Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28236 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28236 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

Data Udienza: 26/04/2013

DEPOSITATA IN CANCELLERIA
SENTENZA
IL

sul ricorso proposto da:

Glovine Antonio, nato a Fuscaldo il 18.6.57
imputato artt. 44/c, 93, 94, 95 D.P.R. 380/01 e 181 d.lgs 42/04

28 rz ti 2013

ILIERE
r tatti

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 6.12.12
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri, che ha chiesto l’annullamento
con rinvio;

RITENUTO IN FATTO
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Il ricorrente è accusato di avere
realizzato dei lavori edilizi (per l’esattezza, un muro di contenimento), senza la prescritta
autorizzazione paesaggistica e facendo uso di cemento armato senza osservare le prescrizioni
connesse alla utilizzazione di detto materiale.
La sentenza di condanna del Tribunale è stata confermata dalla Corte d’appello.
2. Motivi del ricorso
Avverso tale decisione, il Giovine ha proposto ricorso, tramite
difensore deducendo violazione di legge e vizio fl motivazione.
In particolare, le censure del ricorrente si appuntano sul fatto che la Corte d’appello,
adottando una motivazione per relationem si è, sostanzialmente, sottratta all’obbligo
motivazionale che le incombeva a fronte delle obiezioni mosse dalla difesa nei motivi di
appello.

della Polizia municipale, che ha dichiarato che Il muro è risultato lungo 11,60 mt ed alto circa 1,30);
3) non è vero che il muro sia stato realizzato con materiali diversi (inizialmente di pietrisco
e, quindi, di una malta cementizia) perché, invece, il Giovine si è limitato a ripristinare il muro di

contenimento, con le stesse pietre ma solo usando una malta cementizia necessaria per la
stabilità.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è inammissibile perché ripropone le medesime
censure già svolte in appello che vi ha replicato adeguatamente e comunque, perché,
trattandosi di questioni di fatto, esse non sono più riproponibili dinanzi a questa S.C..
In primo luogo, deve osservarsi che la lunga critica che il ricorrente muove alla tecnica
di richiamo adottata dalla Corte rispetto alla prima decisione non è giustificata perché non
incorre nei vizi pure rilevabili in taluni casi del genere nei quali, però, il giudice di secondo
grado si limiti a ribadire puramente e semplicemente la decisione precedente.
La motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerarsi, infatti,
legittima quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti
congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b)
fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del
provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento
sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile (sez. IV, 14,11,07, Rv, 238674).
Tali requisiti sono tutti perfettamente riconoscibili nella motivazione qui impugnata.
Lungi dal confermare quanto sostenuto nel gravame, infatti, risulta che la Corte
d’appello ha avuto perfettamente presente la tesi difensiva che, anzi (v. f.i) viene richiamata e
riassunta nei suoi punti essenziali.
Ribattono, però, i giudici dell’appello che le argomentazioni dell’imputato sbiadiscono di
fronte alla constatazione degli accertamenti di fatto operati dagli inquirenti dai quali risulta che
«il Giovine aveva proceduto alla realizzazione di un muro di contenimento in malta cementizia,
delle dimensioni indicate nel capo di imputazione, al posto di un vecchio muro in pietrame
secco». Il tutto è avvenuto – si dice – utilizzando malta cementizia, in zona sismica e
sottoposta a vincolo ambientate.
Orbene, dinanzi a siffatte e chiare considerazioni – che testimoniano, da parte della
Corte, un esame dei dati fattuali ed una loro rivalutazione che coincide con quella del primi
giudice (ma che non viene assunta in quei termini solo per tale motivo), l’odierno ricorrente obietta che i
giudici non hanno fornito risposte alle sue deduzioni perché, al contrario, il muro era già
parzialmente franato, non è stato usato cemento armato ma solo una malga cementizia per
rafforzare e che, infine, le misure non sarebbero state alterate.
Non vi è chi non veda come, siffatti argomenti non facciano altro che riproporre le
medesime ragioni alle quali, come visto, la Corte ha replicato già obiettando che gli
accertamenti fattuali erano di segno opposto e non consentivano di minimizzare i fatti nei
termini auspicati.
Né è a dire che il ricorrente adduca, in ipotesi, la mancata considerazione di elementi
decisivi che possano condurre ad una decisione contraria ovvero che egli alleghi qualche atto
2

