di prescrizione oggettivamente breve, pari a soli

contenere la durata della prescrizione e di non lasciare uno spazio temporale
eccessivamente ampio per l’accertamento dell’illecito nel corso delle indagini,
anche per favorire le esigenze di certezza di cui necessita l’attività delle
imprese, dall’altro, ha previsto un regime degli effetti interruttivi che replica la
disciplina civilistica, stabilendo che, una volta contestato l’illecito
amministrativo, “la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in
giudicato la sentenza che definisce il giudizio”. Così il legislatore ha realizzato
un bilanciamento tra le esigenze di durata ragionevole del processo,
soprattutto nel prevedere un termine breve di prescrizione, e le esigenze di
garanzia, corrispondenti nella specie al valore della completezza
dell’accertamento giurisdizionale riferito ad una fattispecie complessa come
quella relativa all’illecito amministrativo dell’ente. L’effetto di un tale
bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione
una volta che, esercitata l’azione penale, si instauri il giudizio, con il
contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione,
fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente più breve
rispetto a quanto previsto dal codice penale. Una volta contestato l’illecito nel
termine di cinque anni risulta difficile che si verifichi la prescrizione nel corso
del giudizio, a differenza di quanto accade per i reati, ma ciò avviene sulla
base di una scelta del legislatore che vuole evitare che, in presenza
dell’interesse dell’autorità procedente a far valere la potestà punitiva dello
Stato, manifestata attraverso l’esercizio dell’azione penale, si corra il rischio di
dover dichiarare l’estinzione dell’illecito per il sopraggiungere della
prescrizione.
Infine, deve sottolinearsi come, proprio per ridurre gli effetti di una
disciplina rigorosa, l’art. 60 d.lgs. 231/2001 dispone che non può procedersi
alla contestazione dell’illecito amministrativo nel caso in cui il reato
presupposto è estinto per prescrizione. Ne consegue che, una volta

44

cinque anni dalla consumazione dell’illecito, nella dichiarata intenzione di

verificatasi la prescrizione del reato presupposto senza che sia stato
contestato l’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 59 d.lgs. cit., decade la
potestà sanzionatoria a carico dell’ente: all’atto della contestazione non viene
più riconosciuta attitudine interruttiva della prescrizione. Un ulteriore
contrappeso previsto dal legislatore.
9.3. Sono invece fondati i rimanenti motivi, che possono essere esaminati

La sentenza motiva ampiamente sui rapporti intercorsi tra Marzocchi e
Testa, dirigente e responsabile della pianificazione dell’Ansaldo s.p.a.,
spiegando che tra i due erano in corso accordi per favorire la società; viene
anche precisato che l’oggetto dell’accordo corruttivo avrebbe riguardato un
dato tecnico fornito dal Marzocchi sul “rendimento di funzionamento delle
altre macchine”, utile per l’offerta in vista della gara, ma non si chiarisce
l’epoca di questo accordo e i soggetti coinvolti. Dalla lettura di un altro
passaggio della motivazione, sembrerebbe che tali accordi risalissero ad un
periodo in cui non era ancora in vigore la disciplina di cui al d.lgs. 231/2001,
tanto è vero che si dice che quando Testa lasciò la società, nel luglio 2001,
“altri hanno fatto fronte attraverso l’intermediazione della ditta Bonomelli, agli
impegni a suo tempo assunti con Marzocchi”.
Sul punto la sentenza appare contraddittoria, anzi priva di motivazione.
Infatti, se Testa lasciò l’Ansaldo nel luglio 2001, la sentenza avrebbe
dovuto spiegare chi trattò per la società ovvero chi portò a termine gli accordi
precedentemente intavolati da Testa con Marzocchi, anche a voler ritenere
dimostrata l’esistenza di un sistema talmente sperimentato da realizzare
forme di corruzione in prevenzione, che cioè partivano “da lontano”,
trattandosi di “accordi che si facevano per promuovere delle iniziative a favore
di società prima ancora che venissero fatti gli appalti”.

