Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28276 del 08/03/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28276 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUONANNO ANTONIO N. IL 15/11/1962
PACIFICO ANTONIO N. IL 19/09/1967
VERDE FRANCESCO N. IL 26/10/1978
VEROLA MAURO N. IL 06/03/1982
RECCIA NUNZIO N. IL 18/09/1983
NEMOLATO FELICE N. IL 10/03/1950
avverso la sentenza n. 1168/2014 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
25/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per‘

Udito, per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 08/03/2016

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Antonio
Birritteri, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
Udito il difensore di Reccia Nunzio, avv.Andrea Casto che ha concluso per

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 16.10.2013, il GIP del Tribunale di Venezia, previa
riqualificazione dei delitti ascritti agli imputati sub Al e A2 nel delitto previsto e punito
daglia artt.61 n.7, 110, 112 n.1 e 2, 56, 640 c.p. dichiarava Antonio Buonanno,
Antonio Pacifico, Francesco Verde, Luigi Vigliero, Mauro Verola, Nunzio Reccia
responsabili dei delitti sub Al e A2, nonché di quelli sub A3 (tentata truffa aggravata),
B (ricettazione in concorso), C (falso in assegni circolari), E (delitto continuato di
tentata estorsione ed estorsione consumata aggravata in concorso), e G (lesioni
personali in concorso), Felice Nemolato e Vangel Alla responsabili dei delitti sub Al,
A2, A3, B, C ed E, Federico Marchesan responsabili dei delitti sub Al, A2, A3, B, C e D
(calunnia) e li condannava alle pene di cui in sentenza. Avverso la sentenza
proponevano appello gli imputati; in sede d’appello gli imputati Pacifico, Verde, Alla,
Verola, Buonanno, Nemolato e Marchesan rinunciavano ai motivi di impugnazione
proposti, eccezion fatta per quanto concerne quelli attinenti al trattamento
sanzionatorio, e la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 25.11.2014, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva le pene irrogate.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Buonanno Antonio, deducendo:
in relazione ai reati di tentata estorsione e di lesioni aggravate, 1) la violazione degli
artt.606 lett.b) ed e) c.p.p., 192, II co.c.p.p., 192 III co cpp, 129 cpp, 530 I e II co
cpp, e mancanza, insufficienza, illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità
dell’imputato. Nonostante la rinuncia ai motivi diversi da quelli sulla pena, la Corte
avrebbe dovuto adeguatamente motivare in ordine alla possibilità di prosciogliere
l’imputato in mancanza di prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase
ideativa o preparatoria del reato; 2) la violazione degli artt.606 lett.b) ed e) c.p.p.,
192, II co.c.p.p., 192 III co cpp, 129 cpp, art.7 1.203/91, in assenza di un
comportamento oggettivo; 3) la violazione degli artt.606 lett.b) ed e) c.p.p., 129 cpp
393, 56, 610 c.p. in relazione alla qualificazione giuridica del fatto avendo l’imputato
agito per recuperare le spese sostenute per condurre in porto l’azione truffaldina
congegnata dal Marchesan e non già per ottenere un ingiusto profitto; in relazione al
reato di detenzione e porto illegale di arma 1) la violazione dell’art.606 lett.b) ed e)

l’accoglimento del ricorso.

cpp.129 cp, 10, 12, 14 1.497/74 in quanto nessun accertamento è stato esperito circa
il fatto che non si trattasse di arma giocattolo; 2) la violazione degli artt.606 lett.b) ed
e) cpp, 129 cp, 10, 12, 14 1.497/74, in quanto essendo pacificamente accertato che
non vi è stata detenzione dell’arma da parte dell’imputato rispetto al contestato porto,
è pacifico che vi è stata una “coincidenza temporale” tra la condotta di detenere e
portare; in relazione al reato di ricettazione 1) la violazione degli artt.606 lett.b) ed e)
cpp, 129 cp, 648 c.p., 647 c.p., non essendo configurabile il reato di ricettazione,
trattandosi di assegni denunciati smarriti.

mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento al
giudizio di responsabilità e alla ritenuta aggravante di cui all’art.7 1.203/91, in quanto
il Nemolato non era coinvolto in tutta la vicenda che si stava verificando in Veneto,
come dimostra il fatto che fosse all’oscuro del fallimento del piano del Marchesan, ed
era interessato unicamente al recupero della somma a lui dovuta per gli assegni a suo
tempo consegnati. Nessun coinvolgimento quindi nell’ipotesi estorsiva.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Pacifico deducendo l’
inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale, nonché la mancanza
e manifesta illogicità di motivazione ai sensi dell’art.606, co.1 lett. e c.p.p. in
relazione al giudizio di responsabilità in relazione a tutti i capi di imputazione,
all’aggravante di cui all’art. 7 d.I.152/91 e per applicazione dell’art. 49 c.p. (reato
impossibile) per il capo c). Il Pacifico non ha mai assunto comportamenti estorsivi nei
confronti del Marchesan le cui dichiarazioni sono inattendibili; lo stesso Crema non ha
mai riferito di dazioni di danaro da lui versate per Marchesan al Pacifico e agli altri
correi. L’inquadramento corretto della fattispecie concreta avrebbe dovuto essere
quella del tentativo di cui all’art.56 c.p.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Reccia Nunzio, deducendo: 1) la
mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett.e) c.p.p. con
riferimento all’impugnazione sub E aggravata ex art.7 1.203/91 in assenza di contatti
tra Reccia e le vittime dell’estorsione Marchesan e Crema, e tutte le azioni sono state
poste in essere dal gruppo Pacifico, Verde, Vigliero, e Alla Vangel non dal Reccia; 2)
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi
dell’art.606 lett. e) c.p.p. in relazione alle risultanze processuali e in particolare alle
dichiarazioni testimoniali, non valorizzate nella parte in cui sono favorevoli al Reccia;
3) l’ inosservanza ed errata applicazione dell’art.7 1.203/91 e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. b) ed
e) c.p.p. in quanto non ancorata a un coefficiente di prevedibilità concreta; 4) errata
interpretazione della legge penale e mancanza, insufficienza, illogicità della
motivazione ai sensi dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in ordine alla determinazione
della pena nettamente sbilanciata rispetto al coimputato Pacifico.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Nemolato Felice, deducendo: la

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato VERDE Francesco, deducendo l’
inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale, nonché la mancanza
e manifesta illogicità di motivazione ai sensi dell’art.606, co.1 lett. e c.p.p. in
relazione al giudizio di responsabilità in relazione a tutti i capi di imputazione,
all’aggravante di cui all’art. 7 d.I.152/91 e per applicazione dell’art. 49 c.p. (reato
impossibile) per il capo c). Il Verde non ha mai assunto comportamenti estorsivi nei
confronti del Marchesan le cui dichiarazioni sono inattendibili; lo stesso Crema non ha
mai riferito di dazioni di danaro da lui versate per Marchesan al Verde e agli altri

quella del tentativo di cui all’art.56 c.p.
Ricorre per cassazione i difensori dell’imputato Verola Mauro, deducendo: 1)
l’erronea applicazione dell’art.63 co.IV c.p.p. ai sensi dell’art.606 lett. b) c.p.p. in
punto aumento di pena per l’art.7 1.203/91 in quanto ritenendo il reato di estorsione
aggravata quale reato più grave non poteva operare altro aumento di pena; 2)
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi
dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in ordine alla determinazione della pena e alla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
Chiedono pertanto tutti l’annullamento della sentenza.

Considerato in diritto

1.1 ricorsi di Buonanno Antonio, Nemolato Felice, Pacifico Antonio, Verde
Francesco sono inammissibili, in riferimento a tutti i motivi.
1.1 Gli imputati hanno rinunciato a tutti i motivi d’appello, eccezion fatta a quelli
concernenti il trattamento sanzionatorio.
Rileva, a riguardo, il Collegio che a seguito dell’abrogazione del c.d.
patteggiamento in appello (art. 599, commi quarto e quinto,c.p.p.), la rinunzia
parziale ai motivi di appello deve ritenersi incondizionata, e determina il passaggio in
giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinunzia; ne
consegue che la Corte di appello non ha l’onere di motivare in ordine ad essi
(v.Cass.Sez.II, Sent. n. 46053/2012 Rv. 255069). In questo caso non viene meno il
potere-dovere del giudice d’appello di applicare anche d’ufficio (sussistendone i
presupposti) la generale regola valutativa dettata dall’art.129 c.p.p.; tuttavia, le
censure afferenti alla ipotizzata omessa applicazione di tale norma espresse con il
ricorso in Cassazione non possono risolversi in una apodittica denuncia di omissione
formale o di genericità del vaglio compiuto dal giudice di secondo grado, senza
indicazione di elementi concreti che ipotizzino possibili soluzioni liberatorie ex art. 129
c.p.p. (cfr. Cass.Sez.VII, ord.n.46280/2009 rv.245495). E nella fattispecie, tutti i
ricorrenti si sono limitati a censurare la sentenza, deducendo vizi di motivazione o

