Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28282 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28282 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

Data Udienza: 22/03/2016

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
PROCURATORE GENERALE DELLA PROCURA GENERALE DI VENEZIA
c/ GUARISE ALESSANDRA, n. a Montagnana il 26/10/1974;
DI NUZZO FABIO, n. il 13/08/1966;
PENDIN FEDERICO, n. Vicenza il 16/02/1972;
RAFFAELLI ALBERTO, n. Rovereto il 25/01/1959
ENTE GIURIDICO INTERPORTO PADOVA SPA
ENTE GIURIDICO LOG SYSTEM scarl
avverso la sentenza n. 467/2015 pronunciata in data 12/2/2015 dalla Corte d’Appello di Venezia in data 22/01/2015, con la quale , in riforma della sentenza del GIP del Tribunale di Padova
in data 05/07/2012 ha assolto tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Diotallevi;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Pietro Gaeta, che ha concluso per
per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
sentito l’avv.to Calderara, in sost. Dell’avv.to Londei per la p.c. Regione Veneto che si è associato alle conclusioni del P.G.;
-p

sentito l’avv.to Baraldo del foro di Padova per LOG SYSTEM s.n.c. , l’avv.to Bisinella del foro di
Padova per ENTE GIURIDICO INTERPORTO PADOVA SPA e l’avv.to Riedi del foro di Roma in difesa di Raffaelli Alberto che rinuncia verbalmente al mandato difensivo; sentiti gli avv.ti Pinelli
Mazzonetto del foro di Padova in difesa di GUARISE ALESSANDRA; DI NUZZO FABIO, PENDIN
FEDERICO, RAFFAELLI ALBERTO che hanno concluso per la declaratoria di inammissibilità del
ricorso del P.G.
RITENUTO IN FATTO

L’ipotesi accusatoria concerne una truffa avente ad oggetto l’indebita percezione di somme derivanti da fondi di investimento europei, che la comunità stanziava per la realizzazione di progetti di sviluppo, cofinanziati altresì a livello statale e regionale. Nel caso di specie, i progetti e
i relativi fondi venivano gestiti dalla Regione Veneto e, in un caso, dalla Regione Puglia, costituitesi entrambe parti civili. Oltre agli imputati, sono state chiamate a rispondere del reato anche le persone giuridiche destinatarie dei contributi, per gli illeciti amministrativi dipendenti da
reato.
Con pronuncia in data 5 luglio 2012, il G.u.p. presso il Tribunale di Padova, all’esito di un giudizio svoltosi nella forma del rito abbreviato, confermava l’impianto accusatorio. In particolare,
il giudice di primo grado applicava la prescrizione ai fatti per i quali erano già maturati i relativi
termini e, per il resto, condannava le persone fisiche per il delitto di cui all’art. 640 bis c.p. e,
per l’effetto, gli enti giuridici in ordine agli illeciti amministrativi dipendenti da reato ex art. 24
D. Lv. 231/2001.
Agli imputati veniva addebitata la mancata inerenza di una parte dei costi sopportati dalla Regione e, in particolare, il fatto di aver presentato a rendiconto anche delle spese non inerenti al
singolo progetto di volta in volta indicato; ciò aveva comportato l’indebita liquidazione, a carico
degli enti pubblici ed a beneficio delle società organizzatrici, di importi superiori a quelli effettivamente spettanti.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza emessa in data 22 gennaio 2015, in riforma della
sentenza di primo grado, assolveva tutti gli imputati dai reati loro ascritti perché il fatto non
sussiste e, conseguentemente, riteneva gli enti giuridici in questione non tenuti a rispondere
degli illeciti amministrativi contestati.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la Procura Generale presso la Corte
d’appello di Venezia.
A sostegno dell’ impugnazione, la Procura generale articolava un unico motivo di ricorso, con il
quale deduceva l’omessa ed erronea applicazione dell’art. 640 bis c.p. e delle conseguenti disposizioni della L. n. 231/2001, nonché la manifesta illogicità della motivazione;
L’Ufficio ricorrente censurava, in particolare, l’assunto, fatto proprio dalla Corte d’appello, in
base al quale se il rendiconto era stato fatto allo stesso modo sia per le somme, in maggioranza, che sono state riconosciute come percepite correttamente, sia per quelle, per una quota
parte minore, percepite indebitamente, allora si sarebbe dovuto concludere che o tutte le
somme sono state percepite indebitamente, o nessuna di esse lo è stata. Sottolineava l’Ufficio
ricorrente che, al contrario, ai fini della configurazione della truffa era sufficiente prendere atto
che talune delle spese rendicontate non erano inerenti al progetto, potendosi semmai discutere
dell’elemento psicologico del reato, non già della sua materialità.
L’Ufficio ricorrente censurava altresì il fatto che con la decisione impugnata fosse stata assolta
un’imputata rea confessa – la Guarise – e fosse stata dichiarata non tenuta a rispondere della
dovuta sanzione amministrativa una società – la INTERPORTO PADOVA – che, nelle more del
giudizio d’appello, aveva rinunciato ai relativi motivi e si era limitata a chiedere una riduzione
della sanzione applicabile.

