Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28259 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28259 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
ROMANO’ GIUSEPPE N. IL 20/09/1955
avverso la sentenza n. 415/2013 GUP PRESSO TRIB.MILITARE di
NAPOLI, del 23/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. MONICA BONI;
/sentite le conclusioni del PG Do t.
~A,e(1 9:60.10 ui 4 cv,(Q12,
/1,e, e 3,{,c32112.

À-P rr1jQ-11-

Udit i dif •sor Avv.;

Data Udienza: 13/06/2014

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 23 ottobre 2013 il G.U.P. del Tribunale militare di
Napoli dichiarava il non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato,
nei confronti dell’imputato Giuseppe Romanò in ordine al delitto di peculato
militare aggravato (artt. 215 e 47 n. 2 c.p.m.p.) perché, quale Luogotenente dei

di funzioni amministrative quale responsabile della sezione amministrativa,
avendo per ragioni d’ufficio la disponibilità della somma di euro 12.030,25 a
titolo di giacenza di cassa, si appropriava dell’importo di euro 9.881,16, fatto
accertato in Cosenza in data 11 marzo 2013.
1.1 A fondamento della decisione il G.U.P. rilevava che, sebbene dalla
verifica amministrativa condotta con riferimento alle giacenze di cassa del
Comando provinciale Carabinieri di Cosenza fosse emerso un ammanco di ben
9.881,16 euro, le giustificazioni fornite al riguardo dall’imputato circa la
necessità della custodia del denaro nei cassetti dell’ufficio per evitare
sottrazioni, stante lo smarrimento di una delle due chiavi della cassaforte ed il
malfunzionamento della relativa serratura, non consentivano di ravvisare
l’elemento soggettivo, nonostante la prassi irregolare, anche perché sin
dall’effettuazione dell’ispezione era stato esibito a funzionario addetto l’involucro
contenente il denaro e tre giorni dopo, all’atto del passaggio di consegne ad
altro militare della cassa, non era stato constatato alcun ammanco, così come
non era stato riscontrato in occasione di precedenti verifiche.
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
militare della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, il quale si duole di erronea
applicazione della legge penale e del vizio di motivazione, in quanto la
ricostruzione fattuale operata dal primo giudice non rispettava le risultanze
investigative ed era corredata da motivazione illogica e carente in ordine agli
ulteriori elementi acquisiti, capaci di avvalorare la tesi accusatoria. Ha dedotto
in particolare che:
– non risultava provato che l’imputato avesse detenuto parte del contante al di
fuori della cassaforte e che tale somma esistesse realmente, dal momento che
l’ispettore non aveva controllato l’ammontare del denaro esibitogli nel corso
della verifica;
– l’imputato aveva dapprima sostenuto di avere dimenticato la chiave della
cassaforte a casa, quindi aveva cercato di aprirla da sé, per poi solo in un
secondo momento esibire un sacchetto trasparente con del denaro all’interno/+

1

Carabinieri presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Cosenza, incaricato

senza mostrare da dove lo avesse prelevato, fornendo le giustificazioni recepite
dal G.U.P., ma non dedotte ai superiori in precedenza.
Pertanto era del tutto inverosimile la giustificazione addotta e molto più
probabile che egli si fosse allontanato dall’ufficio per recuperare una somma di
denaro, consegnatagli da altri, al fine di rimpiazzare quella asportata.
Sotto il profilo giuridico doveva poi considerarsi che integra il delitto di

