Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28281 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28281 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPERA LUCA N. IL 01/11/1968
MURINO MASSIMO N. IL 02/03/1960
IMPOSIMATO BENITO N. IL 22/02/1939
COMUNE DI MONTECORVINO PUGLIANO
avverso la sentenza n. 461/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del
18/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/04/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
– Uditi, per le parti civili, gli avvocati Antonio Zecca, Elia Carinci, Patrizia Macario,
che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi.
– Uditi, per il responsabile civile, gli avvocati Luigi Fontanella in sostituzione
dell’avv. Anna Mele e l’avv. Dario Incutti, i quali hanno chiesto l’accoglimento del
proprio ricorso.

per Murino Massimo, l’avv. Giovanni Aricò; per Imposimato Benito, l’avv.
Giovanni Aricò, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento
della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 18/10/2011, in parziale
riforma di quella emessa dal locale Tribunale il 18/7/2008, ha condannato a pena
di giustizia:
1) Murino Massimo per seguenti reati:

partecipazione all’associazione mafiosa diretta da Pecoraro Francesco e

Pecoraro Alfonso, che aveva come proprio referente nel territorio di
Montecorvino Pugliano tale Esposito Giuseppe e, dopo la morte di quest’ultimo
(avvenuta il 4-11-2001), Frappaolo Angelo (capo A);
– corruzione (artt. 81, cpv, 319-321 e 112, nn. 1 e 2 cod. pen. e 7 della L.
203/91), per avere, in concorso con Spera Luca e molti altri soggetti (giudicati
separatamente), al fine di procurare a Franzese Matteo concessioni edilizie
Illegittime interessanti la coop San Michele, corrisposto cospicue somme di
denaro agli amministratori di Montecorvino Pugliano. Con l’aggravante di aver
agito allo scopo di favorire l’associazione camorristica guidata da Esposito
Giuseppe (capo B);
– corruzione (artt. 81, cpv, 319-321 e 112, nn. 1 e 2 cod. pen. e 7 della L.
203/91) per avere, al fine di procurare a Franzese Matteo il rilascio di
concessioni edilizie illegittime sull’area ex-Anzalone di Montecorvino Pugliano, in
loc. Bivio Pratole, corrisposto cospicue somme di denaro agli amministratori di
Montecorvino Pugliano. Con l’aggravante di aver agito allo scopo di favorire
l’associazione camorristica guidata da Esposito Giuseppe (capo E);

detenzione e porto di una pistola con matricola abrasa e relativo

munizionamento (capo O);
– ricettazione della pistola specificata al capo precedente (capo P).

– Uditi, per Spera Luca, gli avv.ti Giuseppe Della Monica e l’avv. Giovanni Aricò;

2) Spera Luca per i reati di cui agli artt. 81, cpv, 319-321 e 112, nn. 1 e 2 cod.
pen. e 7 della L. 203/91, per avere, quale membro della commissione edilizia
comunale di Montecorvino Pugliano, in concorso con numerosi altri soggetti
(giudicati separatamente), accettato la promessa di utilità (denaro e incarichi
professionali) per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio (concessioni edilizie a
favore della coop. San Michele – gestita da Franzese Matteo – contrastanti con le
previsioni degli strumenti urbanistici comunali), anche allo scopo di favorire

3) Imposimato Benito per i seguenti reati:
– corruzione ( artt. 110, 112, nn. 1 e 2, 81 cpv, 319 e 321 cod. pen.), per aver
corrisposto o promesso denaro o altre utilità a sindaco e funzionari del comune di
Montecorvino Pugliano al fine di ottenere concessioni amministrative illegittime
relative alle lottizzazioni “Parco Aurora” e “Parco Verdiana” realizzate in loc.
Pagliarone del comune suddetto (capo I della rubrica);
– concorso nel falso ideologico (artt. 110, 476, 479 cod. pen.) commesso dal
responsabile dell’ufficio Tecnico Comunale di Montecorvino Pugliano, per aver
indotto il funzionario suddetto a dichiarare, nella determina n. 133 del 24-42003, contrariamente al vero, che la deliberazione n. 2546 della 1997 della
Giunta Provinciale di Salerno era “oggetto di annullamento da parte del TAR di
Salerno e pertanto inefficace” (capo S).

4). Il comune di Montecorvino Pugliano è stato condannato, in solido con
vari imputati, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite,
promissari acquirenti delle unità immobiliari facenti parte del complesso
residenziale denominato Parco Aurora, quale responsabile civile dei fatti dei
propri funzionari (Bove Luciano e Spera Luca).

3. Con la sentenza di condanna è stata disposta la confisca dei terreni
abusivamente lottizzati e delle opere costituenti i complessi “Parco Aurora” e
“Parco Verdiana”, attribuendoli al patrimonio del comune di Montecorvino
Pugliano.

4. Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, nel
comune di Montecorvino Pugliano e zone limitrofe operò, tra la fine degli anni ’90
e i primi anni del 2000, un’associazione mafiosa diretta da Esposito Giuseppe,
che faceva capo ai boss Pecoraro Francesco e Alfonso. Di questa associazione
faceva parte Murino Massimo, amico dell’Esposito e gestore della discoteca
“Camino Real”, sita nel comune di Montecorvino Pugliano. L’associazione
suddetta, a mezzo dell’Esposito e del Murino, si adoperò per far ottenere a

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l’associazione camorristica guidata da Esposito Giuseppe (capo B);

Cr

Franzese Matteo e Imposimato Benito, imprenditori edili della zona, con la
cooperazione di amministratori e funzionari pubblici infedeli (il sindaco Palo
Giuseppe, il vice-sindaco Vota Gerardo, il membro della C.E.C. Spera Luca, Bove
Luciano quale responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, nonché vari altri
soggetti) concessioni edilizie illegittime, relative a quattro complessi edilizi
insistenti nel territorio del comune suddetto (lottizzazioni San Michele ed exAnzalone per Il Franzese; lottizzazioni Parco Aurora e Parco Verdiana per
l’Imposimato).
giustizia (Frappaolo Angelo, Riccio Remigio e La Pietra Carmine, appartenenti al
clan Esposito-Pecoraro, nonché quelle successive di Trimarco Demetrio ed
Esposito Carmine), gli accertamenti di polizia giudiziaria e le parziali ammissioni
di alcuni coimputati, la gran parte dei quali sono stati giudicati a parte o hanno
definito la loro posizione con riti alternativi. In base a tale compendio probatorio
è provato – secondo i giudici di merito – che Murino Massimo mise a disposizione
dell’associazione camorristica basi logistiche ed armi e fece da anello di
collegamento tra l’associazione e gli amministratori pubblici di Montecorvino
Pugliano; lo Spera assicurò il proprio sostegno per il buon esito delle pratiche
edilizie riguardanti il Franzese; l’Imposimato fece opera di corruzione per
ottenere i titoli abilitativi illegittimi.
5. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
dei rispettivi difensori, gli imputati, nonché il comune di Montecorvino Pugliano
(responsabile civile).
5.1. Nell’interesse di Spera Luca è stato proposto ricorso dagli avv.ti Giovanni
Aricò e Giuseppe Della Monica, i quali, con unico motivo, censurano la sentenza
per erronea applicazione della disciplina del concorso di persone nel reato e per
contraddittorietà della motivazione. Sotto il primo profilo contestano che vi sia
stato un apporto dello Spera, giuridicamente rilevante, alla commissione
dell’illecito di cui al capo B), in quanto, escluso un qualsiasi contributo materiale,
la Corte d’appello ha intravisto un suo contributo morale nella manifestata
disponibilità a favorire la pratica edilizia concernente la lottizzazione San Michele.
In questo modo, aggiungono, ha disatteso l’insegnamento di questa Corte,
espresso nella nota sentenza Mannino, secondo cui l’efficienza causale del
contributo offerto dal singolo concorrente va accertata in concreto, verificando,
con una valutazione ex post, se la condotta da lui posta in essere abbia
effettivamente e significativamente inciso sulla commissione dell’illecito.
Rimarcano il fatto che, quando Spera entrò in scena, la concessione edilizia era

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Alla base della resa statuizione vi sono le dichiarazioni di vari collaboratori di

già stata data e che l’approvazione delle varianti avvenne, nel 2000 e nel 2001,
senza alcun coinvolgimento dell’imputato.

5.2. Nell’interesse di Murino Massimo è stato presentato ricorso dagli avv.ti
Luigi Gabola e Giovanni Aricò, che si avvalgono di tre motivi.
Col primo censurano la sentenza per violazione di legge e vizio di
motivazione, nella parte in cui ritiene che i versamenti periodici di denaro,
effettuati dal Murino, fossero segno della sua adesione al sodalizio mafioso,

giudici di merito hanno pretermesso l’esame di dati processuali – quali le
dichiarazioni dei collaboratori Schipani e La Pietra – dai quali sarebbe emersa
una contiguità del Murino al clan malavitoso, determinata dai suoi rapporti
amicali con l’Esposito, invece che una sua partecipazione qualificata
all’associazione; e che vi è manifesta illogicità nel ritenere che l’Esposito fosse
interessato al Camino Real e, contemporaneamente, ricevesse soldi dall’impresa
che lo gestiva
Col secondo contestano la partecipazione del Murino ai reati di corruzione
e si dolgono, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione,
della statuizione resa sul punto. Deducono che il Murino si limitò a mettere in
contatto l’Esposito col sindaco Palo e che il suo intervento fu successivo al
versamento delle prime somme di denaro, anche se antecedente all’emanazione
dell’atto amministrativo illegittimo; e che la sentenza ha desunto il dolo di
corruzione dalla semplice partecipazione all’associazione camorristica, senza
apprezzare lo stato di soggezione in cui il Murino si trovava rispetto
all’associazione (a cui era da ricollegare, invece, il suo intervento presso il Palo).
Deducono l’assenza di prova in ordine all’intenzione di favorire l’associazione, su
cui faceva aggio l’intenso rapporto di amicizia che lo legava all’Esposito ed il fine,
egoistico, di soddisfare un interesse di quest’ultimo (e non dell’associazione).
Col terzo lamentano, ancora una volta, violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine alla confisca del “Camino Real”. Deducono che il
pagamento di “tangenti” al clan esclude la possibilità di considerare il bene come
“strumento” del sodalizio e lamentano l’omessa pronuncia in ordine ad “una serie
di argomentazioni” esposte alle pagg. 15 e seguenti dell’atto d’appello.

5.3. Imposimato Benito ha proposto personalmente ricorso con atto depositato
il 30-4-2012, lamentando violazione di legge in relazione alla confisca del “Parco
Verdiana”, disposta senza che mai fosse stato contestato il reato di lottizzazione
abusiva. Successivamente, con nuovo ricorso depositato il 17 maggio 2012,
l’Imposimato censura la sentenza per illogicità della motivazione, avendo
disposto, altresì, la confisca del complesso immobiliare denominato “Parco
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invece che dell’assoggettamento in cui era posto dal sodalizio. Deducono che i

Aurora” in presenza di un piano urbanistico di recupero deliberato dal comune di
Montecorvino Pugliano.

