Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28222 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28222 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORDA GIUSEPPE N. IL 19/05/1984
avverso la sentenza n. 1136/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
30/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. krPtià ft.k ELZ; hith
che ha concluso per
,ociar„ a a ’14 L:n.4,43

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

7″7

Data Udienza: 26/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 30.10.2012 la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma
della sentenza pronunciata il 27.06.2011 dal Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Trani all’esito di giudizio abbreviato, appellata da Corda Giuseppe,
ha derubricato nel reato di lesioni volontarie aggravate continuate il delitto di
tentato omicidio ascritto in rubrica all’imputato e ha rideterminato in anni 2 mesi
4 di reclusione e € 400 di multa, previa concessione delle attenuanti generiche
con giudizio di equivalenza, la pena allo stesso inflitta, revocando le pene

La dinamica dell’episodio delittuoso in cui si collocano i reati ascritti all’imputato
è stata ricostruita dai giudici di merito nei termini seguenti.
Verso le 19.45 del 23.05.2010 Corda Vito, trasportato a volto scoperto a bordo
del ciclomotore condotto dal fratello e odierno imputato Corda Giuseppe, che
indossava un casco giallo, intercettava in piazza Caduti di Nassiria di Trani,
frequentata da numerosi passanti, il cittadino albanese Gjeci Tahir (col quale
aveva litigato la sera del giorno precedente, ricevendo da questi un pugno in
volto che gli aveva cagionato un trauma contusivo e una ferita lacero contusa)
che procedeva a piedi, esplodendo nei confronti di quest’ultimo alcuni colpi con
una pistola cal. 9, illegalmente detenuta e portata in luogo pubblico, mancando
l’obiettivo e attingendo invece alla spalla sinistra un altro cittadino albanese (Aga
Naxhi) presente in loco; l’inseguimento del Tahir proseguiva per alcune centinaia
di metri fino alla piazza Sant’Agostino, dove questi veniva raggiunto e bloccato
dai fratelli Corda; a questo punto Giuseppe colpiva l’albanese col casco, mentre
Vito puntava la pistola in direzione del ginocchio sinistro della vittima designata,
sparando un colpo che il Tahir riusciva a deviare e che attingeva una giovane
donna albanese – Gishti Denisa – presente nei paraggi.
I reati che la sentenza del GUP aveva ritenuto integrati a carico dell’imputato, in
concorso col fratello, erano, oltre a quelli concernenti la violazione della disciplina
delle armi, quelli di tentato omicidio di Aga Naxhi e di lesioni personali volontarie
di Gishti Denisa, entrambi ascritti a titolo di aberratio ictus e aggravati dalla
premeditazione, oltre a quello di lesioni in danno di Gjeci Tahir, per i quali veniva
irrogata in primo grado la pena di anni 8 di reclusione.
2. La sentenza d’appello, dopo aver ritenuto infondate le doglianze di natura
processuale sollevate dalla difesa dell’imputato con riguardo all’inutilizzabilità e
alla nullità delle dichiarazioni della parte offesa Gjeci Tahir, valorizzava
l’attendibilità delle dichiarazioni stesse e dell’individuazione fotografica degli
aggressori nelle persone dei fratelli Corda, operata senza titubanze
nell’immediatezza del fatto, previa descrizione dei soggetti che la parte lesa già
conosceva di vista, con la precisazione che il conducente del ciclomotore si era

l

accessorie e confermando nel resto le statuizioni della sentenza di primo grado.

tolto il casco nel momento in cui l’aveva utilizzarlo come arma impropria per
colpirlo; rilevava che il racconto del Tahir aveva trovato riscontro nelle
dichiarazioni di Pepa Vangjel e in quelle di un’amica della ragazza ferita per
errore, che aveva assistito alla sparatoria confermandone la dinamica, nonché
nella circostanza che subito dopo il fatto l’imputato si era reso irreperibile;
svalutava l’alibi difensivo introdotto dal prevenuto col supporto delle dichiarazioni
sospette della convivente e di una cugina della stessa, evidenziando il
ritrovamento di un promemoria riportante la cronologia dei movimenti del Corda
la sera del fatto, funzionale a una ricostruzione preconfezionata degli eventi,

