Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28237 del 10/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28237 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
nel procedimento nei confronti di :

Braccioni Patrizio, n. il 11/08/1959 a Pesaro;
Cesario Claudio, n. il 21/10/1965 a Palermo;
Chandra Rupack, n. Il 07/03/1977 a Liverpool;
D’Agostino Augusto Giovanni A., n. il 24/06/1969 a Caserta;
De Marchis Ranieri, n. il 08/01/1961 a Livorno;
Filippi Stefano, n. il 04/09/1973 a Abano Terme;
Gerundino Nicola,n. il 03/05/1974 a Bari;
Maggioni Orietta, n. il 28/04/1958 a Milano;
Mariotti Maria Celeste, n. il 21/08/1954 a Tirano;
Martuccelli Angelo Eugenio, n. il 29/08/1960 a Roccamonfina;
Mecarelli Andrea, n. il 28/12/1954 a Siena;
Menetto Marcello, n. il 09/10/1963 a Milano;
Ogliengo Vittorio, n. il 05/03/1958 a Cocconato;
Panni Mauro Agostino, n. il 29/11/1962 a Milano;
Piccini Gabriele, n. il 25/05/1956 a Seveso;
Porcaro Attilio Antonio, n. il 19/1171975 a Milano;

Data Udienza: 10/03/2016

Porro Stefano, n. il 07/03/1975 a Como;
Profumo Alessandro, n. il 17/02/1957 a Genova;
Tuzzi Luciano, n. il 30/03/1955 a Udine;
Vangelisti Maurizio, n. il 05/12/1954 a Roverchiara;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale P. Fimiani, che ha concluso per l’inammissibilità;

udite le conclusioni degli Avv.ti F. Pedrazzi, anche in sostituzione dell’Avv. A.
Alessandri, per Braccioni, Gerundino, Porcaro, Porro e Tuzzi; A. Monti per
Braccioni; P. Severino per De Marchis e Ogliengo; M. Calleri anche in
sostituzione dell’Avv. F. Mucciarelli, per Filippi e Chandra; N. Mazzacuva per
Mecarelli, Menetto, Maggioni, Panni, Piccini e Vangelisti; R. Olivo per Martuccelli,
Cesario e D’Agostino, F. Vassalli per D’Agostino, Cesario e Martuccelli; G. Perroni
per Gerundino, Porcaro e Porro; L. Cammarata in sostituzione dell’Avv. F. Arata
per Mariotti, G. P. Accinni per Profumo che hanno, tutti, concluso per
l’inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha proposto
ricorso nei confronti della sentenza con cui il G.i.p. presso il Tribunale di Roma
ha dichiarato non luogo a procedere perché il fatto non sussiste nei confronti di
Braccioni Patrizio, Cesario Claudio, Chandra Rupack, D’Agostino Augusto
Giovanni, De Marchis Ranieri, Filippi Stefano, Gerundino Nicola, Maggioni Orietta,
Mariotti Maria Celeste, Martuccelli Angelo Eugenio, Mecarelli Andrea, Menetto
Marcello, Ogliengo Vittorio, Panni Mauro Agostino, Piccini Gabriele, Porcaro Attilio
Antonio, Porro Stefano, Profumo Alessandro, Tuzzi Luciano e Vangelisti Maurizio
in relazione al reato di cui all’art. 3 del d. Igs. n. 74 del 2000 per avere gli stessi
tra loro concorso, nelle diverse qualità rivestite come segnatamente indicate in
imputazione, nel costruire una struttura complessa ed artificiosa unicamente
volta a generare proventi falsamente prospettati nelle scritture contabili e nelle
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avverso la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Roma in data 26/03/2015;

dichiarazioni dei redditi come dividendi, imponibili solo per il 5%, anziché come
interessi attivi, integralmente imponibili (in sostanza, come da ricostruzione
operata in sentenza, incentrata su un’operazione “pronti contro termine” su
strumenti finanziari emessi da società lussemburghese del Gruppo Barclays in
lire turche che produceva un reddito pari al tasso di mercato monetario
prevalente e distribuiva integralmente e periodicamente il reddito conseguito,

l’investimento), con la conseguente esclusione dal reddito imponibile di una
quota pari al 95% e adoperato mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare il relativo
accertamento valendosi di società e trust appositamente costituiti all’estero
attraverso cui venivano emessi titoli di capitale in concreto non negoziabili, in tal
modo sottraendo all’imposizione elementi attivi per complessivi euro
745.220.166,28 di cui euro 329.492.929,14 nella dichiarazione relativa all’anno
di imposta 2007 ed euro 415.727.237,14 nella dichiarazione relativa all’anno di
imposta 2008.

