Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28230 del 26/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28230 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Rocco Arcangelo, nato ad Avezzano il 23.3.58
Spinelli Maria, nata a Rimini il 18.4.61
imputati art. 73 T.U. 309/90

avverso la sentenza della Cotte d’Appello di L’Aquila del 15.2.12
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Nicola Lettieri , che ha chiesto una declaratoria
di inammissibilità del ricorso;
Sentito il difensore
dell’imputato
avv. Salvino Mondello, che ha insistito per
raccoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – I ricorrenti sono stati accusati di
avere, in concorso con altri soggetti di nazionalità albanese, detenuto, a fini di spaccio kg. 5,9
di eroina, e, ritenuta l’aggravante dell’ingente quantità, considerata la recidiva reiterata loro
contestata, sono stati condannati, con il rito abbreviato, alla pena di 10 anni di reclusione e

Data Udienza: 26/04/2013

50.000 C di multa, ciascuno, e, nei loro confronti, è stata disposta anche la confisca, ex art. 12
sexies L. 356/92, di un appartamento nonché di somme e titoli.
Avverso tale decisione, i condannati hanno proposto ricorso,

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale perché non sarebbe
stata raggiunta la prova certa della finalità di spaccio della droga. In particolare, si fa notare
che non è dimostrato che la droga, rinvenuta nell’autovettura Polo parcheggiata vicino al
supermercato Sisa di Montesilvano, fosse riferibile agli imputati non potendosi escludere,
invece, che gli albanesi detenessero la droga per cederla ad altri, né vi sono sufficienti
indicazioni su un prezzo eventualmente concordato. In particolare, si osserva che deve esser
considerata una pura coincidenza la presenza del Di Rocco nel posto in cui si trovava uno degli
uomini di fiducia di un personaggio di spicco della mafia albanese;
2) inosservanza Q grronea aDolicazione della legge Penale nella contestazione
dell’aggravante dell’art. 80 comma 2 T.U. stup., non risultando essa adeguatamente motivata;
3) inosservanza o erronea applicazione della legge Penale per non essere stata
esclusa la recidiva visto che non era obbligatoria, e, per di più, essendosi errato nel contestare
l’aggravante dell’art. 80 comma 2, non si versava in un caso dei delitti indicati dall’art. 407
comma 2 lett a) c.p.p.. In tal modo si è anche finito per alterare il principio di proporzionalità
della pena al fatto;

4) travisamento del fatto che è stato interpretato solo sulla base di illazioni,
visto che non è stato acquisito nulla di concreto a proposito della detenzione da parte degli
imputati;
5)

inosservanza o erronea applicazione della lene penale

per il diniego di

attenuanti generiche per nulla motivato;

6) inosservanza o erronea applicazione della legge penale nell’applicazione della
confisca perché non motivata.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso merita parziale accoglimento nei termini di seguito

precisati.
3.1 Devono essere respinti, perché infondati, il primo, il quarto, il quinto ed il
sesto motivo.
Il primo g quarto motivo afferiscono alla declaratoria di responsabilità che, come sopra
sintetizzato, sarebbe – secondo i ricorrenti – basata solo su supposizioni e sul fatto che gli
elementi di prova raccolti si prestano a differente interpretazione.
Il discorso non è corretto, in primo luogo, perché si richiama impropriamente una
nozione – quella di travisamento della prova – per sostenere la tesi che l’interpretazione dei
dati di fatto e dei risultati investigativi qcquisiti, dal punto di vista del difensore, non è corretta.
Tale non è, però il significato 4a dare al vizio di travisamento della prova, così come
introdotto dalla novella del 2006, che, invece, ricorre solo «quando il giudice abbia omesso del
tutto di valutare una prova regolarmente acquisita… ovvero quando l’abbia valutata in modo
incontrovertibilmente opposto all’evidenza” (sez. I 14.7.06, Sojanovic, Rv. 234167; Sez. VI 28.9.06, Foschinl, Rv.
23422). Detta prova, peraltro, deve avere carattere di decisività nel senso che deve essere
«idonea a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per
la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio».

2

2. Motivi del ricorso tramite difensore deducendo:

tasca le chiavi della vettura Polo su cui era custodita la droga).

Giustamente, poi, i giudici ricordano che è del tutto irrilevante che non vi fosse ancora
stata la traditio della droga visto che, per giurisprudenza costante, la cessione avviene nel
momento stesso del raggiungimento dell’accordo (sicuramente intervenuto come appena visto).

