Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28250 del 15/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28250 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 15/06/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCARTOZZI MARIA GRAZIA
nei confronti di:
GOBBI MARISA N. IL 13/08/1963
SAVELLI CLARISSA N. IL 18/02/1981
SAVELLI ZULEIKA N. IL 14/04/1979
SAVELLI NAZZARENO N. IL 12/12/1950
SA VELLI PRIMO N. IL 22/10/1958
ISIDORI ROSSANO N. IL 12/10/1969
TOMASSINI DANILO N. IL 01/03/1952
inoltre:
SAVELLI PRIMO N. IL 22/10/1958
ISIDORI ROSSANO N. IL 12/10/1969
avverso la sentenza n. 1903/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
26/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/06/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. bC.G.5 1eZ,(0
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RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando nei confronti, tra gli altri,

degli odierni ricorrenti SAVELLI PRIMO e ISIDORI ROSSANO, appellanti in uno
con il coimputato TOMASSINI DANILO e con la parte civile, con sentenza del
26.2.2015, in parziale riforma della sentenza emessa in data 10.11.2011 dal
GUP del Tribunale di Fermo, rideterminava la provvisionale in C 50.000,00, confermando nel resto, con condanna degli imputati appellanti al pagamento delle
ulteriori spese processuali e al rimborso dei tre quarti delle spese di rappresen-

Il giudice di primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, assolti i coimputati
per non aver commesso il fatto, aveva condannato, oltre che Tomassini Danilo
(oggi non ricorrente), Savelli Primo e Isidori Rossano alla pena di mesi sei di reclusione, con concessione delle attenuanti generiche, prevalenti sull’aggravante
di cui all’art. 589 comma 2 cod. pen., con la diminuzione per il rito e la sospensione condizionale della pena, per il reato di cui al capo A, aveva condannato altresì Savelli Primo alla pena di C 6.000,00 per il reato di cui al capo B; con condanna per entrambi gli imputati, unitamente al coimputato Tomassini Danilo, al
risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio civile, con provvisionale immediatamente esecutiva determinata in C
30.000,00, tenuto conto del concorso di colpa della vittima quantificato in sentenza nella misura del 25 per cento.
L’imputazione, per quanto qui interessa, riguardava i seguenti reati:
A) SAVELLI PRIMO (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in qua-

lità di legale rappresentante/datore di lavoro della ditta SAVELLI ASCENSORI
S.R.L., esecutrice dei lavori per l’installazione dell’impianto ascensore;
ISIDORI ROSSANO in qualità di Coordinatore in fase di progettazione ed

esecuzione dei lavori;
OGNUNO in violazione dell’art. 589 C.P.; infatti ognuno di essi, nelle rispettive qualità, cagionava il DECESSO del lavoratore MONTANI FEDERICO il quale,
addetto al cantiere sito in via Speranza nel Comune di Fermo, cadeva nel vano
ascensore mentre trasportava con una carriola il materiale necessario per i lavori
che stava effettuando, consistenti nella chiusura delle tracce in precedenza realizzate dagli impiantisti, riportando lesioni tali da cagionare l’immediato decesso;
Ciò accadeva in quanto:
• SAVELLI PRIMO (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in viola-

zione dell’Art. 26 Digs. 81/08 comma 2 (reato NON ESTINTO in via amministrativa secondo iter D.Igs.758/94), disattendendo il disposto dell’art. 96 comma 2,
non hanno attivato, in sinergia con la ditta affidatane e con il coordinatore per la
sicurezza, il processo di coordinamento e gestione dei rischi interferenziali dovuti

2

tanza della parte civile.

alla propria attività di montaggio dell’impianto ascensore con particolare attenzione a quelli relativi alla protezione del vano ed alla procedura di disattivazione
delle parti attive dell’impianto in assenza di proprie lavorazioni.
• ISIDORI ROSSANO in violazione dell’art 91 comma 1 lett. a, dell’art. 92,

comma 1 lettere b ed e (reati ESTINTI in via amministrativa secondo iter D.Igs.
758/94) non ha contemplato, nella redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento, le problematiche connesse alla presenza di rischi interferenziali riconducibili al contemporaneo svolgimento di attività lavorativa sia dell’impresa affidamente verificato la congruità dei Piani Operativi delle imprese coinvolte nei lavori
non organizzando, di conseguenza, la cooperazione delle stesse alla predisposizione di idonee misure di prevenzione.
In Fermo, 04.06.2010.
13) SAVELLI PRIMO (Vice Presidente Consiglio di Amministrazione), in qua-

lità di legale rappresentante/datore di lavoro della ditta SAVELLI ASCENSORI

S.R.L., esecutrice dei lavori per l’installazione dell’impianto ascensore presso il
cantiere sito in via Speranza nel Comune di Fermo:
– ognuno, in violazione dell’Art. 26 Diga. 81/08 comma 2, perché disattendendo il disposto dell’art. 96 comma 2, non hanno attivato, in sinergia con la ditta affidataria e con il coordinatore per la sicurezza, il processo di coordinamento
e gestione dei rischi interferenziali dovuti alla propria attività di montaggio
dell’impianto ascensore con particolare attenzione a quelli relativi alla protezione
del vano ed alla procedura di disattivazione delle parti attive dell’impianto in assenza di proprie lavorazioni.
In Fermo, 04.06.2010.
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a

mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, SAVELLI PRIMO e ISIDORI ROSSANO
nonché la parte civile SCARTOZZI MARIA GRAZIA, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• SAVELLI PRIMO

a. Nullità della sentenza ex art. 606 comma I° lettera b) in relazione alla

violazione dei criteri di interpretazione della prova così come statuito dall’art.
192 c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. II° comma per vizio
di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta
contestata all’ imputato e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, nonché del principio del ragionevole

tana sia dell’impresa esecutrice dell’impianto ascensore. Non ha inoltre attenta-

I

.

