Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28242 del 27/03/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28242 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ROSI ELISABETTA

Data Udienza: 27/03/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IACONISI FERNANDO N. IL 07/07/1951
avverso l’ordinanza n. 106/2012 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
28/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. ELIS BETTA ROSI;
e/sentite le ponclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 28 settembre 2012, il Tribunale di Lecce, Sezione Riesame,
ha rigettato l’appello presentato da Iaconisi Fernando avverso l’ordinanza
emessa dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale in data 16 agosto 2012, con il
quale era stata rigettata l’istanza di revoca parziale del sequestro preventivo
incidente su un’area in località Serricelle del Comune di Porto Cesareo, in
riferimento al complesso immobiliare (turistico-alberghiero, ma anche
residenziale) di pertinenza della società F.G.C.I. di cui è amministratore lo

abusiva e lottizzazione abusiva.
2. Il Tribunale ha confermato la valutazione del G.I.P. richiamando anche i
contenuti della precedente ordinanza del 6 dicembre 2011, con la quale lo stesso
Tribunale aveva rigettato il ricorso avverso il provvedimento genetico (imposto
sia sulla base del presupposto di cui all’art. 321 comma 1 c.p.p., che in
relazione alla funzionalità del vincolo reale alla confisca di cui al comma 2), sul
presupposto che l’intervenuto mutamento della destinazione d’uso dell’area per
effetto del nuovo piano urbanistico generale del 29 gennaio 2010 (da agricolo, a
turistico-alberghiero), non può avere effetto sanate della lottizzazione abusiva
attuata attraverso la progressiva trasformazione dell’area agricola a residenziale,
ipotesi delittuosa sulla quale si indaga. La vicenda aveva tratto le mosse nel
2001 con l’acquisto da parte di F.G.C.I. srl, società riconducibile a Iaconisi
Fernando,

di terreni ricadenti in un sito, previsto come zona agricola e

sottoposta a vincoli paesaggistico, idrogeologico e faunistico e dalla richiesta di
concessione edilizia dallo stesso presentata per la realizzazione di una residenza
turistico alberghiera, alle quale fece seguito il permesso a costruire n. 45 del
2003, dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato per contrasto con lo strumento
urbanistico vigente, ed il permesso n. 19 del 2006, che consentiva nuovamente
la realizzazione del Complesso, legittimando i lavori già eseguiti. In seguito era
stata costituita la s.r.l. Punta Grossa

alla quale erano stati conferiti 108

appartamenti del complesso turistico alberghiero, nell’ottica di una
riorganizzazione societaria ed aziendale finalizzata anche alla realizzazione di
forme di multiproprietà societaria/alberghiera.
3. Avverso tale provvedimento lo Iaconisi ha proposto, tramite il proprio
difensore, ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per
violazione di legge in relazione all’art. 321 c.p.p. Il ricorrente, nel ripercorrere la
vicenda amministrativa relativa alla realizzazione del Complesso Punta Grossa,
ha sottolineato che con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 23 giugno
2012, pubblicata nel BRRP n.111 del 26 luglio 2012, e dichiarata eseguibile
immediatamente, è stato approvato in via definitiva il Piano Urbanistico Generale
del Comune di Porto Cesareo, che ha recepito, senza riserva alcuna, la variante

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Iaconisi, per la realizzazione del quale lo stesso è indagato per edificazione

relativa al Villaggio Turistico-alberghiero Punta Grossa; di conseguenza il
complesso è conforme allo strumento urbanistico vigente, come del resto
confermato dallo stesso Ufficio Tecnico del Comune, che con la nota del 2 agosto
2012 ha chiarito che il complesso è coperto dai permessi di costruire n.19/06 e
n. 50/09, atteso che la Zona è tipizzata quale Zona D 7, insediamenti produttivi
puntuali. Su tali basi il ricorrente aveva avanzato richiesta di revoca del
sequestro per il venir meno del presupposto del periculum in mora; tale
prospettazione sarebbe stata condivisa dal Tribunale del riesame che non ha

