Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28231 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28231 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Rajta Jun, nato in Albania il 5.7.70
imputato art. 73 T.U. 309/90
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 6.4.12

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

28 OW 2013
Crl`

L

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri, che ha chiesto una declaratoria
di inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Il ricorrente è stato condannato,
in primo grado, alla pena di 10 anni e 6 mesi di reclusione per la violazione dell’art. 73 T.U.
stup. essendo stato accusato, insieme ad altri soggetti, di avere ricevuto, commerciato e
importato in Italia un imprecisato quantitativo di cocaina, fatto venire dall’Olanda, con
l’aggravante del numero di persone e la recidiva nonché, (capo 6)) di avere, in concorso con
altri, illecitamente detenuto kg. 8,7 di cocaina occultata all’interno di un autoarticolato,
proveniente dall’Olanda, sequestrata il 26.4.07 al corriere De Luca Luigi.
La sentenza del Tribunale è stata confermata dalla Corte d’appello.

Data Udienza: 26/04/2013

1) violazione di legge (art. 606 lett c.p.p.) per essersi proceduto in contumacia
dell’imputato sebbene questi fosse reperibile in Albania. Si censura, a riguardo, che la Corte
abbia eluso l’analoga questione richiamando l’attenzione sul fatto che il Rajta risultava latitante
rispetto alla ordinanza cautelare emessa a suo carico.
Si ricorda che, comunque, la giurisprudenza di questa S.C., ai fini della validità delle
notificazioni all’imputato residente all’estero ha equiparato la condizione del latitante a quella
dell’irreperibile richiedendo l’espletamento di apposite ricerche (Cass. 16.2.10, n. 9443). A tal fine,
si ricorda che l’imputato è stato tratto in arresto alla frontiera italiana mentre, del tutto ignaro
della esistenza di un ordine di esecuzione di pena a suo carico, accompagnava in Italia il
fratello per cure mediche. Del resto, la stessa Corte d’appello nel rimetterlo in termini per
impugnare la decisione di cui era stata dichiarata la esecutività, ha dato prova di credere al
fatto che egli non fosse stato informato del processo a suo carico e, quindi, neppure della
misura cautelare rispetto alla quale era stato dichiarato latitante;
2) violazione di leage Der mancata acquisizione di una prova decisive

(art. 606

da ravvisarsi nella – pur richiesta – acquisizione della denuncia di smarrimento del
passaporto. La difesa teorizza, infatti, che la identificazione dell’imputato sia avvenuta sulla
base di un documento che gli era stato sottratto. Si fa notare, del resto, che la “ricognizione”
avvenuta in aula da parte degli operanti è stata sfornita dei necessari crismi di obiettività visto
che i verbalizzanti avevano avuto la possibilità di consultare l’informativa sulla quale vi era la
foto della persona che era in aula in stato di costrizione;
lett d) c.p.p.)

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

3.1. La questione posta con il primo motivo è stata già portata all’attenzione
della Corte d’appello che vi ha risposto congruamente ricordando che il Rajta era stato fatto
oggetto di una ordinanza di custodia cautelare in carcere, del 10.3.09 non potuta eseguire. Per
tale ragione, egli era stato dichiarato latitante e, per l’effetto, ex art. 165 c.p.p., le notificazioni
erano avvenute presso il difensore nominato d’ufficio.
La Corte, correttamente, prende in esame anche l’obiezione difensiva che si basa su
quell’orientamento giurisprudenziale (sez. I, 16.2.10, Havarj, Rv. 246631) secondo cui la previsione della
necessità di ricerche internazionali di cui all’art. 169, comma quattro, c.p.p., sebbene dettata
in vista dell’emissione del decreto di irreperibilità, «deve ritenersi applicabile analogicamente
anche ai fini della legittima emissione del decreto di latitanza, che è in sostanza una forma di
irreperibilità caratterizzata dalla volontaria sottrazione del soggetto ad un provvedimento
coercitivo».
La replica dei giudici, però, è esatta e si attaglia al caso di specie.
La linea interpretativa accennata, infatti, precisa anche che la erroneità della
dichiarazione di latitanza dell’imputato sussiste ove l’assenza di ricerche si sia verificata «pur
risultando dagli atti la stabile dimora all’estero dell’imputato medesimo» (Sei. I, 4.3.10, Rozsaffy, Rv.
247061).