Dalla motivazione

emerge una ricostruzione dei fatti in cui l’accordo tra Testa e Marzocchi
avrebbe non solo una valenza preparatoria, ma sarebbe stato stipulato in
epoca precedente all’entrata in vigore della disciplina sulla responsabilità degli
enti, mentre la conclusione dell’accordo e il conseguente pagamento
sarebbero avvenuti nella vigenza del d.lgs. 231 (marzo 2003), ma i giudici di
appello non forniscono elementi per risalire alla persona fisica che ha definito
la trattativa con Marzocchi per conto della società Ansaldo e nell’interesse di
questa, sicché difetterebbe uno degli elementi fondamentali della fattispecie

\\

45

congiuntamente.

complessa che può dar luogo alla responsabilità dell’ente nel sistema del
d.lgs. 231/2001.
Infatti, la responsabilità dell’ente si ricollega alla commissione di uno dei
reati presupposto previsti dal d.lgs. 231/2001 che sia stato commesso, nel
suo interesse o a suo vantaggio, dai soggetti indicati nell’art. 5, comma 1,
lett. a) e b), d.lgs. cit., cioè da soggetti che hanno funzioni apicali, di

l’appartenenza dell’autore del reato alla prima o alla seconda categoria
determina, come è noto, un differente meccanismo di responsabilità, che
comporta diverse applicazioni anche dal punto di vista probatorio.
Né può ritenersi che nel caso in esame possa soccorrere la previsione
contenuta nell’art. 8 d.lgs. 231/2001 sull’autonomia della responsabilità
dell’ente.
Secondo questo principio l’ente è chiamato a rispondere dell’illecito anche
quando l’autore del reato presupposto non è stato identificato. Invero, tra le
ragioni all’origine dell’introduzione di forme di responsabilità diretta dell’ente
c’è proprio quella di ovviare alle difficoltà di procedere all’individuazione
dell’autore del reato nelle organizzazioni a struttura complessa, in cui più
evidente appare il limite di un sistema che punti esclusivamente
sull’accertamento della colpa della persona fisica: in questo modo il fattore
umano non viene escluso dal tipo di responsabilità, ma si prende atto che la
prevenzione del rischio-reato non è soltanto un problema di persone, ma
soprattutto di organizzazione.
In base al principio di autonomia della responsabilità dell’ente, la
mancata identificazione dell’autore del reato non impedisce la prosecuzione
del procedimento nei confronti della società indagata nel cui interesse o
vantaggio il reato è stato commesso, invertendo così gli scontati epiloghi che
hanno caratterizzato molti processi riguardanti i reati commessi dall’interno
dell’impresa. In questo senso deve ritenersi che la previsione dell’autonomia
della responsabilità dell’ente costituisce uno sviluppo “normale” una volta
superato il principio societas delinquere non potest, in ogni caso non impedito
dai criteri posti dalla legge delega. Anzi va sottolineato come il caso della
mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è un
“fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa” ed è una delle
ipotesi che più giustifica l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti. Si è

46

rappresentanza, di amministrazione o di direzione, ovvero da dipendenti e

detto, infatti, che “la sua omessa disciplina si sarebbe tradotta in una grave
lacuna legislativa”, in grado di indebolire l’intera ratio del d.lgs. 231/2001.
Il citato art. 8 contempla i casi dell’autore del reato che non sia stato
identificato (o non sia imputabile) e dell’estinzione del reato (ad esempio per
intervenuta prescrizione), prevedendo in entrambe le ipotesi che l’ente
risponda del reato.

