Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28227 del 27/03/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28227 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FRUCELLA ANTONINO N. IL 20/02/1951
avverso la sentenza n. 158/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
25/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. je–1:50
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che ha concluso per e(C›.12,-.-.-,x..„.:4,4,,:\Az

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. VaiA,..ket.A’c.-c3 A/k Q-sk___
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e.P

Data Udienza: 27/03/2013

44551/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 gennaio 2012 la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma di
sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto del 15 dicembre 2009, assolveva l’imputato
Antonino Frucella da una imputazione (capo c), rideterminando la pena in un anno di
reclusione ed euro 20.000 di multa per i reati di cui all’articolo 483 c.p. in relazione all’articolo
96 d.p.r. 445/2000 (per aver rilasciato dichiarazioni, sostitutive di atto di notorietà, mendaci
per il rimborso di somme per gasolio acquistato ad uso di autotrazione per importi superiori a

504/1995 (per avere sottratto somme da pagare come accise sul gasolio per autotrazione:
capo b).
2. Ha proposto ricorso il difensore dell’imputato sulla base di tre motivi. Il primo motivo
denuncia la nullità del decreto di citazione per violazione del termine minimo a comparire ex
articolo 552, comma 3, in relazione all’articolo 178, comma 1, lettera c, c.p.p. e lesione
dell’articolo 24 Cost. Il secondo motivo denuncia violazione di legge lamentando che le
anomalie “formali” sulla documentazione in questione non provano i reati contestati. Il terzo
motivo denuncia vizio motivazionale quanto alla considerazione del verbale di constatazione
dell’Agenzia Dogane.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso non merita accoglimento.
Il primo motivo, come rileva lo stesso ricorrente, concerne un error in procedendo di
violazione dell’articolo 552, comma 3, c.p.p. la cui conseguente nullità “avrebbe dovuto, in
verità, essere eccepita tempestivamente dal difensore d’ufficio entro la fase della pronuncia
della sentenza di primo grado, e ciò per non incorrere nella preclusione di cui all’art. 180
c.p.p.” (ricorso, pagina 4). Il ricorrente, dunque, ammette così, in sostanza, l’infondatezza del
motivo, essendosi il vizio che questo denuncia consumato nella preclusione di cui all’articolo
180 c.p.p. Né d’altronde il richiamo a una pretesa lesione dell’articolo 24, comma 2, Cost.
risulta congruo, dal momento che, sempre come ha riconosciuto anche il ricorrente, l’imputato
non era privo di difesa (essendo munito di difensore d’ufficio) quando si è verificato il vizio
procedurale: ed è ragionevole ritenere che, qualora sussista un’adeguata assistenza tecnica, le
modalità dell’esercizio del diritto difensivo possano essere modulate – come in effetti lo sono in
tutti i riti non deformalizzati – anche sul piano temporale tramite la maturazione di preclusioni.
Il secondo motivo è rubricato come violazione di legge, ma in realtà è di sostanza fattuale,
essendo diretto a dimostrare la mancanza della prova di una condotta fraudolentemente
evasiva (come disvela lo stesso ricorrente, all’esito di un prolisso percorso relativo anche a
direttiva e circolare dell’Agenzia delle Dogane, a pagina 10 del ricorso), e dunque a costruire

quelle spettanti: capo a) e di cui all’articolo 40, comma 1, lettera b), T.U. Accise-d.lgs.

una versione alternativa dell’accertamento di fatto che in questa sede incorre in
inammissibilità.
Il terzo motivo censura la sentenza di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione risultante dal testo in relazione alla sentenza di primo grado e al processo verbale
di constatazione redatto il 7 giugno 2007 dall’Agenzia delle O di Messina. Quello che in realtà
viene criticato è il fatto che la corte territoriale giunge alle sue conclusioni sulla base di
elementi che, secondo il ricorrente, a ciò non condurrebbero (ricorso, pagina 12: la conclusione

da quelle “acquisite nel corso del dibattimento di primo grado” “).

Si tratta quindi di una

interpretazione alternativa degli esiti probatori, che, lungi dall’integrare una censura
motivazionale, in realtà conferisce al motivo sostanza fattuale diretta, perseguendo un terzo
grado di cognizione di merito, ovvero un obiettivo inammissibile.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso va dichiarato inammissibile, con
conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del
presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa
in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia
stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si
dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 27 marzo 2013

Il Presidente

della corte non può ricavarsi “né dalle richiamate “risultanze esistenti agli atti del fascicolo” né

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