Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28269 del 27/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28269 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA

SENTENZA
sul ricorso promosso da:
ONORATO Christian n. 19/11/1988
avverso l’ordinanza n. 37/2016 del TRIBUNALE della LIBERTA’ di
CATANZARO in data 21/01/2016
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Pietro
GAETA, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 27/06/2016

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 309 codice di rito, il Tribunale di
Catanzaro ha rigettato il ricorso per riesame avverso l’ordinanza con la quale il GIP
presso il Tribunale di Catanzaro ha applicato a ONORATO Christian la misura della
custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90
(capo 1), agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen. e 73 e 80 d.P.R. 309/90 (capo 2), agli artt.

110/75 (capo 4), agli artt. 81, 110 e 648 cod. pen. (così riqualificata l’originaria
incolpazione di cui all’art. 648 bis cod. pen. per il capo 5) e all’art. 12 quinquies
d.lgs. 306/92 (capo 7).
2. All’esito di una perquisizione operata in data 20.11.2014 presso tre casolari siti
in Cetraro, erano state rinvenute armi (2 pistole, 2 fucili, 2 carabine), gr. 235 di
cocaina, gr. 115 di sostanza da taglio, 325 di acido borico e Kg. 750 di marijuana,
euro 1.600,00 in contanti, un appunto manoscritto riportante diversi nominativi e
cifre e un altro con le indicazioni utili alla coltivazione della marijuana, oltre ad una
macchina per il confezionamento sottovuoto. All’interno di uno degli edifici facenti
parte del sito era stato pure rinvenuto un ambiente per la coltivazione di marijuana
con piante essiccate e, in un altro, un impianto di videosorveglianza composto da
una televisione collegata ad una telecamera puntata sulla strada esterna, unica via
d’accesso ai locali. Proprio nello stabile in cui era stato ritrovato l’impianto di
videosorveglianza, venivano rinvenute delle vere e proprie postazioni di lavoro.
Il coinvolgimento nella vicenda dell’indagato, avvalsosi della facoltà di non
rispondere in sede di interrogatorio di garanzia, era stato ricollegato proprio agli esiti
della perquisizione, con riferimento alle annotazioni contenute nel manoscritto
contenente nomi e cifre, nel quale veniva indicato con il suo alias conosciuto dagli
inquirenti

(“Caparrua”),

oltre che con altre sigle quali “Cris”, “Capua” o

semplicemente “C”, ma, soprattutto, al rilevamento di una impronta, poi ricondotta
all’ONORATO, ritrovata sulla macchina per sottovuoto.
Il Tribunale ha preliminarmente esaminato la doglianza difensiva con la quale si
era eccepita la mancata trasmissione di alcuni atti posti a fondamento della misura
(verbali di s.i.t. e rapporto fotografico rappresentativo delle impronte digitali),
rilevando che la trasmissione parziale degli atti imponeva al Tribunale di valutare se
l’ordinanza applicativa superasse la c.d. “prova di resistenza”, verificando se gli
elementi trasmessi sostenessero comunque la misura, concludendo in senso positivo,
poiché l’impossibilità di apprezzare il contenuto dei verbali di s.i.t. mancanti non
elideva la gravità indiziaria già desumibile dagli atti trasmessi, quanto al rapporto
fotografico opponendo l’infondatezza della deduzione, stante la presenza
dell’elemento che si assumeva mancante.

81, 110 cod. pen. e 2 e 7 I. 895/67 (capo 3), agli artt. 81 e 110 cod. pen. e 23 I.

Nel merito, il Tribunale non ha creduto alla tesi difensiva secondo cui detta
impronta sarebbe giustificabile in ragione della frequentazione dei luoghi da parte
dell’ONORATO in virtù del sua amicizia con il co-indagato IANNELLI Michele, poiché
l’assunto non dava conto della occasione in cui l’ONORATO avrebbe lasciato tale
impronta, proprio sulla macchina per il sottovuoto, peraltro rinvenuta in uno dei
casolari deputati al confezionamento di stupefacenti.
Quel giudice ha, pertanto, ritenuto sussistenti gravi indizi dell’inserimento
dell’indagato nella compagine criminosa, cui ha ricondotto la centrale di produzione
di droga, dotata di una organizzazione strutturale di uomini e mezzi finalizzata ad
una serie indeterminata di cessioni di stupefacenti, come confermato dal
rinvenimento della contabilità dell’illecito traffico rappresentata da “un libro mastro”
con l’indicazione delle cifre spettanti a diversi soggetti, tra i quali figuravano “Mich” e
Fabr”, riconoscibili nei fratelli Michele e Fabrizio IANNELLI e “Crist”, riconducibile a
Christian ONORATO, indicato anche mediante l’alias. Peraltro, l’indicazione
dell’indagato accanto a cifre proporzionate, rispetto a quelle indicate accanto alle
sigle riferibili agli altri indagati con ruolo apicale (come i fratelli IANNELLI),
dimostrerebbe per il giudice del riesame una analoga posizione anche in capo
all’indagato.
Infine, con riferimento al reato di intestazione fittizia della ditta “L’oasi della
frutta”, la gravità indiziaria è stata tratta dal contenuto delle conversazioni
telefoniche tra l’ONORATO e IANNELLI Michele, vero dominus dell’azienda e soggetto
dal quale il primo riceveva ordini e disposizioni riguardanti l’attività di vendita di
frutta e verdura riconducibile alla ditta.
3. L’indagato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando un unico
motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla analisi e
alla verifica degli elementi di fatto e di diritto posti a base della misura.
In particolare, ha dedotto la trasmissione parziale degli atti, contestando la
affidabilità della rilevazione dell’impronta digitale dalla macchina per sottovuoto e
della analisi condotta sull’impronta rilevata, affermando che né la consulenza tecnica,
né il verbale della Polizia Scientifica recano la specificazione della tipologia di polvere
utilizzata per l’esaltazione dell’impronta, della genuinità dei materiali impiegati,
aventi generalmente un termine di scadenza e del numero preciso dei punti
corrispondenti, uguali per forma e posizione tra il campione e l’impronta digitale
dell’ONORATO, altresì osservando che la presenza dell’impronta potrebbe spiegarsi
con il fenomeno del trasferimento involontario di essa da un oggetto a un altro.
Quanto ai dati contenuti nel manoscritto, il ricorrente ha rilevato l’asserita
apoditticità della ritenuta riferibilità delle sigle all’ONORATO.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