2. L’assunto accusatorio suddetto, incentrato sulla configurabilità del reato di
dichiarazione fraudolenta ex art. 3 (risulta dalla sentenza impugnata che invece i
consulenti tecnici del P.M., senza evidenziare alcun falso, si erano limitati a
qualificare l’operazione come volta a conseguire un vantaggio tributario indebito
in base alla norma antielusiva di cui all’art. 37 bis del d.p.r. n. 600 del 1973),
non è stato infatti condiviso dal Tribunale.
La sentenza, dopo avere precisato che l’operazione effettuata, di carattere
standard nella prassi degli operatori finanziari, aveva comportato, sia per il 2007
che per il 2008, un rendimento nettamente superiore agli investimenti alternativi
e aveva avuto effettiva esecuzione, ha escluso anzitutto la sussistenza di alcun
falso contabile posto che nelle scritture i proventi erano stati correttamente
qualificati come interessi, solo nella dichiarazione venendo poi indicati quali
dividendi. Ha escluso anche la utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l’accertamento della falsità posto che la costituzione di una società ad
hoc lussemburghese non poteva da sola qualificare come fraudolenta l’intera
operazione tanto più essendo stati utilizzati contratti

standard normalmente

utilizzati dagli operatori. Inoltre ha esposto come le dichiarazioni relative agli
anni 2007 e 2008 non indicassero elementi attivi inferiori a quelli effettivi né
elementi passivi fittizi essendosi limitate a qualificare appunto come dividendi e
non come interessi ciò che risultava dalle scritture contabili. Quanto alla pretesa
assenza di valide ragioni economiche la sentenza ha contrapposto l’indubbio

3

con due contratti accessori miranti a neutralizzare i rischi connessi con

valore dell’investimento superiore a quelli alternativi prospettabili anche
indipendentemente dai connessi vantaggi fiscali.
La sentenza ha poi da ultimo analizzato la possibilità di giungere ad inquadrare la
fattispecie in esame nella previsione di cui all’art. 4 del d.lgs. cit. escludendola
tuttavia sulla base delle corrette contabilizzazione e dichiarazione dell’operazione

3. Con un unico sostanziale motivo il P.M. ricorrente lamenta inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 3 e 4 del d. Igs. n. 74 del 2000 e 425 c.p.p. in
relazione all’esorbitanza della sentenza rispetto ai limiti di valutazione prefissati
dalla norma processuale e correlati non al giudizio in ordine all’innocenza
dell’imputato ma alla inutilità del dibattimento anche a fronte di elementi di
prova contraddittori od insufficienti. La non consentita valutazione piena
emergerebbe proprio dalla verifica che la sentenza ha inteso fare della
configurabilità in termini penalmente illeciti dell’operazione finanziaria. Vi
sarebbe stata poi una ingiustificata adesione alle valutazioni dei consulenti della
difesa (circa la natura di operazione

standard dei contratti stipulati o il

rendimento pre tax dell’operazione) a discapito di quelle dei consulenti del P.M.
in senso contrario, ciò che a maggior ragione avrebbe imposto il vaglio del
dibattimento. E sempre la necessità di tale vaglio emergerebbe dalle stesse
affermazioni della sentenza circa la opinabilità delle conclusioni dei consulenti del
P.M. in ordine alla ravvisabilità del falso contabile e circa la presenza di un mero
indizio nella costituzione ad hoc di società lussemburghese.