5.4. Il comune di Montecorvino Pugliano ha proposto ricorso a mezzo
dell’avv. Dario Incutti lamentando l’illogicità della motivazione resa in punto di
provvisionale a favore delle parti civili e della relativa affermazione di
responsabilità. Deduce che la Corte d’appello ha devoluto al giudice civile “la
verifica della effettiva esistenza del nesso causale tra il danno riportato dalle

gli imputati Spera e Bova, nonché il comune – quale responsabile civile – al
pagamento di una onerosa provvisionale. Inoltre, non ha considerato che
l’attività contrattuale posta in essere dai costruttori ha creato le premesse del
danno derivato alle parti civili ed ha aggravato le conseguenze economiche dei
reati per cui è procedimento.
In data 19 marzo 2013 è stata presentata, per conto del comune di
Montecorvino Pugliano, memoria aggiunta da parte dell’avv. Anna Mele, con cui
si eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione proposta da Imposimato Benito
per quattro ordini di motivi:
– perché il ricorso risulta presentato personalmente da Imposimato Benito con
delega all’avv. Rodolfo D’Ascoli per il deposito dell’atto, senza che la firma
dell’Imposimato risulti autenticata nei modi di legge;
– perché il ricorso non è sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale
della Corte di cassazione. Deduce che l’art. 571 cod. proc. pen. prevede la
legittimazione attiva dell’imputato solo per l’impugnazione dei capi penali della
sentenza che lo riguardano direttamente, mentre nel caso di specie
l’impugnazione riguarda il capo concernente la confisca del complesso
immobiliare, di cui l’impugnante non assume la proprietà. Inoltre, perché
l’impugnante è privo di interesse, dal momento che il bene confiscato è di
proprietà di un soggetto terzo (Findomus Boschese srl);
– perché l’impugnazione è infondata nel merito, non specifica i capi o i punti della
sentenza impugnata, è generico e viola il principio di autosufficienza del ricorso;
– perché il motivo di ricorso in Cassazione costituisce pedissequa riproduzione di
analogo motivo proposto dinanzi alla Corte d’appello di Salerno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei ricorsi merita accoglimento.

1. Sono inammissibili i motivi di ricorso di Imposimato Benito.

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diVy)

parti civili e la condotta illecita degli imputati” ed ha, nel contempo, condannato

1.1. Col primo ricorso (depositato il 30/4/2012) l’imputato lamenta che sia stata
disposta la confisca del “Parco Verdiana” senza che gli sia mai stato contestato il
reato di lottizzazione abusiva. Senonché, la sentenza del Tribunale di Salerno del
18/7/2008, che aveva disposto la confisca del “Parco Verdiana”, siccome
abusivamente lottizzato, fu appellata dall’imputato in data 29/7/2008 senza
alcun riferimento alla genericità dell’imputazione, né alla mancanza della
contestazione. Nell’atto d’appello l’impugnante contestava, nel merito, l’esistenza
di una lottizzazione abusiva, diffondendosi ampiamente sui presupposti, a suo

Incompatibile col vizio procedurale lamentato in questa sede. E questo avveniva
quando il terreno e le opere del “parco” erano già state sottoposte a sequestro
(confermato dalla Cassazione), in considerazione della loro illiceità urbanistica. Il
motivo è, pertanto, inammissibile, perché sollevato per la prima volta in
Cassazione, a fronte di un vizio che, se esistente, concreterebbe una nullità di
ordine intermedio, da far valere nei termini stabiliti dall’art. 180 cod. proc.
penale.
In ogni caso, si rileva che la lottizzazione abusiva era contestata in fatto
al capo I), con l’esplicita indicazione delle opere realizzate, delle volumetrie e dei
tempi di realizzazione, dei titoli illegittimi rilasciati nel tempo e delle norme del
PRG violate. Non ha rilievo, quindi, che non siano stati indicati gli articoli di legge
che puniscono la lottizzazione abusiva, una volta verificato che il fatto è stato
compiutamente descritto in imputazione e che, in relazione ad esso, l’imputato
ha potuto compiutamente difendersi. Né va tralasciato che, ai fini della
valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521
c.p.p., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche
di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che
hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto
modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento
della decisione. Basti osservare, in proposito, che – come si legge nell’impugnato
provvedimento – all’imputato sono stati contestati, durante il giudizio, tutti i
lavori effettuati nel tempo, con la compiuta descrizione delle opere, anche nella
loro sequenza cronologica, e che gli sono state contestate le norme urbanistiche
violate; che, in relazione a dette contestazioni, l’imputato si è ampiamente
difeso, sviluppando argomentazioni diffuse e pertinenti, ribadite con un atto
d’appello che ha investito tutti gli aspetti dell’abuso urbanistico contestato
(nell’atto d’appello è contenuta una minuziosa descrizione delle opere realizzate,
al fine di dimostrare la loro corrispondenza agli strumenti urbanistici). Un
quadro, quindi, che esclude l’ignoranza della sostanza accusatoria.