affermando che trattandosi di confisca obbligatoria, il giudice non dovrebbe
motivare diffusamente le ragioni del potere discrezionale di sequestro esercitato.
Tale interpretazione, a parere della difesa del ricorrente, sarebbe errata, posto
che il dettato normativo del comma secondo dell’art. 321 c.p.p. attribuisce al
giudice un potere discrezionale del quale egli è tenuto a motivare l’esercizio,
dovere non adempiuto nel caso di specie. Inoltre la revoca aveva ad oggetto la
sola parte riferibile alla società F.G.C.I. e non quella la cui titolarità spetta alla
diversa società Punta Grossa s.r.I., sulla quale permangono ancora problemi
relativi al cambio di destinazione d’uso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo di ricorso è fondato.
Come è noto il controllo operato dai giudici di legittimità nei procedimenti
cautelari reali attiene alla violazione di legge, ossia agli “errores in iudicando” o
“In procedendo” ed a quei vizi della motivazione così radicali, da rendere
l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante, o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza
e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
(così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692).
Perciò se è ben vero che il riscontro del “fumus delicti” è materia riservata alla
fase del riesame, mentre in sede di appello possono essere solo dedotte
questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell’imposizione del vincolo,
attinenti alla persistenza delle ragioni giustificanti il mantenimento della misura”
(cfr. Sez. 3, n. 17364 dell’8/3/2007, Iannotta, Rv. 236602), il Collegio del
riesame è comunque tenuto ad esaminare la consistenza del fumus delicti al fine
di effettuare un controllo circa la permanenza o meno delle esigenze preventive
e la ipotizzabile confisca delle opere realizzate.
2. Il periculum in mora che legittima il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.
consiste nella necessità di evitare che la libera disponibilità della cosa pertinente

però accolto l’appello facendo richiamo al secondo comma dell’art. 321 c.p.p. ,

al reato possa provocare l’aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze di esso, e
quindi deve essere attuale, per cui quando, anche per fatti sopravvenuti, le
esigenze di cautela vengono meno, deve farsi luogo alla revoca del vincolo
cautelare ai sensi del comma 3 del medesimo articolo (cfr. Sez. 2, n. 25996 del
17/4/2003, dep. 17/6/2003, Rossi, Rv. 227318). La giurisprudenza ha chiarito
che la valutazione dell’attualità impone al giudice della cautela che debba
procedere all’esame di un’istanza di revoca del provvedimento di verificare il
mutamento del quadro normativo ed anche di quello giurisprudenziale (si veda la

223327 e cfr. Sez. 3, n. 14866 del 17/3/2010, dep. 16/4/2010, Lovison, Rv.
246968).
Di contro la disposizione del comma 3 dell’art. 321 c.p.p. non richiama il
sequestro preventivo disposto ai fini di confisca, previsto al comma 2 del
medesimo articolo, atteso che la dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto
vincolante il richiamo letterale operato dal disposto del terzo comma al solo
sequestro preventivo fai sensi del comma 1. Risulta quindi evidente la diversa
funzionalità delle due tipologie di sequestro preventivo disciplinate nella
disposizione codicistica.
3. Parte della giurisprudenza, inizialmente, aveva ritenuto che nel caso di
confisca obbligatoria la pericolosità del bene in sequestro non fosse passibile di
valutazioni discrezionali, ma fosse presunta dalla legge, per cui in relazione al
sequestro finalizzato alla confisca fosse possibile la revoca del sequestro solo
qualora fossero venuti meno gli elementi costituenti il fumus commissi delicti; in
seguito è stato precisato che la revoca del sequestro preventivo va disposta
anche in relazione a fattispecie di reato per le quali è obbligatoria la confisca,
non soltanto quando venga meno il fumus del reato ipotizzato, ma anche quando
il reato abbia completamente esaurito i suoi effetti (cfr. Sez. 3, n. 4100 del
16/10/2007, dep. 28/1/2008, M. in proc. Ippolito, Rv. 238554, in quanto nel
caso di specie non era possibile parlare di presunzione legale di pericolosità).
Invero un’interpretazione coerente della lettera della norma, che recita “il giudice
può…..” , porta a concludere che il giudice della cautela deve comunque fornire
motivazione delle ragioni per le quali ritiene essenziale mantenere il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca del bene in ogni specifico caso sottoposto al
suo giudizio. Del resto tale assunto ha trovato conferma nella interpretazione
giurisprudenziale, laddove è stato con chiarezza precisato che “la fattispecie
cautelare di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p. ha natura obbligatoria a
differenza di quella contemplata dal secondo comma che ha natura facoltativa,
giacché il giudice ha solo la facoltà, e non il dovere, di disporre il sequestro

parte motiva di Sez. 6, n. 1284 del 22/10/2002, dep. 14/1/2003, Soldi, Rv.