nonché la natura intempestiva dell’alibi allegato soltanto in data 1.09.2010
mentre in sede di interrogatorio di garanzia il Corda si era avvalso della facoltà di
non rispondere (alibi ritenuto peraltro inidoneo a superare la compatibilità della
partecipazione del Corda all’aggressione, durata solo qualche minuto, col fatto di
aver trascorso il resto della serata insieme alla convivente).
La Corte territoriale escludeva tuttavia che fosse stata raggiunta la prova certa
della volontà omicida in capo a Corda Vito, contraddetta dalla circostanza, riferita
dallo stesso bersaglio dell’azione criminosa Gjeci Tahir, che lo sparatore aveva
puntato la pistola in direzione del suo ginocchio, non riuscendo ad attingerlo per
l’immediata reazione della vittima che ne aveva spostato il braccio armato, così
che l’azione lesiva doveva ritenersi animata dall’intento di gambizzare la persona
offesa, e non di ucciderla, come confermato anche dal fatto che lo sparatore si
era dato successivamente alla fuga senza insistere nel proposito delittuoso.
Sulla scorta della riqualificazione del reato in quello meno grave di lesioni
volontarie, nonché del ruolo meno rilevante dell’imputato rispetto a quello del
fratello e dell’assorbimento della detenzione dell’arma da sparo nel relativo porto
illegale, la sentenza d’appello rideterminava la pena inflitta a Corda Giuseppe
partendo dalla base di anni 1 mesi 6 di reclusione e C 300 di multa per la
violazione degli artt. 4 e 7 legge n. 895 del 1967, individuata come la più grave,
aumentata ex art. 81 capoverso cod. pen. di mesi 8 e C 100 per ciascuno dei tre
reati satellite di lesioni personali (in danno di Tahir, Aga e Gishti), e infine ridotta
di 1/3 per la scelta del rito abbreviato.
3. Ricorre per cassazione Corda Giuseppe, a mezzo del difensore, deducendo tre
motivi di gravame.
3.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 comma 1 lett.
c) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 63, 64, 197 bis, 351 e 362 del codice di
rito, deducendo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria alle
ore 23.00 del 23.05.2010 dalla persona offesa Gjeci Tahir, sui cui contenuti si
fondava l’accusa a carico dell’imputato.
Il ricorrente rileva che alle 22.50 del medesimo giorno la p.g. aveva proceduto a

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U7-3

escutere la teste Gishti Denisa, la quale aveva riferito di aver visto il Tahir, da lei
indicato come vittima designata dell’agguato, estrarre un coltello allorchè uno
degli aggressori gli aveva puntato contro la pistola e tentare con lo stesso di
colpire quest’ultimo; la p.g. era dunque a conoscenza, nel momento in cui aveva
sentito il Tahir a sommarie informazioni, che costui era indagabile per il reato di
detenzione e porto del coltello, connesso a quelli oggetto di indagine per
l’aggressione da lui subita, con la conseguenza che il teste avrebbe dovuto
essere sentito con le garanzie difensive e gli avvisi preliminari di cui agli artt. 64

dichiarazioni ex art. 63 comma 2 cod.proc.pen., e che non erano esclusi dalla
concorrente qualità di persona offesa del teste.
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 comma 1
lett. c) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 143, 144 e 146 del codice di rito,
deducendo la nullità delle dichiarazioni del Tahir sotto il profilo che le stesse
erano state rese con l’assistenza di un interprete di lingua albanese, Dalipi Halit,
nei cui riguardi non risultava se esistessero cause di incapacità o incompatibilità
a svolgere l’incarico, stante l’assenza degli avvisi a tal fine previsti dalla legge,
così da pregiudicare la garanzia di una fedele traduzione in lingua italiana di
quanto riferito dal teste nella propria lingua; rileva che la natura patologica
dell’inutilizzabilità discendente dall’acquisizione della prova con modalità affette
da nullità ne impediva la sanatoria per effetto della scelta del rito abbreviato.
3.3. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 comma 1 lett.
b) cod.proc.pen., in relazione all’art. 81 del codice penale, deducendo l’assenza
di una contestazione, nel capo d’imputazione, relativa alle presunte lesioni
personali subite da Gjeci Tahir, che non era stato attinto da alcun colpo d’arma
da fuoco, con conseguente illegittima applicazione del relativo aumento di pena
pari a mesi 8 di reclusione e C 100 di multa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso, che ripropongono altrettante eccezioni di
violazione della legge processuale che sono già state esaminate e respinte con
argomentazioni puntuali e giuridicamente corrette dalla sentenza impugnata,
sono infondati e devono essere rigettati.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che l’eventuale possesso di un coltello, da
parte del Tahir, al momento dell’aggressione subita ad opera dei fratelli Corda,
sarebbe comunque scriminato dal timore della vittima di essere aggredita in
conseguenza delle minacce di morte ricevute la sera precedente, nonché dalla
legittima necessità di difendersi insorta a seguito dell’agguato in cui il Tahir era
caduto la sera del 23.05.2010.
Dal testo della sentenza d’appello risulta che la circostanza relativa al porto del