Guarise Alessandra, Di Nuzzo Fabio, Pendin Federico e Raffaelli Alberto, sono stati tratti a giudizio in ordine al reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex artt.
110, 81, 640 bis c.p, unitamente agli Enti giuridici INTERPORTO PADOVA S.p.a. e LOG SYSTEM
s.c.a.r.I., cui è stato contestato l’illecito amministrativo ex art. 24 D. Lv. 231/2001.

Da ultimo, la Procura Generale lamentava l’omessa valutazione, da parte della Corte d’appello,
di tutte le fonti di prova valorizzate dal primo giudice in relazione alla penale responsabilità degli imputati.
La Procura Generale allegava inoltre al ricorso copia delle “note di replica” depositate
all’udienza del 22 gennaio 2015, nelle quali prospettava la ricostruzione della tesi accusatoria
incentrata, in sintesi, sulla responsabilità degli imputati per aver rendicontato costi non attribuibili al finanziamento pubblico.

Per gli stessi imputati è stata depositata una seconda memoria con la quale è stata reiterata la
richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.G., censurando il criterio di ricostruzione dell’attività di rendicontazione operato dalla Pubblica accusa e sottolineando la linearità e
correttezza motivazionale della sentenza d’appello.
Ha altresì depositato memoria difensiva la difesa della costituita parte civile Regione Veneto. Il
giudice di primo grado aveva infatti condannato gli imputati Guarise, Di Nuzzo e Raffaelli, in
solido tra loro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore della parte civile in questione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e giudizio dalla stessa sostenute. Ha chiesto pertanto l’accoglimento del ricorso proposto dalla Procura Generale di Venezia – condividendone i motivi esposti – e ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Venezia impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
L Osserva la Corte che il ricorso della Procura generale è fondato nei limiti e sensi più
oltre chiariti.
1.1. A tal fine appare utile ripercorrere il percorso motivazionale tracciato dalla Corte
d’appello, in quanto i giudici d’appello, oltre a ritenere maturato il termine massimo di prescrizione, hanno accolto l’impugnazione proposta e dichiarata infondata l’accusa nel merito per i
seguenti motivi:
a) Sulla mancata dimostrazione della falsità della rendicontazione:
Secondo la Corte d’appello l’ipotesi accusatoria, contestata agli imputati, di aver posto in essere una condotta truffaldina, volta alla produzione di una rendicontazione in parte falsa, allo
scopo di percepire indebitamente una parte delle somme erogate, non sarebbe stata adeguatamente dimostrata. In particolare viene censurata la mancata dimostrazione da parte
dell’Ufficio appellante delle discrasie e/o diversità di criteri tra la rendicontazione relativa alle
somme percepite correttamente e la rendicontazione relativa alle somme percepite indebitamente, allo scopo di dimostrare la veridicità di un parte e la falsità dell’altra. Invece, poiché
tutta la rendicontazione risultava effettuata secondo il medesimo criterio, era consequenziale
dedurre che o tutte le somme fossero state correttamente rendicontate o che tutte le somme
fossero state fraudolentemente riscosse.
b) Sull’assenza dell’elemento soggettivo:
L’assunto che i preventivi venissero “gonfiati” sarebbe rimasto indimostrato, in quanto l’accusa non solo non avrebbe provato quale fosse l’ammontare corretto delle singole voci di un preventivo, ma, più in generale, non aveva stabilito in che modo dovesse essere attuata la rendicontazione. Secondo la Corte, essendo la normativa di riferimento molto complessa, era possibile trovare una valida fonte interpretativa della stessa nel “vademecum” del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (del quale si era avvalsa la società DIEFFE s.c.a.r.l. o enti ad
essa collegati); poiché la rendicontazione era stata effettuata secondo i parametri indicati nel
“vademecum”, si sarebbe dovuto dedurre l’assenza dell’elemento soggettivo del reato di truffa,
in quanto sarebbe emersa la coscienza e la volontà degli imputati di agire secondo la legge e
non in difformità della stessa.
c) Sulla conformità alla legge della rendicontazione:
Dal “vademecum”, secondo la Corte d’appello, infatti, emergerebbe come non sarebbe possibile attuare una rendicontazione dettagliata e documentalmente provata di ogni singola spesa,