dubbio ex art. 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e
per contraddittorietà, illogicità ed omissione della motivazione.
Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza impugnata evidenziando
che la questione relativa al comportamento colposo della vittima sarebbe stata
affrontata in poche righe, sottovalutando le risultanze processuali ed omettendo
di valutare prove significative, senza alcuna spiegazione, operando di fatto
un’immotivata selezione di materiale probatorio.
Nel caso di specie difetterebbe del tutto qualsiasi valutazione complessiva

tivazionale che giustifichi adeguatamente le decisioni del giudice, in particolar
modo quando quelle del precedente giudicante siano state oggetto di ampia specifica ed esauriente confutazione.
Il ricorrente richiama i motivi di gravame con cui si rilevava che tutti gli operai erano a conoscenza del divieto di utilizzo dell’ascensore come montacarichi e
che lo stesso non era mai stato utilizzato in tal modo da nessuno, mentre il trasporto dei materiali era effettuato solo con la gru di cui il Montani era esperto
utilizzatore. Lo stesso Montani aveva installato i cancelletti di protezione ed era
consapevole della pericolosità dell’azione che andava a compiere. Tutto ciò sarebbe emerso dall’istruttoria. Vengono riportate le deposizioni testimoniali rese
in tal senso.
Tali dichiarazioni non sarebbero state né valutate, né confutate dai giudici di
merito, nonostante dalle stesse deposizioni risultasse che tutti gli operai avevano
contezza del divieto di utilizzazione dell’ascensore come montacarichi, che
l’ascensore era fermo in assenza di operai del Savelli, non presenti sul cantiere e
che pertanto non vi era alcuna interferenza tra le due imprese.
L’unica testimonianza valutata è quella, de relato, del teste che affermava di
aver sentito il Montani lamentarsi che l’ascensore non fosse al piano.
L’interpretazione della stessa testimonianza è stata interpretata in modo distorto, dal momento che lo sfogo del Montani era indice della circostanza che il Montani avrebbe voluto che le ditte violassero le norme di sicurezza per permettergli
di utilizzare l’ascensore.
Dall’esame delle prove raccolte sarebbe emersa la presenza di una gru per il
trasporto dei materiali ai piani superiori e che il dipendente aveva, con una iniziativa personale addossandosi un rischio inutile, deciso di utilizzare l’embrione
dell’ascensore come mezzo improprio per trasportare il materiale bituminoso al
primo piano.
La condotta del lavoratore sarebbe connotata da imprudenza e imprevedibilità, risultando, pertanto, un fattore causale eccezionale, anomalo ed abnorme
per l’inutilità del rischio assunto, tanto da escludere l’efficienza eziologica delle
4

degli argomenti addotti dalla difesa dell’imputato, nonché il conseguente iter mo-

,

condotte degli imputati degradate a meri irrilevanti antecedenti. L’unico responsabile dell’incidente sarebbe lo stesso Montani che poneva in atto, coscientemente, modalità pericolose di lavoro pur potendo usufruire della gru, presente in
cantiere e che sapeva ben utilizzare, evitando di aprire i cancelletti apposti per la
sicurezza dei dipendenti ed installati da lui stesso.
Nel caso di specie, la rimproverabilità della mancata adozione di condotte di
prevenzione, da parte del datore di lavoro, viene meno, secondo il ricorrente, in
quanto la situazione di pericolo era del tutto imprevedibile.
proprio datore di lavoro che dalla Savelli ascensori, ma gli era stata posta a disposizione la gru, idoneo strumento per il trasporto dei materiali ai piani superiori, che, al momento dell’incidente non era impegnata per altri trasporti.
La corte di appello, senza esaminare le prove raccolte nel fascicolo del GUP,
si è limitata a ritenere sussistente il concorso di colpa senza valutarlo come causa assoluta ed esclusiva dell’evento, senza avvedersi che non si trattava di semplice concorso di colpa ma, piuttosto, di comportamento abnorme del lavoratore
che impediva a tutti gli imputati di attivarsi per impedire che si creassero i presupposti del tragico infortunio.
La vittima avrebbe inanellato una serie di comportamenti vietati, imprevedibili, abnormi, eccezionali ed esorbitanti rispetto al processo lavorativo ed alle direttive ricevute.
Il Montani sapeva ben utilizzare la gru per il trasporto dei materiali e non vi
era alcuna difficoltà per l’utilizzo del mezzo, tenuto conto anche della presenza in
cantiere dell’altro dipendente Sokol che lo aveva sempre aiutato nello svolgimento delle mansioni. Invece, lo stesso lavoratore, contravvenendo tutti í divieti imposti si procurava un cavo elettrico, apriva in modo stabile il cancelletto di protezione posto al primo piano, saliva a piedi al quarto piano, scopriva il cavo elettrico ed effettuava l’allaccio provvisorio dell’ascensore con un cavo di proprietà della Savelli ascensori, per fornire energia ed utilizzare in modo improprio
l’ascensore, in un ambito estraneo alle proprie mansioni, adottando un comportamento lontano dalle ipotizzabili e prevedibili scelte del lavoratore
nell’esecuzione del lavoro.
Le mansioni del Montani consistevano nella chiusura, al primo piano, di tracce con la malta e nessuno avrebbe potuto prevedere il suo comportamento.
Anche il pieno rispetto delle disposizione dell’art. 146 co. 3 D.Igs. 81/2008
ed un corretto coordinamento e gestione dei rischi interferenziali avrebbe potuto
evitare il tragico evento, in quanto i cancelletti a protezione erano stati installati
per evitare cadute dal pianerottolo verso l’ascensore e non da quest’ultimo verso
l’esterno.
5

