Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28246 del 29/01/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28246 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROMAN MARIANA MIHAELA N. IL 06/02/1980
avverso la sentenza n. 3101/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
02/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DANIELE CENCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. p c–10- cAttiptA
che ha concluso per (1.- 2( (4 t-9-1-0 per, gi corLsò

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Data Udienza: 29/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza del
Tribunale di Lodi di condanna di Roman Mariana Mihaela per il reato di omicidio
colposo di Domenico Fischetti, fatto commesso con violazione delle norme sulla
circolazione stradale, il 28 ottobre 2008, decesso avvenuto il 10 novembre 2008.

2.Avverso la decisione della Corte di appello ha presentato tempestivo ricorso

La sentenza, ad avviso del ricorrente, sarebbe viziata per inosservanza o
erronea applicazione dell’art. 41, comma 2, cod. pen., anche in relazione alla
dedotta manifesta illogicità del contenuto della consulenza tecnica posta a base
della sentenza impugnata.
Non si contesta nel ricorso il fatto che, a seguito di sinistro stradale del 28
ottobre 2008, ascrivibile a colpa dell’imputata, il signor Domenico Fischetti abbia
riportato una frattura della testa omerale (così alla p. 2 del ricorso): si contesta
invece che il successivo decesso dell’investito, intervenuto a causa di una trombo
embolia polmonare massiva dopo un intervento chirurgico eseguito per sostituire
la testa omerale con una protesi, sia causalmente riconducibile alla condotta
colpevole di guida della signora Roman Mariana Mihaela. Premesso che i giudici di
merito sarebbero pervenuti all’affermazione di responsabilità esclusivamente sulla
base della relazione medica del consulente tecnico del P.M., che ha escluso
qualsiasi responsabilità medica nello sviluppo del fenomeno trombo-embolico non
rinvenendo alcun profilo di colpa del sanitari, evidenziato che al momento del
ricovero, subito dopo l’incidente stradale, gli stessi sanitari avevano
categoricamente escluso ogni pericolo di vita del paziente, si assume che la morte
dell’investito sarebbe intervenuta come complicanza del tutto eccezionale
dell’intervento chirurgico posto in essere dai sanitari di Lodi, con conseguente
necessità di applicazione della disciplina posta dall’art. 41, comma 2, cod. pen. in
tema di interruzione del nesso causale (pp. 2-3 del ricorso): si richiama, al
riguardo, uno specifico passaggio (p. 14, ultimo alinea) della relazione scritta del
2 gennaio 2009 del consulente tecnico del P.M.
Si chiede, in conclusione, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 motivi di ricorso non meritano accoglimento, siccome infondati.
1.1.Premesso che è incontroverso, come ammesso pacificamente da Ronnan
Mariana Mihaela e come risultante dalle sentenze di merito, che vi fu, per

per cassazione il difensore dell’imputata.

distrazione dell’imputata mentre era alla guida di un’autovettura, l’investimento,
peraltro avvenuto sulle strisce pedonali, del passante Domenico Fischetti, che, in
conseguenza, riportò vari traumi, tra i quali la frattura da scoppio della testa
omerale sinistra, nel ricorso, a ben vedere, si sottopone alla Corte, anzitutto, una
questione relativa ad una valutazione di puro fatto – se cioè sia ravvisabile o meno
nel caso di specie una colpa dei sanitari che sottoposero il paziente all’intervento
chirurgico per la sostituzione protesica della testa omerale – e che è stata in
entrambi i gradi di merito già affrontata e risolta nel senso dell’assenza di profili

In particolare, la validità dell’argomento sviluppato nel ricorso, secondo il
quale