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oiL

giudizio mancanti, del reato. Esplicava, quindi, una difesa nel merito,

1.2. Con l’atto depositato il 17/5/2012 l’Imposimato si duole anche della confisca
disposta in relazione “Parco Aurora”, nonostante sia stato “approvato”, nel
frattempo, un piano urbanistico di recupero da parte del comune di Montecorvino
Pugliano. Il motivo è manifestamente infondato, perché fondato su presupposti
di fatto inesistenti e su presupposti giuridici errati.
Dalla documentazione prodotta si evince, infatti, che è stato “adottato” dalla
Giunta comunale un “progetto di piano urbanistico attuativo” che interessa la
“Area di Riqualificazione Urbana ARU n. 2”, che rappresenta l’atto iniziale di un
urbanistico della zona. Non vi è stata, quindi, contrariamente all’assunto
difensivo, nessuna sanatoria dell’abuso, che potrà dirsi operante solo all’esito del
procedimento amministrativo avviato dalla delibera in questione. In ogni caso, la
delibera invocata dal ricorrente non era stata adottata al momento della
decisione impugnata (18/10/2011, mentre la delibera è del 15/11/2011), per cui
in nessun modo quella delibera può comportare un vizio della sentenza e
sorreggere un motivo di ricorso in Cassazione. Evidentemente, solo l’adozione di
provvedimenti amministrativi incompatibili con l’effetto ablatorio autorizza la
richiesta di revoca del provvedimento giurisdizionale di confisca adottato dal
giudice a norma dell’art. 19 L. 28 febbraio 1985, n. 47 – oggi sostituito dall’art.
44, comma secondo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – e legittima, in caso di
rigetto, il ricorso in Cassazione.
2. E’ infondato l’unico motivo di ricorso di Spera Luca.
Premesso che il concorso di persone nel reato ha struttura unitaria e che gli atti
di concorso sono, al tempo stesso, propri MI dei singoli concorrenti e comuni a
tutti, perché sia integrata la fattispecie normativa è necessaria, sul piano
oggettivo, una connessione causale tra gli atti dei concorrenti e l’evento e, sul
piano soggettivo, la consapevolezza di ciascuno circa il collegamento dei
contributi in funzione dell’obbiettivo comune. Nel caso di specie la sentenza
impugnata ha individuato il contributo dello Spera:
– nell’attivismo da lui spiegato, su sollecitazione di Esposito Giuseppe, nel
propiziare la riunione del 23/9/1999 a casa di Franzese Matteo – fatta per
discutere delle pratiche edilizie che interessavano a quest’ultimo – alla quale
parteciparono anche il sindaco Palo Giuseppe e Santese Renato (altro membro
della C.E.C., indotto a parteciparvi proprio dallo Spera), nonché Frappaolo
Angelo, braccio destro dell’Esposito;
– nell’atteggiamento da lui tenuto in commissione edilizia allorché venivano
discusse le pratiche del Franzese. Infatti, consapevole della loro illiceità, lo
Spera, insieme ad altri membri della commissione, fece in modo che le sedute
non venissero verbalizzate e la commissione non si pronunciasse, si da
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lungo procedimento amministrativo destinato, probabilmente, a dare un riassetto

consentire al responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale (Bove Luciano) di
rilasciare titoli abilitativi e concessori illegittimi sulla base del condiscendente
parere del responsabile del procedimento (Cristaino Alfonso): pagg. 38-40 della
sentenza d’appello;
– nel funzionare come punto di riferimento del clan Esposito all’interno della
Commissione Edilizia per le pratiche riguardanti il Franzese (circostanze desunte
dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Riccio, La Pietra, Frappaolo,
Esposito Carmine: pag. 117 della sentenza d’appello).

concessioni illegittime a Imposimato Benito e società a lui riconducibili (in
relazione al Parco Aurora e al Parco verdiana, di cui al capo I). Tali concessioni
furono rilasciate, infatti, dietro parere favorevole da lui espresso nelle riunioni
della C.E.C. del 5/9/2000 e 6/12/2001, nonostante le “macroscopiche” anomalie
dei progetti.

E che Spera avesse avuto un ruolo decisivo o comunque

significativo nella consumazione dell’illecito è provato, nel giudizio della Corte di
merito, dal fatto che si premurò di contattare l’ing. Spagnuolo (altro membro
della C.E.C.,) per indurlo a comportamenti “di riguardo” nell’esame delle pratiche
dell’Imposimato, dietro promessa di incarichi professionali; nonché dal fatto che
un coimputato (Volpicelli) lo ha indicato come percettore della somma di E 10
milioni quale compenso per l’illegittimo parere espresso. Fatto delittuoso che,
sebbene prescritto, ha messo in evidenza l’uso strumentale e indebito della
propria funzione da parte dell’imputato.

2.1. Da tale complesso di elementi è stata tratta la conclusione che Spera
agevolò la consumazione del reato di cui al capo B), ponendo in essere
un’attività materiale propiziatrice dell’accordo e rafforzando il proposito
criminoso di coloro che avevano steso la trama corruttiva. Di nessun rilievo è
stata ritenuta la circostanza che la prima concessione edilizia fosse stata
rilasciata a luglio 1999, quando lo Spera non era ancora membro della
Commissione, poiché si trattò solo del primo atto di una vicenda delittuosa
protrattasi nel tempo e proseguita quando Spera era a pieno titolo inserito
nell’apparato amministrativo del Comune, col rilascio delle concessioni n. 66/99
del 29/3/2000 e n. 68/2001 del 15/6/2001.
In questa trama argomentativa non vi sono le incongruenze e le illogicità
lamentate dalla difesa di Spera, né errate interpretazioni della legge penale,
giacché viene fatta, al contrario, puntuale e corretta applicazione dei principi
comunemente richiamati in tema di concorso nel reato commissivo.
Prima di esaminare le doglianze mosse dal difensore va sottolineato, ad ogni
buon conto, che il ricorso dell’imputato non investe l’elemento soggettivo del
reato. Secondo i giudici di merito l’attività addebitata a Spera fu posta in essere
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A carico di Spera è pesato anche il ruolo da lui avuto nel rilascio di