Il Montani, non solo era stato ammonito a non utilizzare l’ascensore sia dal

A

,

La caduta di un operaio dal vano ascensore verso il pianerottolo non era
nemmeno astrattamente ipotizzabile -secondo quanto si sostiene in ricorso- in
quanto gli operai che dovevano operare all’interno della tromba, utilizzavano i sistemi di sicurezza previsti rappresentati dalla classica imbracatura da alpinista.
Dette imbracature non venivano lasciate, dagli operai della Savelli, proprio
per scongiurare un eventuale uso improprio dell’ascensore.
La conoscenza da parte di tutti gli operai del divieto di usare l’ascensore
renderebbe poco credibile la circostanza che, ove vi fosse stato un coordinamen-

be realizzato.
La sentenza impugnata avrebbe inoltre trascurato la circostanza che al momento dell’evento non vi erano rischi interferenziali in quanto gli operai della Savelli Ascensori non erano presenti. L’opera della ditta di ascensori non ha interferito con le mansioni del Montani, in quanto il cantiere era nella totale disponibilità della Tomassini Costruzioni srl.
La Corte distrettuale, violando i criteri interpretativi avrebbe reso una sentenza contraddittoria, carente ed illogica.
L’evento mortale, ribadisce il ricorrente, non sarebbe scaturito da
un’assuefazione al lavoro o da un calo di attenzione, ma da una condotta imprevedibile. Né la presenza di cartellonistica adeguata, né la presenza di lucchetti ai
cancelli avrebbero potuto influire sull’evento.
E’ molto probabile, infatti, che per conto della Tomassini Costruzioni, le
chiavi degli stessi lucchetti, sarebbero state nella custodia proprio del Montani,
l’operaio ritenuto più anziano e responsabile.
Né sarebbe stato ipotizzabile che il Savelli dovesse togliere tutti i cavi elettrici dal cantiere.
Il ricorrente ribadisce che le disposizioni di sicurezza erano adeguate e che
non vi era rischio interferenziale perché le imprese non hanno mai lavorato contemporaneamente, gli operai della ditta di costruzioni sono intervenuti solo dopo
il parziale montaggio dell’ascensore che era stato posizionato in modo tale da
evitarne l’uso.
Al momento dell’incidente la Savelli aveva terminato le lavorazioni nel cantiere. Tali argomentazioni non sarebbero state minimamente valutate dai giudici,
né può sostenersi che non vi è obbligo del giudice di appello di soffermarsi su
ogni singola problematica sollevata dall’appellante, dovendo limitarsi all’esame di
quelle pregnanti al fine della decisione, ritenendo disattese quelle incompatibili
con l’apparato motivazionale, perché, nel caso di specie è stato tralasciato il minimo confronto con i rilievi formulati da Savelli Primo.

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to dei sistemi di sicurezza al fine di evitare le interferenze, l’evento non si sareb-

)

b. Nullità della sentenza ex art. 606 comma primo lettera “b” per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di
cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’art.
192 c.p.p. n. 2, all’art. 41 c.p. II° comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata agli imputati e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, alla violazione contestata ex art. 589 e art. 26 d.lgs 81/08 comma
2.

Montani era stato correttamente qualificato imprudente non essendo caratterizzato dall’abnormità o da eccezionalità rispetto alla lavorazione commissionata ed
alle direttive ricevute, senza alcun riferimento probatorio o indicazione di indizi
gravi, precisi e concordanti.
Ritiene invece il ricorrente che il comportamento della vittima rivesta i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al normale procedimento
lavorativo.
I comportamenti posti in essere non erano, infatti, nemmeno finalizzati in
modo diretto alle lavorazioni commissionate, né alle direttive ricevute di non utilizzare l’ascensore e di chiudere le tracce al primo piano.
Il complesso di attività, precedentemente richiamate, poste in essere per
l’utilizzo dell’ascensore, fermato ad 80 cm. da terra per impedirne l’utilizzo non
possono essere definiti semplicisticamente un atteggiamento imprudente o negligente senza nemmeno valutare o porre a confronto quali possono essere considerati comportamenti abnormi alla luce dei principi stabiliti da questa Suprema
Corte.
Chiede, pertanto, l’accoglimento del ricorso, adottando i conseguenti provvedimenti di ragione e di legge.

• IS/DORI ROSSANO
a. Nullità della sentenza ex art 606 comma I° lettera b) in relazione alla violazione dei criteri di interpretazione della prova così come statuito dall’art. 192
c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. II° comma per vizio di
motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata all’ imputato e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, nonché del principio del ragionevole
dubbio ex art 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e
per contraddittorietà illogicità ed omissione della motivazione.
Il giudice di appello ha ritenuto di confermare la pronuncia di colpevolezza
del Tribunale di Fermo, in quanto avrebbe omesso di valutare un elemento es7

I giudici di appello si sarebbero limitati a ribadire che il comportamento del

senziale rappresentato dalla circostanza che l’evento è avvenuto interamente nel
cantiere della ditta di Savelli Primo.
Il ricorrente ricostruisce i fatti evidenziando che il Montani penetrava nel
cantiere della ditta subappaltatrice e poneva in essere una serie di attività irrazionali, pericolose ed inimmaginabili: raggiungeva il terzo piano della palazzina in
costruzione, dove si trovava il quadro elettrico dei comandi, ancora semiimballato, creava un ponte elettrico con una prolunga, scendeva al primo piano e
sganciava il cancello di sicurezza, rimuovendo il dispositivo antiintrusione e anti-

resistenza di cardini del cancello che lo avrebbero richiuso.
Di fatto il Montani violava deliberatamente il dispositivo di sicurezza apposto
dalla ditta Tomassini, elaborato dal coordinatore della sicurezza Isidori, proprio
per preservare i propri dipendenti dal rischio di caduta e per impedirne l’accesso
al cantiere interferente della ditta Savelli.
Se il cancello di sicurezza non fosse stato manomesso, il Montani non
avrebbe trovato il vuoto sotto di sé e sarebbe caduto sul pianerottolo.
Il Montani ha certamente concorso nella causazione dell’evento, come stabilito in sentenza nella percentuale del 25%, ma la rimanente percentuale di colpa
non può addebitarsi all’Isidori.
Nel caso di specie la condotta del lavoratore era del tutto imprevedibile da
parte del datore di lavoro.
La corte di appello partendo dal parametro oggettivo del fatto accaduto, penalizza le condotte degli imputati perché il lavoratore avrebbe usato l’ascensore
per agevolare e rendere meno faticoso il proprio lavoro.
La corte di appello riconosce l’avvenuta adozione delle misure di sicurezza
necessarie, ma ritiene le stesse inidonee in quanto l’evento si è comunque verificato.
Tale motivazione sarebbe erronea perché viene omessa completamente la
valutazione delle cosiddette condotte alternative lecite da parte dell’imputato.
Inoltre la sentenza impugnata ritiene completamente mancante il processo
di coordinamento e gestione dei rischi interferenziali, nonostante la consapevolezza della presenza in cantiere del personale dell’altra ditta, senza individuare
aree di rispettiva pertinenza, senza efficaci sistemi di disattivazione del sistema
di alimentazione dell’elevatore, in periodi in cui non c’erano lavorazioni da parte
della ditta Savelli e senza la previsione di un idoneo meccanismo di inibizione
all’uso indiscriminato del pannello di comando dell’ascensore.
Il ricorrente definisce falso tale assunto, perché non sarebbe stata competenza dell’Isidori prevedere sistemi di disattivazione del sistema di alimentazione
dell’alimentatore, di pertinenza della ditta Savelli. L’Isidori non doveva prevedere
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caduta, spalancava il cancello e lo bloccava, utilizzando un gancio per vincere la