«l’evento morte provocato dalla trombo-embolia massiva contratta

dall’infortunato durante il ricovero in ospedale per la cura degli esiti di una frattura
della testa omerale, è stata una complicanza talmente eccezionale delle modeste
lesioni subite in conseguenza dell’incidente da non poter mai e poi mai costituire
fattore causale preesistente» (così p. 4 del ricorso) risulta esclusa, sempre in
punto di fatto, dagli accertamenti istruttori, il cui sviluppo appare congrui, riferiti
dai giudici di merito.
In particolare, nella sentenza di secondo grado (alla p. 4), si pone in luce che
«come si legge nella citata consulenza[,] da un lato[,] dall’esame della notizie
riportate in cartella clinica non erano emersi nella parte lesa altri processi
patologici preesistenti all’evento traumatico e/o successivamente insorti, ma
comunque da esso causalmente svincolati, idonei e sufficienti a causare il decesso
del/investito e[,] dall’altroM del tutto corretta era la scelta terapeutica per la cura
della lesione scheletrica dell’arto superiore destro, avuto riguardo alla estrema
gravità della frattura della testa omerale, che non avrebbe consentito un
trattamento conservativo a garanzia di un quantomeno sufficiente recupero
funzionale». Conformi le valutazioni svolte a riguardo nella motivazione della
sentenza di primo grado (alle pp. 5-6).
1.2. Quanto, poi, alla questione di diritto sottesa al ragionamento svolto nel
ricorso, si evidenzia che, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, dalla quale
non vi è ragione per discostarsi, nel caso di incidente stradale causativo di lesioni,
anche l’ipotetica negligenza o imperizia dei medici (di cui non vi è peraltro traccia
nel presente processo), persino ove di elevata gravità, non sarebbe comunque
idonea ad elidere il nesso causale tra la condotta e l’evento morte, in quanto
l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e
prevedibile, anche nei potenziali errori di cura, mentre ai fini della esclusione del
nesso di causalità occorre un errore sanitario del tutto eccezionale e da solo
determinante l’evento letale (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007,
Taborelli, Rv. 237838: «L’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure

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di colpa dei medici, con motivazione che appare congrua ed immune da vizi logici.

alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed
indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui
che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito. (Fattispecie in cui la
Corte ha escluso l’interruzione del nesso di causalità rilevando che l’errore medico
non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior
ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la
necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della
gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale»).
1.3. Il delicato tema del rischio sanitario è stato oggetto di importanti
precisazioni in recente pronunzia della S.C. (Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015,
Sorrentino e altri, Rv. 264365), che, per la rilevanza che le stesse possono
assumere nel caso in esame, appare il caso di richiamare testualmente nei più
significativi passaggi argomentativi:
ebbene, la questione del rischio sanitario «[…]

richiede di porre alcune

enunciazioni di principio, aderenti a quelle recentemente proposte dalle Sezioni
unite di questa Corte (Sez. Un 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103).
A proposito dell’art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso
causale, evocando la precedente giurisprudenza, si è posto in luce che il garante
è il gestore di un rischio; e che il termine “garante” viene ampiamente utilizzato
nella prassi anche in situazioni nelle quali si è in presenza di causalità commissiva
e non omissiva; ed ha assunto un significato più ampio di quello originario, di cui
occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma
richiamata.
Si è considerato che la necessità di limitare l’eccessiva ed indiscriminata
ampiezza dell’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di
classiche elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la
causalità umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel
controverso art. 41 cpv. c.p.. L’esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è
quella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale
possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla
paternità dell’evento illecito.
La centralità dell’idea di rischio è emersa con insistenza particolarmente nel
contesto della sicurezza del lavoro [… in cui, in maniera particolare,] esistono
diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel
rischio sono chiamate a governare […] Le Sezioni unite Li hanno posto
l’enunciazione che un comportamento è “interruttivo” (per restare al lessico
tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio che
il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche
caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma
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ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione
dell’imputazione oggettiva dell’evento. A ciò va aggiunta solo una chiosa di portata
generale: l’effetto interruttivo può essere dovuto a qualunque circostanza che
introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli
che il garante è chiamato a governare.
[…] Il tema di cui si discute è stato ripetutamente esaminato da questa Corte
con riferimento al rischio terapeutico. Si può dire che l’ambito che ha determinato
le maggiori discussioni sulla portata dell’art. 41 cpv., è sicuramente quello in cui
l’attività di cura interagisce con gli effetti determinati dalla precedente condotta
illecita, aggravandoli.
La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che, nel caso di lesioni personali
seguite da decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza o
imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva
dell’agente e l’evento morte. La colpa dei medici, infatti, anche se grave, non può
ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’agente
che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari. Infatti
la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sè un fatto
imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui
costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile (ad es. Sez.
I, 9 ottobre 1995, La Paglia; Sez. I, 19 gennaio 1998, Van Custem; Sez. IV, 10
marzo 1983, Di Martino). In tale approccio l’eccezionalità viene colta in modo
categoria/e, astratto: per definizione essa non si configura, indipendentemente
dalle contingenze del caso concreto.
[…] il nesso causale è stato escluso in un caso che presenta significative
affinità con quello in esame (Sez. V, 27 gennaio 1976, Nidini, in C. E. D. Cass. n.
133819). Si era in presenza di un errore macroscopico del sanitario: una persona
che viaggiava a bordo di un’auto subiva lesioni non molti gravi (frattura del femore
e stato commotivo) a seguito di un incidente stradale nel quale si evidenziava la
colpa del conducente; ricoverata in ospedale veniva sottoposta ad intervento
chirurgico di osteosin tesi gravato da errori di esecuzione (applicazione al femore
fratturato di viti che, per la loro eccessiva lunghezza determinavano emorragie,
infezione e cancrena); tale situazione determinava la necessità di tre
emotrasfusioni; nell’esecuzione di tali trasfusioni il medico errava
nell’individuazione del gruppo sanguigno con esito letale. La Corte ha ritenuto che
tale finale cond tta erronea, pur inserendosi nella serie causale dipendente dalla
condotta dell’ utomobilista che provocò l’incidente, agì “per esclusiva forza
propria” ed ij7terruppe il nesso di condizionamento. Rispetto all’evento morte
l’originaria c ndotta colposa dell’automobilista, pur costituendo un antecedente
necessario p l’efficacia delle cause sopravvenute, assume non il ruolo di fattore

