Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28235 del 09/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28235 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Raimondo Giovanni, nato a Taranto il 25/07/1968,

avverso l’ordinanza del 09/07/2014 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore
generale Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato
dall’Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Giovanni Raimondo ricorre, per il tramite dei difensori di fiducia, per
l’annullamento dell’ordinanza del 09/07/2014 della Corte di appello di Lecce che,
dicendo in sede rescissoria, ha definitivamente respinto la domanda da lui
proposta per la riparazione della detenzione sofferta dall’1/10/1992 al
01/03/1993 e dal 13/04/1993 all’11/05/1993 a causa della applicazione (e del

Data Udienza: 09/03/2016

..

ripristino) della misura coercitiva personale della custodia cautelare in carcere
perché gravemente indiziato del delitto di tentata estorsione consumata ai danni
del sindaco del Comune di Monteparano, sig. Lillo Leonardo, reato per il quale è
stato irrevocabilmente assolto «per non aver commesso il fatto» con
sentenza del 26/06/2008 di quella stessa Corte di appello.
1.1.Questa Corte, in sede rescindente, aveva annullato la precedente
ordinanza di rigetto (adottata il 26/02/2012 dalla Sezione distaccata di Taranto)
ricordando, in punto di fatto, che «il Raimondo, consapevole di richieste

contatto con gli autori delle richieste delittuose, assunse volontariamente il ruolo
di intermediario e in particolare quello di ricevere una busta contenente denaro,
oggetto dell’estorsione, per consegnarlo agli autori, rimasti ignoti, delle minacce
(…) “al momento della consegna da parte del Lillo, il Raimondo si avvide della
presenza della polizia di Stato nel luogo ove si era dato appuntamento con il Lillo
e si diede alla fuga un attimo prima che questi gli consegnasse la busta con il
denaro”. Si evidenzia ancora nell’ordinanza che nel luogo dell’appuntamento “vi
erano, in un’automobile, anche i destinatari di quel denaro … con i quali, pure, il
Raimondo scambiò, prima, qualche parola sotto lo sguardo degli organi di p.g.
Appostati e non visti”». Aveva quindi aggiunto che «il giudice della
cognizione penale aveva assolto il prevenuto ritenendo non esservi prova certa
che egli avesse agito anche nell’interesse degli autori della richiesta estorsiva e
non nell’esclusivo interesse della vittima», laddove il giudice della riparazione
aveva valorizzato «in senso ostativo alla avanzava richiesta di indennizzo, il
fatto che con la sua condotta il Raimondo [aveva] comunque volontariamente
concorso al tentativo di estorsione dando così causa al suo arresto, con colpa
grave (…) anche la condotta tenuta dal prevenuto nel corso dell’udienza di
convalida dell’arresto e in particolare l’affermazione in quella sede resa di non
conoscere il contenuto della busta, giudicato puerile essendo stato accertato che
il Raimondo fu in contatto con gli autori delle richieste estorsive>>.
1.2.A spiegazione dell’annullamento, questa Corte aveva evidenziato «che
il giudice della riparazione, piuttosto che valorizzare aspetti della vicenda e
segnatamente della condotta dell’imputato idonei ad ingenerare, anche solo per
trascuratezza o imprudenza, l’apparenza di un quadro indiziario giustificativo
della detenzione, [aveva] motivato il proprio convincimento negativo circa la
sussistenza dei presupposti del reclamato indennizzo esclusivamente su una
rivalutazione del ruolo pacificamente rivestito dal Raimondo nella vicenda
condotta secondo parametri solo assertivamente diversi da quelli propri del
giudizio penale, ma in realtà ad essi ancora pienamente sovrapponibili. Non
diversamente infatti sembra potersi leggere l’affermazione – centrale nella scarna
motivazione – secondo cui “… con la sua condotta, anche a ritenerlo innocente

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estorsive avanzate da terzi nei confronti del Lillo, richiesto da quest’ultimo e in

sul piano penale, il Raimondo, volontariamente, concorse al tentativo di
estorsione e, quindi, con colpa grave, diede causa al suo arresto”. Si trae del
resto da altre parti dell’ordinanza un nemmeno tanto velato dissenso rispetto alla
valutazione in punto di diritto espressa dal giudice della cognizione penale
secondo cui l’intermediario che agisca nell’esclusivo interesse della vittima
dell’estorsione non risponde anch’egli di tale reato (di contro osservando la corte
d’appello nel provvedimento impugnato che secondo la giurisprudenza
prevalente dovrebbe invece risponderne poiché comunque “pone in essere