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e 197 bis del codice di rito, prescritti a pena di inutilizzabilità assoluta delle sue

coltello, astrattamente idoneo a integrare, nell’ipotesi di assenza di un
giustificato motivo, la contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, non
poteva ritenersi probatoriamente accertata, in quanto le dichiarazioni di Gishti
Denisa (invocate dal ricorrente) non avevano trovato conferma in quanto riferito
da altra testimone (vedi alla pag. 5 della sentenza impugnata, comprensiva delle
note in calce); in ogni caso, sempre dalla lettura della sentenza, emerge che la
Gishti aveva dichiarato che il Tahir aveva estratto il coltello, a scopo di difesa,
soltanto dopo che erano stati esplosi due colpi d’arma da fuoco nei suoi confronti

che aveva deviato la mano armata di Corda Vito), di tal che la ricorrenza
quantomeno di una palese causa di giustificazione era idonea a escludere la
indagabilità del Tahir per la suddetta ipotesi contravvenzionale, con conseguente
utilizzabilità delle sue dichiarazioni rese in qualità di persona offesa dai reati
ascritti al ricorrente.
La ritenuta insussistenza, da parte della sentenza impugnata, dei presupposti per
applicare alle dichiarazioni del Tahir il disposto degli artt. 63 e 64 del codice di
rito risulta giuridicamente corretta, alla stregua del principio affermato da questa
Corte (Sez. 2 n. 51732 del 19/11/2013, Rv. 258109), secondo cui l’inutilizzabilità
delle dichiarazioni rilasciate dal soggetto che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere
sentito con le garanzie previste per la persona sottoposta ad indagini postula
l’originaria esistenza di precisi indizi di reità a suo carico, che non può farsi
derivare automaticamente dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato in
qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla
formulazione di addebiti penali nei suoi confronti.
La questione di inutilizzabilità sollevata dal ricorrente è peraltro giuridicamente
infondata anche sotto il profilo dell’assenza di qualsiasi connessione o
collegamento – diverso da quello della mera comunanza della fonte di prova
rappresentata dalle dichiarazioni della Gishti, comunque irrilevante agli effetti
dell’insorgenza degli obblighi di garanzia stabiliti dall’art. 64 cod.proc.pen., posto
che il caso previsto dall’art. 371 comma 2 lett. c) del codice di rito non rientra
tra le ipotesi di testimonianza c.d. assistita, disciplinate dall’art. 197 bis dell’ipotetica violazione dell’art. 4 legge n. 110 del 1975 addebitabile al Tahir coi
delitti ascritti al ricorrente nel presente giudizio, rispetto ai quali la persona
offesa era del tutto estranea ed è stata legittimamente sentita dagli inquirenti in
qualità di persona informata sui fatti, soggetta alle ordinarie regole di
acquisizione e di valutazione della prova testimoniale di cui al 10 comma dell’art.
192 cod.proc.pen. (Sez. 2 n. 45566 del 21/10/2009, Rv. 245630, che ribadisce
l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 1282 del 9/10/1996, Rv.
206846).
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(che non l’avevano attinto solo grazie alla prontezza della reazione della vittima,

3.