La difesa di Guarise, Di Nuzzo, Pendin e Raffaelli ha depositato una memoria difensiva, con la
quale ha chiesto il rigetto del ricorso della Procura Generale, in quanto inammissibile e infondato, e la conferma della sentenza della Corte d’appello di Venezia, di cui viene condivisa la ricostruzione prospettata e la motivazione.

2. Ciò premesso la motivazione della Corte d’appello non appare condivisibile a partire
dalle valutazioni in base alle quali, per l’insufficienza degli elementi probatori acquisiti, è stata
esclusa la possibilità di ritenere falsa la documentazione inerente le modalità di rendicontazione attraverso le quali sarebbe stata consumata la truffa.
La Corte supera l’affermazione della sentenza di primo grado, che ha sottolineato come
sia stato esattamente determinato il quantum dei contributi percepiti indebitamente attraverso
la documentazione acquisita ritenuta ideologicamente e materialmente falsa, facendo riferimento ad un singolo caso, la liquidazione del progetto Equal Technè, le cui modalità (non) truffaldine sarebbero riferibili a tutte le fattispecie in contestazione.
Orbene, a parere di questa Corte, l’assunto in base al quale la Corte d’appello arriva a
dubitare della corretta determinazione della quota parte di importi ricevuti indebitamente, così
come evidenziato dettagliatamente per tutti casi dal giudice di primo grado, poggia su un presupposto di difficile comprensione; secondo i giudici di secondo grado se il rendiconto complessivo, che comprende sia la parte di somme correttamente giustificate, che la parte di somme
indebitamente percepite, è stato eseguito con lo stesso metodo, come sarebbe avvenuto, vi
sarebbe una discrasia insuperabile rispetto alle conclusioni raggiunte in primo grado, perché
dovrebbe ritenersi che o tutti i contributi sarebbero stati percepiti indebitamente o tutti sarebbero stati percepiti correttamente.