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Come si evince agevolmente anche dalla sintesi sopra riportata, i motivi di gravame qui
in esame non contengono affatto indicazioni di tal genere ma si soffermano, piuttosto, nel
riesame dei fatti proponendo una loro diversa lettura.
Ciò è, persino, ai limiti dell’inammissibilità perché, come noto, non è compito di questa
S.C. optare per la soluzione interpretativa ritenuta preferibile, ancorché di pari logicità.
Il giudice di merito ha l’obbligo di indicare con puntualità, chiarezza e completezza tutti
gli elementi di fatto e di diritto sui quali fonda la propria decisione, onde consentire
all’interessato di formulare le più appropriate censure ed, alla Corte di cassazione, di esercitare
la funzione di controllo che le è propria.
Pertanto, una volta che tali regole risultino osservate e che sia accertato che il processo
formativo del libero convincimento del giudice di merito ha seguito il corretto percorso (senza
subire gli effetti di una riduttiva indagine conoscitiva o di un’imprecisa ricostruzione del contenuto della prova) lo
scrutinio di legittimità deve ritenersi completamente esaurito ed è del tutto irrilevante che, in
linea teorica, sia possibile rivalutare le prove pervenendo a conclusioni alternative ed
altrettanto logiche.
Nella specie, la Corte, nel ribadire la pronuncia di primo grado, ha spiegato più che
congruamente le ragioni del proprio convincimento ricordando la successione delle emergenze
delle intercettazioni telefoniche evidenziando, in primo luogo, la conversazione che porta alla
ribalta la figura di Umberto Spinelli, figlio degli odierni ricorrenti, ed i suoi collegamenti con i
cittadini albanesi di nome Vini, Purò ed un certo “amico di Vini” che chiama dall’utenza
intestata ad Hasa Roland. Da questi primi contatti, si comprende con chiarezza che Umberto
Spinelli è impossibilitato a muoversi (pena l’arresto) perché, in effetti, all’epoca era agli arresti
domiciliari.
I contati successivi sono dell’amico di Vini con una donna da identificare nella
ricorrente Spinelli Maria e, quindi, con il Di Rocco.
Essi prendono accordi per un incontro nel corso del quale consegnare qualcosa di cui
viene contrattato il prezzo. La sicura riferibilità di tali conversazioni agli odierni ricorrenti
discende dall’ulteriore riscontro che (così come da lui riferito al proprio interlocutore) Di Rocco, in quei
giorni, si trovava effettivamente ricoverato in ospedale.
L’appostamento degli operanti nel luogo concordato per l’incontro ha portato,
innanzitutto, a verificare la presenza di un’autovettura intestata ad Masa Roland, nonché il
sopraggiungere di altra vettura che, insieme alla prima, si era recata verso un piazzale
antistante un Mc Donald’s. Sono, quindi, stati registrati dei contatti telefonici con l’utenza fissa
della coppia Spinelli-Di Rocco con descrizione del luogo in cui si trovavano gli albanesi,
espressioni di difficoltà nel concordare un altro punto di incontro e, quindi, la decisione della
donna di raggiungere i propri interlocutori lì dove essi avevano detto di trovarsi.
In effetti, pochi minuti dopo sopraggiungeva una vettura con a bordo una donna, un
ragazzo ed un bambino, sulla quale saliva uno dei soggetti, seguiti dalla p.g., visto alla guida di
una Polo, mentre Hasa Roland era rimasto nelle vicinanze dell’autovettura Bravo.
Il monitoraggio delle telefonate permetteva di accertare che Vini chiedeva ad una delle
persone del gruppo seguito dagli agenti dove egli si trovasse ricevendo risposta che egli era
con “quelle persone”; il telefono veniva, quindi, passato ad una donna (l’odierna ricorrente) che
diceva a Vini «di “essere impossibilitata (“stanno tutti in galera)» ma soggiungeva «di portarle
quanto stabilito “perché poi avrebbero risolto tutto”».
Sempre dalle intercettazioni si apprende che, a quel punto, la donna aveva ripassato la
cornetta alla persona che era con lei e, a quell’uomo, Vini aveva detto «che poteva lasciare
“quella cosa”».
La sentenza sottolinea che, a quel punto, gli agenti avevano deciso di intervenire e,
nella vettura Polo, era stata rinvenuta la droga di cui si sta trattando.
Nessuna cesura logica nel racconto e nel commento dei fatti da parte della Corte e,
quindi, non è esatto dire che la pronuncia di responsabilità si basi su supposizioni risultando,
per contro, molto logica la conclusione raggiunta in punto di responsabilità della Spinelli
(fermata, nell’occasione, insieme ai due figli minori nonché insieme al menzionato Hasa che aveva in