una totale autonomia, in quanto sebbene non possa parlarsi di una vera e
propria responsabilità “di rimbalzo” rispetto a quella della persona fisica, deve
riconoscersi che a questa resta fortemente appoggiata, nel senso che non può
prescindersi dall’esistenza di un reato commesso da una persona fisica. La
responsabilità dell’ente è autonoma da quella della persona fisica, ma non
dalla obiettiva realizzazione di un reato.
Il principio dell’autonomia della responsabilità non mette in discussione il
legame tra il reato presupposto e l’ente, anche se è evidente che il mancato
aggancio della responsabilità alla identificazione dell’autore del reato provoca
conseguenze sul piano operativo, ma non mette in crisi il meccanismo
imputativo della responsabilità previsto dal d.lgs. n. 231/2001.
Si è sostenuto, ad esempio, che la mancata individuazione dell’autore
precluderebbe l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, in modo tale
che difetterebbe lo stesso presupposto della responsabilità della persona
giuridica. Certo, nelle ipotesi prese in considerazione dall’art. 8 cit.,
soprattutto con riferimento al caso della mancata identificazione della persona
fisica, può venire a mancare uno degli elementi del reato, cioè la colpevolezza
del soggetto agente, ma quando si parla di autonomia ciò che deve precedere,
in via pregiudiziale, l’accertamento della responsabilità dell’ente è sì il reato,
ma inteso come tipicità del fatto, accompagnato dalla sua antigiuridicità
oggettiva, con esclusione della sua dimensione psicologica. Del resto, anche in
altri ambiti il riferimento al reato viene interpretato in termini di sufficienza
della tipicità del fatto caratterizzata dall’antigiuridicità obiettiva, senza esigere
la colpevolezza.
Questo attiene alla configurabilità del reato presupposto, ma non alla
fattispecie complessa che determina la responsabilità dell’ente, nel senso che
deve comunque essere individuabile a quale categoria appartenga l’autore del
reato non identificato, se cioè si tratti di un soggetto c.d. apicale ovvero di un

47

Tuttavia, la scelta operata dal legislatore del 2001 non è stata a favore di

dipendente, con conseguente applicazione dei diversi criteri di imputazione e
del relativo regime probatorio; allo stesso modo dovrà essere possibile
escludere che il soggetto agente abbia agito nel suo esclusivo interesse,
dovendo quindi risultare che il reato sia stato posto in essere nell’interesse o a
vantaggio dell’ente.
E’ evidente come, nelle ipotesi di responsabilità ex art. 8 d.lgs. 231/2001,

dell’autore «ignoto» del reato, con tutto ciò che ne consegue, ma si tratta di
un problema che deve essere risolto sul piano probatorio. Solo quando il
giudice è in grado di risalire, anche a livello indiziario, ad una delle due
tipologie cui si riferiscono gli artt. 6 e 7 d.lgs. cit., potrà pervenire ad una
decisione di affermazione della responsabilità dell’ente, anche in mancanza
dell’identificazione della persona fisica responsabile del reato, ricorrendo,
ovviamente, gli altri presupposti.
Su questi aspetti la sentenza impugnata non ha offerto alcuna
motivazione, rifugiandosi in affermazioni apodittiche circa la sicura
responsabilità della società Ansaldo, laddove avrebbe dovuto fornire una
spiegazione specifica in ordine agli elementi probatori idonei a dimostrare la
responsabilità della società in base al d.lgs. 231/2001.
Su tali punti la sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.

10. Impresa Bottoli Arturo s.p.a.
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
10.1. Preliminarmente, per quanto riguarda l’eccezione di incompetenza
territoriale, dedotta con il primo motivo, si rinvia a quanto osservato
nell’esaminare l’identico motivo contenuto nei ricorsi di Giuseppe e Alberto
Bottoli, di cui è stata ritenuta l’infondatezza (v. §. 4.2.).
10.2. Del tutto infondato è il secondo motivo, con cui si assume
l’indeterminatezza e la genericità della contestazione dell’illecito all’ente. Sulla
questione ha già offerto risposte esaurienti la Corte d’appello, tra l’altro
rilevando come la nullità derivante dalla denunciata indeterminatezza, avente
natura relativa, non risulta sia stata eccepita in primo grado.
In ogni caso, deve ribadirsi il consolidato orientamento secondo cui il
capo di imputazione è nullo per incertezza assoluta del fatto solo se l’imputato