un idoneo meccanismo di inibizione dell’uso del pannello di comando
dell’ascensore, situato nel cantiere della ditta subappaltatrice Savelli, semi imballato e non elettrificato. Nessun dovere può esservi in relazione a strumenti o
procedure di costruzione di altre ditte.
Infine non corrisponderebbe al vero la circostanza che non vi erano lavorazioni in corso della ditta Savelli al momento del sinistro, in quanto gli operai del
Savelli, presenti in cantiere, erano soltanto in pausa pranzo.
In sostanza l’unica contestazione pertinente all’attività dell’Isidori sarebbe
solo in un’ottica oggettiva in quanto si sostanzia nella mancata allegazione nel
volume cartaceo del piano di sicurezza prevenzione della Tomassini della scheda
di lavorazione degli ascensori redatta dalla ditta Savelli.
Tale assenza non avrebbe comportato alcuna differenza nella concreta applicazione degli strumenti di prevenzione.
Il ricorrente ribadisce di aver valutato, in relazione all’interferenza tra le ditta sia il rischio da caduta del vuoto affrontato con i cancelli di ferro ammorsati a
muro e bloccati con cardini con molle di richiamo e sia il rischio di aree interferenti, affrontato con avvisi orali ed istruzioni verbali, come risulta dai esti escussi
a SIT.
L’Isidori non poteva conoscere e prevedere le modalità di lavorazione nel
cantiere di terzi.
Del resto dalla motivazione del provvedimento impugnato non è dato conoscere quale alternativa condotta lecita avrebbe dovuto tenere l’Isidori per evitare
l’evento.
Il ricorrente rileva che la rimproverabílità per la mancata adozione di con-

dotte di prevenzione, viene meno se la condotta non era esigibile per
l’imprevedibilità della situazione di pericolo.
Il rischio prevedibile da parte dell’Isidori era quello inerente le lavorazioni,
l’uso, le strutture organizzative e produttive del suo cantiere edile, non di quello
della ditta Savelli.
Il Montani è caduto nel vuoto per ignoranza, incompetenza, presunzione di
consapevolezza nell’uso di macchine che non gli appartenevano. La corte di appello non si sarebbe avveduta che non spettava all’Isidori prevedere il rischio, affermando una responsabilità oggettiva in palese violazione di legge.
La condotta del lavoratore sarebbe stata imprevedibile ed abnorme e, pertanto, non sarebbe stato possibile per gli imputati attivarsi per impedire che si
creassero i presupposti del tragico infortunio.

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quella relativa alla gestione dei rischi interferenziali, ma tale censura è ascrivibile

Il Montani non solo sarebbe stato consapevole del divieto di utilizzo
dell’ascensore ma sarebbe stato incaricato personalmente dell’installazione dei
cancelli di sicurezza
Certamente nessuno avrebbe potuto prevedere che il Montani, operaio edile
esperto di oltre sessant’anni decidesse di rimuovere i dispositivi di sicurezza e di
penetrare in un cantiere che non lo riguardava e per cui non aveva alcuna esperienza tecnica.
Ci si duole che la sentenza nulla dica sulle qualità o conoscenze tecniche del-

de non avrebbe certamente fatto desistere il Montani dalla complessa attività posta in essere per utilizzare l’ascensore.
Il ricorrente ritiene che non si sono verificate interferenze tra le due imprese
e che i sistemi di sicurezza della Tomassini erano efficaci.
La sentenza di condanna sarebbe basata sostanzialmente sulla responsabilità degli imputati a causa dell’abuso fatto dal Montani dell’ascensore non adeguatamente protetto, nonché dalla relativa facilità di ingresso nel cantiere della ditta
Savelli che se maggiormente protetto ne avrebbe dissuaso l’uso, ma non viene
chiarito quale livello di sicurezza e con quali mezzi si sarebbe potuto dissuadere il
Montani.
La protezione del cantiere con recinzioni sarebbe comunque spettata alla
ditta Savelli, titolare del cantiere.
Il responsabile della sicurezza Isidori si esaurisce nella prevenzione dei rischi
dell’attività della propria ditta e i rischi derivanti dalla intersezione con altri cantieri ma non può estendersi alle lavorazioni che si svolgevano nel cantiere della
ditta Savellí.
Il rischio per un errata manovra di risalita della piattaforma è prevedibile da
parte della Savelli, né la società appaltante Tomassini può apporre cancelli o lucchetti nel cantiere della subappaltatrice.
Chiede, pertanto, l’accoglimento del ricorso, adottando i conseguenti provvedimenti di ragione e di legge.

• SCARTOZZI MARIA GRAZIA (parte civile)

a. Mancanza, ovvero inadeguatezza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione in riferimento al concorso di colpa della vittima accertato nella
misura del 25%.
La ricorrente rileva che la corte di appello avrebbe qualificato la condotta del
lavoratore deceduto come imprudente, nella misura di un 25% di colpa, senza
aggiungere null’altro, omettendo una logica motivazione.