dell'”interversio possessionis”, per cui è irrilevante l’intenzione di restituire
quanto prelevato, oppure l’effettiva restituzione, mentre nel caso di specie in
relazione all’oggetto materiale del delitto, rappresentato da cose di genere, non
è configurabile il peculato d’uso, dal momento che la successiva resa
riguarderebbe non lo stesso bene, ma l’equivalente monetario.
Era erronea ed illogica anche la considerazione degli altri elementi, ritenuti
avvalorare la tesi difensiva, in quanto: i testi indicati come a conoscenza della
conservazione del denaro al di fuori della cassaforte non erano stati escussi dal
P.M. e nemmeno nel corso dell’udienza preliminare e tale prassi era contraria
alla normativa vigente, foriera di confusione ed idonea a favorire l’illecita
sottrazione. Era parimenti illogico ritenere che una parte del denaro fosse
custodito al di fuori della cassaforte, per cui se l’esigenza di non utilizzare tale
ripostiglio fosse stata effettiva avrebbe dovuto riguardare tutto il denaro
costituente il fondo cassa e non soltanto una sua parte; né erano credibili i
problemi di funzionamento della sua chiusura perché mai segnalati ai superiori.
Pertanto, il complesso delle risultanze acquisite e le modalità dei fatti avrebbero
richiesto un approfondimento istruttorio da condurre in sede dibattimentale.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1.Va premesso che la sentenza impugnata ha ritenuto di dover assumere
la decisione contestata in ragione della ritenuta includenza dimostrativa
dell’attività istruttoria da compiere nella sede dibattimentale e ha fondato tale
valutazione su una pluralità di considerazioni fattuali, non tutte adeguatamente
poste in discussione e confutate con l’iniziativa impugnatoria del Procuratore
della Repubblica.
1.1 In particolare, ha ritenuto di dover recepire le giustificazioni
rassegnate dall’imputato, in quanto in sé credibili e comunque riscontrate da
una pluralità di elementi probatori, atteso che:

peculato la condotta di apprensione materiale del bene, che si consuma all’atto

-constatato da parte dell’ufficiale addetto all’ispezione l’ammanco di buona parte
delle somme che contabilmente avrebbero dovuto trovarsi in cassa, custodita
all’interno della cassaforte, questi si era visto esibire da parte dell’imputato un
sacchetto contenente verosimilmente delle banconote, che a suo dire erano
conservate nei cassetti dell’ufficio per alcuni problemi verificatisi con la
cassaforte, risultata non più sicura dopo lo smarrimento accidentale di una delle

-che tali inconvenienti erano stati chiariti dall’imputato anche nel corso
dell’interrogatorio fornito il 21 maggio 2013, allorchè aveva precisato che le
ragioni di sicurezza che avevano imposto di non riporre l’intera giacenza in
cassaforte erano stati determinati dal malfunzionamento della cassaforte stessa,
che talvolta si inceppava e richiedeva l’intervento della ditta manutentrice e di
avere rappresentato tale situazione anche nel corso dell’ispezione quando aveva
messo a disposizione del verificatore il denaro non contenuto in cassaforte, che
però l’ufficiale non aveva ritenuto di dover vedere e contabilizzare.
1.2 Da tali premesse, avvalorate almeno in parte dalla stessa relazione
ispettiva circa la deduzione durante il suo espletamento degli inconvenienti
legati all’uso della cassaforte e l’esibizione di un involucro con le banconote, il
giudice di merito ha tratto il convincimento della detenzione del denaro
all’interno dei locali dell’ufficio e dell’assenza della volontà di appropriarsene,
indicando quali elementi di effettivo riscontro alla tesi difensiva l’avvenuto
passaggio di consegne dall’imputato ad altro militare tre giorni dopo l’ispezione
senza che fossero stati segnalati ammanchi; le precedenti verifiche avevano
condotto ad esiti analoghi; la gestione del conto corrente non aveva rivelato
anomalie di sorta.
1.3 Oltre a tali elementi, che comunque presentano una qualche
convergenza con le circostanze addotte dall’imputato nell’immediatezza dei fatti,
il G.U.P. ha effettuato un rilievo di decisiva rilevanza e concludenza, laddove ha
osservato che l’ufficiale addetto al controllo non aveva proceduto a condurre
alcuna verifica sul sacchetto esibito dall’imputato, sulle banconote ivi riposte e
sull’ammontare di tale somma, se corrispondente o meno all’ammanco
riscontrato quanto al contenuto della cassaforte. In altri termini, per poter
affermare che il Romanò si era appropriato di denaro appartenente
all’amministrazione militare avrebbe dovuto dimostrarsi che egli aveva
asportato o comunque gestito quelle somme di cui aveva la disponibilità per
ragioni del suo ufficio in modo incompatibile con il loro mantenimento a
disposizione del Comando e che le stesse, almeno in parte, non si erano trovate
nei locali degli uffici amministrativi in occasione dell’ispezione. Di tale