poiché vi sarebbero alcuni costi, i c.d. costi indiretti, che, pur dovendo essere direttamente riferibili all’azione finanziaria ed il più possibile prossimi al costo reale, non potrebbero essere
dimostrabili con documentazione specifica, in quanto documentabili solo nel loro ammontare
totale. Di conseguenza, secondo i giudici, gli eventuali errori di rendicontazione dovevano ricondursi alla complessità della normativa in materia, dato che la DIEFFE, così come gli altri enti, si erano attenuti ai criteri dettati dalla stessa normativa, circostanza che escluderebbe la
sussistenza degli artifizi e dei raggiri volti a trarre in inganno l’ente erogatore.
d) Sulla inattendibilità delle deposizioni di BENDINELLI e GUARISE:
Secondo la Corte, tali deposizioni sarebbero solo apparentemente confermate dalle altre deposizioni e dichiarazioni testimoniali. In realtà le dichiarazioni rese non sarebbero inattendibili,
solo perché i dichiaranti avevano riferito quanto percepito come dato di fatto, non essendo a
conoscenza del criterio normativo in base al quale determinare il tempo di impiego di un soggetto nella realizzazione di uno o più corsi di formazione. La mancata corrispondenza tra dato
normativo, ignoto ai coimputati, e dato di fatto, valutato dagli stessi erroneamente, li avrebbe
indotti a rendere una deposizione soggettivamente corretta, ma non utile ad assumere una
corretta decisione finale.
e) Sulla posizione di GUARISE Alessandra:
Gli elementi acquisiti dovevano portare all’assoluzione, in ogni caso, della predetta secondo la
formula del dubbio, dal momento che era stato archiviato un procedimento in capo alla stessa
avente ad oggetto fatti analoghi a quelli del caso in esame, e perché la Guarise aveva svolto
un lavoro meramente esecutivo rispetto a quanto le veniva ordinato.
f) Sulla validità della documentazione prodotta, relativa al progetto “EQUAL TECHNE'”:
Secondo i giudici d’appello il giudice di primo grado non aveva tenuto conto di un documento
prodotto da controparte (il DDT, avente ad oggetto 152 unità interattive, emesso da K Communication a favore del destinatario DIEFFE e del destinatario COSER), perché era stato fornito
dalla parte interessata solo successivamente al sequestro della documentazione concernente il
progetto in questione e, inoltre, perché era stato ritenuto privo della firma del destinatario, così come le fatture che ad esso fanno riferimento. Secondo la Corte, il documento poteva essere
validamente prodotto come prova in qualsiasi momento, in quanto non era stata contestata né
la validità, né la genuinità dello stesso e, in secondo luogo, la difesa lamentava di aver prodotto la lettera di vettura relativa al trasporto delle IRU in contestazione, a supporto della documentazione prodotta.
g) Sulla corretta determinazione dell’oggetto del progetto “EQUAL TECHNE”:
Dalle informazioni rese dai testi BIANCO e CARACCIOLO e dalla produzione documentale della
difesa relativa alla fornitura di materiale si deduce che il progetto era finalizzato all’implementazione, alla sperimentazione e alla diffusione di contenuti formativi, informativi e di consulenza e che per tale fine era stato interamente svolto. Sul punto, la ricostruzione dell’accusa non
sarebbe risultata provata oltre ogni ragionevole dubbio.

Secondo il Collegio tale conclusione appare illogica e disancorata dai dati di realtà. Illogica perché attribuisce al metodo di rendicontazione la presunzione di attribuire astrattamente
la capacità di raggiungere il risultato che poggia sugli elementi documentali che devono in concreto giustificare in via biunivoca il rapporto prestazioni – contributi, sia perché proprio la materialità del riscontro può evidenziare (ha evidenziato secondo il giudice di primo grado)
l’assenza di effettive prestazioni rispetto a quelle denunciate come eseguite, e cioè qualificate
come “costi diretti”.
Ancora più chiaramente l’insanabile contraddizione della conclusione della Corte
d’appello poggia sul fatto che il problema per accertare la sussistenza del reato non può consistere nella individuazione del metodo della rendicontazione, ma deve fare riferimento alla correttezza della sua utilizzazione rispetto all’effettività delle prestazioni in relazione alle voci che
il metodo prende in considerazione e all’obiettivo cui la rendicontazione è finalizzata. L’affanno
motivazionale della conclusione della Corte d’appello emerge proprio dalla presenza dell’ inevitabile conclusione di ammettere la sussistenza dell’errore nel rendiconto effettuato, ma di trarre dalla qualità del metodo, che in realtà rispetto alla realizzazione di falsi documentali rimane
ontologicamente estraneo, l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato. La conclusione è
tratta in maniera apodittica, perché in contrasto con evidenze storico – documentali inerenti lo
stesso procedimento di accesso ai contributi, in cui il riferimento alla circostanza che
l’originario preventivo iniziale sia stato comunque decurtato rispetto alla somma poi riconosciuta, dimostrerebbe la correttezza a monte dell’intera procedura; in realtà la circostanza che il
controllo da parte dell’Ente erogatore non si sia rivelato adeguato rispetto alla effettiva prospettiva di spesa, non può essere ritenuta una ragione giustificatrice per ammettere
l’utilizzazione di falsa documentazione per fruire comunque interamente di importi non dovuti;
e ciò proprio in ossequio al principio di correttezza e imparzialità dell’azione della Pubblica
amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, che la stessa Corte d’appello evoca a pag.
28 della sentenza.
Né la soluzione, sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo, può essere
trovata, ragionevolmente, nella dedotta osservanza di un Vademecum, che la stessa Corte
d’appello riconosce privo della qualità di fonte di interpretazione autentica. Lascia pertanto significativamente perplesso il Collegio l’affermazione dei giudici di appello, secondo la quale, riconoscendo alla normativa in questione una struttura alquanto farraginosa e complessa, possano essere superati a volo d’uccello, i risultati provenienti da una “corposissima istruttoria dibattimentale, compendiata in un numero rilevante di faldoni”, come si esprime la stessa sentenza a pag. 34, per affermare che l’opera di rendicontazione effettuata attraverso il Vademecum dimostra l’assenza dell’elemento psicologico e la volontà di voler truffare la controparte.
Peraltro la stessa Corte d’appello è costretta ad ammettere che in base al Vademecum, non sarebbe possibile attuare una rendicontazione dettagliata che documentalmente comprovi ogni
singola spese, in particolare le spese relative alla struttura messa a disposizione per la realizzazione del progetto, che dovrebbero essere classificate all’interno della categoria dei costi indiretti, ma reali, e comunque controllabili.
Orbene secondo il Collegio non appare dunque contestabile che la realtà del costo non
può essere ricondotto alla compatibilità con il preventivo approvato, dovendo la valutazione
prognostica raffrontarsi con l’effettività dei costi “reali” poi sostenuti, e che soprattutto il criterio della “pro rata temporis” adottato, ritenuto sufficiente per escludere l’elemento soggettivo,
appare assolutamente generico, e inidoneo rispetto alla necessità di una verifica attendibile
con riferimento allo svolgimento del corso (si pensi alla spesa per il riscaldamento, proprio per
richiamare la voce indicata dalla Corte d’appello pag. 36 della sentenza e al costo del personale
(come emerge dalla testimonianza della teste Vestita Anna ad esempio, ma più ampiamente
dalla lettura della sentenza di primo grado da pag. a pag. 86 della stessa ). In particolare proprio con riferimento ai costi relativi al personale la soc. DIEFFE non ha qualificato gli stessi come “costi indiretti”. Quindi la criticità giustificativa sta proprio nell’aver utilizzato lo stesso criterio di rendicontazione rispetto a costi che presentavano caratteristiche strutturali diverse; è
cioè il criterio elevato dalla corte d’appello a dimostrazione dell’insussistenza dell’attività truffaldina che dimostra invece l’erroneità della scelta contabile, nel momento in cui parifica il