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la vittima. In ogni caso il coordinamento dei sistemi di sicurezza delle due azien-

Nella sentenza impugnata, non sarebbe stato chiarito in cosa sia consistita
l’imprudenza, né è stata specificata la ragione o i criteri per cui il risarcimento
della vittima è stato ridotto di un quarto, infine non è stata indicata l’eventuale
condotta alternativa diligente da tenere da parte del lavoratore.
La ricorrente riporta le circostanze di fatto emerse in sede istruttoria, evidenziando che le condotte materiali del lavoratore sono state unificate
dall’esclusiva ragione di dovere utilizzare l’ascensore come montacarichi ai fini
del puntuale adempimento della propria mansione lavorativa e si collocano

mente non addebitabile al lavoratore.
Il ponteggio della palazzina B non era stato adattato allo stato di avanzamento, in quanto occorreva la realizzazione di una piazzola di carico sul lato della
palazzina B, non essendo più consentito il passaggio.
L’unica alternativa per trasportare la carriola piena di malta al primo piano
era rappresentata dalla gru, ma non era agevole da utilizzare con un solo operatore e il Montani non era esperto del suo utilizzo.
Non vi era alcun serio ostacolo all’utilizzo dell’ascensore.
I rischi interferenziali dovuti all’attività di montaggio dell’impianto ascensore, riconducibili al contemporaneo svolgimento dell’attività lavorativa e
dell’impresa edile non sono stati minimamente rilevati dai responsabili della sicurezza.
Il lavoratore particolarmente attaccato al lavoro, era solito consumare il
proprio pranzo in cantiere a differenza dei colleghi che si recavano presso un ristorante.
Infine la tolleranza all’uso dell’ascensore come montacarichi è purtroppo diffusa nei cantieri e la violazione dell’obbligo di sicurezza appare palese sia perché
la presa elettrica a vista posta sul quadro era accessibile a tutti e quindi inadeguata, sia perché la pulsantiera posta sopra il piano provvisorio era fissata in
modo stabile e certamente non era concepita per essere rimossa o scollegata per
evitarne l’utilizzo.
Inoltre la tolleranza e il consenso all’utilizzazione sarebbero emersi anche
dalle dichiarazioni contraddittorie dei testi sentiti a sommarie informazioni.
Vengono riportate le varie dichiarazioni e viene più volte richiamata la relazione redatta dagli ispettori del lavoro ADUR a conferma della tesi difensiva.
Ritiene la ricorrente che la condotta del Montani non possa qualificarsi come
abnorme e imprevedibile, ma anzi sia stata conosciuta e tollerata.
b. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o dì altre norme
giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.

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all’interno del contesto in cui si trovavano il cantiere il giorno del sinistro, certa-

La parte civile ha esercitato l’azione civile nell’ambito del processo penale
per rito abbreviato, però, i giudici dopo aver accertato una grave forma di colpevolezza penale di tipo omissivo degli imputati, aggravata dalla palese violazione
delle norme antifortunistiche, avrebbero stabilito un singolare arbitrario concorso
di colpa nella misura del 25%, senza fornire adeguata motivazione e senza dare
conto dell’applicazione delle norme civilistiche in tema di responsabilità contrattuale, di colpa presunta e concreta e di ripartizione degli oneri della prova tra le
parti, senza indicare quale sarebbe stato il comportamento corretto richiesto al

Di fatto i giudici pur riconoscendo di non avere, per la natura del rito, elementi di giudizio sufficienti ai fini della determinazione del risarcimento civile, ritengono comunque di stabilire un concorso di colpa ai fini civilistici del 25 °h.
La ricorrente ricorda che ai fini civilistici avrebbero dovute essere applicate
le norme sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per cui si presume la negligenza del debitore con una presunzione di colpa e causalità.
Non si capisce come si sia potuto stabilire un concorso del 25 % allorquando
gli ispettori ASUR avevano accertato l’esistenza di tolleranza e consenso all’uso
dell’ascensore come montacarichi.
L’unica imprudenza del lavoratore risiederebbe nell’aver accettato di eseguire la prestazione di lavoro di chiusura delle tracce al primo piano della palazzina
B, dove era di fatto intercluso il trasporto del materiale con modalità diversa rispetto all’utilizzo dell’ascensore.
La circostanza che il Montani si fosse lamentato che l’intavolato provvisorio
non si trovasse a piano terra, dimostra che l’uso dell’ascensore come montacarichí fosse un’opzione praticata e condivisa nel cantiere.
Al caso di specie non veniva applicato l’art. 1227 c.c. che disciplina il concorso di colpa tra creditore e debitore nella determinazione del danno risarcibile.
La ricorrente ribadisce che non risulta indicato nelle sentenze impugnate
l’effettivo comportamento colpevole del Montani, considerati lo stato del cantiere, la prassi operativa, le violazioni delle nome antinfortunistiche addebitate agli
imputati, nonché la mansione specifica affidatagli di chiusura delle tracce al primo piano della palazzina B, dove di fatto era intercluso l’accesso, o reso eccessivamente difficoltoso il trasporto in quota.
La stessa sentenza impugnata riconosce che il Montani ha deciso di utilizzare
l’ascensore allo scopo di accelerare il suo lavoro quindi la sua condotta non è
stata irragionevole o irrazionale, ma dettata dalla necessità di adempiere la propria prestazione lavorativa, risultando, quindi del tutto prevedibile dai soggetti
che avrebbero dovuto essere formati nella prevenzione e protezione dai rischi di
infortuni.
12

lavoratore.

Il Montani aveva diritto a che il suo datore di lavoro, il responsabile della sicurezza e tutti gli altri soggetti responsabili ex lege e ex contractu della gestione
e organizzazione del cantiere osservassero scrupolosamente le norme in materia
di sicurezza sul lavoro.
Nel caso di specie i responsabili non solo non hanno rispettato le norme del
D.Igs. 81/2008, che avrebbero evitato l’infortunio mortale, ma non hanno nemmeno individuato come un classico rischio infortunio il fatto, notorio nei cantieri,
che un lavoratore possa utilizzare un ascensore installato come montacarichi per