correi. L’inquadramento corretto della fattispecie concreta avrebbe dovuto essere

questioni di merito, come tali inammissibili in questa sede. La Corte ha comunque
valutato l’insussistenza di possibili soluzioni liberatorie ex art.129 c.p.p., ampiamente
illustrando tutte le risultanze processuali che hanno condotto al giudizio di
responsabilità dei ricorrenti, e, in particolare, rammentando che Pacifico, Verde,
Buonanno, Reccia e Verola sperimentarono di concerto le iniziative fraudolente di cui
ai capi Al, A2 e A3, negoziando assegni circolari falsi, con la supervisione di Felice
Nemolato, nell’iniziativa fraudolenta prima e nell’estorsione che seguiva il degenerare
dei rapporti tra sodali poi, come emerge dagli esiti delle intercettazioni telefoniche.

aggredì Federico Marchesan e Gino Crema per costringerli a consegnare un’ingente
somma quale sorta di indennizzo correlato al fatto che i tentativi di truffa in danno
degli Istituti Bancari non erano andati a buon fine. Nel contesto delle iniziative
delinquenziali del gruppo, Buonanno, Verola e Reccia avevano assunto un ruolo di
sicura supremazia nella ricettazione dei titoli e nella frode prima, e poi nell’estorsione
connotata da “metodo mafioso” (v.pagg.10-22 della sentenza impugnata). Tali
essendo i fatti, come ricostruiti sulla scorta delle numerose risultanze processuali (tra
cui le dichiarazioni delle parti offese, le conversazioni intercettate, e le confessioni di
alcuni imputati), nessun dubbio, infine, circa la qualificazione giuridica delle condotte
estorsive, in assenza di alcun preteso diritto tutelabile a azionabile in sede giudiziaria.
2. Ricorso di Reccia Nunzio.
2.2 In sede d’appello, Reccia a rinunciato a tutti i motivi, salvo quelli attinenti al
trattamento sanzionatorio e all’applicazione dell’aggravante di cui all’art.7 1.203/91.
2.3 II primo, e il terzo motivo di ricorso con riferimento all’imputazione di
estorsione e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, e sull’applicazione
dell’aggravante in questione sono manifestamente infondati e privi della specificità,
prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p. La Corte con
ampia motivazione esente da evidenti vizi logici ha illustrato in sentenza le ragioni per
le quali sussisteva l’aggravante contestata (“i correi al di là della violenza tipica
dell’estorsione hanno voluto connotare di “mafiosità” la comune pretesa, sostenendola
come promanante da “una famiglia”, con modalità tali da ingenerare intenzionalmente
nelle vittime timore qualificato dalla consapevolezza che la minaccia incombente
derivasse da consorterie di tipo mafioso” v.pag.31), e la stessa era applicabile al
Reccia, in quanto consapevole delle peculiari forme di intimidazione materialmente
arrecate alle vittime dai concorrenti nel reato (v.pagg.32-34).
2.4 Il secondo motivo, concernente il vizio di motivazione in ordine al materiale
probatorio utilizzato, è inammissibile per le stesse ragioni già esposte al punto 1.1
2.5 Il quarto motivo, per violazione degli artt.3 Cost. e 132 c.p. e vizio di
motivazione sul trattamento sanzionatorio, sperequato rispetto ai correi,