nella consapevolezza, da parte sua, che si trattava di concessioni illegittime
(perché rilasciate in assenza di un piano particolareggiato) e che venivano
rilasciate al Franzese dietro corresponsione di ingenti somme di denaro, che
finivano nelle tasche degli amministratori comunali e della consorteria criminale
guidata da Esposito Giuseppe.
2.3. La prima parte del contributo di Spera (quello attuato col propiziare la
riunione del 23/9/1999 e col parteciparvi) è stato messo in discussione dal suo
contributi dichiarativi forniti da alcuni coimputati, che questa Corte non conosce
e non può apprezzare se non a prezzo di una completa disamina degli atti
processuali, certamente inibita al giudice di legittimità. Da rimarcare, al riguardo,
che il ricorrente non deduce il travisamento della prova, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), seconda parte, cod. proc. pen. – che consentirebbe a questa
Corte, a determinate condizioni, di esaminare le fonti di prova indicate del
ricorrente per valutare la corretta lettura delle stesse da parte del giudicante ma propugna una diversa interpretazione delle stesse, peraltro estrapolandole da
più articolati contesti dichiarativi e finendo col proporre una diversa ricostruzione
del fatto storico esaminato, incompatibile con quella effettuata dal giudice di
merito. Questi, argomentando non solo dalle dichiarazioni dei coimputati, prese
in considerazione dal ricorrente, ma anche da quelle di altri collaboratori, puressi
esaminati, e in base a stringenti argomenti di ordine logico, è giunto alla
conclusione che Spera era perfettamente a conoscenza dei contenuti dell’accordo
illecito già raggiunto tra Palo, Franzese ed altri e che propiziò la riunione del 23
settembre 1999 al fine di favorire nuove intese, in vista degli ulteriori interventi
che il gruppo si proponeva di attuare sul terreno oggetto della primitiva
concessione. Quindi, in vista di un ampliamento dell’accordo corruttivo, esteso a
nuove strutture abitative (che, infatti, di lì a poco saranno assentite). E’ un
accertamento di fatto, che questa Corte non può essere chiamata a censurare e
che rimanda, già da solo, ad un contributo causale nella consumazione
dell’illecito, giacché propiziare e partecipare ad una riunione in cui si parlerà delle
iniziative da assumere e dei contegni da tenere per ottenere nuove concessioni
illegittime, fondate fu precedenti accordi corruttivi (non ancora eseguiti) e
concessioni puresse illegittime, rappresenta, inequivocabilmente, una forma di
concorso nel reato, giacché si tratta di attività che investe direttamente il
momento ideativo dell’illecito (quand’anche nessuno scambio di utilità fosse
stato, nell’occasione, ipotizzato). Non va tralasciato, invero, che l’esecuzione
dell’accordo era in corso, con la corresponsione periodica di somme di denaro da
parte del Franzese (nell’ordine di decine di milioni al mese), per cui non era
ancora scoccato il limite cronologico ultimo della condotta concorsuale (anche se

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difensore con argomenti irricevibili, perché fondati su una lettura alternativa dei

una concessione era già stata rilasciata). Questa Corte ha infatti chiarito che il
delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della
promessa ovvero con la dazione-ricezione dell’utilità, e tuttavia, ove alla
promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che,
approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione (Cassazione
penale, sez. un., 25/02/2010, n. 15208). Contrariamente all’assunto difensivo,
quindi, lo Spera interpose la sua opera quando il reato non era ancora
consumato, essendo ancora in corso i pagamenti pattuiti (circostanza nota

2.4. Il difensore di Spera ha messo in discussione anche la seconda parte del
contributo di Spera, sopra esaminato: la serietà e la concretezza dell’impegno
assunto verso i corresponsabili, nonché l’efficienza causale del suo contributo.
Ritiene cioè il difensore, sotto quest’ultimo profilo, che l’impegno del concorrente
è penalmente irrilevante “qualora non risulti accertato, all’esito della verifica
probatoria ex post della sua efficienza causale, che abbia inciso effettivamente e
significativamente – a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive
dell’accordo – sulla realizzazione del reato ad opera degli altri concorrenti”. Nel
caso di specie l’impegno assunto dallo Spera (“favorire le pratiche edilizie di
Franzese”) sarebbe stato generico e inefficiente dal punto di vista causale,
perché, a una verifica ex post, rivelatosi del tutto ininfluente “sulla realizzazione
del reato”.
Entrambe le proposizioni sono errate. La Corte d’appello ha messo in evidenza
che Spera aderì al progetto criminoso – di cui conosceva gli esatti termini assicurando la sua disponibilità incondizionata a favore dei correi, da attuare,
principalmente, mediante espressioni di voto favorevoli in seno alla commissione
edilizia. Non si tratta affatto di un impegno “generico”, ma generalizzato, esteso
cioè a tutti gli incombenti che si fossero presentati nella fase esecutiva del
progetto; e per questo ancora più pesante ed insidioso, perché copriva l’area
dell’imprevedibilità, presente in ogni progetto delittuoso.
Indiscutibile è anche il contributo causale da lui dato alla realizzazione del reato.
Premesso che il contributo del compartecipe può essere materiale o morale, è
Indiscutibile che quello in considerazione fosse di natura morale, perché idoneo a
rafforzare il convincimento dei correi di portare proficuamente a termine l’affare.
Come correttamente messo in rilievo dalla Corte territoriale – e come, in
sostanza, riconosciuto dallo stesso ricorrente – il contributo non deve investire
tutta l’azione dell’esecutore materiale, ma può riguardare solo una parte della
stessa; e che il contributo rilevante non è solo quello senza il quale l’evento non
si sarebbe verificato (concezione, questa, propria della teoria condizionalistica,
mai accettata dalla stragrande maggioranza della dottrina e respinta dalla