Tale non è il caso in esame perché, come argomentatamente ricordano i giudici di
merito, non si conosceva affatto l’indirizzo estero del Rajta.
Le indagini, infatti, avevano accertato che l’imputato «si muoveva tra varie nazioni,
Italia, Albania ed Olanda» e che egli aveva «richiesto ed ottenuto un permesso di soggiorno sul
territorio nazionale nell’anno 2005» Risulta, quindi, palesemente destituita di validità la tesi
che egli avesse la propria abituale dimora o residenza in Albania.
Peraltro, si deve anche chiosare che l’assunto contrario del ricorrente è del tutto
assertivo risolvendosi nella generica affermazione che «gli atti di indagine – (n.d.r. dei quali non si
fornisce specificazione) — avevano accertato che il soggetto identificato come Rayta Yuli era

2

L Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso,
tramite difensore, deducendo:

cittadino albanese, residente in Albania…» – o, ancora, che … «le stesse indagini hanno
consentito di individuare delle utenze telefoniche albanesi, fisse e mobili con le quali il Rajta
era in contatto».
Stante la genericità degli assunti, costituisce una mera petizione di principio l’ulteriore
affermazione del ricorrente secondo cui «ciò avrebbe facilmente consentito di individuare,
precisamente ad horas, se solo lo si fosse voluto, dove egli si trovava» ( v. f. 3 ricorso).
E’, poi, suggestivo, ma errato, ricordare che la stessa Corte d’appello, concedendo la
rimessione in termini aveva dato credito alla tesi del ricorrente di non esser stato a conoscenza
del procedimento a suo carico.
L’argomento trascura di considerare che l’ambito di valutazione, ed anche i criteri di
giudizio, per una rimessione in termini sono diversi da quelli che vengono seguiti ai fini
dell’apprezzamento della reperibilità dell’imputato nel presente giudizio di merito.
Nel primo caso, in ossequio al tenore della norma di cui all’art. 175 c.p.p., così come
novellato di recente, la restituzione nel termine, impone al giudice (v. C. Cost. n. 317/139) di
verificare la “effettività” della conoscenza dell’atto e la “consapevole rinuncia” a partecipare al
processo o ad impugnare il provvedimento.
Nel caso che qui occupa, invece, si discetta della reperibilità del soggetto e della
esistenza o meno, in atti, di validi recapiti ove eseguire ricerche finalizzate al rintraccio
dell’imputato. Come visto, la ricorrenza di tale ultima eventualità è stata motivatamente
esclusa.
3.2. E’ infondata anche la seconda doglianza dal momento che reitera un
argomento già speso in appello e che è stato affrontato e risolto dalla Corte con motivazione
ampia, chiara e logica che, quindi, non presta il fianco a censure di legittimità.
La superfluità della rinnovazione del giudizio per acquisire la denuncia di smarrimento
del documento è infatti illustrata con molteplicità di argomenti ricordando lo svolgimento dei
fatti, quale emerge dalle informative ed intercettazioni, sottolineando, poi, come la
individuazione dell’imputato sia avvenuta in modo certo sulla base del contenuto dell’ali. 12
alla comunicazione notizia di reato del 30.5.08 redatta dal Nucleo Polizia Tributaria di Milano
nonché dalle deposizioni rilasciate dai marescialli della G.d.F. che avevano partecipato
personalmente alle attività investigative a carico del Rajta e di numerosi altri soggetti.
L’assunto è lungamente e dettagliatamente illustrato dalla Corte con richiami fattuali
non certo rivalutabili in questa sede.
Ineccepibile è, pertanto, la conclusione rassegnata dalla Corte, secondo cui «quanto
dianzi evidenziato palesa la evidente superfluità dell’acquisizione in giudizio della
documentazione prodotta dall’appellante relativa all’asserito smarrimento del passaporto da
parte del Rajta, dal momento che la identificazione dello stesso è stata effettuata con modalità
avulse dal rilievo dei dati identificativi dello stesso dal suddetto documento».

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 26 aprile 2013
Il Presidente

9!

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