48

si pone il problema della individuazione della categoria di appartenenza

non sia messo in grado di intendere i termini concreti dell’accusa e di
predisporre una difesa adeguata. Nella specie, si concorda con quanto
evidenziato dal giudice di secondo grado: deve escludersi, infatti, ogni ipotesi
di indeterminatezza della contestazione, dal momento che l’illecito è risultato
individuato nei tratti significativi, tanto da consentire una adeguata difesa,
anche in relazione alla posizione rivestita da Marzocchi e alla sua condotta.

dedotto nel ricorso della Ansaldo s.p.a. e ritenuto infondato (v. §. 9.1).
10.4. Il quinto motivo è da ritenere generico, in quanto si deduce
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Cartei senza evidenziarne la rilevanza in
ordine alla ritenuta responsabilità della società. Peraltro, nel confermare la
responsabilità della società ricorrente, la Corte d’appello non si sofferma
affatto su tali dichiarazioni.
10.5. L’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata con il sesto
motivo è da ritenere manifestamente infondata alla luce della sentenza n.
38343 del 24/04/2014, Tyssen Krupp, Rv. 261112, delle Sezioni unite di
questa Corte, che ha riconosciuto la compatibilità del d.lgs. 231 del 2001 con
i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza,
chiarendo che grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza
dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti
liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della
commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi. In questo modo, è stata
esclusa ogni ipotesi di responsabilità oggettiva per l’ente, sicché risulta
infondato l’assunto della difesa, volto a far valere la violazione dei criteri di
delega contenuti nella legge n. 300 del 2000, sul presupposto, erroneo, che il
sistema preveda una responsabilità oggettiva.
10.6. Sul settimo motivo si rinvia a quanto già detto in precedenza sulla
qualifica soggettiva di Marzocchi.
10.7. Infondato è il nono motivo. La sentenza impugnata ha
correttamente escluso la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., ritenendo
che l’aver qualificato il Marzocchi quale funzionario di fatto nonostante la
contestazione lo considerasse un project manager non abbia leso il principio di
correlazione tra accusa e sentenza, in quanto non risulta modificata la
struttura dell’imputazione in relazione alla condotta, al nesso causale e

49

10.3. Con riferimento al quarto motivo, si rinvia al medesimo motivo

all’elemento soggettivo, sottolineando inoltre come la difesa abbia potuto
utilmente essere esercitata.
10.8. L’undicesimo motivo è manifestamente infondato. Si rileva che il
motivo dedotto si basa su un presupposto erroneo, in quanto censura l’istituto
della sospensione della prescrizione, laddove il meccanismo previsto dall’art.
22 d.lgs. 231/2001 agisce esclusivamente sugli atti interruttivi. Per il resto si

Ansaldo s.p.a. In ogni caso, si deve escludere che l’illecito amministrativo sia
prescritto.
10.9. E’ invece fondato il terzo motivo.
Sulla responsabilità della Impresa Bottoli Arturo s.p.a. la motivazione è
mancante, in quanto la Corte territoriale si limita a richiamare il reato
presupposto dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, facendo appello
all’art. 8 d.lgs. 231/2001, che prevede che la società risponda dell’illecito
amministrativo anche nel caso in cui il reato sia estinto per una causa diversa
dall’amnistia.
Invero, richiamando quanto già si è detto a proposito dell’autonomia della
responsabilità dell’ente