11
(

all’imputato). E quindi s’inserì scientemente in un meccanismo causale in itinere.

totalità della giurisprudenza), ma anche quello che rende più probabile l’evento,
rafforzando l’altrui proposito criminoso, oppure agevolando l’altrui condotta
criminosa. Elementi, questi, certamente presenti nel contributo dell’imputato,
perché, giusta le argomentazioni della Corte territoriale, “il gruppo sapeva di
poter contare, all’occorrenza, sullo Spera, per un esame favorevole della pratica
edilizia, ove la stessa fosse passata al vaglio della Commissione edilizia, di cui lo
Spera faceva parte, sicché ha ricevuto dal comportamento del predetto imputato
– di chiara ed esplicita adesione – un ulteriore stimolo alla propria azione o
Non si è trattato, quindi, indipendentemente dalle parole usate dalla Corte di
merito, di una semplice adesione morale ad un progetto altrui, priva di
conseguenze sul piano pratico, ma di un apporto incisivo e significativo all’altrui
volontà, rafforzatasi nel convincimento di avere, in Spera, un soggetto pronto ad
agire nella direzione desiderata e a prestare la propria opera per superare uno
“step” del procedimento: quello costituito dal passaggio, necessario, della prtaica
in commissione edilizia. Si tratta di un apporto causalmente efficiente, perché
certamente idoneo, secondo logica, ad agire in maniera determinante, o
comunque significativa, sulla psiche dei soggetti che avevano in mano l’iniziativa,
senza il quale il reato si sarebbe, probabilmente, ugualmente verificato, ma in
maniera diversa e, soprattutto, con minore intensità offensiva.
Si tratta di una conclusione che regge ad una verifica comunque effettuata: ex
ente, come ritiene la prevalente giurisprudenze (Cass., 10/5/1993, Algranati;
Cass., sez. V, 9/5/1986, Giorgini; Cass., sez. VI, 30/4/1999, Lisciotto); ovvero
ex post, come sostiene il difensore dell’imputato, giacché gli eventi hanno
dimostrato che l’accordo ebbe esecuzione, con la corresponsione di altre somme
da parte del Franzese, anche dopo l’assassinio di colui che era stato il mentore
dell’accordo (Esposito Giuseppe), e col rilascio di altre due concessioni edilizie
illegittime da parte del Comune. Di nessun rilievo è il fatto che, in corso d’opera,
vi fu una deviazione dallo schema concordato, mediante il rilascio delle
concessioni sulla base di un parere condiscendente del responsabile del
procedimento (invece che della commissione edilizia), sia perché i giudici di
merito hanno evidenziato che si trattava di una “deviazione” messa nel conto (il
modus operandi del gruppo – hanno detto – prevedeva, all’occorrenza di
bypassare la Commissione edilizia per dar comunque corso alle pratiche
impresentabili), sia perché attinente al momento esecutivo, intervenuta quando
l’accordo era già stato siglato e l’esecuzione era già stata avviata (mediante il
rilascio della prima concessione e il versamento delle prime “rate”). Quando,
cioè, il contributo causale – nel senso dianzi specificato – era già stato dato.
Non sembrano pertinenti, pertanto, le osservazioni difensive, secondo cui la
sentenza impugnata non evidenzia “quale concreta utilità abbia prodotto, a
12

comunque un maggiore senso di sicurezza nella propria condotta”.

vantaggio degli altri imputati, la semplice dichiarazione di disponibilità dello
Spera”, né quella secondo cui non viene individuato, in sentenza, “un segno
tangibile di quel presunto rafforzamento dell’altrui proposito criminoso”. La
critica non considera, infatti, che il concorso morale trova attuazione e produce
effetti sul piano psicologico, che si rivela nella pratica mediante la causazione
dell’evento da parte del concorrente materiale; mentre i “segni tangibili”
vengono dal concorso materiale, che si traduce nella compartecipazione
nell’azione tipica, o in una sua frazione, ovvero nella produzione dell’evento. Non

condotta e l’evento (comunque inteso), si atteggia in maniera diversa nel
concorso materiale e in quello morale, giacché nel primo caso è diretto, nel
secondo è mediato dal comportamento del correo, nella cui sfera psichica si
esaurisce.
Il ricorso di Spera va pertanto rigettato.