Addirittura gli imputati pretendono di definire il fatto come abnorme ed
esorbitante, sostenendo, a posteriori, che anche volendo non si potevano predisporre cautele per evitare tale rischio.
I giudici, inoltre, non avrebbero valutato la diversa qualificazione dei fatti
sotto l’aspetto penale e quello civile, dando luogo ad un unico accertamento di
grave responsabilità omissiva esclusivamente penalistica su cui è stato riconosciuto un arbitrario concorso di colpa del 25%.
La responsabilità posta a carico della vittima, confliggerebbe con le norme in
tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In ultimo la ricorrente evidenzia il danno ingiusto patito, consistente in un
danno biologico permanente di tipo psichiatrico e nel danno economico patito che
si sostanzia nella necessità di acquisto di una nuova casa e negli oneri da sopportare, evidenziando che nessuna proposta risarcitoria vi è mai stata da parte
degli imputati.
Chiede, pertanto, in via principale riconoscere la piena responsabilità penale
colpevole per la causazione dell’infortunio mortale, a titolo omissivo, in capo agli
imputati, e per l’effetto, condannare i medesimi, ai sensi dell’art. 185 cod. pen.,
al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte
civile, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento delle
spese legali finora occorse e occorrenti, liquidando allo scopo in sentenza una
provvisionale maggiorata in considerazione del fatto, che non sussiste alcun concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro; in via subordinata, ovvero in denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda principale,
chiede una modifica in senso sensibilmente più favorevole alla parte civile
dell’eventuale percentuale di concorso di colpa finora riconosciuto nella misura
del 25%, che tenga conto della fondatezza di tutto quanto esposto; concorso di
colpa che, tutt’al più deve essere contenuto e rivisto entro il limite massimo del
5-10%.

13

trasportare del materiale pesante ai piani.

3. In data 25.5.2016 è stato proposto un motivo aggiunto nell’interesse di
ISIDORI ROSSANO con il quale è stata dedotta la nullità della sentenza ex art
606 comma I° lettera b) in relazione alla violazione dei criteri di interpretazione
della prova così come statuito dall’art. 192 c.p.p. e dall’art. 195 c.p.p. in riferimento all’ art. 41 c.p. II° comma per vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata all’imputato e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, verificatosi in altro cantiere, nonché del principio del ragionevole dubbio ex

traddittorietà illogicità ed omissione della motivazione.
In particolar modo il ricorrente si è rifatto, per ribadire l’errore motivazionale
in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, alla pronuncia n. 29798 del
18/07/2015 di questa sez. 4, ove, con particolare riguardo al criterio dirimente
sulla responsabilità del coordinatore della sicurezza del cantiere appaltatore, si è
affermato che una esclusione di responsabilità dell’appaltatore è configurabile„
solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia
organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore, e, quindi, ciò non si verifica
nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda
ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere.
Ha insistito, dunque, per le conclusioni già rassegnate in relazione al ricorso
principale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi sopra illustrati sono infondati e pertanto sia í ricorsi degli
imputati che quello della parte civile vanno rigettati.

2. Quanto ai ricorsi degli imputati, va evidenziato che, legittimamente, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, i giudici di appello richiamano per relationem l’articolata pronuncia di primo grado. E in proposito va
ricordato che il giudice di secondo grado, nell’effettuare il controllo in ordine alla
fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato
ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle
quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo
grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appel14

art 533 c.p.p. e di quello della prova contradditoria ex art 530 c.p.p. e per con-

lo abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte sez. 2 n. 34891 del
16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep.
12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.
1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
nuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e
a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in
modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata
(cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini,
se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'”ossatura”
dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter
argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali
motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate
dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep.
14.1.2003, Delvai, rv. 223061).
3. E’ stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di
minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma
che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non
possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati
estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il
quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza
e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della
compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (sez. 2, n.
9242 dell’8.2.2013, Reggio, rv. 254988).

15

Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è te-

Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Ancona non si è limitata a
richiamare la sentenza di primo grado.
I giudici del gravame del merito ricordano, innanzitutto, i fatti, che, come visto, non sono in contestazione.
In particolare viene fatta propria la ricostruzione del giudice di primo grado,
ricordando come il Montani, lasciata la carriola al piano terra, era salito per le
scale raggiungendo il piano dove era presente l’intavolato provvisorio dell’ascensore; che aveva aperto il cancelletto; che aveva verificato il collegamento del cavo di alimentazione o aveva provveduto egli stesso al collegamento; che aveva

schiacciato il pulsante sul quadro di controllo provvisorio inviando il tavolato al
piano terra; che, sceso al piano terra, aveva caricato la carriola sul tavolato
provvisorio con i manici rivolti verso il vano di entrata ed aveva pigiava nuovamente il bottone per salire al primo piano; che, pensando di aver raggiunto il
piano, dando le spalle al varco di accesso, era uscito a ritroso senza accorgersi
che l’intavolato provvisorio si trovava, invece , a circa 102 cm più in alto rispetto
al solaio del primo piano; che avendo il tavolato una misura inferiore di circa 15
cm rispetto al profilo interno della apertura di accesso al vano aveva messo il
piede nel vuoto; che perciò si era sbilanciato cadendo all’indietro, aveva cercato
istintivamente di afferrarsi ai manici della carriola in tal modo generando un movimento oscillante ed infilandosi con le gambe, al disotto dell’intavolato, nel vuoto, proseguendo quindi la caduta per circa otto- nove metri nella tromba dell’ascensore; che era deceduto in conseguenza delle gravi lesioni riportate a seguito
del violento impatto sul pavimento della tromba dell’ascensore.

4. Orbene, í ricorsi degli imputati sono tesi in primo luogo ad affermare che
il comportamento posto in essere dal Montani -che, come visto, è provato che
ebbe ad aprire il cancelletto posto a protezione dell’ascensore ed a ripristinare
l’energia elettrica attraverso il collegamento di un “cavo volante” al quadro dei
comandi- avesse quei requisiti di abnormità e di imprevedibilità tali da interrompere il nesso di causalità rispetto all’evento prodottosi a suo danno.
Logico e coerente, tuttavia, appare il percorso motivazionale seguito dai
giudici di merito per confutare la tesi della interruzione del nesso di causalità tra
l’accertata carenza del sistema di sicurezza e la morte del lavoratore, dovendo la
stessa attribuirsi al comportamento abnorme dei lavoratori ed essendo l’evento
stesso imprevedibile e inevitabile.
Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, colui che
rivesta una posizione di garanzia in relazione al rispetto delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento della persona offesa sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del
16

e?!

lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di
ogni prevedibilità – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito
in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa sez. 4 con la
sentenza n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321 secondo cui non esclude la
responsabilità (in quel caso del datore di lavoro) il comportamento negligente del
lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia ri-

conducibile comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento
imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto
un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso
all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Il titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori – si é peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto
delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa
sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri
dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi
come del tutto imprevedibile o inopinabile. (sez. 4, n. 37986 del 27.6.2012, Battafarano, rv. 254365; conf. sez. 4, n. 3787 del 17.10.2014 dep. il 27.1.2015,
Bonelli, rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il
comportamento del lavoratore che, per l’esecuzione di lavori di verniciatura,
aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).

