Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28295 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28295 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VARCHETTA GIOVANNI, nato a Napoli il 23/10/1956
avverso la sentenza n. 42296/2014 emessa CORTE DI CASSAZIONE
1’11/03/2015

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. AURELIO GALASSO
che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
sentiti i difensori avv. ANDREA DI PORTO del Foro di Roma e avv. ENRICA
SASSI del Foro di Reggio Emilia che ha chiesto raccoglimento del ricorso,

Data Udienza: 30/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 31/1/13 il GUP presso il Tribunale di Reggio Emilia, all’esito di
giudizio abbreviato, dichiarava Varchetta Giovanni colpevole dei reati a lui ascritti, con alcune
limitate esclusioni oggettive quanto ai fatti di cui al capo B) e con declaratoria di estinzione per
prescrizione di alcuni del reati di truffa sub B) e del reato dì falso sub C) e lo condannava alla
pena di anni quattro di reclusione, previa concessione della attenuante del risarcimento del
danno, equivalente alle aggravanti, con interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

per avere trattenuto per sé somme ricevute dai clienti per il versamento dell’imposta di
registro inerente atti di compravendita immobiliare da lui rogati in qualità di notaio; capo B)
truffa aggravata continuata (188 ipotesi) per avere richiesto ai clienti e da loro ottenuto, a
titolo di anticipazione degli oneri dì imposta su di lui solidalmente gravanti, somme superiori a
quelle da versare e concretamente versate a quel titolo, che gli si contestava di avere poi
trattenuto per sè senza renderne conto ai clienti stessi; capo C) alterazione di un atto di
compravendita immobiliare sul quale gli si contestava di aver cancellato, dopo la formazione, la
cifra 300.000, apponendovi a mano la cifra 200.000, là dove si indicava il prezzo della
compravendita.
Con sentenza in data 12/3/2014 la Corte di Appello di Bologna dichiarava, invece, non
doversi procedere nei confronti del Varchetta in ordine ai reati sub B) commessi fino
all’11/09/2006 per i quali aveva riportato condanna perché estinti per prescrizione.
Conseguentemente, la Corte Territoriale rideterminava la pena inflitta al Varchetta in anni due
e mesi dieci di reclusione, dichiarando detta pena condonata nella misura di anni due e mesi
otto di reclusione, con esclusione della interdizione dai pubblici uffici ex art. 29 c.p., ed
applicazione di quella temporanea per anni uno ex artt. 28 e 31 c.p., e con conferma nel resto
della sentenza di primo grado.
2. I Giudici di merito ritenevano, così, provata la penale responsabilità di Varchetta
Giovanni, rilevando che le indagini e gli accertamenti espletati (corredate dalle acquisizioni
documentali e testimoniali) avevano dimostrato che:
in una serie di casi nei rogiti era stato indicato un determinato prezzo, e la provvista a
pagare l’imposta ad esso relativa era stata anticipatamente versata dai clienti del notaio, ma lo
stesso Varchetta aveva indicato nei moduli 69 un valore inferiore e su questo valore aveva
calcolato la minore imposta versata, trattenendo la differenza;
– in altri 188 casi il notaio aveva versato l’imposta calcolata correttamente sulla base
di un prezzo indicato a rogito, ma aveva fatturato ai clienti – per questo titolo – somme ben
superiori, non versate all’Erario, da lui trattenute.
Nei primi casi i giudici di merito ravvisavano gli estremi del reato di peculato delle somme
dovute all’Erario a titolo di imposta, detenute per questo titolo dal notaio e da lui fatte proprie,
mentre nei secondi si è ritenuta integrata, invece, la truffa ai danni dei clienti, indotti a credere
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Varchetta Giovanni era imputato di: capo A) peculato aggravato e continuato (dodici ipotesi)