La realtà dei fatti, secondo il ricorrente, è diversa da quella affermata in sentenza
perché:
1) non è vero che il Giovine abbia provveduto alla demolizione del muro che, invece,
era già parzialmente franato a causa delle intemperie. La cosa risulta dalla dichiarazione fatta
dallo stesso Giovine nella comunicazione di inizio lavori da lui fatta al Comune e nelle
dichiarazioni rilasciate ex art. 415 bis c.p.p. e «tale circostanza non è stata assolutamente
smentita dal compendio probatorio»;
2) non è vero che il nuovo muro eretto dall’imputato abbia dimensioni diverse da quelle
originarie perché, invece, nella citata dichiarazione di inizio lavori, il Giovine aveva asserito che
il muro era di circa 12 metri di lunghezza e di 2 metri di altezza media così come lo è il nuovo
muro (v. verbale di accertamento n. 2/08 dei vigili urbani di Fuscaldo e dep. teste Santoro Garibaldi, comandante

da cui avere prova di una realtà fattuale diversa. Gli stessi atti che egli cita (dichiarazioni ex art.
415 bis, comunicazione di inizio lavori ecc.) sono semplicemente evocati ignorando, però, che, da
parte di questa S.C., «l’accesso agli atti del processo, non è indiscriminato, dovendo essere
veicolato in modo “specifico” dall’atto di impugnazione (Sez. VI, 15.3.06, Casula, Rv, 233711; Sez. VI, 14.6.06,
«a carico del ricorrente un peculiare onere di inequivoca
Policella, Rv. 234914) ditalché esiste
individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle
forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel
ricorso, allegazione in copia, precisa indicazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice ecc.)». E ciò, in quanto
neanche la novella legislativa sull’art. 606 c.p.p. ha alterato la natura del sindacato della Corte
di Cassazione che è, e resta, esclusivamente di legittimità (sez. VI, 20.3.06, Vecchio,Rv. 233621; Sez. II,
5.5.06, Capri, Rv. 233775; Sez. V, 22.3.06,Cugliari, Rv. 2337780; Sez. V, 22.3.06, Blanclino, Rv. 234095; Sez. V, 3.4.06, Leotta, Rv.

A tale stregua, è palese la manifesta inammissibilità del presente ricorso nel momento
in cui assume la possibilità di “leggere” diversamente gli atti processuali ovvero sviluppa tesi
(peraltro meramente asserite) di segno opposto a quella sostenuta nelle sentenze di merito, sulla
natura del materiale utilizzato per i lavori.
Né risulta fondato l’ultimo argomento del ricorrente, secondo cui la condotta contestata
al capo a) darebbe luogo solo ad un illecito amministrativo (come da sentenza n. 17954/08).
Ed infatti, la stessa decisione richiamata dal ricorrente (sez. III, 26.2.08, Termini, Rv. 240235)
smentisce l’assunto visto che in essa si ribadisce la necessità del N.O. paesaggistico per quelle
opere di ristrutturazione edilizia che siano per così dire più impegnative sì da necessitare
della c.d. super DIA.
Orbene, come già evidenziato, nella specie, sul piano delle emergenze di fatto, è
risultato che il muro in questione ha, appunto, rappresentato, non, «una mera ristrutturazione
di quella preesistente, ma, un vero e proprio intervento di manutenzione straordinaria, che ha
comportato per le diverse dimensioni del muro e per l’uso di materiali diversi da quelli
originari, un’alterazione dello stato dei luoghi».
A tale stregua – si è soggiunto giustamente da parte della Corte – i lavori «sia se eseguibili
mediante semplice DIA, ai sensi dell’art. 22, 10 e 2° comma, D.P.R. 380/01, sia se eseguibili in
base alla super DIA, prevista dal comma 3 della stessa norma, se realizzati in zona sottoposta
a vincolo ambientale, sono soggetti a preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da
parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo».
In tal modo, come si vede – contrariamente a quanto sostenutosi dal ricorrente – la
Corte ha dato replica anche su questo aspetto rendendo, quindi, del tutto ingiustificato il
presente gravame.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000
Così deciso il 26 aprile 2013
Il Presidente

233381; Sez. II, 14.6.06, Brescia, Rv. 234930).

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