trattamento dei costi indiretti con quello dei costi diretti, ed anzi li inserisce nella stessa categoria, impedendo la perequazione dei contributi all’effettività delle spese sostenute, nel momento della rendicontazione finale delle spese medesime, come richiedeva lo stesso VademeQueste conclusioni, poi, vanno collegate con le altre acquisizioni probatorie, derivanti
dalle deposizioni testimoniali, dalle ammissioni degli stessi prevenuti, di seguito esaminate,
idonee a fornire un quadro probatorio assolutamente coerente con la conclusione di ritenere
sussistente anche l’elemento psicologico in ordine alla commissione della fattispecie reato contestata.
Appare evidente che le discrasie logico – giuridiche delle valutazioni operate dalla Corte
d’appello – per un singolo episodio, ma poste a base del giudizio assolutorio per tutti gli imputati e per tutte le truffe contestate, in forza dell’esclusione degli artifici e raggiri, stante la ritenuta insussistenza dell’elemento psicologico, comportano la ricaduta a cascata sull’intero impianto della sentenza di tale contraddittorietà motivazionale, per tutte le fattispecie contestate
per quanto riguarda la ritenuta insussistenza dell’affermazione di responsabilità civile, essendo
pacifico che, per le truffe contestate agli imputati persone fisiche, è ormai maturato il relativo
termine prescrizionale.
3. Analoghe valutazioni vanno fatte in ordine alla ritenuta insussistenza di responsabilità per le persone giuridiche coinvolte, una volta accertate le condizioni per l’affermazione della
sussistenza del reato presupposto, e per tutti i progetti ad essi collegati (Progetto Equa! Technè, Attività della K Communication s.p.a, relativa alla formazione a distanza, Progetto Equal
Logicomp, Costi rendicontati per i dipendenti collaboratori di Magazzini Generali e Log System,
per Magazzini Generali per prestazioni di Eurocoop, per Magazzini Generali per prestazioni di
Ad. Est. E srl.; costi rendicontati da Log System scarl, e comunque indicati in epigrafe; con la
differenza che nei confronti della Ente Interporto Padova s.p.a e Ente Log System scarl non è
maturato alcun termine prescrizionale,in relazione alla responsabilità “penale”, in considerazione delle diverse modalità di calcolo dell’operatività del suddetto istituto ed in ordine alle quali
pertanto, per la valutazione della sua sussistenza dovrà essere disposto un nuovo passaggio in
appello anche sotto questo profilo, sulla base dei principi sopra affermati.
4. La contraddittorietà motivazionale che innerva strutturalmente la sentenza impugnata emerge anche per quanto riguarda la motivazione tesa a sminuire, se non a svilire, al di là
di ogni ragionevole dubbio, le circostanze di fatto oggetto delle deposizioni del Bendinelli e della Guarise. E’ la stessa Corte d’appello che riconosce sussistente il dato di realtà affermato dal
Bendinelli, imputato che ha definito la propria posizione ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (v. pagg. 4
– 8 della sentenza di primo grado) e anche dalla Guarise Alessandra (v. pag. 8,9 della sentenza di primo grado), anche se lo stesso viene poi letto nell’ottica del presupposto incolpevole
derivante dal criterio normativo (farraginoso e complesso), in base al quale determinare il
tempo di impiego di una persona nella realizzazione di uno o più corsi di formazione. Orbene,
di fronte a dati di fatto inoppugnabili, rimane oggettivamente oscuro quale sarebbe stato il criterio normativo in base al quale ritenere presenti soggetti che non avevano partecipato ai corsi
o, se vi avevano partecipato, lo avevano fatto per periodi di tempo assolutamente inferiori. Né
può ritenersi sufficiente sotto il profilo motivazionale la giustificazione sottesa all’assoluzione
della Guarise, ricondotta ad una precedente archiviazione per fatti analoghi, di cui non si traccia alcun riferimento e in ordine alla quale appare improprio una sorta di applicazione implicita
del principio del giudicato, in ordine al ruolo avuto nella presente vicenda dall’imputata. In
realtà la precedente archiviazione riguarda fatti relativi a situazione anteriori di circa tre anni
rispetto ai fatti in contestazione, avvenuti in altro contesto aziendale, in cui la stessa ricopriva
diverse mansioni rispetto a quelle espletate con riferimento al progetto “Innova 2004”; nè le
considerazioni valutative rispetto al riconoscimento da parte dell’imputata di aver contribuito
alla dilatazione del numero delle ore lavorate dai dipendenti Magazzini Generali (poi Interporto
Padova) e/o LOG SYSTEM rispetto alle ore effettivamente dedicate a tale progetto e in ordine
alle quali la stessa ha affermato che tutto è nato da una consapevole sovrastima dei preventivi, resa possibile da una generica strutturazione delle voci di spesa e da un’assenza di riparti-