4. Con memoria in data 11/02/2016 i difensori di Braccioni Patrizio, Cesario
Claudio, D’Agostino Augusto Giovanni, De Marchis Ranieri, Gerundino Nicola,
Maggioni Orietta, Martuccelli Angelo Eugenio,

Mecarelli Andrea, Menetto

Marcello, Ogliengo Vittorio, Panni Mauro Agostino, Piccini Gabriele, Porcaro Attilio
Antonio, Porro Stefano, Profumo Alessandro, Tuzzi Luciano e Vangelisti Maurizio
hanno evidenziato l’inammissibilità del ricorso, volto a suggerire una valutazione
delle prove difforme rispetto a quella operata dal G.u.p.; a giustificazione poi
della corretta metodologia utilizzata dal giudice nel rispetto dei limiti cognitivi
assegnatigli e dunque della superfluità di ogni sviluppo dibattimentale,
richiamano la circostanza della rilevata inesistenza di alcun falso contabile da
parte della stessa consulenza del P.M. e della corretta qualificazione nella
contabilità dei proventi come interessi; già solo per questo fatto risolutivo ogni
accertamento dibattimentale non avrebbe potuto essere dunque operato. Né il
ricorso ha in alcun modo argomentato rispetto al carattere di effettiva
4

economica.

fraudolenza della costituzione societaria approntata o contrastato la motivazione
in ordine al terzo elemento del reato, ovvero la mancata indicazione di elementi
attivi inferiori a quelli effettivi. Infine il giudice, andando oltre il dovuto, ha anche
verificato, proprio ai fini dell’esclusione di possibili soluzioni alternative, la
impraticabilità della riqualificazione della fattispecie nella figura dell’art.4. E del
resto la stessa essenza d’accusa espressa dalla qualificazione dei proventi

ricorrente ad un ambito di elusione fiscale inopponibile all’amministrazione
finanziaria ma non costituente fatto penalmente rilevante come confermato dalla
novella previsione, introdotta all’interno della legge n. 212 del 2000, dal d.lgs. n.
128 del 2015, dell’art. 10 bis.

5. Hanno presentato memoria anche i difensori di Rupak Chandra, Filippi Stefano
e Mariotti Maria Celeste.
Dopo avere riepilogato l’essenza dell’addebito loro mosso in imputazione,
richiamato i contributi tecnici presenti agli atti (le consulenze del P.M. e delle
parti) e ricordata la ragione di censura essenziale invocata dal P.M. ricorrente
(ovvero il travalicamento dei limiti assegnati per legge al G.u.p. nel momento di
valutazione conclusiva degli elementi probatori agli atti), la memoria individua gli
elementi strutturali della sentenza di non luogo a procedere, indicando, quanto
all’oggetto del giudizio, la sua coincidenza con l’oggetto del giudizio
dibattimentale, quanto alla regola del giudizio, la prognosi probabilistica che le
indicazioni prospettiche dell’accusa siano non idonee a sovvertire lo scenario
assolutorio, e quanto alla natura della sentenza, conseguente alla finalità
dell’udienza preliminare, il fine delibativo sull’utilità della fase istruttoria. Alla
luce di tali parametri conclude dunque per il pieno rispetto da parte della
sentenza di specie dei limiti di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6.

Come desumibile dall’insistito accento posto su tale punto dal gravame in

oggetto, le doglianze del ricorrente si incentrano fondamentalmente sull’assunto
secondo cui il G.u.p., travalicando i limiti che il “sistema processuale” assegna
alla udienza preliminare, in luogo di arrestare la propria valutazione alla prognosi
di utilità o meno dello sviluppo del giudizio nella fase dibattimentale, avrebbe
finito per assumere una funzione impropria, “surrogatoria” appunto di quella
fisiologicamente propria del dibattimento. E tale indebita sovrapposizione

dell’investimento come dividendi invece che come interessi riporta secondo il

sarebbe rivelata, sempre secondo il ricorrente, dal fatto che il giudice si sarebbe
assunto il compito di valutare “se l’operazione finanziaria realizzata dalle società
del gruppo Unicredit integri gli estremi di un illecito penalmente rilevante”
(pagg.5-6 del ricorso) ovvero, ancora, “di valutare …il materiale probatorio in
funzione della sussistenza del reato e non della possibilità che le fonti di prova si
prestino a soluzioni alternative o aperte o, comunque, ad essere diversamente

