Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28284 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28284 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CESARO PAOLO, nato a Napoli il 20/06/1980;
avverso la sentenza n. 8557/2014 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,
del 17/02/2015;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. AURELIO GALASSO,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 30/03/2016

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/2/2015 LA Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza
emessa dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di S. Maria Capua Vetere in data
6/6/2014, con la quale Cesaro Paolo era stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art.
628 cod. pen. e condannato, con la diminuente del rito, alla pena di anni due e mesi otto di
reclusione ed euro 1.400,00 di multa.
Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per il Cesaro personalmente,
lamentando la violazione di legge art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62

attenuanti generiche, e per non essere stata ridimensionata la pena secondo i criteri normativi
previsti dagli artt. 62 bis e 133 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, in quanto si discosta dai parametri dell’impugnazione di
legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen.
Nella sentenza emessa il 6/6/2016 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere, invero, la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti
generiche era stata disattesa con articolata motivazione, fondata da un lato sulla gravità della
condotta criminosa, indicata come ben pianificata e posta in essere “con un modus operandi
evidentemente collaudato” insieme con altra persona ai danni di una persona sola e, dall’altro,
sulla personalità del Cesaro, descritto come persona dotata di spiccata capacità delinquenziale,
che non aveva tenuto nemmeno un comportamento collaborativo.
Nel proporre ricorso in appello avverso tale sentenza, a fronte di così articolata
motivazione, il Cesaro si è limitato ad invocare, sul punto, “la concessione delle circostanze
attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. nella massima estensione”, senza assolvere, però, in
alcun modo l’onere di indicare gli elementi alla base delle sue lagnanze, non consentendo così
al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato: il
motivo di impugnazione sollevato a tal riguardo dinanzi alla Corte dio Appello di Napoli,
pertanto, era assolutamente generico perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581 comma
1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata e
logicamente corretta, non venivano indicati gli elementi posti alla base delle censure formulate
(elementi che, peraltro, non sono stati prospettati nemmeno a questa Corte di Cassazione),
sicché la corte territoriale non era tenuta ad alcuna specifica motivazione sul punto.
E’ principio consolidato, infatti, quello secondo cui il giudice di appello non è tenuto a
motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di
impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla
attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi sia quando si insista per quel

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bis cod. pen. per non essere stata effettuata una valutazione corretta delle circostanze

riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Rv.
262249).
Del pari inammissibile è, poi, la censura del ricorrente secondo cui la Corte di Appello
avrebbe dovuto procedere ad un ridimensionamento della pena inflitta in primo grado, atteso
che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per
le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che
la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132
e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione,

mero arbitrio o di ragionamento illogico (sez. 5 n. 5582 del 30/9/2013, Rv. 259142), ciò che nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla
quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per le circostanze, è
necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla media di quella edittale, potendo
altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo
alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (sez. 2 n. 36245 del 26/6/2009, Rv. 245596),
ed a tali principi risulta essersi attenuta la Corte di merito, nel valutare una pronunzia che
aveva determinato la pena base in misura vicina ai minimi edittali, e comunque di gran lunga
inferiore alla media di quella edittale.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile
il ricorso, sussistendo profili di colpa, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 1.500 in favore
della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso nella camera di consiglio del 30 marzo 2016.

miri ad una nuova valutazione di congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di

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