Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28267 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28267 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINO OMAR N. IL 13/01/1975
CIRELLI CIRO N. IL 26/01/1995
avverso l’ordinanza n. 1096/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
24/02/2014
/-la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
sentit
le /sentite le conclusioni del PG Dott. A. p. ,r,o4A et,k

(

,
/
Avv.;

Data Udienza: 13/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in data 24.2.2013 il Tribunale di Napoli, investito ex art.
309 cod. proc. pen., confermava la misura cautelare delle custodia in carcere
applicata a Omar Marino e Ciro Cirelli in relazione al reato di sequestro di
persona in danno di Clemente Massimo, allo scopo di conseguire un ingiusto
profitto, avendo costretto il fratello della vittima, Salvatore, che gestiva una
piazza di spaccio nel parco Conocal della zona di Ponticelli a Napoli, a

facente capo ai De Micco, con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione gli indagati, personalmente, con
atti separati sostanzialmente sovrapponibili.
2.1. Con il primo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il
vizio di motivazione in ordine alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, in specie, con riferimento alla attribuibilità del fatto ai ricorrenti.
Sul punto, infatti, non sono rilevanti le dichiarazioni dei collaboratori e
l’identificazione è stata fondata sui medesimi argomenti apodittici dell’ordinanza
genetica, laddove si attribuisce al Marino la titolarità ed al Cirelli l’uso delle
utenze intercettate, così come la rilevanza attribuita al tatuaggio del Cirelli.
Lamentano la mancata valutazione delle deduzioni e allegazioni difensive.
In secondo luogo, contestano la valutazione relativa alla configurabilità
dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 199; evidenziando che, quanto al
contesto criminale cui viene ricondotto l’episodio, l’attendibilità delle dichiarazioni
dei collaboratori non è consacrata in sentenze irrevocabili; che la violenza
esercitata è stata finalizzata esclusivamente alla commissione del sequestro e
che l’aggravante in parola non può essere fondata sulle condizioni soggettive
dell’agente, bensì, sulle concrete condotte.
Infine, i ricorrenti muovono i medesimi rilievi in ordine alla valutazione delle
esigenze cautelari ribadendo che, tenuto conto del tempo esiguo della privazione
della libertà personale e4 modalità della azione nella quale non sono state
utilizzate le armi, il fatto può essere considerato di lieve entità vincendo la
presunzione di adeguatezza della misura di massimo rigore.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Le censure suddette in ordine alla valutazione del compendio indiziario
relativo alla contestazione mossa ai ricorrenti, per gran parte generiche, si
sostanziano nella riproposizione dei rilievi già esaminati dal tribunale e finalizzate

corrispondere una somma di danaro come quota spettante al sodalizio criminale

ad non consentita rilettura delle circostanze di fatto acquisite.
In particolare, il tribunale ha confermato la univoca identificazione degli
indagati tenuto conto di una pluralità di elementi convergenti evidenziando che:
il Marino è intraneo al clan De Micco ed è titolare dell’utenza intercettata; il
Cirelli, indicato con il nome proprio nelle conversazioni captate, è stato
identificato sulla base di quanto accertato in occasione dei controlli di polizia,
nonchér del tatuaggio sull’avambraccio.
Quanto alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del

Esposito Domenico e Favarolo Giovanni, appartenenti ai due gruppi criminali in
contrapposizione nella zona di Ponticelli di Napoli, dopo la disarticolazione del
clan Sarno, uno facente capo ai fratelli De Micco (detti i Bodi) e l’altro riferibile
alla famiglia D’Amico, che si contendevano in particolare la piazza di spaccio
all’interno del parco «Conocal»; nonché, dalle conversazioni intercettate che
danno conto in diretta della ricostruzione dell’episodio di sequestro ed anche
delle sue finalità, riconducibili al conflitto tra clan per il controllo sul territorio;
ricostruzione confermata dal racconto della vittima, benché non avesse indicato
l’identità dei rapitori. Naturalmente, resta del tutto irrilevante che detto contesto
ambientale non sia stato consacrato in precedenti decisioni irrevocabili.
Quanto ai rilievi formulati in ordine alla motivazione del provvedimento
impugnato avuto riguardo alla valutazione delle esigenze cautelari, va ricordato
che l’insussistenza delle esigenze cautelari è censurabile in sede di legittimità
soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o
manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento
impugnato (Sez. 1, 6 febbraio 1996, n. 795, rv. 204014) e che la motivazione
della ordinanza impugnata sullo specifico punto contestato dai ricorrenti si
sottrae alle censure che le sono state mosse perché ha valutato la gravità del
fatto, pur tenendo conto della esclusione della presunzione di cui all’art. 275 cod.
proc. pen..
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e ciascuno al versamento della somma ritenuta congrua di euro 1.000,00 (mille)
in favore della cassa delle ammende.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.

2

1991, il tribunale ha dato atto delle convergenti dichiarazioni dei collaboratori

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro ciascuno alla cassa
delle ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al

ci)

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Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod. proc. pen..

Così deciso, il 13 giugno 2014.

P) Oli

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