Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28279 del 05/03/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28279 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
OUSMANE SY N. IL 27/01/1997
avverso la sentenza n. 20688/2012 GIP TRIBUNALE di TORINO, del
03/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Data Udienza: 05/03/2014

5835/2013
Motivi della decisione
Ousmane Sy ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe di applicazione della
pena su richiesta delle parti per il reato di cui all’art. 81 cpv cod.pen. e 73, co.5, dpr
309/90 e per quello di cui all’art. 495 cod.pen. fatti commessi il 27.10.2012,
lamentando il difetto di motivazione sull’accertamento di responsabilità.

Il c.d. patteggiamento, disciplinato dagli artt. 444 e sgg cpp, è un istituto processuale
in base al quale il pubblico ministero e l’imputato si accordano sulla qualificazione
giuridica del fatto contestato, sulla concorrenza e valutazione delle circostanze e sulla
congruità della pena patteggiata.
Sulla base di tale accordo, il sindacato del giudice non ha la stessa ampiezza prevista
qualora si proceda al giudizio ma è limitato alla valutazione sull’esistenza, che deve
apparire evidente, di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cpp e ad
un giudizio di congruità sul trattamento sanzionatorio.
In particolare il giudice non deve procedere all’accertamento dei fatti nella loro
effettiva consistenza, essendo da ciò esentato proprio dall’intervenuto accordo delle
parti. Ne consegue che non sono proponibili con il ricorso per Cassazione censure che
attengono alla concreta ricostruzione dei fatti stessi, specie ove, come nella specie,
esse risultino del tutto generiche.
Rileva inoltre il Collegio, con riferimento alla recente modifica intervenuta con il d.l.
23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10 il
cui art. 2 ha introdotto nel testo del dPR 309/90 un nuovo quinto comma che ha
ridefinito i contorni della fattispecie in esame nel senso che la medesima costituisce
titolo autonomo di reato e non circostanza aggravante come in precedenza ritenuto,
che la stessa non comporta conseguenze sulla situazione di cui al presente
procedimento; infatti pur essendosi stabilita per tale fattispecie la pena da 1 a 5
anni, inferiore nel massimo a quella da 1 a 6 anni prevista dall’art. 73, co. 5, nel
testo sia della legge Iervolino – Vassalli che della Bossi- Fini, nella specie la pena base
è stata determinata nella misura di 1 anno e 6 mesi di reclusione cioè in misura
prossima al minimo edittale e assai distante dal massimo, onde può ritenersi che
non rilevi il nuovo, inferiore, limite massimo; né il reato risulta prescritto in base ai più
favorevoli termini di prescrizione collegati alla nuova qualificazione giuridica del reato.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore delle cassa delle ammende che, in
considerazione dei motivi dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della
Corte costituzionale n.186 del 2000, in euro 1.500,00.
p.q.m.

– dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento nonché al versamento di 1.500,00 euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 5.3.2014

DE P

Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.

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