Per quel che attiene al diniego delle attenuanti generiche, oggetto del quinto motivo, si
osserva che la censura stessa ricorda giustamente che tale decisione è espressione di un
potere discrezionale che – se motivato in modo da escludere il dubbio di trovarsi in presenza di mero arbitrio rende la decisione non più censurabile in sede di legittimità. Del resto, nel caso in discussione,
è appunto il controllo del corretto esercizio dei criteri seguiti dai giudici che permette di
escludere qualsivoglia vizio. Essi, infatti, hanno richiamato l’attenzione, per un verso, sulla
capacità a delinquere degli imputati «desunta dalle modalità e circostanze del fatto e dai
plurimi precedenti penali a loro carico» e, per altro verso, sull’assenza di elementi positivi ai
quali ancorare le attenuanti invocate.
I ricorrenti, per parte loro, si limitano a cercare di indurre questa S.C. a valutare
l’esistenza dei precedenti in una prospettiva diversa, ovvero a richiamare principi generali di
giurisprudenza avulsi, però, dal caso concreto.
Venendo, infine, al sesto motivo di ricorso, si deve ugualmente pronunciare una
reiezione perché la genericità ed assertività dell’assunto – secondo cui la confisca sarebbe stata
immotivata — si scontra con l’ampia (e corretta) illustrazione offerta in proposito tra le pagine 7
ed 8 della sentenza impugnata.
3.2. Come anticipato, invece, deve trovare accoglimento il secondo motivo perché,

effettivamente, il profilo della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. 309/90 risulta
argomentato dalla Corte in modo marginale e neppure rispettoso dei recenti dettami
giurisprudenziali (su. 24.2.11, Indelicato, Rv. 249664 e S.U. 24.5.12, Biondi, Rv. 253150) concernenti, sia, la
individuazione di criteri per la verifica della “ingente” quantità di droga, sia, il tema della
valutazione della recidiva (che concerne il terzo motivo e che, con l’accoglimento del secondo, rimane
assorbito).

Sotto il primo profilo, deve, quindi, ricordarsi che, è stato detto che l’aggravante in
discussione non è, di norma, ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore
massimo, in milligrammi (c.d. valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata
al D.M. 11 aprile 2006.
Per contro, nella specie, i giudici si sono limitati ad un generico richiamo al dato
ponderale (5952 dosi aiornallere) dichiarata «idonea a soddisfare un notevole numero di
tossicodipendenti in ambito locale e, pertanto, tale da costituire un rilevante pericolo per la
salute pubblica».
Perciò, «ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito»
(come
precisano le sezioni unite), quando la quantità sopra indicata sia superata, si impone un
annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per nuovo esame in ordine alla
ricorrenza dell’aggravante di cui si discute avendo anche presente che, a seconda della
soluzione, che verrà adottata, sono diverse le conseguenze anche in tema di recidiva.
Come, infatti, giustamente ricordano i ricorrenti, in caso di esclusione dell’aggravante di
cui all’art. 80, verrebbe meno anche la obbligatorietà della recidiva mentre, ove confermata
l’aggravante di cui all’art. 80 T.U. stup., dovrebbe trovare applicazione il regime dell’art. 63 6°
comma c.p. che prevede che, in caso di più aggravanti speciali, (e tale è la recidiva quando comporta
un aumento della pena superiore ad un terzo – v. Rv 249664 cit.) si applica la pena prevista per la
circostanza più grave ed, al massimo, si opera un aumento.

4

Deve, quindi, considerarsi infondata la tesi difensiva di essere, al massimo, al cospetto
di un tentativo di cessione perché una uniforme e concorde interpretazione, anche recente, da
parte di questa S.C., (sez. VI 18.4.95, Della Valle, Rv. 201848; Sez. V 9.12.03, Baytraml, Rv. 229230; Sez. VI 16.5.98,
Casa, Rv. 211728) sostiene che, ai fini della consumazione del delitto di acquisto e di cessione di
sostanza stupefacente, non occorre che la droga sia materialmente consegnata all’acquirente,
ma è sufficiente che si sia formato il consenso delle “parti” sulla quantità e qualità della
sostanza e sul prezzo della stessa.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia alla Corte
d’appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto

Il Presidente

Così deciso il 26 aprile 2013

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