concludeva questa Corte

che vera e propria, nonché unica, ratio decidendi

dell’ordinanza impugnata [era] quella per cui colui che svolge il ruolo di
intermediario, ancorché nel solo interesse della vittima, di un reato di estorsione,
pur non concorrendo perciò solo nel reato medesimo, nondimeno compie
un’azione connotata da colpa grave e idonea come tale a determinare (e quindi
giustificare) la misura cautelare detentiva. Siffatto ragionamento però, in
assenza di alcun’altra specificazione circa l’esistenza di modalità o circostanze
della condotta, processuali o extraprocessuali, comunque idonee di per sè a
dimostrare per altri profili l’esistenza di una colpa grave causalmente efficiente
alla determinazione cautelare, si rivela non consentito al giudice della riparazione
(nella misura in cui sottende, come detto, una diversa valutazione del disvalore
penalistico della condotta) e comunque del tutto insufficiente a supportare la
decisione di rigetto. L’intermediazione posta in essere nell’esclusivo interesse
della vittima dell’estorsione oltre a doversi considerare penalmente irrilevante questo essendo un dato di fatto da considerarsi per acquisito nella presente sede
e insuscettibile di surrettizie rivisitazioni critiche da parte del giudice della
riparazione – si rivela anche a ben vedere condotta non valorizzabile come
motivo ostativo alla riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. in quanto di per sè (e
se come tale apprezzata anche al momento dell’ordinanza cautelare) non
univocamente espressiva di contegno colposo o imprudente ed inoltre inidonea a
comporre un quadro indiziario e a spiegare pertanto rilievo sinergico nella
determinazione della cautela detentiva».
1.3.Investita del nuovo giudizio, la Corte territoriale, a fondamento del
nuovo rigetto, ha evidenziato che:
a)il giorno del suo arresto in flagranza, il Raimondo non si limitò ad
incontrare il Lillo nel luogo in cui avrebbe dovuto essergli consegnata la busta,
ma in orario prossimo a quello concordato con la persona offesa si era incontrato
con altre persone chiaramente interessate alla vicenda, nel medesimo posto
raggiunto con una macchina diversa da quella successivamente utilizzata per
raggiungere il Sindaco;

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consapevolmente una condotta funzionale al realizzarsi dell’evento”). Ne deriva

b) i rapporti di conoscenza con gli autori della richiesta estorsiva erano stati
accertati anche nelle sentenze di merito, anche se la Corte di appello aveva
ritenuto questo elemento equivoco ai fini del riconoscimento della sua
responsabilità;
c) il Raimondo, alla vista dei militari (in servizio di appostamento) ed all’alt
intimatogli, si era dato alla fuga;
d) sia in sede di interrogatorio di garanzia, che in sede di giudizio, il
Raimondo non aveva mai chiarito la natura dei suoi rapporti con gli autori del

comportamento in occasione della consegna del denaro;
e) infatti, mentre nel corso di una conversazione intercettata ed intercorsa
con il Lillo, aveva affermato di non conoscere le persone dalle quali era stato
avvicinato, in sede di interrogatorio aveva sostenuto trattarsi di conoscenti;
f) aveva ricostruito i suoi movimenti prima dell’incontro con il Lillo in modo
diverso da quanto osservato dalla polizia giudiziaria, negando, in particolare, di
essere dapprima giunto con un auto diversa da quella utilizzata per vedersi con il
sindaco e di essersi incontrato con i suddetti conoscenti;
g) aveva giustificato la fuga perché aveva notato la presenza di una persona
che aveva una pistola in mano.
Tali dichiarazioni, definite gravemente lacunose, inverosimili ed ambigue,
integrano – a giudizio della Corte territoriale – un comportamento gravemente
colposo, idoneo ad escludere la riparazione per l’ingiusta detenzione.

2.Con unico, articolato motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e),
cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 314, cod. proc. pen., nonché la
mancanza o comunque l’illogicità della motivazione in ordine alla natura ostativa
al riconoscimento del diritto all’equa riparazione della condotta da lui tenuta nel
corso delle indagini, con riferimento, in particolare, ai suoi rapporti con gli autori
della richiesta estorsiva e all’inottemperanza all’ordine di fermarsi intimato dalle
Forze dell’Ordine. In questo modo, afferma, la Corte territoriale ha valorizzato, in
senso negativo, la stessa condotta ritenuta dal giudice di merito inidonea a
dimostrare la sua consapevole partecipazione all’estorsione; senza considerare aggiunge – che il giorno dopo il fatto egli si era spontaneamente consegnato
spiegando le ragioni per cui era fuggito in precedenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.11 ricorso è inammissibile perché tardivo.

fatto, avendo reso dichiarazioni ambigue, reticenti e mendaci in ordine al suo

4.Secondo il consolidato indirizzo di questa Suprema Corte, il termine per la
proposizione del ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza che decide sulla
domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione è, ai sensi dell’art. 585, comma
primo, lett. a), cod. proc. pen., di quindici giorni che decorrono dalla notifica
della predetta ordinanza conclusiva del procedimento, al quale, ancorché
concernente l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto
colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di procedura
penale (Sez. 3, n. 26370 del 25/03/2014, 1-ladfi, Rv. 259187; Sez. 3, n. 48484

257554).
Nel caso in esame risulta che la notifica dell’ordinanza è stata effettuata a
mani proprie del ricorrente il 19 novembre 2014 ed al suo difensore di fiducia il
giorno precedente.
Il ricorso per cassazione è stato depositato il 15 gennaio 2015, ben oltre il
termine di quindici giorni sopra indicato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.
Segue, altresì, la condanna alla rifusione delle spese in favore del Ministero
dell’Economia e delle Finanze liquidate in complessivi C 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, nonché alla rifusione in favore del Ministero dell’Economia e delle
Finanze delle spese del presente procedimento che liquida in complessivi euro
mille.
Così deciso il 09/03/2016

del 22/10/2003, Salvi, Rv. 228441; Sez. 4, n. 45409 del 16/10/2003, Pelella, Rv.

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