Pacifico, Verde, Bonanno, Reccia e Verola hanno, poi, fatto parte del gruppo che

manifestamente infondato e privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in
relazione all’art 591 lett. c) c.p.p.
La Corte ha ridotto le pene per tutti i ricorrenti, immutata la qualificazione
giuridica dei fatti, delle circostanze e del giudizio di comparazione (attenuanti
equivalenti alle aggravanti contestate) con la sentenza di primo grado, né sono state
dedotte circostanze specifiche non valutate dai giudici di merito e deponenti a favore
del ricorrente. Anzi dalla sentenza impugnata emerge chiaramente il pieno
coinvolgimento dell’imputato nella vicenda con un ruolo di supremazia, in pieno

alcuni dei quali (tra cui il Pacifico e il Verde) erano già stati favorevolmente valutati
(nella sentenza di primo grado) ai fini del trattamento sanzionatorio – pur nella gravità
del fatti reati – il comportamento processuale e la confessione.
3. Ricorso di Verola Mauro
3.1 II primo motivo di ricorso, in cui denuncia violazione dell’art. 63 c.p., comma
4, in relazione al doppio aumento di pena applicato dal giudice d’appello per le
circostanze aggravanti ad effetto speciali, è manifestamente infondato.
E’ vero che la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto più grave il reato di
estorsione aggravata, ma ha determinato per tale reato la pena base in anni cinque
mesi tre di reclusione e 1200 euro di multa (quasi il minimo previsto dalla legge al
primo comma per l’ipotesi di estorsione non aggravata: reclusione da cinque a dieci
anni e multa da euro 516 a 2065), e quindi ha aumentato la pena ex art.7 nella
misura di un solo terzo, la qual cosa avrebbe comunque rispettato (nell’ipotesi che la
pena fosse stata determinata sull’ipotesi aggravata di cui al secondo comma
dell’art.629 c.p.: da sei e venti anni di reclusione e multa da euro 1032 a 3098) il
disposto dell’art.63 co.IV c.p., secondo il quale, quando concorrono come nella
fattispecie più circostanze aggravanti ad effetto speciale si applica soltanto la
circostanza più grave, ma il giudice può aumentare la pena per effetto di altra
aggravante, ma solo fino a un terzo.
Rileva, a riguardo il Collegio, che nella fattispecie trattasi poi di aggravante di cui
all’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito in L. n. 203 del 1991), che è esclusa dal
giudizio di bilanciamento, e che l’aumento di pena per l’unica circostanza esclusa dal
giudizio di bilanciamento non sottostà ai limiti dettati dal citato art. 63, comma 4. La
lettura complessiva della norma rende manifesto che essa è finalizzata a regolare in
concreto le modalità di calcolo degli aumenti o delle diminuzioni di pena in ragione del
riconoscimento delle circostanze attenuanti e di quelle aggravanti. Il criterio di
contemperamento dettato dal comma 4, in caso di concorso di più circostanze ad
effetto speciale, vale quindi solo per l’ipotesi in cui in concreto vi sia stata
quantificazione di pena stabilita per la circostanza ad effetto speciale più grave. Ove
quindi tale quantificazione non avvenga (come nel caso in esame) per effetto del

concerto con Nemolato (al quale è fedelissimo), e agli altri correi; nei confronti di

giudizio di equivalenza o prevalenza delle riconosciute attenuati, non essendovi in
concreto applicazione della pena stabilita per effetto della circostanza ad effetto
speciale, non si determinano le condizioni per applicare il criterio di contemperamento
e quindi la circostanza ad effetto speciale, che per volontà di legge è esclusa dal
giudizio di bilanciamento, può essere applicata pienamente, senza cioè il limite
stabilito dal citato comma 4 (v.Cass.Sez.II, Sent. n. 44155/2014 Rv. 262066; Sez.VI,
Sent. n. 7916/2011 Rv. 252069).
3.2 II secondo motivo è inammissibile per le stesse ragioni di cui al punto 1.1

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
(v.Corte Cost. sent.n.186/2000), nella determinazione della causa di inammissibilità al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro ciascuno,
così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.
Così e . berato, in data 8.3.2016.
liere estensore
a Cervaoro
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eA,S42401)

Il Presidente
Mario Gentile

I ricorsi vanno pertanto tutti dichiarati inammissibili.

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