ex

art. 8 d.lgs. 231/2001 (§. 9.3.), occorre

sottolineare come l’avvenuta prescrizione del reato presupposto, ascritto alla
persona fisica, non determina automaticamente la responsabilità della
persona giuridica, nel senso che il giudice deve comunque accertare la
sussistenza della complessa fattispecie che può portare alla responsabilità
dell’ente. E’ evidente che deve essere oggetto di verifica l’interesse o il
vantaggio tratto dalla società per effetto del reato posto in essere da uno dei
soggetti indicati nell’art. 5 d.lgs. cit.; che deve negarsi la responsabilità nel
caso in cui risulta che l’autore del reato abbia agito nel suo esclusivo
interesse; che deve essere accertata la sussistenza dei criteri di imputazione
soggettiva previsti dagli artt. 6 o 7 d.lgs. cit., anche con riferimento
all’eventuale adozione dei modelli organizzativi, formulando le necessarie
valutazione sulla idoneità degli stessi. Ma allo stesso modo, è richiesto che il
giudice accerti la sussistenza del reato presupposto, anche se debba
dichiararne l’estinzione per sopravvenuta prescrizione. In particolare, ai fini
della pronuncia sulla responsabilità dell’ente, non è sufficiente, in presenza di
un reato prescritto, verificare se esista o meno la prova evidente
dell’innocenza dell’imputato, secondo il criterio probatorio richiesto dall’art.

50

richiamano le argomentazioni evidenziate nell’esaminare il ricorso della

129, comma 2, cod. proc. pen., criterio che vale per la persona fisica, autore
del reato, ma non può essere utilizzato anche per la persona giuridica. Questa
ha diritto ad un accertamento pieno e completo circa l’esistenza del reato
presupposto, non essendo sufficiente il profilo “basso” della non evidenza di
innocenza della persona fisica. D’altra parte, questa stessa Sezione ha avuto
già modo di affermare che, in presenza di una declaratoria di prescrizione del

n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della
responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e a cui
vantaggio l’illecito fu commesso, accertamento che ovviamente non può
prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del
fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla, Rv. 255369).
Nel caso in esame, come correttamente evidenziato dalla difesa, la Corte
d’appello non è scesa nell’analisi autonoma di tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie dell’illecito amministrativo, ma ha adottato per la persona giuridica
lo stesso metro valutativo utilizzato per le persone fisiche, pervenendo cioè
alla conferma della responsabilità della società ricorrente sulla base della non
evidenza dell’innocenza degli autori del reato presupposto, di cui ha dichiarato
la prescrizione. In questo modo, il giudizio sulla responsabilità della società
non è stato né completo né autonomo rispetto a quello delle persone fisiche,
per le quali era giustificato l’utilizzo del parametro previsto dall’art. 129,
comma 2, cod. proc. pen.
Sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio.
10.10 I residui motivi (decimo, dodicesimo e tredicesimo) sono, allo
stato, assorbiti.

11. Fagioli s.p.a.
11.1. Con riferimento alle doglianze sulla qualifica soggettiva attribuita a
Marzocchi, si rinvia a quanto detto in precedenza sulla questione.
11.2. E’ fondato il motivo con cui si censura la sentenza impugnata per
non aver motivato in ordine alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio che
il reato presupposto ha prodotto alla società ricorrente.
Sul punto la motivazione appare perplessa, nel senso che in alcuni
passaggi sembra riconoscere l’esistenza di “qualche vantaggio”, ma non viene
mai indicato in cosa esso sia consistito: la sentenza richiama l’interesse della

51

reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b), d.lgs.

Fagioli s.p.a a “restare nel giro del Marzocchi”, ma successivamente sembra
riferirsi alla necessità di “assicurarsi la riconoscenza di Ansaldo”. Si tratta di
una motivazione che non chiarisce il contenuto dell’interesse e che,
prescindendo dall’esistenza di una rilevanza economica dello stesso, lascia il
dubbio che ad avvantaggiarsi possa essere stato esclusivamente l’autore del
reato e, inoltre, che si sia trattato di mere aspettative future, relative ai

L’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione sono dovute, anche
in questo caso, alla circostanza che la Corte d’appello si è basata
sull’accertamento del reato presupposto, utilizzando i criteri di cui all’art. 129,
comma 2, cod. proc. pen., avendo dichiarato l’estinzione del reato per
sopraggiunta prescrizione, senza procedere ad una piena verifica della
responsabilità dell’ente.
11.3. Gli altri motivi sono, allo stato, assorbiti, compreso quello
riguardante la quantificazione del profitto confiscato.