7. Deve allora anzitutto ricordarsi, qui riassumendosi gli esiti del percorso
esegetico che questa Corte ha svolto con riguardo al disposto dell’art. 425 c.p.p.,
che le Sezioni Unite, in coerenza con le linee tracciate del resto dalla Corte
costituzionale, hanno affermato che, nonostante l’obiettivo arricchimento,
qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice rispetto
all’epilogo decisionale, apportato dalla legge n. 479 del 1999 all’art. 425 c.p.p.,
non per questo è attribuito allo stesso “il potere di giudicare in termini di
anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la
valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità
degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma
dell’art. 425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una
delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale
completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa,
l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda”; in altri
termini, il radicale incremento dei poteri di cognizione e di decisione del giudice
dell’udienza preliminare, pur legittimando quest’ultimo a muoversi
implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di colpevolezza
dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di
giudizio per la valutazione prognostica (Sez. U., n. 39915 del 30 ottobre 2002,
Vottari, Rv. 222602, nonché, successivamente, Sez. U., n. 25695 del
29/05/2008, D’Eramo, non massimata sul punto).
Anche successivamente, si è quindi ribadito che il giudice dell’udienza
preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non
quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una
valutazione di innocenza dell’imputato, bensì in tutti quei casi nel quali non
esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa pervenire ad una
diversa soluzione (Sez. 4, n. 43843 del 06/10/2009, P.C. in proc. Pontessilli e
altri, Rv. 245464; Sez. 5, n. 22864 del 1505/2009, P.G. in proc. Giacomin, Rv.
244202). E tale ricostruzione non è smentita neppure dal testo del nuovo terzo
comma dell’art. 425 c.p.p. secondo cui il giudice “pronuncia sentenza di non
6

rivalutate” (pag.9 del ricorso).

luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti,
contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” posto che
una tale disposizione conferma, anzi, che il parametro di giudizio non è
l’innocenza ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio : l’insufficienza e la
contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non
poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio (da ultimo, tra

Sez. 6, n. 33921 del 17/07/2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127). In altri
termini, attesa la funzione di “filtro” svolta dall’udienza preliminare, ai fini della
pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il G.u.p. deve valutare, sotto
il solo profilo processuale, se gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti,
contraddittori o comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio, esprimendo
un giudizio prognostico circa l’inutilità del dibattimento, senza poter effettuare
una complessa ed approfondita disamina del merito (Sez.2, n. 46145 del
05/11/2015, p.o. in proc. Caputo e altri, Rv. 265246). In conclusione, a meno
che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere
l’accusa in giudizio, per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la
manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a
procedere non è consentita quando l’insufficienza o la contraddittorietà degli
elementi acquisiti siano superabili in dibattimento, potendosi affermare, in
aderenza anche a quanto affermato in dottrina, che “sfuggono all’epilogo
risolutivo i casi nei quali, pur rilevando incertezze, la parziale consistenza del
panorama d’accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento”.

8. Fermi, dunque, tali approdi, che qui vanno ribaditi, va tuttavia allo stesso
tempo evidenziato che gli stessi non significano, evidentemente, che al giudice
dell’udienza preliminare sia inibito, come parrebbe invece preteso dal P.M.
ricorrente, valutare, con pienezza di cognizione, la natura, pur nella anticipata
rappresentazione degli scenari che possono aprirsi nel dibattimento e di cui deve
tenere conto, di illiceità penale del fatto attribuito al suo giudizio, appartenendo
anzi necessariamente un tale compito alle prerogative primarie di un giudice (e
tale è, certamente, anche colui che sia chiamato a giudicare della richiesta di
rinvio a giudizio) cui, per espresso dettato dell’art. 425, comma 1, c.p.p. è, del
resto, indefettibilmente conferita, senza limitazioni, la potestà di pronunciare
sentenza di non luogo a procedere laddove, tra le altre possibili evenienze, il
fatto non sussista, l’imputato non lo abbia commesso o il fatto non costituisca
reato.

