Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28235 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28235 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

sul ricorso proposto da:
Giampà Antonio, nato a Lamezia Terme il 7.2.50
imputato artt. 44, 71, 72, 94 e 95 D.P.R. 380/01
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 15.11.12
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri, che ha chiesto una declaratoria
di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – La sentenza della Corte d’appello
qui impugnata ha confermato la condanna inflitta al ricorrente per la violazione dell’art. 44/b e
quella degli artt. 64, 65, 71. 72, 93, 94 e 95 D.P.R. 380/01 avendo egli realizzato una
sopraelevazione del terzo piano di un fabbricato, senza permesso, in zona sismica e senza aver
rispettato la normativa in tema di cemento armato.
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite
difensore, deducendo che la decisione impugnata va censurata per avere confermato un

Data Udienza: 26/04/2013

giudizio di colpevolezza sulla base di elementi che non permettono di affermare la
responsabilità del Giampà oltre ogni ragionevole dubbio.
Come già evidenziato ai giudici di merito, infatti, la proprietà dell’immobile era della
madre dell’imputato (cui peraltro è stata anche intestata la sanatoria). Il Giampà non è l’unico erede e
l’accusa nei suoi confronti si fonda solo sul fatto di essere stato rintracciato sul luogo e
nominato custode.
Si censura, altresì, che la Corte abbia disatteso la doglianza relativa al diniego di
acquisizione istruttoria ex art. 507 c.p.p. formulata in primo grado dal difensore del Giampà al
fine di verificare se fosse vera l’esistenza – riferita in udienza da un teste – di un attestato con
cui Giampà dichiara di essere il proprietario dell’immobile

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

Le argomentazioni difensive sono già state portate all’attenzione delle Corte che vi ha
risposto in modo specifico ricordando come fosse stato proprio l’imputato ad «accompagnare i
verbalizzanti nel corso del sopralluogo e ad accettare pacificamente, all’esito, il munus di
custode».
In ogni caso, si fa notare come la indiscussa qualità di coerede della deceduta Morello,
da parte del ricorrente, può, al massimo, prospettare la eventualità della esistenza di altri
responsabili concorrenti ma non certo escludere quella del Giampà.
Infine, si rammenta che, oltretutto, l’immobile era «completamente» abusivo, quindi,
ogni accertamento in ordine alla proprietà dei piani sottostanti sarebbe del tutto ultroneo.
Non vi è chi non veda, quindi come la doglianza oggetto del presente ricorso sia del
tutto ingiustificata, sia, perché già esaminata e ben motivata dai giudici di merito, sia, perché,
a ben vedere, il ricorso tenta di introdurre dinanzi a questa S.C. motivi vietati perché
consistenti in valutazioni di fatto dalle quali inferire conclusioni diverse e più favorevoli
all’imputato .
Si tratta di obiettivo erroneo essendo stato fin troppo spesso precisato, in questa sede
di legittimità, che il vaglio della S.C. è diretto solo a verificare che i giudici di merito abbiano
spiegato il percorso logico attraverso il quale sono pervenuti alla loro decisione, si siano basati
su dati processuali esistenti, senza trascurarne di rilevanti, e li abbiano commentati in modo
non manifestamente illogico.
Non vi è dubbio che, una volta che tale verifica dia – come è il caso in esame – risultati
positivi, il provvedimento di merito diviene inoppugnabile.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C
Così deciso il 26 aprile 2013

Il Co

tensore

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

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