12. Pietro Fiorentini s.p.a.
12.1. Per quanto riguarda le contestazioni relative alla qualifica e al ruolo
di Marzocchi, si rinvia a quanto sopra sostenuto.
12.2. Deve essere respinto il secondo motivo perché infondato.
Non ricorre la dedotta contraddizione della motivazione della sentenza, in
quanto l’avvenuta prescrizione dell’illecito amministrativo viene esclusa
facendo riferimento alle date delle effettive dazioni di denaro per i reati
contestati ai capi 1.3 e 1.4, mentre la soluzione che i giudici individuano in
relazione alla questione della competenza territoriale riguarda un altro capo di
imputazione, in cui, nella ricostruzione offerta dalla sentenza, la
consumazione di quello specifico episodio di corruzione si è verificata al
momento dell’accordo.
12.3. E’ invece fondato il primo motivo, limitatamente alle considerazioni
con cui si evidenzia la carenza di motivazione sulla sussistenza degli elementi
integrativi dell’illecito amministrativo contestato alla Pietro Fiorentini s.p.a.,
con particolare riferimento ai reati presupposto che, una volta ritenuti
prescritti, sono stati accertati in base allo stesso criterio utilizzato per
l’affermazione della responsabilità delle persone fisiche.

52

rapporti con società con cui si voleva continuare ad avere rapporti di affari.

>

12.4. Resta, allo stato, assorbito, l’altro motivo riguardante la
quantificazione del profitto oggetto di confisca.

13. Sitie Impianti Industriali s.p.a.
13.1. Il primo motivo è fondato.
La sentenza ha omesso la motivazione in ordine alla sussistenza dei reati
presupposto, con specifico riguardo al reato contestato al capo L13, attribuito
a Mauro Barzetti, rappresentante legale della società, di cui è stata dichiarata
la morte. Ebbene, l’avvenuto decesso dell’autore del reato presupposto ha
impegnato la Corte d’appello in una motivazione diretta a giustificare la
possibilità che la società potesse essere chiamata ugualmente a rispondere
dell’illecito ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 231/2001, ma che ha trascurato di
accertare la complessa fattispecie che integra l’illecito amministrativo,
omettendo non solo di verificare la sussistenza dei reati presupposto, ma
anche gli altri elementi che possono condurre ad affermare la responsabilità
dell’ente.
13.2. Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo, entrambi attinenti
alla qualifica di Marzocchi e al suo ruolo, si rinvia alle considerazioni già
svolte.
13.3. I rimanenti motivi devono ritenersi, allo stato assorbiti,
dall’accoglimento parziale del ricorso.

14. Igeco Costruzioni s.p.a.
14.1. Il primo motivo è fondato per le stesse ragioni già espresse
esaminando il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse della Impresa
Bottoli Arturo s.p.a., a cui si rinvia (v. §. 10.9). Ne consegue che il giudice del
rinvio dovrà procedere ad un pieno accertamento degli elementi costituenti
l’illecito amministrativo contestato.
14.2. Devono, invece, essere rigettati i motivi riguardanti la qualifica
soggettiva di Sacco Proila, rinviando alle considerazioni già svolte sul punto.
14.3. Il secondo motivo deve intendersi, allo stato, assorbito. Lo stesso
vale per il terzo motivo.