CUrn

5. Analoga insuperabile contraddittorietà motivazionale deve essere rilevata con riferimento alla validità della documentazione prodotta, relativa al progetto “EQUAL TECHNE’ e alla
corretta determinazione dell’oggetto del progetto “EQUAL TECHNE'”. Anche in questo caso la
motivazione adottata dalla Corte d’appello appare incerta e non dotata di una logica motivazionale che, sulla base degli stessi elementi utilizzati in primo grado per l’affermazione di responsabilità, riesca poi a produrre uno sforzo argomentativo “qualificato” tale da ribaltare coerentemente le conclusioni raggiunte dal primo giudice. La prudenza argomentativa dei giudici
d’appello, rispetto alla valutazione della documentazione prodotta dalla difesa, da un lato è caratterizzata da una mera valutazione possibilistica (sembra…v. pag. 41 della sentenza
d’appello) in ordine alla capacità di intaccare la ricostruzione accusatoria, ma, dall’altro lato,
arriva poi a trarre delle conclusioni a sostegno dell’incertezza del quadro probatorio dalla circostanza che il primo giudice abbia ritenuto fondata l’ipotesi accusatoria per una percentuale inferiore di circa il 26% in meno rispetto all’accusa originaria (euro 112.766,48 rispetto alla
somma di euro 132.895,48 indicata nel capo d’imputazione); di fronte a questa sperequata opzione valutativa appare non condivisibile invocare l’operatività del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, solo che si consideri che la documentazione a discarico è stata prodotta in
ritardo rispetto alla richiesta dell’autorità, la lettera di vettura proviene dalla parte interessata,
mentre le fatture, come ben evidenziato dalla sentenza di primo grado, documenti che avrebbero provato la consegna corretta degli strumenti ordinati, non presentano una compilazione a
norma di legge e sono prive, significativamente, della firma (così da intendere la parola forma)
del destinatario.
6. In sostanza, a parere della Corte, la motivazione della Corte d’appello deve essere cassata,
in quanto non si è conformata al consolidato principio di diritto in base al quale in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata
in primo grado, pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo
argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato,
metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma. (Sez. 2, n.
50643 del 18/11/2014 – dep. 03/12/2014, P.C. in proc. Fu e altri, Rv. 261327) e non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, in larga parte genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, il cui fulcro risulta un principio assiomaticamente enunciato che non si confronta con il metodo , e i risultati raggiunti dal giudice di
primo grado, attraverso una analitica ed approfondita disamina dei dati a disposizione; è necessario, invece, in questo caso riesaminare, con una sintesi articolata e specifica, il materiale
probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non
condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni. (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014, Pg in proc. Ricotta, Rv. 258005).
Ciò perchè quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado siano concordanti, la
motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico
complesso corpo argomentativo. Nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, per
l’apporto critico delle parti e o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado,
non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella
struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata rispetta alla diffusa e specifica motivazione – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992 – dep.
04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci ed altri, Rv. 191229). Poiché questi principi non sono stati
osservati, a parere della Corte, la sentenza deve essere annullata per nuovo giudizio sul punto
della sussistenza della responsabilità civile degli imputati, ferma restando l’operatività della