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due chiavi;

circostanza non si è offerta alcuna evidenza, non potendo ritenersi sufficiente,
come argomentato anche dal primo giudice, l’assenza dalla cassaforte
dell’importo di euro 9.881,00, non essendo stati controllati i cassetti dell’ufficio
e nemmeno il sacchetto esibito dall’imputato, a suo dire contenente il denaro
mancante. Né tale circostanza risulta affrontata e contestata dal ricorrente, che
al contrario assume non esservi prova della presenza del denaro nel cassetto

dall’accusa, non assumendo in sé rilievo penale le modalità di conservazione, se
avvenuta all’interno dei locali dell’amministrazione senza alcuna deviazione dalle
finalità istituzionali del bene.
2.Tutte le altre obiezioni mosse col ricorso riguardano circostanze
secondarie ed investono la ricostruzione fattuale operata con la motivazione,
ossia profili della vicenda che sfuggono alla cognizione di questa Corte.
2.1 La giurisprudenza di questa Corte e la dottrina hanno da tempo
affermato che l’udienza preliminare nell’economia del processo di primo grado
ha natura soltanto processuale perché non è destinata alla verifica circa
l’acquisizione, all’esito delle indagini preliminari o nel corso del suo svolgimento,
di elementi probatori in grado di dimostrare la fondatezza o meno della “notitia
criminis”, l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, verdetto esprimibile
mediante esercizio dei poteri cognitivi e valutativi propri del giudizio, ma
soltanto a formulare la prognosi circa i risultati conseguibili con il dibattimento
sulla base di quel materiale probatorio e circa la concreta possibilità di sviluppi
istruttori che diano luogo alla sua modificazione, in termini di arricchimento o di
chiarimento, conducendo a risultati differenti. Il giudice dell’udienza preliminare
non deve valutare nel merito il quadro probatorio, quasi ad anticipare la
decisione conclusiva del processo, ma pronunciare sentenza di non luogo a
procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di prove positive di
innocenza, oppure di una palese inconsistenza dimostrativa delle prove di
colpevolezza, tali da non essere suscettibili di modificazioni al dibattimento con
l’acquisizione di nuovi elementi conoscitivi, oppure con la diversa valutazione di
quelli raccolti e da rendere superflui il passaggio del procedimento alla fase
giudiziale e l’espletamento della relativa istruttoria.
In senso confermativo va letta la disposizione di cui all’art. 425
cod.proc.pen., comma 3, che impone la pronuncia di non luogo a procedere se
“gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non
idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, ossia se l’incertezza e la non univocità
dei risultati probatori conseguiti non si presti a modificazioni o a soluzioni che

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dell’ufficio, trascurando che la relativa dimostrazione deve essere fornita

consentano di supportare l’accusa nella sede giudiziale nell’ottica del suo
accoglimento.
2.2 E’ altrettanto pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il
sindacato conducibile nel giudizio di cassazione sulla motivazione della sentenza
di non luogo a procedere non investe gli elementi probatori di colpevolezza
acquisiti dal pubblico ministero, ma riguarda unicamente il percorso

ragionevolezza, la coerenza e logicità del giudizio prognostico adottato nella
valutazione del materiale probatorio acquisito (sez. 6, n. 35668 del 28/03/2013,
Abbamonte e altri, rv. 256605; sez. 6, n. 20207 del 26/04/2012, P.C. in proc.
Broccio e altri, rv. 252719; sez. 2, n. 3180 del 06/11/2012, P.M. in proc. Furlan
e altro, rv. 254465; sez. 2, n. 28743 del 14/05/2010, Orsini, rv. 247860; sez.
5, n. 15364 del 18/03/2010, Caradonna, rv. 246874; sez. 4, n. 2652 del
27/11/2008, Sorbello, rv. 242500; sez. 5, n. 14253 del 13/02/2008, Piras, rv.
239493). Se l’analisi condotta nella sentenza esprime un giudizio negativo in
termini di superfluità della fase dibattimentale e ne offre puntuale e logica
giustificazione, al giudice di legittimità non è consentito condurre una rilettura
dei dati informativi acquisiti durante le indagini per approdare a soluzioni
diverse.
2.3 Tanto premesso, l’esame della sentenza impugnata dimostra che il
primo giudice si è attenuto ai principi giuridici indicati. L’esposizione compiuta e
logica dei motivi che hanno indotto al proscioglimento dell’ imputato sulla scorta
della prognosi negativa sull’utilità del dibattimento non consente di tener conto
degli argomenti del ricorrente, che attengono a questioni di fatto, comprese
quindi nel merito, ma non dimostrano i risultati possibilmente conseguibili
dall’istruttoria dibattimentale ed i profili della vicenda suscettibili di chiarimento
e di ulteriore sviluppo.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2014.

giustificativo, esposto dal giudice nella loro disamina e, quindi, la

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