5. Questa Corte dì legittimità ha più volte precisato – e va qui ribadito- che
il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione
all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle
cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro (cfr., oltre a quelle citate in precedenza, sez. 4, n.
7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321, fattispecie relativa alle lesioni “da caduta” riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazio17

4

ne alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – “trabattello” – nonostante il lavoratore avesse concorso all’e-vento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Passando poi al diverso profilo della colpa va ricordato anche, che, come affermato nella recente sentenza delle Sezioni Unite n. 38343/2014 sul c.d.

caso

Thyssenkrupp, la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più

so che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Cass. Sez. Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv.
261103 nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione
soggettiva dell’evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo
riferimento alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali).
Inoltre, è stato precisato che nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base
del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato,
oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni
scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Cass. Sez.
Un., n. 38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103; conf.
sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorcaia ed altro, rv. 263284; sez. 4, n. 22378
del 19.3.2015, PG in proc. Volcan ed altro, rv. 263494).

6. Già il giudice di primo grado aveva ampiamente e logicamente motivato

su come la condotta tenuta dal Montani fosse ben lontana dall’apparire esorbitante dalle mansioni lavorative o imprevedibile.
Ciò in quanto -come si legge nella sentenza- l’operaio aveva deciso di utilizzare l’ascensore come montacarichi all’evidente scopo di accelerare il suo lavoro
e, per farlo, non aveva dovuto superare alcuna difficoltà, visto che i cancelletti
metallici provvisori non erano chiusi con lucchetto o altro dispositivo che richiedesse l’uso di chiavi, e che il pannello di comando provvisorio dell’ascensore non
era provvisto di alcun sistema che impedisse l’uso ai non autorizzati (bastava solamente collegare il cavo di alimentazione ad una presa di corrente per rendere
funzionante la macchina elevatrice, che poi poteva essere messa in moto agendo
sui pulsanti del quadro di comando).

18

minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel sen-

Non potendosi, quindi, ritenere che l’agire imprudente del Montani si fosse
posto come causa esclusiva dell’evento mortale, il primo giudice del merito aveva esaminato la posizione, tra gli altri, degli odierni ricorrenti per verificare se ed
in che modo, nei rispettivi ruoli, fosse rinvenibile una loro responsabilità colposa
in relazione all’infortunio che era costato la vita a Federico Montani.
Era stato, tra l’altro, già in quella sede valutato il motivo oggi riproposto secondo cui era possibile usare una gru a torre per portare il materiale in quota
sull’intavolato del ponteggio, riscontrando che ciò era vero, ma che vi era co-

quella macchina, nell’appoggiare il materiale una volta alzato all’altezza desiderata; ed inoltre l’intavolato non aveva le medesime capacità di sopportare il peso
della piazzola di carico. Era dunque doveroso prevedere che un operaio, specialmente se incaricato di (o lasciato) procedere da solo, a una lavorazione che presupponesse il sollevamento ai piani di materiali -come nel caso di specie- fosse
tentato di evitare il complicato e laborioso uso della gru con scarico sul ponteggio, avvalendosi piuttosto della comoda “scorciatoia” offerta dall’ascensore in costruzione, che nulla impediva di usare come montacarichi e che poteva essere
azionato facilmente da una sola persona.
Già nella pronuncia di primo grado, nell’analizzare la posizione del Tomassini
(datore di lavoro della persona offesa oggi non ricorrente) era stato logicamente
rilevato come la raccomandazione orale del datore di lavoro a non usare l’ascensore, anche ammesso che fosse stata fatta, non sarebbe stata sufficiente, visto
che in ultima analisi era proprio la difficoltà di portare i carichi in quota, dovuta
all’organizzazione del cantiere, a indurre all’inosservanza della “raccomandazione” nell’interesse delta stessa ditta esecutrice dei lavori, e non era stata comminata, né di certo sarebbe stata adottata, alcuna sanzione nei confronti di chi fosse stato colto a trasgredirvi.

7. L’odierno theme decidendirPcertata la sussistenza del rischio di caduta
nell’ascensore, verte in ordine alla valutazione operata dai giudici del merito relativamente all’inidoneità degli strumenti posti in essere per fronteggiarlo.
Quanto alla posizione dell’odierno ricorrente Savelli Primo, responsabile della
ditta Savelli Ascensori s.r.I., corretto appare il riferimento operato dal giudice di
primo grado all’arresto giurisprudenziale di questa Corte di legittimità costituito
dalla sentenza 16420/2007, in cui, in un caso analogo a quello che ci occupa, si
era affermato che nell’ipotesi di infortunio mortale sul lavoro, oltre al datore di
lavoro e al responsabile del cantiere, risponde anche il responsabile dell’impresa
appaltatrice incaricata dell’installazione dell’impianto di ascensore, per non- aver
provveduto all’adozione di tutte quelle cautele idonee e necessarie per la totale
19

munque una difficoltà, per chi non fosse particolarmente abile nel maneggio di

disattivazione dell’impianto stesso, consentendo così l’utilizzo improprio dell’impianto come montacarichi e la conseguente caduta del lavoratore nel vano
ascensore.
L’addebito, fatto proprio dalla Corte territoriale, e che finisce per coinvolgere
tutti gli imputati, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, è quello di non
avere fatto in modo che agli operai fosse impossibile, o perlomeno oltremodo difficoltoso avvalersi, dell’impianto come montacarichi.
Ciò dovevano farlo il datore di lavoro, ma anche il responsabile della ditta

