Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28232 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28232 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Amodio Massimiliano, nato ad Arona Il 29.6.73
imoutato art. 73 T.U. 309/90

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

IL

28 G i 11 2013
0.1ERE
IL C
tarli

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 21.6.11
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri, che ha chiesto una declaratoria
di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con sentenza resa all’esito di un
rito abbreviato, il ricorrente è stato giudicato responsabile della violazione dell’art. 73 T.U.
stup. per avere detenuto a fini di spaccio 0,90 gr circa di eroina ed avere effettivamente
ceduto ulteriori due dosi a tre persone (Rabatto Marco, Pesce Alessandro e Bono Roberto).
La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, ha respinto la doglianza secondo cui si
sarebbe trattato di un “uso di gruppo” ed ha confermato la prima condanna.
2. Motivi del ricorso difensore, deducendo:

Avverso tale decisione, l’Amodio ha proposto ricorso, tramite

1)
insufficienza e contraddittorietà della motivazionQ (art. 606 /ett e) c.p.p.)
osservando che lo svolgimento dei fatti è pacifico ma non lo è altrettanto che, quanto
commesso dall’Amodio, integri gli estremi di un reato.

Data Udienza: 26/04/2013

2) insgefAenzke contraddittorietà della motivazione (art. 606 lett e) c.p.p.) per la
parte in cui la Corte ha affermato che la somma di 230 C rinvenuta all’imputato era il provento
della cessione. In realtà, la difesa ha provato che il giorno dei fatti l’Amodio aveva effettuato
un prelievo al bancomat di 250 C che non poteva che essere avvenuto prima dell’acquisto della
droga essendo stato egli, in seguito, tratto in arresto. In ogni caso, si ignora quanto denaro
Amodio avesse in precedenza;
3) untruiglitt9riptà e manifesta illogicità della motivazione da ravvisare nel
verbale di convalida dell’arresto alla cui lettura il ricorrente rinvia.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è inammissibile perché in fatto e generico.
3.1. Tale declaratoria si impone con riguardo al primo motivo che – come
si risolve nella riproposizione della
medesima vicenda storica prospettata sotto una diversa angolazione più consona alle
aspettative dell’imputato.
Così facendo, tuttavia, il ricorrente mostra di equivocare il compito di controllo di questa
S.C. e, soprattutto, di non avere chiaro il concetto che la non condivisibilità di una decisione
non la rende per ciò solo illogica.
Conseguentemente, nella misura in cui questa S.C. ravvisi che le prove, sono state
considerate in modo esauriente e non manifestamente contrario alla logica, il provvedimento
esaminato diviene inoppugnabile ed, anzi, si finirebbe per travalicare i confini di pertinenza del
solo giudice di merito se si accedesse ad una diversa interpretazione (ancorché astrattamente
possibile) dei medesimi elementi.
Che il vaglio motivazionale, nella specie dia esito positivo lo si coglie agevolmente
osservando che i giudici di merito hanno spiegato come il loro convincimento di responsabilità
dell’imputato poggi su una accurata ricostruzione di quanto riferito dalla P.G. operante, sul
rilievo che l’invocato “uso di gruppo” è meramente asserito e, soprattutto, Ila opposta
constatazione che dati fattuali offrono, per certo, solo di essere al cospetto di un «convegno in
un punto remoto della piazza-posteggio di Finalborgo, uno scambio, una dazione di droga».
Ciò è, infatti, quanto osservato dai carabinieri appostati i quali hanno, dapprima, notato
la presenza di un’auto con a bordo 4 tossicodipendenti di loro conoscenza e, quindi, il
sopraggiungere dell’auto guidata dall’imputato «il quale parcheggia dinnazi al muso della
Polo».
Dalla prima vettura è sceso uno degli occupanti che è salito sull’auto dell’imputato ed
è stato osservato nitidamente uno scambio (peraltro, non contestato). La medesima persona vista
muoversi (identificata in Rubatto) è, poi, uscita dall’auto di Amodio e risalita sulla propria.
A quel punto, entrambe le auto si sono allontanate e, poco dopo, il controllo della
vettura occupata dalle quattro persone ha permesso di accertare la disponibilità di tre dosi di
eroina mentre, indosso all’imputato, ne sono state rinvenute, successivamente, altre due.
E’ ben vero che la prova dello spaccio deve essere fornita dall’accusa ma è anche vero
che, come si dice con un noto brocardo, “in claris non fit interpretatio».
agevolmente si intuisce leggendone la sintesi sopra riportata —

