Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28259 del 15/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28259 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPUANO ANGELINA N. IL 02/04/1940
avverso l’ordinanza n. 1209/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
11/12/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
lettefsettitr le conclusioni del PG Dott. c2–( -9,6e-Q2- 961-22-etk ),Cd)‘2
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Uditi dif sor Avv.;

Data Udienza: 15/06/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza del 11.12.2015, pronunciando, nei confronti di CAPUANO ANGELINA, in sede di giudizio di rinvio a
seguito di sentenza di annullamento della terza sezione della Corte di Cassazione
(43390/2015), sull’appello avverso il provvedimento di rigetto del dissequestro
emesso dal Gip del Tribunale di Napoli in data 16.10.2013.
La Capuano risulta indagata per il reato di cui all’art. 44 DPR 380/2001,

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore, Capuano Angelina, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione di legge ex art. 606, cod. proc. pen.: violazione dell’art. 44
DPR 380/2001, dell’art. 146 D.Lgs. 42/2004, degli artt. 31 e 48 L. 47/78, della
L.Reg. 23.2.82 e dell’art. 7 L.1497/39 – Insussistenza del fumus del reato contestato, errata applicazione della legge penale.
La ricorrente deduce che il Tribunale di Riesame avrebbe rigettato l’appello
sul presupposto della valenza della sola concessione in sanatoria del 1983 rilasciata ai fini della legittimità del chiosco oggetto di indagine, disattendendo tutti i
provvedimenti rilasciati dalle autorità amministrative successivamente al 1983,
violando le norme richiamate e la sentenza della III Sezione Penale di questa
Corte di legittimità n. 43390/15, che aveva annullato la pregressa decisione dello
stesso tribunale del riesame. Detta sentenza – si sostiene- ordinava di valutare
l’autorizzazione n. 11004/89 per porre rimedio all’errore interpretativo contenuto
nella decisione annullata.
Il Tribunale riteneva, però, come l’ordinanza in questione non fosse classificabile come concessione, a differenza del provvedimento del 1983, ma come autorizzazione finalizzata alla realizzazione di una copertura del chiosco avente carattere precario.
La ricorrente ricostruisce tutto l’iter amministrativo di rilascio delle autorizzazioni, relative al manufatto, nel corso del tempo, affermando la piena legittimità dell’opera sequestrata e la completa insussistenza del fumus delkti.
b. Violazione dell’art. 146 D.Lgs. 42/2004.
La ricorrente deduce la legittimità dell’autorizzazione paesaggistica n.
33815/12, rilasciata ai sensi dell’art. 146 D.Lgs. 42/2004.
Il provvedimento impugnato riterrebbe tutte le autorizzazioni successive al
1983 rilasciate sulla base di presunte false rappresentazioni dei fatti da parte
della Capuano, con un palese errore di valutazione sulla contestazione ex art. 43
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nonché all’art. 181 D.Lgs. 42/2004 e 483 cod. pen.

cod. pen. avanzata dal PM., il quale non afferma affatto che le dichiarazioni rilasciate dalla Capuano in sede di richiesta delle autorizzazioni del 1989 furono false, ma soltanto che la stessa Capuano nel 2012, all’atto della richiesta di autorizzazione paesaggistica dichiarò l’assenza di fatti modificativi della consistenza
dell’immobile post 1979 senza citare la concessione del 1983 e l’autorizzazione
del 1989.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

proprie conclusioni scritte ex art. 611 cod. proc. pen. chiedendo rigettarsi il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati, e pertanto il
proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Va ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanza in
materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più
volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza
e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. Sez. 5, n.
43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue,

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3. Il P.G. presso questa Suprema Corte ha rassegnato in data 8.3.2016 le

le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame,
non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare
un elemento essenziale dell’atto.
Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice
di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le
reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche
in semplici termini di “fumus”.
3. Nel caso in esame, si è senz’altro ai di fuori di tali ipotesi.

I motivi di impugnazione sono fondati sull’asserita erroneità della lettura del
provvedimento n.11004/1989, ritenuto, dalla ricorrente, atto concessorio.
L’approfondimento di tale questione, relativa al merito del processo, è tuttavia precluso in questa sede, risolvendosi in considerazioni di mero fatto o di inadeguatezza motivazionale, mentre il provvedimento impugnato appare avere
adempiuto l’onere motivazionale relativamente al richiesto fumus commissi delicti in termini non manifestamente illogici.