Anche la doglianza relativa alla pretesa nullità dell’incarico conferito

all’interprete di lingua albanese che aveva assistito il Tahir in occasione della
verbalizzazione delle sue dichiarazioni, per omessa formalizzazione degli avvisi in
ordine alla sussistenza di eventuali cause di incapacità o incompatibilità all’ufficio
(peraltro prospettate dal ricorrente in termini meramente congetturali), è stata
correttamente rigettata dal giudice d’appello, che ha fatto puntuale applicazione
del principio di diritto per cui – versandosi in ipotesi di nullità relativa – la stessa
doveva essere eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all’art. 182

relativa deduzione era definitivamente preclusa dalla scelta del rito abbreviato,
nel quale manca il segmento processuale dedicato alla trattazione e alla
risoluzione delle questioni preliminari (nelle quali rientrano quelle concernenti le
nullità indicate nell’art. 181: art. 491 comma 1 del codice di rito).
4. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato nei termini che seguono.
Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che l’imputato è stato
condannato, in concorso col fratello, per tre distinti titoli di reato (pagina 16 della
motivazione), unificati sotto il vincolo della continuazione, costituiti dal porto
illegale della pistola calibro 9 utilizzata da Corda Vito, dalle lesioni personali
aggravate in danno di Gishti Denisa e dal tentato omicidio di Aga Naxhi
(successivamente derubricato dalla Corte d’appello nel reato di lesioni personali
aggravate in danno di quest’ultimo), ritenendo tali due ultimi fatti caratterizzati entrambi – da aberratio ictus monolesiva ex art. 82 (comma 1) cod. pen. (pagine
13-14): il GUP non ha pertanto ritenuto integrata alcuna fattispecie autonoma di
lesioni personali (o di tentato omicidio) nei confronti di Gjeci Tahir, vittima
designata dell’azione delittuosa ma pacificamente non attinta dai colpi di pistola
che erano diretti contro di lui (e che hanno invece colpito per errore gli altri due
soggetti), tanto che non ha applicato alcun aumento di pena ai sensi e per gli
effetti dell’art. 82 comma 2 cod. pen. (che prevede un aumento di pena fino alla
metà qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale
l’offesa era diretta).
L’operato del GUP appare conforme al principio di diritto affermato da questa
Corte, secondo cui nella lettura dell’art. 82 cod. pen. il concetto di “offesa” deve
essere inteso nel senso di lesione materiale, sicché quando la vittima designata
del reato è rimasta illesa, mentre è stata offesa una terza persona, si verte in
ipotesi di aberratio ictus monolesiva secondo lo schema legale del primo comma
dell’art. 82 (Sez. 1 n. 12556 del 14/10/1992, Rv. 191096) – e non già plurilesiva
ai sensi del secondo comma della norma (ipotesi che si verifica invece quando
entrambi i soggetti, vittima designata e terzo, siano stati materialmente offesi
dalla condotta unitaria dell’agente) – con conseguente realizzazione di un unico
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comma 2 del codice di rito (Sez. 1 n. 20864 del 14/04/2010, Rv. 247406), e la

reato doloso di cui il colpevole deve rispondere come se lo avesse commesso in
danno della persona che voleva offendere.
Sul punto relativo all’insussistenza di un (quarto) reato di lesioni (o meglio di
tentate lesioni) personali in danno di Gjeci Tahir, in presenza di impugnazione
del solo imputato e in ossequio all’effetto devolutivo dell’appello, si era dunque
formato il giudicato; di tal che l’aumento di pena applicato per la prima volta per
tale titolo dalla Corte d’appello, nell’ambito della rideterminazione complessiva
della pena conseguente alla riqualificazione in termini di lesioni personali

di Aga Naxhi, deve essere eliminato: al relativo scomputo può procedere
direttamente questa Corte in sede di annullamento senza rinvio, risolvendosi in
una mera operazione aritmetica scevra di qualsiasi contenuto valutativo, in
quanto la sentenza impugnata ha esattamente quantificato l’aumento di pena,
inibito dal divieto di reformatio in peius, nella misura di mesi 5 giorni 10 di
reclusione e C 66,67 di multa (mesi 8 e C 100, ridotti di 1/3 ex art. 442
cod.proc.pen.), che vanno detratti dal totale di anni 2 mesi 4 e C 400,
pervenendo alla pena finale per i residui reati giudicati di anni 1 mesi 10 giorni
20 di reclusione e C 333,33 di multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesioni
personali in danno di Gjeci Tahir perché il fatto non sussiste e per l’effetto
ridetermina la pena per i reati residui in anni uno mesi dieci giorni venti di
reclusione e C 333,33 di multa; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 26/03/2014

(anziché di tentato omicidio) dell’episodio di aberratio ictus monolesiva in danno

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