2

In particolare, si fa notare che la versione difensiva dell’imputato – di avere acquistato
la droga con la somma di denaro formata grazie al conferimento degli altri tre amici e di avere,
quindi, provveduto a mischiare la droga acquistata per fare delle dosi proporzionali ai rispettivi
contributi, cedendo, poi, a ciascun interessato la sua parte – non solo, è perfettamente
compatibile con le emergenze ma non è stata neppure smentita in alcun modo dalla Corte che
si è limitata a dire che la tesi dell’uso di gruppo è solo nelle parole dell’imputato. Si ricorda,
però, che la prova della destinazione allo spaccio deve essere fornita dall’accusa e ciò non è
avvenuto nella specie visto che non sono stati neppure trovati bilancini o altri strumenti
idonei a pesare lo stupefacente;

La scena fattuale fin qui riportata – anche alla luce della ricca esperienza offerta dall’attività
risulta assolutamente in linea con l’interpretazione di taglio accusatorio datane dal
P.M. e confermata dal Tribunale e dalla Corte d’appello anche con la ulteriore – e logica considerazione che l’idea dell’uso di gruppo è smentita, altresì, dal rilievo che, dopo la
cessione da parte dell’Amodio, la sua auto e quella degli acquirenti si erano allontanate in
direzioni diverse. Il tutto, senza tralasciare il dato gravemente indiziario del rinvenimento di
cellophane con fori circolari (che lascia chiaramente presumere l’utilizzo di tondini di plastica per confezionare

giudiziaria –

le dosi).

3.2. Per le medesime ragioni appena illustrate, risulta del tutto fuori luogo
introdurre il tema relativo alle disponibilità di denaro dell’imputato, ai suoi prelievi ed all’uso
fatto del denaro perché, oltre a muoversi sul piano delle pure ipotesi, in ogni caso, esse sono
state bene commentate dalla Corte con rilievi in fatto del tutto logici e convincenti sì da essere
qui non criticabili.
3.3. Per quel che attiene all’ultimo argomento difensivo, deve rammentarsi che
è principio ormai consolidato in giurisprudenza che i motivi di ricorso devono contenere
l’indicazione puntuale delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta.
Ciò comporta che, come è stato detto (sez. VI, 15.3.06, Casula, Rv. 233711; Sez. VI, 14.6.06, Policella, Rv.
234914) è posto «a carico del ricorrente, un peculiare onere di inequivoca individuazione g
specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in
volta più adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione nel ricorso,
allegazione in copia, precisa indicazione della collocazione dell’atto nel fascicolo del giudice
ecc.)».
Ed infatti, «l’accesso agli atti del processo, non è indiscriminato, dovendo essere
veicolato in modo “specifico” dall’atto di impugnazione, ma, soprattutto, deve rispettare
modalità che non mutino la natura del giudizio di Cassazione» (sez. VI, 20.3.06, Vecchio,Rv. 233621; Sez.
II, 5.5.06, Capri, Rv. 233775; Sez. V, 22.3.06,Cugliari, Rv. 2337780; Sez. V, 22.3.06, Blandino, Rv. 234095; Sez. V, 3.4.06, Leotta,
Rv. 233381; Sez. II, 14.6.06, Brescia, Rv. 234930).

A tale stregua, risulta evidente la insufficienza del mero richiamo operato dal ricorrente
ad un atto (il verbale di udienza di convalida di arresto) non prodotto in copia e richiamato senza
maggiori specificazioni.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 E
Così deciso il 26 aprile 2013
Il Presidente

In via del tutto teorica, la vicenda avrebbe potuto leggersi anche sotto l’angolazione
difensiva ma – a prescindere dal fatto che ne difetta qualsivoglia presupposto fattuale che ne alimenti il benché
minimo sospetto — è anche certo che, come anticipato, non è questa la sede per valutare letture
alternative dei dati di fatto.

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