3. Sono infondati anche i motivi di ricorso di Murino Massimo.
3.1. Coi primi due motivi il Murino si duole della illogicità della motivazione resa
In ordine ai reati a lui contestati. I motivi sono infondati, perché all’affermazione
della penale responsabilità il giudice d’appello è pervenuti sulla base delle
seguenti, lineari considerazioni.
Reati; di cui ai capi A), B) ed E). Depongono contro il Murino le dichiarazioni di
molteplici collaboratori di giustizia, organici, prima dell’arresto, al clan criminale
di Esposito Giuseppe, i quali, in maniera convergente, hanno dichiarato che
Murino era organico al clan dell’Esposito, col ruolo di gestore delle attività
economiche del gruppo. Infatti, nel Camino Real erano stati investiti soldi
dell’Esposito, che il Murino restituiva periodicamente e continuò a restituire dopo
l’assassinio del socio, a mani della moglie. La sua organicità al clan è dimostrata,
nel giudizio della Corte territoriale, dal fatto che tale lo consideravano gli altri
affiliati; dalla disponibilità, da lui data, per favorire gli incontri di Esposito col
sindaco Palo nella sua abitazione e presso il Camino Real; dal fatto che il Camino
Real rappresentò la base logistica per l’evasione di Cesarano Pasquale e Autorino
Giuseppe dall’aula bunker del Tribunale di Salerno durante la celebrazione del
processo che li riguardava; dal fatto che il Murino si premurò di procurare armi al
clan per vendicare la morte di Esposito Giuseppe; dal fatto che corrispondeva
somme al clan ed ebbe a lamentarsi energicamente, in un’occasione, della
destinazione data da Esposito Carmine alle somme da lui versate.
Gli stessi collaboratori hanno reso noto il ruolo di Murino nelle vicende corruttive
per cui è processo, evidenziando che svolse il ruolo di cerniera tra il sindaco Palo
e l’Esposito, sia mettendoli in contatto, sia propiziando i loro incontri nella sua
abitazione e presso il Camino Real.
13

tiene conto, cioè, del fatto che il legame eziologico, sempre necessario tra la

Reati di cui ai capi O) e P). Depongono contro il Murino le dichiarazioni di vari
collaboratori di giustizia, i quali hanno reso noto che Murino, dopo l’uccisione di
Esposito Giuseppe, fece avere al clan una pistola ed altre armi, che dovevano
servire a vendicare la morte dell’Esposito. Armi che furono poi rinvenute dagli
inquirenti all’interno di un furgone su indicazione di Riccio Remigio, al quale
erano state consegnate da Pagano Giuseppe. La pistola aveva matricola abrasa.
Il giudizio di colpevolezza dell’imputato per tutti i reati a lui contestati,
come agevolmente si evince da quanto innanzi sintetizzato, riposa quindi su un
apparato argomentativo che fa buon governo delle regole di valutazione della
prova e dà conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che lo giustificano:
i molteplici elementi indiziari sui quali la sentenza impugnata fa leva si
caratterizzano per precisione e gravità, si integrano tra loro e convergono tutti
nella stessa direzione, nel senso che avallano l’ipotesi accusatoria del
coinvolgimento del Murino sia nell’associazione mafiosa che nelle vicende
corruttive contestate ai capi B) ed E), oltre che nel possesso delle armi e
ricettazione della pistola.
Per contro, ritiene la Corte che gli argomenti utilizzati dal difensore dell’imputato,
costituenti, peraltro, pedissequa riproduzione di quelli sottoposti all’attenzione
del giudice d’appello e da questi motivatamente disattesi, siano del tutto inidonei
ad incidere, anche in termini meramente dubitativi, sul compendio degli elementi
che hanno portato la Corte territoriale all’affermazione della penale
responsabilità dell’imputato. Tanto vale sia per l’affermazione che Murino era
vittima del clan (circostanza provata, secondo il difensore, dal versamento
periodico di somme all’Esposito), avendo la Corte spiegato che si trattava della
restituzione di somme avute dal sodale e della remunerazione del capitale da
questi investito (quindi, prova delle cointeressenze economiche del gruppo); sia
per l’affermazione (evidentemente in contrasto con la prima) che Murino non
intendeva favorire il clan camorristico ma Esposito personalmente, di cui era
“grande amico”, avendo la Corte messo in evidenza le molteplici attività,
spiegate dall’imputato, a favore dell’associazione nel suo complesso (la fornitura
di armi; l’organizzazione dell’evasione di due complici; l’elargizione di denaro
dopo l’uccisione di Esposito; ecc). Né corrisponde a verità che i giudici abbiano
trascurato dichiarazioni favorevoli all’imputato (circostanza dedotta, peraltro, in
maniera assolutamente generica), avendo, invece, valorizzato proprio le
dichiarazioni di Schipani e La Pietra per ricostruire la storia dei rapporti tra
l’Esposito e il Palo, propiziati dal Murino. Solamente assertiva, e priva di
rilevanza pratica, è infine l’affermazione che l’intervento di Murino fu successivo
al versamento delle prime somme corrisposte dal Franzese in esecuzione
dell’accordo corruttivo, una volta verificato che l’accordo si rinnovò e si ampliò
nel tempo e che ebbe un’attuazione prolungata, tanto che alla morte
14

t

dell’Esposito il Franzese aveva corrisposto poco più della metà della somma
concordata.