La sentenza di annullamento 43390/15 di questa Corte, imponeva al giudice
del gravame cautelare di dare compiuta spiegazione dell’autorizzazione del 1989,
essendo risultate apodittiche le affermazioni con le quali il tribunale aveva, nella
decisione annullata, ritenuto tale autorizzazione inidonea ad incidere sulla negolarizzazione degli abusi.
Ebbene, nel provvedimento oggi impugnato i giudici partenopei danno atto
che, dalla lettura degli atti — ed in particolare dalla relazione redatta dal geometra Lucio Prete delegato alle indagini dalla Procura del Tribunale di Napoli – era
emerso che il manufatto chiosco/bar denominato “Venus Beach” sito in Bacoli,
località Miseno di proprietà dell’odierna ricorrente Capuano Angelina, era stato
oggetto di lavori di manutenzione straordinaria, come da richiesta corredata da
progetto iscritto al protocollo generale del Comune con il n. 11004 in data 2
maggio 1988 ai sensi della legge 457/1978, ed in risposta a tale domanda il Comune di Bacoli, in data 16 marzo 1989, aveva rilasciato alla Capuano
l’autorizzazione recante il medesimo numero di protocollo, n. 11004, per l’esecuzione di lavori di recupero del chiosco da lei detenuto.
Il tribunale di Napoli, provvede poi a colmare la lacuna motivazionale riscontrata nel precedente provvedimento da questa Corte di legittimità chiarendo la
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misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente

portata dell’atto n. 11004/89, con il quale -si spiega in motivazione- erano stati
autorizzati lavori finalizzati alla conservazione del manufatto, la cui costruzione
era stata concessa con atto del 1983, rilasciato in sanatoria, ovvero alla realizzazione dei lavori progettati e illustrati nella relazione redatta dal geometra De Rosa Antonio, protocollati il 2 maggio 1988 con il n. 011004 dall’ufficio del comune
di Bacoli (cfr in atti) che prevedeva la realizzazione di una veranda con elementi
di legno di facile rimozione tendente a conservare il manufatto durante la stagione invernale il tutto per far fronte ai danni subiti durante la stagione invernale e

Dunque, secondo i giudici del gravame cautelare, l’autorizzazione posta a
fondamento delle successive autorizzazioni richieste alla Soprintendenza ed al
Demanio, richiamate in atti e nel provvedimento annullato, avevano quale presupposto un atto, quello del 1989, che non è classificabile quale concessione,
come il provvedimento del 1983, quanto, piuttosto, come autorizzazione finalizzata alla realizzazione di una copertura del chiosco avente carattere precario, facilmente amovibile, e da installare solo nella stagione invernale.

4. Orbene, se questo era lo stato dei titoli abilitativi, il Tribunale di Napoli dà
atto che, in sede di sopralluogo, avvenuto in data 11 febbraio 2013, la Polizia
Municipale aveva accertato che erano stati realizzati lavori di sostituzione della
preesistente struttura in legno con tubolari di ferro, ancorati alla base con piastre
bullonate, ed erano in atto lavori di ampliamento del blocco servizi da 12 mq a
circa 22 mq, in contrasto con il progetto depositato al fine di ottenere l’autorizzazione paesaggistica, nonché la realizzazione di un cordolo in calcestruzzo di
larghezza di circa cm 20 e di altezza di circa cm 40, posto lungo tutto il perimetro ovest e per circa m 5 sul perimetro est.
Logica, pertanto, è la conclusione non solo che si trattasse di lavori realizzati ed in fase di realizzazione privi di concessione, ma anche che le autorizzazioni sia edilizie che paesaggistiche riportate nella consulenza di parte redatta
dall’arch. Scamardella e ad essa allegate, fossero state ottenute sulla prospettazione errata della esistenza di una concessione ottenuta nell’anno 1989, n.
11004, che costituiva, invece, solo un’autorizzazione alla realizzazione di lavori
di manutenzione straordinaria costituiti dalla realizzazione di una copertura amovibile la cui permanenza è collegata ai mesi della stagione invernale.
Appare, dunque, di tutta evidenza che una motivazione siffatta sfugga alle
censure di sindacabilità di questa Corte di legittimità pur negli ampliati limiti del
sindacato circa la violazione di legge di cui si è detto in precedenza.

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per diminuire le spese per la manutenzione costante del chiosco.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

spese processuali e della somma di C 1500,00 in favore della cassa delle ammende,
Così deciso in Roma il 15 giugno 2016
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Il Presidente

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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