che quanto loro richiesto -in più- a titolo di imposta fosse effettivamente dovuto e sarebbe
stato versato, mentre non era dovuto ed era stato fatto proprio dal notaio.
In particolare, il Tribunale prima e la Corte di Appello poi ritenevano accertato che le parti
contraenti non avevano proposto la determinazione del prezzo da inserire in contratto secondo
il criterio presuntivo del c.d. prezzo-valore, ma avevano indicato un valore convenzionale
secondo la loro scelta, con la conseguenza che andava applicato il regime fiscale ordinario e
l’imposta di registro andava commisurata al valore espresso nell’atto di compravendita. Si
riteneva, invece, nelle sentenze di merito che il notaio Varchetta avesse preso l’iniziativa (in

ex post) di determinare (per la prima volta in sede dì autoliquidazione) il valore dell’atto
secondo il criterio del c.d. prezzo-valore. Le somme eccedenti, di pertinenza dell’Erario, erano
poi state indebitamente “trattenute” dal notaio. Nei casi rubricati come truffa aggravata,
invece, al momento della stipula dei contratti le parti avevano optato per il criterio di favore
previsto dalla legge (c.d. prezzo-valore), sicché il notaio aveva proceduto alla autoliquidazione
ed al successivo versamento dell’imposta, che era effettivamente risultata pari a quella dovuta.
Ricostruivano i giudici di merito che in questi casi il notaio aveva però fatto credere o intendere
ai clienti che essi dovevano anticipargli a titolo di imposta una somma maggiore (che non
doveva essere versata, e che era stata incamerata dal notaio). Infine, il reato di falso sub C)
aveva ad oggetto un atto rinvenuto nello studio del notaio che era la copia formale (o forse lo
stesso originale) di quello in possesso delle parti contraenti: solo in questo atto era contenuta
la correzione a penna della cifra, correzione palesemente funzionale a rendere l’atto conforme
(nel quantum) al prezzo dichiarato in sede di autoliquidazione.
3. Avverso la suindicata sentenza del 12/03/14 proponeva ricorso per cassazione
Varchetta Giovanni, tramite il suo legale, chiedendone l’annullamento e questa Corte Suprema
con sentenza dell’11/03/2015 rilevava l’infondatezza di tutti i motivi del ricorso, peraltro
evidenziando come “gran parte delle censure” si riferissero alla valutazione della prova,
riservata ai giudici di merito. La Corte, però, annullava senza rinvio la sentenza impugnata in
relazione ai soli reati di truffa commessi fino al 10/09/2007 perché estinti per prescrizione, e
con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per la rideterminazione della pena,
rigettando nel resto il ricorso.
4. Propone ricorso straordinario per errore di fatto, ex art. 625 bis cod. proc. pen., il
Varchetta, a mezzo del suo difensore, lamentando l’errore percettivo in cui assume essere
incorsa questa Corte. Il ricorrente, invero, individua il fulcro della motivazione della sentenza
impugnata nella disciplina del cd. prezzo-valore, di cui all’art. 1 comma 497 della L.
23/12/2005 n. 266, entrata in vigore, per espressa previsione di legge, il 10 gennaio 2006,
quando erano già stati stipulati nove dei dodici atti oggetto dell’imputazione di peculato,
mentre i restanti tre atti (nn. 4, 7 e 12) erano pacificamente estranei all’ambito di applicazione
della disciplina, in quanto aventi ad oggetto trasferimenti di immobili ad uso abitativo in favore
di persone fisiche. Partendo da questa premessa, pertanto, assume il ricorrente che l’assunto
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autonomia, in divergenza dalla volontà espressa dai clienti in atto e senza neppure informarli

di cui alla pag. 5 della sentenza impugnata, secondo cui “il notaio Varchetta ha approfittato
della situazione determinata dalla entrata in vigore della nuova normativa in materia di
imposta di registro” dimostrerebbe come la stessa sentenza sia frutto di una falsa percezione
delle risultanze processuali dalle quali risulterebbe ictu ocu/i l’esatta collocazione temporale
degli atti incriminati – nonostante il refuso del capo di imputazione dove i fatti di peculato
venivano indicati come commessi “dal 2005 al 2009” – mentre la Corte di Appello aveva
riconosciuto che i fatti in esame sono “tutti commessi fino all’aprile 2006” (pag. 23 della
sentenza di appello). Altrimenti, a dire del ricorrente la sentenza impugnata dovrebbe ritenersi