zione, in palese violazione di quanto previsto dallo stesso Vademecum utilizzato, tra costi diretti e indiretti (v. pag. 41 sentenza di primo grado), hanno trovato una corretta analisi critica
da parte dei giudici d’appello, utile a giustificare l’utilizzazione che è stata fatta del dato probatorio.

7. Per quanto riguarda la parte civile, nel presente grado la regione Veneto è stata correttamente presente in questa fase del giudizio. L’art. 76 c.p.p., comma 2, cod. proc. pen., infatti,
prevede che la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo, sancendo il c.d. principio di immanenza della costituzione di parte civile. Proprio in base
all’operatività del suddetto principio, in considerazione del fatto che in questo grado è stata
presentata esclusivamente una memoria, le conclusioni potranno essere presentate nel giudizio
di rinvio, a seguito dell’intervenuto annullamento della sentenza impugnata, non potendosi ritenere determinata la revoca della costituzione della stessa parte civile, quando le conclusioni
sono state rassegnate nel processo di primo grado, rimanendo valide, in quanto tali, in ogni
stato e grado del processo, in virtù del sopraricordato principio di immanenza della costituzione
di parte civile. (Sez. 6, n. 48397 del 11/12/2008 – dep. 30/12/2008, Russo e altro, Rv.
242132). Si rinvia la decisione sulle spese al definitivo, in considerazione del fatto che in questa fase la
parte civile non ha presentato ricorso.

8. Alla luce delle suesposte considerazioni, in accoglimento del ricorso del procuratore generale
di Venezia, deve essere annullata senza rinvio la sentenza nei confronti di Guarise Alessandra,
Di Nunzio Fabio, Pendin Federico e Raffaelli Alberto, in ordine ai residui reati loro rispettivamente ascritti, per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti dell’Ente giuridico interporto Padova s.p.a. e nei
confronti della Log System s.c.ar.I., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dì Venezia
per nuovo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale di Venezia annulla senza rinvio la sentenza nei confronti di Guarise Alessandra, Di Nunzio Fabio, Pendin Federico e Raffaelli Alberto, in
ordine ai residui reati loro rispettivamente ascritti, per essere gli stessi estinti per intervenuta
prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti dell’Ente giuridico interporto Padova
s.p.a. e nei confronti della Log System s.c.ar.I., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello
di Venezia per nuovo giudizio.
Roma, 22 marzo 2016
Il c. . !Here estensore
Gio lii , D’otallevi

_A
,qpip40
mr…t……

Il Presidente
Mario Gentile

prescrizione per quanto riguarda l’affermazione della responsabilità penale per gli imputati persone fisiche, e, per quanto riguarda le persone giuridiche, anche con riferimento alla loro responsabilità “penale”, in quanto in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la
richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che
definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
(Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015 – dep. 21/12/2015, D’Errico e altro, Rv. 265588).

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