3.2. Infondato si appalesa, all’evidenza, anche il terzo motivo di ricorso, dacché
è stato escluso che i periodici versamenti di somme di denaro effettuati dal
Murino costituissero “tangenti” a favore del clan criminale e affermato, sulla base
delle esposte emergenze istruttorie, che rappresentavano l’espressione della
cointeressenza del clan, e in particolare dell’Esposito, nell’attività imprenditoriale

i suoi affari (i giudici di merito hanno evidenziato che serviva alle riunioni del
clan; che veniva utilizzato come base logistica; che al suo interno avvennero gli
incontri finalizzati alla corruzione degli amministratore pubblici di Montecorvino
Pugliano), basta per ritenere integrato il presupposto della confisca, ricorrendo
due delle condizioni previste dall’art. 416/bis, comma 7, cod. pen. per disporre
l’ablazione del bene: la sua natura servente rispetto alle attività della cosca e il
fatto che rappresentava il reimpiego di attività illecite, ragion per cui il
provvedimento impugnato si appalesa esente da vizi che ne determinino
l’illegittimità. Inammissibile, per assoluta genericità, è la doglianza relativa alla
mancanza di motivazione in ordine ad “una serie di argomentazioni” esposte alle
pagg. 15 e seguenti dell’atto d’appello, visto che si tratta di “argomentazioni”
che riproducono, ripetitivamente, la tesi dell’imprenditore taglieggiato,
motivatamente disattesa dalla Corte di merito.

4. Infondato è anche il ricorso del responsabile civile.
Nessun vizio presenta la sentenza impugnata laddove la affermato la
responsabilità civile del comune di Montecorvino Pugliano per il fatto illecito dei
suoi dipendenti e rappresentanti, nonché dei soggetti chiamati ad esprimere la
sua volontà (nella specie, Spera Luca e Bove Luciano). La responsabilità civile
della P.A. per reato commesso dal dipendente o dal rappresentante presuppone,
infatti, un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni
esercitate, che ricorre quando l’illecito è stato compiuto sfruttando comunque i
compiti svolti, anche se il soggetto ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e
persino se ha violato gli obblighi a lui imposti (Ex multis, Cass. Pen., 18/1/2011,
n. 21195). E la Corte di merito ha accertato che Bove ha potuto rilasciare le
concessioni illegittime perché era il responsabile dell’Ufficio tecnico, mentre
Spera ha potuto concorrere nel reato perché era membro della Commissione
Edilizia: quindi, mentre erano chiamati ad esprimere la volontà dell’Ente, per cui
Il rapporto tra fatto dannoso e mansioni esercitate è indiscutibile.
Priva di vizi si appalesa anche la condanna generica al risarcimento del
danno a carico del comune di Montecorvino Pugliano, pronunciata a cagione

15

del Murino. Tale circostanza, unita al fatto che il locale serviva al clan per gestire

dell’attività illecita dei suoi dipendenti e rappresentanti. Infatti, la condanna
generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale non esige e
non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno
risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del
fatto dannoso e della esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio
di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio
lamentato, restando impregiudicato l’accertamento riservato al giudice della
liquidazione dell’esistenza e dell’entità del danno, senza che ciò comporti alcuna

23/01/2009, Rv. 243769; Sez. 6, Sentenza n. 2545 del 21/12/2009, Rv.
245853). Nel caso concreto, l’attitudine pregiudizievole dei fatti addebitati agli
imputati è stata – come rilevasi dal complesso delle considerazioni esposte – ben
posta in evidenza dalla sentenza impugnata, anche se – come dovevasi – al solo
fine di stabilire in astratto l’obbligo del risarcimento (la Corte d’appello ha
evidenziato che rilevanti somme sono state corrisposte dalle parti civili a titolo di
acconto per l’acquisto – poi non perfezionatosi – delle unità immobiliari, sicché,
quantomeno in relazione a detti esborsi, è configurabile un danno a carico dei
promittenti acquirenti). Vanno pertanto disattesi i motivi di ricorso che riflettono
questo punto, che appaiono per il vero piuttosto attinenti al giudizio civile di
liquidazione.
Quanto alla doglianza concernente l’entità delle provvisionali, la stessa presenta
evidenti profili di inammissibilità, tenuto conto del condivisibile e consolidato
indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo
cui “le questioni concernenti le statuizioni relative alla provvisionale non sono
deducibili in sede di legittimità (in termini, “ex plurimis”, Sez. 2, 20 giugno 2003,
Lucarelli, RV. 226454).

In definitiva, Il ricorso di Imposimato va dichiarato inammissibile e vanno
rigettati quelli di Spera e Murino, nonché del responsabile civile. Tutti vanno
condannati al pagamento delle spese processuali e Imposimato, il cui ricorso è
Inammissibile, altresì, al pagamento di una somma a favore della Cassa delle
ammende che, in ragione dei motivi del ricorso, stimasi equo quantificare in
1.000.
Tutti vanno condannati alla refusione delle spese sostenute dalla parti civili, che
si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Imposimato Benito, che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della
16

violazione del giudizio formatosi sull’an (Sez. 4, Sentenza n. 21505 del

Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di Spera Luca e Murino Massimo e del
responsabile civile, che condanna singolarmente al pagamento delle spese
processuali.
Condanna gli imputati e il responsabile civile, in solido, alla rifusione delle spese
sostenute dalle parti civili, liquidate:
– per le parti difese dall’avv. Patrizia Macario, globalmente, in complessivi C
8.000, oltre accessori secondo legge;
– per le parti difese dall’avv. Antonio Zecca, globalmente, in complessivi C

– per la parte difesa dall’avv. Elia Carinci in complessivi C 3.000, oltre accessori
secondo legge.
Dispone in favore degli avvocati Antonio Zecca e Patrizia Macario, dichiaratisi
antistatari, la distrazione delle spese come sopra liquidate per le parti da loro
difese.
Così deciso il 4/4/2013

10.000, oltre accessori secondo legge;

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