dosi di munire di lucchetto i cancelletti di accesso al vano ascensore, fornendo le
chiavi solo ai dipendenti della ditta Savelli; chiudendo il pannello di controllo con
una copertura apribile solo con chiavi, etc.).
Nessuna simile iniziativa era stata, invece, adottata.
Correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che dovesse rispondere dell’infortunio mortale anche Savelli Primo, quale soggetto responsabile dell’osservanza delle normative antinfortunistiche nell’esecuzione dei lavori di installazione dell’impianto ascensore.
E’ risultato infatti che, con delibera del CdA del 23.12.09 della Savelli Ascensori s.r.I., Savelli Primo aveva ricevuto delega di poteri e funzioni, in rappresentanza della società, in ordine all’organizzazione ed al coordinamento delle funzioni di sicurezza aziendale, antinfortunistica, igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro,
ed all’adempimento di tutti “gli obblighi discendenti dalle normative sulla tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori nell’ambiente di lavoro, comprendendovi i cantieri edili, inclusa l’osservanza delle disposizioni dettate in materia dal
D.L.vo 81/2008”.
La delega, correttamente, è stato ritenuto che, ai sensi dell’art. 16 d.lgs.
81/2008, valesse a individuare in via esclusiva nel Savelli Primo il destinatario
degli obblighi previsti della normativa antinfortunistica che nella specie sono stati
violati, tenuto conto che risulta da atto scritto di data certa che Savelli Primo era
pacificamente in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate.
La delega in questione gli attribuiva tutti i poteri di organizzazione, gestione,
controllo e spesa richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, ed è stata accettata dal delegato per iscritto, come risulta dalla medesima delibera approvata all’unanimità dall’intero CdA, del quale faceva parte lo stesso Savelli
Primo.
A Savelli Primo, dunque, è stato rimproverato di non avere predisposto alcun valido sistema per impedire la caduta di persone dei vano ascensore, in tal
modo violando il preciso disposto dell’art. 146 co. 3 d.lgs. 81/2008; i cancelletti
20

affidataria dei lavori di realizzazione dell’impianto ascensore (ad es., premuran-

installati (peraltro dalla ditta Tomassini) a protezione delle aperture del vano
erano inidonei perché potevano essere aperti senza alcuna difficoltà da chiunque.

8. La responsabilità del CSE della Savelli, Isisori Rossano, è stata corretta-

mente individuata in relazione alla circostanza che egli, ai sensi degli artt.91 co.
1 lett. a) e 92 del d.lgs. 81/08 doveva redigere il Piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 100 co. 1 del citato d.lgs., con i contenuti espressamente
indicati nell’allegato 15, e tenerlo costantemente adeguato in relazione all’evolu-

Nel PSC da lui redatto, invece, come già riscontrato dal giudice di primo
grado, non si riscontra l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti correlati alla fase di installazione dell’ascensore (valutazione che doveva essere
condotta tenendo conto dell’organizzazione del cantiere, delle lavorazioni in corso e delle loro interferenze); tanto meno nel Piano sono individuate le misure
tecniche ed organizzative necessarie a gestire l’interferenza dei rischi per i lavoratori delle imprese impegnate.
In violazione dell’art. 92 co. 10 lett. B d.lgs. cit. – il quale, tra l’altro, stabilisce che i POS sono da considerarsi come piani complementari di dettaglio del
PSC – non vi è stata, da parte del Coordinatore Isidori, una seria verifica del POS
della ditta Savelli, che avrebbe portato ad evidenziare le gravi manchevolezze di
quel POS, sotto il profilo delle misure di prevenzione da adottare per gestire i rischi generati dalla presenza in cantiere di tecnici di altre ditte svolgenti diverse
fasi lavorative. Il POS della Tomassini, infatti, non vi era alcun cenno al rischio
costituito dalla presenza del vano ascensore.
Peraltro, con motivazione logica viene ascritta tra le manchevolezze imputabili all’Isidori anche il non avere informato dei rischi o sollecitato in alcun modo i
datori di lavoro interessati a prendere in specifica considerazione la problematica
della sicurezza con riferimento all’installazione dell’ascensore, con ciò violando
l’art. 92 co. 10 lett. C del d.lgs. 81/08 ove viene stabilito che il Coordinatore organizza la cooperazione ed il coordinamento delle attività dei diversi datori ‘di lavoro, nonché la loro reciproca informazione.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia gli imputati ricorrenti
chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di
legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.

9. Infondato è anche il ricorso proposto dalle parti civili.

21

zione dei lavori.

Si è detto che il comportamento del lavoratore non può essere ritenuto né
abnorme, né imprevedibile, e pertanto tale da escludere la penale responsabilità
degli imputati.
Tuttavia, i giudici di merito non hanno potuto riconoscere che il suo essersi
attivato in vario modo, come ampiamente ricordato, per rimettere in funzione
l’ascensore, faccia sussistere un concorso colposo che è stato valutato dal giudice di primo grado prima e della Corte territoriale poi quantificabile nella misura
del 25 per cento.

componenti del fatto ampiamente illustrate dai giudici di merito, soprattutto in
primo grado.
Va ricordato, peraltro, che le statuizioni del giudice di merito in ordine alla
quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima
nella determinazione causale dell’evento costituiscono apprezzamento di fatto
non censurabile in sede di legittimità. (sez. 4, n. 43159 deI20/6/2013, Sparapani, rv. 258083; conf. sez. 4, n. 4537 del 21.12.2012 dep. 2013, Fatarella, rv.
255099).
Condivisibilmente, peraltro, già il giudice di primo grado ha valutato che la
natura del rito prescelto e la proiezione dell’attività istruttoria al solo accertamento delle responsabilità penali non fornissero elementi di giudizio sufficienti
per stabilire l’ammontare esatto del risarcimento spettante alla parte civile e ha
ritenuto, pur statuita una provvisionale, di dover pronunciata condanna generica
e di dover rimettere le parti, ai sensi dell’art. 539 c.p.p. dinanzi al giudice civile,
per la quantificazione del risarcimento.
Su entrambi i punti analogo motivo di doglianza è stato già valutato e rigettato in sede di gravame del merito.

10. Al rigetto dei ricorsi consegue ex lege la condanna di tutte la parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La reciproca soccombenza porta a che non vi siano spese liquidabili tra le
parti.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 15 giugno 2016
Il C sigliere estensore

Tale quantificazione, evidentemente, tiene conto in via equitativa di tutte le

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