sentenza della Corte di Appello, atteso anche che sul punto la motivazione di questa Corte
ricalcherebbe testualmente quella della decisione in appello.
Gli stessi rilievi vengono mossi dal ricorrente in relazione alle imputazioni di truffa, atteso
che 129 atti oggetto di tale imputazione sono stati stipulati prima del 10 gennaio 2006 e dei
rimanenti ottanta nessuno aveva ad oggetto trasferimenti di immobili ad uso abitativo ed a
favore di persone fisiche. Anche in relazione a tali imputazioni, pertanto, il Varchetta deduce la
falsa percezione delle risultanze processuali in ordine all’esatta collocazione temporale degli
atti incriminati e della loro vera natura giuridica, oppure l’omesso esame del motivo n. 4 del
ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte di Appello, atteso anche che su
tale punto la motivazione di questa Corte ricalcherebbe testualmente quella della decisione in
appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 625
bis cod. proc. pen., non risultando la sentenza di questa Corte in data 11/03/2015 determinata
da alcun errore percettivo.
Premesso che in tale sentenza non si ravvisa alcun equivoco in ordine alle scansioni
temporali delle modifiche normative in materia di imposta di registro, atteso che la stessa
riferisce espressamente dell’introduzione soltanto con la legge finanziaria 2006 del “nuovo
sistema” che, in deroga alle disposizioni del Testo Unico dell’imposta di registro, consentiva
all’acquirente di calcolare in base al valore catastale, e non al valore venale in comune
commercio, la base imponibile delle cessioni di case e pertinenze in favore di persone fisiche
non titolari di attività commerciali o professionali, deve rilevarsi che il percorso argomentativo
della Corte di Cassazione in tale pronunzia non si fonda tanto sulla data di stipulazione dei
singoli atti né sul regime fiscale in concreto ad essi applicabile, quanto, piuttosto, sulla
ricostruzione della condotta del notaio Varchetta che, in alcuni casi, faceva ricorso al criterio
del cd. prezzo-valore disattendendo di sua iniziativa le indicazioni dei clienti e, senza informare
gli interessati, tratteneva parte delle somme ricevute senza versarla all’erario bensì su propri
conti correnti, con evidente interversio possessionis: conseguentemente, argomentando sulla
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frutto dell’omesso esame del motivo n. 2 del ricorso per cessazione proposto avverso la

qualità di pubblico ufficiale propria del notaio anche in tale attività e sull’appropriazione di
denaro ricevuto per conto della pubblica amministrazione, la Corte ha configurato il reato di
peculato, il tutto senza alcun riferimento, tantomeno frutto di errore percettivo, alla data di
stipulazione dei singoli atti, data che, peraltro, non può nemmeno ritenersi determinante sotto
tale profilo, dal momento che espressamente la Corte ha attribuito tale condotta del notaio ad
un’iniziativa che lo stesso avrebbe preso, per sua ammissione, “in un momento successivo”
alla stipulazione degli atti (cfr. pag. 4 della sentenza), approfittando della nuova normativa in
materia di imposta di registro intervenuta (così pag. 5 della sentenza).

imputazioni di truffa, in relazione alle quali il ricorrente lamenta che 129 atti oggetto di tali
imputazione sarebbero stati stipulati prima del 10 gennaio 2006, nessun elemento consente di
ritenere che la Corte abbia erroneamente percepito che singoli atti siano stati stipulati in data
diversa da quella reale, ed in particolare percependo singoli atti come stipulati
successivamente anziché anteriormente a tale data, tanto più ove si consideri che con
riferimento a tutti i reati di truffa commessi fino al 10 settembre 2007 (e, pertanto, a maggior
ragione con riferimento alle truffe poste in essere con atti stipulati prima del 10 gennaio 2006)
la sentenza di condanna pronunciata dai giudici di merito è stata annullata dalla sentenza di
questa Corte con contestuale declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile
il ricorso, sussistendo profili di colpa, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 2.000 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso nella camera di consiglio del 30 marzo 2016.

Con riferimento, invece, agli analoghi rilievi mossi dal ricorrente in relazione alle

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