3

,

2. Quanto al primo profilo, il Tribunale ha adeguatamente risposto alla censura
concernente la mancata trasmissione dei verbali di s.i.t. indicati in ricorso. In tal
caso, infatti, la nullità prospettata (e la conseguente perdita d’efficacia della misura)
non consegue automaticamente, come sembra prospettare la parte, ma solo all’esito
della verifica degli elementi che difettano e della loro rilevanza ai fini della emissione
della misura, dovendosi altresì verificare, previo confronto con gli elementi acquisiti,
se questi ultimi siano da soli sufficienti a giustificare il mantenimento del vincolo [cfr.
Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239699; Sez. 3 n. 37009 del 07/07/2011, Rv.
251392; Sez. 6 n. 8657 del 12/12/2013 Cc. (dep. 21/02/2014), Rv.2587797; Sez. 2

Peraltro, sul punto, si è pure precisato che “L’obbligo imposto al P.M., ex art. 309,
comma quinto, cod. proc. pen., di trasmettere al tribunale del riesame gli atti
presentati al Gip, ex art. 291 cod. proc. pen. – pena la perdita di efficacia della
ordinanza impositiva della misura coercitiva – può ritenersi adempiuto anche
mediante l’integrale riproduzione del contenuto dei predetti atti nell’ordinanza che ha
disposto la misura cautelare, in quanto, in tal caso, la difesa viene messa nelle
condizioni di avere piena cognizione degli atti posti a base della misura restrittiva”
(cfr. Sez. 5 n. 42150 del 15/07/2011, Rv. 251696).
Nel caso in esame il Tribunale ha dato conto della verifica effettuata, pervenendo
alla conferma del titolo sulla scorta di un quadro indiziario la cui eloquente gravità
emerge dalla natura degli atti trasmessi e degli accertamenti effettuati, i cui esiti
sono stati regolarmente trasmessi, ivi compreso il rapporto fotografico relatico alle
impronte prelevate sulla macchina, come affermato dal Tribunale a pag. 2
dell’ordinanza. A fronte di tale affermazione, corredata da specifici riferimenti al file
consultabile, la parte si è limitata a riproporre genericamente la medesima doglianza,
così mostrando di non essersi confrontata con la motivazione del provvedimento
impugnato.
3. Anche le doglianze relative alla procedura di campionamento, analisi e verifica
delle impronte digitali sono manifestamente infondate, risolvendosi nella generica
contestazione del metodo seguito, laddove il Tribunale ha fondato le sue conclusioni
sulla scorta della relazione della Polizia Scientifica che ha accertato una
corrispondenza dell’impronta rilevata con il dito medio della mano destra
dell’indagato, già sottoposto nel 2008 a rilievi dattiloscopici nell’ambito di altra
indagine relativa ai reati di contrabbando e detenzione di sostanze stupefacenti.
L’identità è stata riscontrata su una corrispondenza di 16-17 punti ed è stato pure
rilevato un altro frammento di impronta che ha dato 11 punti di corrispondenza.
A fronte di tale spiegazione, le censure della parte restano relegate a mere
supposizioni, non sostenute da elementi concreti idonei a fondare il dubbio che vi sia
stato un involontario trasferimento dell’impronta o che si siano verificate interferenze
nel procedimento di rilevazione e analisi tali da inficiarne il risultato.

4

n. 20191 del 04/02/2015, Rv. 263522].

4. Infine, il rilievo assegnato alla esistenza degli appunti manoscritti e la
riconducibilità delle sigle “CRIS”, “CAPUA” e “CAPARRUA” all’indagato è sorretto da
un ragionamento del tutto logico e non contraddittorio, coerente con gli ulteriori
elementi emersi dalle indagini, cosicché anche sotto tale profilo la motivazione si
sottrare alle formulate censure.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
7. Copia del presente provvedimento va trasmessa al direttore dell’istituto
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.
Deciso in Roma il 27 giugno 2016.
Il Consigliere est.
Gabriella Cappello

Il Presidente
Rocco Marco Blaiotta

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONS
W Sezione Penale

penitenziario competente ai sensi dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. cod. proc. Pen.

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