7

le altre, Sez. 6, n. 10849 del 12/01/2012, P.M. in proc. Petramala, Rv. 252280;

E, del resto, è proprio l’espresso riferimento che l’art. 425, comma 3, cit. opera
alla insufficienza, contraddittorietà o comunque inidoneità degli elementi
acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio a rendere non solo possibile ma, anzi,
doveroso, un apprezzamento funditus del compendio probatorio, sicché, si è
anche detto, deve escludersi che “sul piano logico-sistematico…, a fronte di
un’obiettiva incertezza del materiale probatorio, il contraddittorio dibattimentale,
per sé, costituisca l’approdo obbligato” (Sez. 6, n. n. 17659 del 01/04/2015, P.G.

Se così non fosse, del resto, si priverebbe del tutto illogicamente il G.u.p.,
addirittura in contrasto con principi di carattere costituzionale (si pensi tra gli
altri anche solo all’esigenza, racchiusa nell’art. 111, comma 2, Cost., di non
prolungare oltre un iter processuale che non potrebbe comunque condurre ad
alcun diverso esito), della possibilità di apprezzare fatti che, per la loro incidenza
risolutiva, diverrebbero di per se stessi ostativi di ogni possibile valutazione in
ordine alla utilità del dibattimento al contempo delegando a quest’ultimo stadio
processuale una funzione di ineludibile completamento dell’udienza preliminare
che finirebbe però per rendere priva di alcuna utilità pratica detta fase; e,
dunque, si priverebbe, in altri termini, il G.u.p. del potere di valutare se proprio il
giudizio prognostico in ordine allo sviluppo dibattimentale non diventi in realtà
del tutto superfluo una volta che si riconosca già in radice, in particolare per quel
che rileva anche nella specie, la insussistenza del fatto o la sua non attribuibilità
all’imputato.

9. Ma, se così è, appare del tutto corretto l’inquadramento prospettico effettuato
dalla sentenza impugnata laddove la non sovvertibile, e neppure, a ben vedere,
come oltre si dirà, specificamente contestata dal ricorrente, acclarata
insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 3 cit., ha
coerentemente condotto ad una declaratoria di non luogo a procedere.
Il giudice ha infatti evidenziato, senza aporie logiche e ricostruttive, la
mancanza, sulla base di parametri valutativi congrui, degli elementi costitutivi
del reato contestato (nella formulazione della norma antecedente alle modifiche
p

introdotte dal d. Igs. n. 158 det,2015) passati analiticamente in rassegna pur
nella sufficienza della esclusione anche di uno solo di essi ad imporre la soluzione
di non luogo a procedere; ciò che deve dirsi, anzitutto, con riguardo : 1) alla
falsa rappresentazione nelle scritture contabili, significativamente esclusa dalla
stessa consulenza del P.M., e non invocata neppure in ricorso (essendo stati,
infatti, nei libri contabili, i proventi dell’operazione correttamente qualificati come
interessi, ed essendosi attribuito invece ad essi solo in dichiarazione la
8

in proc. Bellissimo e altro, Rv. 263256).

qualificazione di dividendi), quale elemento la cui mancanza, attesa la sua
pregiudizialità “strutturale”, già di per sé basterebbe a rendere del tutto legittima
la valutazione di insussistenza del fatto; 2) alla realizzazione, in ogni caso, di
mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento della falsa
rappresentazione, non individuata dal giudice, con valutazione non
manifestamente illogica, nella mera costituzione apposita di società di diritto

di elementi passivi fittizi, esclusa dal giudice alla luce del fatto che tutti i proventi
indicati nelle dichiarazioni, indipendentemente dalla loro qualificazione,
figuravano nel conto economico.