53

4

15. Bonna Sabla.
15.1. Deve riconoscersi la fondatezza del primo motivo, per le stesse
ragioni già espresse esaminando il terzo motivo del ricorso proposto
nell’interesse della Impresa Bottoli Arturo s.p.a., a cui si rinvia (v. §. 10.9.).
Ne consegue che il giudice del rinvio dovrà procedere ad un pieno
accertamento degli elementi costituenti l’illecito amministrativo contestato.

qualifica soggettiva di Sacco Proila, rinviando alle considerazioni già svolte sul
punto.
I residui motivi devono ritenersi, allo stato, assorbiti.

16. In conclusione.
L’inammissibilità del ricorso di Giampiero Colnaghi determina la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro
in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro
300,00.
Al rigetto dei ricorsi proposti da Gianluigi Gatti e Cristiano Nardi,
consegue la condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
L’accoglimento dei ricorsi proposti da Marcello Bonomelli, Alberto Bottoli,
Giuseppe Bottoli, Antonio Bruni, Cinzia Ricchiuto, Tommaso Ricchiuto e Enzo
Elegar Scappini, limitatamente alle sole statuizioni civili, comporta
l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della
Corte d’appello di Milano, perché, attraverso l’esame dei motivi proposti in
appello dagli imputati, accerti la responsabilità degli stessi ai fini della
conferma delle statuizioni civili di primo grado, rimediando alla rilevata
omessa motivazione.
In questo caso, sebbene l’annullamento sia limitato alle sole statuizioni
civili, il rinvio non deve essere disposto al giudice civile competente per valore
in grado di appello, ma alla Corte d’appello penale: infatti, l’art. 622 cod.
proc. pen., nel disciplinare l’annullamento delle sentenze ai soli effetti civili,
prevede il rinvio al giudice civile solo nel caso in cui siano state annullate le
disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile (oltre l’ipotesi, estranea alla
presente fattispecie, dell’accoglimento del ricorso della parte civile contro la
sentenza di proscioglimento dell’imputato). Nella specie, l’annullamento della
sentenza non ha riguardato esclusivamente le disposizioni civili relative agli

54

15.2. Deve, invece, essere rigettato il secondo motivo riguardante la

4′

imputati persone fisiche, ma ha avuto ad oggetto anche le posizioni delle
persone giuridiche con una serie di annullamenti relativi a questioni attinenti
ai profili di responsabilità in ordine agli illeciti amministrativi contestati. Del
resto, non avrebbe avuto senso, soprattutto alla luce del principio della
ragionevole durata, che il simultaneus pocessus, che ha visto l’accertamento
unitario delle responsabilità delle persone fisiche e di quelle giuridiche, si

in considerazione del fatto che l’art. 71 del d.lgs. 231 del 2001 disciplina un
sistema delle impugnazioni per l’ente in base ad una piena equiparazione
all’imputato, soprattutto quando siano applicate, come nel caso in esame,
sanzioni diverse da quelle interdittive.
Pertanto, il rinvio deve essere disposto, sia per le persone fisiche che per
le persone giuridiche, davanti al giudice penale, davanti ad un’altra sezione
della Corte d’appello di Milano.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Bonomelli Marcello, Bottoli
Alberto, Bottoli Giuseppe, Bruni Antonio, Ricchiuto Cinzia, Ricchiuto Tommaso
e Scappini Enzo Elegar, limitatamente alle statuizioni civili, nonché nei
confronti di Ansaldo Energia s.p.a., Bonna Sablà, Fagioli s.p.a., Igeco
Costruzioni s.p.a., Impresa Bottoli Arturo s.p.a., Pietro Fiorentini s.p.a, Sitie
Impianti Industriali s.p.a. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte d’appello di Milano.
Dichiara inammissibile il ricorso di Colnaghi Giampiero, che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 300,00 alla cassa
delle ammende.
Rigetta i ricorsi di Gatti Gianluigi e Nardi Cristiano, che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 novembre 2015
Il Consigli re estensore

ente

dovesse scindere in due distinti procedimenti davanti a diversi giudici, anche

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