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causale ma di semplice occasione. Si tratta di una decisione senza dubbio
condivisibile, visto che da un lato si è in presenza di un rischio non particolarmente
grave, innescato dall’incidente; dall’altro si evidenzia non solo un errore di
esecuzione dell’intervento di osteosintesi, ma anche e soprattutto di un errore
gravissimo costituito dall’erronea individuazione del gruppo sanguigno, originatosi
in una situazione in cui non si provvedeva alla cura della frattura ma si tentava di
rimediare agli errori commessi dal chirurgo.
Una soluzione corretta, dunque, nella quale – tuttavia – piuttosto che la

veicolo, appare assai più persuasiva e razionale la considerazione
dell’incongruenza e dell’incommensurabilità tra l’originario rischio attivato
dall’incidente automobilistico e quello realizzatosi a causa del gravissimo errore
consistito nella fallace individuazione del gruppo sanguigno.
[…] conclusivamente, la teoria del rischio evocata dalle Sezioni unite offre
strumenti di analisi e ponderazione meno vaghi e più penetranti rispetto a quelli
offerti dalla tradizione: in breve, l’individuazione del rischio quale chiave di volta
per la lettura degli intrecci causali; l’intervento di fattori la cui concausalità è
determinante e di significato tale da assorbire la spiegazione giuridica esclusiva
dell’evento; la congruenza tra i rischi. Il fatto illecito altrui non esclude in radice
l’imputazione dell’evento al primo agente, che avrà luogo fino a quando
l’intervento del terzo, in relazione all’intero concreto decorso causale dalla
condotta iniziale all’evento, non abbia soppiantato il rischio originario.
L’imputazione non sarà invece esclusa quando l’evento risultante dal fatto del terzo
possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente.
Tale approccio è utile anche quando la condotta illecita ha già prodotto
conseguenze lesive, ma esse vengono portate ad esiti ulteriori e più gravi da
condizioni sopravvenute, che possono essere costituite da comportamenti umani
o da fatti naturali. Si tratta dell’ambito efficacemente tratteggiato dai casi di scuola
della vittima di un attentato che muore durante il trasporto in ospedale a causa di
un incidente stradale, o di un incendio sviluppatosi nell’ospedale […]
L’approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere
l’imputazione al primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un
pericolo per la vita, ma l’errore del medico attiva un decorso mortale che si innesta
sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e letali: viene creato un pericolo
inesistente che si realizza nell’evento. Discorso analogo può esser fatto quando la
condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato
debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo.
La teoria del rischio spiega bene l’esclusione dell’imputazione del fatto nel
caso dell’emotrasfusione sbagliata: vi è una tragica incommensurabilità tra la

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generica evocazione della occasionante della condotta colposa del conducente del

situazione non grave di pericolo determinata dall’incidente, che aveva comportato
la rottura del femore, e l’esito mortale determinato dal macroscopico errore
nell’individuazione del gruppo sanguigno».
Ebbene, facendo applicazione della teoria del rischio nel caso di specie si
giunge ad escludere qualsiasi interruzione del nesso causale da parte dei sanitari
che ebbero in cura Domenico Fischetti ed il cui intervento, in relazione al concreto
decorso causale dalla condotta iniziale colposa dell’investitrice imputata all’eventomorte, stando a quanto accertato dai giudici di merito, che hanno adottato al

soppiantato il rischio originario e non ha assorbito la spiegazione giuridica
esclusiva dell’evento: in particolare, hanno accertato i giudici di merito che
l’intervento chirurgico al quale è stato sottoposto Domenico Fischetti al fine di
porre rimedio alle lesioni causate dall’investimento automobilistico da parte di
Roman Mariana Mihaela – intervento la cui corretta effettuazione non è nemmeno
posta in dubbio nel ricorso – era, nella concreta situazione che emergeva,
necessario.

2. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso, con
conseguente condanna del ricorrente alle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/01/2016.

riguardo motivazione congrua ed immune da vizi logici, non ha, a ben vedere, mai

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