10. Sicché, in definitiva, la motivazione della sentenza con cui si è
espressamente affermato che, incontestati i fatti storici, nulla il dibattimento
avrebbe potuto aggiungere in punto di fatto sicché gli elementi raccolti non
sarebbero stati idonei a sostenere l’accusa in giudizio, stante la loro radicale
incongruenza con gli elementi tipici del reato contestato, appare congruente con
i caratteri dell’udienza preliminare come sopra individuati.
Ciò tanto più laddove, come già detto sopra, il ricorso del P.M., già di per sé
erroneamente impostato nel senso di pretendere nella sostanza dal G.u.p. un
onere di abdicare al compito di verificare la fisionomia della illiceità penale del
fatto da giudicare, non ha investito puntualmente il giudizio sulla mancanza degli
elementi del fatto-reato (essendo anzi la valutazione sul primo, e pregiudiziale,
di detti elementi rimasta incontestata atteso che lo stesso ricorso persiste nel
limitarsi ad invocare una “scorretta appostazione a fini fiscali dei proventi
dell’operazione”) ma, o ha esposto, per un verso, censure che, in realtà, per il
tramite del richiamo ai limiti cognitivi della udienza “filtro”, attingono l’aspetto di
mero apprezzamento probatorio, o non ha spiegato perché, sugli specifici punti
esaminati dal giudice, gli elementi probatori rappresentati dalle consulenze
svolte, da “copiosa documentazione contabile ed extracontabile” e da “prove
dichiarative raccolte nel corso delle indagini”, avrebbero potuto ragionevolmente
condurre, nella valutazione del “prisma” dibattimentale, ad esiti diversi; sicché,
in definitiva, il ricorso ripiega nella prospettiva, non corretta (e
significativamente rivelata dal passaggio con cui si afferma che il compendio
probatorio avrebbe dovuto essere valutato alla luce “della possibilità che le fonti
di prova si prestino a soluzioni alternative o aperte o, comunque, ad essere
diversamente rivalutate”), di un’ astratta possibilità di una decisione diversa a
parità di quadro probatorio (cfr. Sez. 6, n. 17659 del 01/04/2015, P.G. in proc.
Bellissimo e altro, Rv. 263256, secondo cui è inammissibile il ricorso per
9

lussemburghese; 3) alla indicazione di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o

cassazione, proposto dal P.M. avverso sentenza di non luogo a procedere, se
l’atto di impugnazione, in una situazione di incertezza probatoria, si limiti a
contestare il merito dell’apprezzamento del G.u.p., senza dedurre specificamente
gli ulteriori elementi di prova che avrebbero potuto essere acquisiti al
dibattimento, né i punti del quadro probatorio suscettibili di integrazione

11. Vale la pena aggiungere, poi, che l’ulteriore prospettiva in nuce enucleabile
dal ricorso laddove lo stesso appare evocare, attraverso il riferimento alle
conclusioni dei consulenti del P.M., il connotato essenziale dell’operazione posta
in essere che troverebbe senso, secondo tale prospettiva, unicamente nel
conseguimento di un rilevante vantaggio fiscale, un profilo (quello, cioè,
dell’abuso del diritto) che, da un lato, appare, successivamente alla introduzione,
da parte del d. Igs. n. 128 del 2015, nella I. n. 212 del 2000, della previsione
dell’art. 10 bis comma 13, tale da non potere espressamente “dare luogo a fatti
punibili ai sensi delle leggi penali tributarie” e, dall’altro, anche a volere
abbracciare impostazioni dottrinali di segno apparentemente diverso, sarebbe
comunque, per la sua caratterizzazione in termini di assenza di componenti
decettive o fraudolente (vedi Sez. 3, n.40272 del 01/10/2015, Mocali, Rv.
264949), giuridicamente non compatibile con il reato contestato e più
propriamente rapportabile, a tutto concedere, ad ipotesi di reato (quella di
dichiarazione infedele ex art. 4 d. Igs. cit.) mai contestata nella specie; in ogni
caso anche tale ipotesi è stata sottoposta, per effetto del d. Igs. n. 158 del 2015,
entrato in vigore successivamente alla sentenza impugnata, ad una vistosa
operazione di rimodellazione; non può anzi sottacersi che tale rimodellazione,
che ha dato luogo ad una fattispecie i cui confini appaiono certamente più ridotti
rispetto alla previgente formulazione, con i conseguenti riflessi sul piano della
retroattività, si è caratterizzata anche per la irrilevanza, ai fini della
configurabilità di detta fattispecie, proprio della “non corretta classificazione e
della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai
quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio
ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali”, in tale situazione
apparendo rientrare anche la fattispecie in esame, la cui illiceità è stata
rinvenuta proprio nella ritenuta non corretta qualificazione dei proventi
dell’operazione.

12. Consegue dunque a quanto sopra l’inammissibilità del ricorso del Pubblico
Ministero.
10

attraverso il contraddittorio dibattimentale).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.M.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016

,

Il Presidente

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