preventivo delle cose di cui è consentita la confisca.” (si veda la parte motiva di
Sez. 3, n. 4050 del 13/11/2002, dep. 29/01/2003, Angrisani, Rv. 223473)
4. La diversità tra le due diverse funzioni che possono essere svolte da un
provvedimento cautelare reale è del resto evidente anche in relazione ai profili
attinenti la tutela del terzo in buona fede (cfr. Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010,
dep. 16/11/2010, Orlando e altri, Rv. 248741, ove è stato chiarito che il fatto
che il bene sottoposto a sequestro preventivo, al fine di impedire che la libera
disponibilità dello stesso possa aggravarne o protrarre le conseguenze del reato

buona fede non rileva, mentre tale situazione soggettiva è rilevante se il
sequestro sia stato disposto esclusivamente ai sensi del comma secondo dell’art.
321 c.p.p. in quanto funzionale alla confisca). Inoltre dalla diversità ontologica e
di disciplina tra i due tipi di sequestro preventivo, consegue che il sequestro
preventivo, richiesto e disposto a fini esclusivamente impeditivi della
commissione di ulteriori reati, non può essere confermato dal Tribunale sulla
base del fatto che sia finalizzato a garantire la confisca dei proventi del reato,
non potendosi ritenere instaurato il contraddittorio in relazione a tale ultima
funzione (Sez. 1, n. 23908 del 3/6/2010, dep. 22/6/2010, Gelati Rando, Rv.
247951).
5. Nel caso di specie, risulta perciò fondamentale tenere conto che il titolo del
vincolo reale apposto sull’area è duplice, in quanto il provvedimento genetico è
stato disposto ai sensi sia del primo, che del secondo comma dell’art. 321 c.p.p.
e pertanto il Collegio del riesame avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione
sulle censure avanzate in sede di appello cautelare che hanno riguardato
entrambe le tipologie di vincolo reale gravante sulla parte di area (della quale
veniva chiesto il dissequestro alla luce del fatto nuovo come indicato).
6. Orbene, questo Collegio rileva che l’impugnata ordinanza è incorsa in
violazione di legge (art. 325 c. 1 c.p.p.) in quanto ha scelto di non fornire alcuna
risposta e motivazione circa il sequestro preventivo disposto ex art. 321 comma
1 c.p.p., quanto al venir meno del periculum in mora a seguito del fatto
sopravvenuto costituito dalla nuova disciplina urbanistica, la quale consente la
destinazione turistico alberghiera dell’area: in relazione a tale fatto nuovo in
relazione al quale il ricorrente aveva inoltrato richiesta di parziale dissequestro
dei comparti A e B del complesso, per il venir meno della specifica funzione
cautelare. Infatti l’ordinanza impugnata sembra condividere l’assunto difensivo
secondo il quale “in caso di pari o superiore carico urbanistico dell’attuale
destinazione rispetto a quella accertata (affermato dai difensori e contestato dal
pubblico ministero) il sequestro non assolverebbe più ad alcuna funzione

44(

per cui si indaga, appartenga a un terzo estraneo alla commissione del reato e in

cautelare essendo inesistente il pericolo paventato” (pag.4 dell’ordinanza), ma
finisce poi per non esprimere alcuna valutazione sul punto, limitandosi ad
affermare che non sussiste alcuna necessità di esprimere un giudizio sul carico
urbanistico del complesso sul territorio, perché risulta assorbente “la
strumentalità del disposto sequestro alla confisca”.
8. Ma, ugualmente, deve essere rilevato che il Tribunale del riesame è incorso
nella violazione di legge per omessa motivazione anche laddove, in riferimento al
vincolo cautelare a fini di confisca, disposto ex art. 321 comma 2 c.p.p., ha poi

diffusa che renda conto del potere discrezionale esercitato”, trattandosi di
confisca obbligatoria ex art. 44 comma 2 D.P.R. n. 380 del 2001.
Di conseguenza l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al
Tribunale di Lecce, affinchè proceda ad un nuovo esame circa entrambi i profili
evidenziati

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2013

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Il Presidente

scelto di affermare che non è necessaria alcuna motivazione “particolarmente

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