Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28220 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28220 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRESICCE LUCIANA N. IL 02/10/1948
avverso la sentenza n. 5881/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ri..0./\n’too
che ha concluso per (:(2, fe ocksa
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Udito, per la parte civile, l’Avv710
Uditi difensor Avv. -60

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Data Udienza: 30/01/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell’8 marzo 2001 la Corte d’Appello di Salerno confermava
la condanna alla pena di giustizia di Presicce Luciana siccome colpevole del reato
di cui agli artt. 485 e 491 cod. pen. in relazione alla falsificazione di alcune
schede testamentarie, apparentemente a firma della madre dell’imputata, esibite
al notaio depositario di un precedente testamento della defunta, in occasione
della sua pubblicazione e con le quali, in un caso, la defunta dichiarava di

stata beneficiata, a scapito della sorella, della quota disponibile dell’asse
ereditario – e nell’altro manifestava l’intenzione di devolvere ogni suo bene alla
suddetta figlia.

2. Impugnata dalla Presicce tale pronuncia, altra sezione di questa Corte
(con sentenza n. 23613 del 9 maggio – 14 giugno 2012), in accoglimento del
ricorso proposto dall’imputata per violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e per
vizi motivazionali del provvedimento impugnato, ha annullato con rinvio la
stessa.
Tale annullamento, sintetizzando argomentazioni ben più diffuse, è stato
disposto da questa Corte in quantoigiudici salernitani, pur in presenza di giudizi
non convergenti espressi dai consulenti grafologici – della costituita parte civile e
del PM – relativamente non già alla falsificazione delle due schede testamentarie
(dato questo ritenuto pacifico da entrambi) ma all’identificazione dell’imputata
quale autrice della falsificazione (affermata con certezza dal solo consulente della
parte civile ma non anche dal consulente del PM, che al riguardo aveva ravvisato
solo alcune similarità tra le grafie poste a confronto, valutate però come non
risolutive) hanno ritenuto di poter pervenire alla conferma della condanna
dell’appellante: per un verso, riconoscendo piena attendibilità al solo responso
del consulente tecnico della parte civile, senza spiegare, tuttavia, le ragioni per
le quali si sarebbe determinata la rilevata disomogeneità di valutazioni e del
perché non si era ritenuto necessario sanarla, incongruamente giustificando tale
opzione preferenziale in base al semplice rilievo che il consulente della parte
civile avrebbe evidenziato anche delle coincidenze grafologiche (e non solo
calligrafiche) tra le schede testamentarie e le scritture di comparazione rilasciate
dall’imputata e che lo stesso avrebbe esaminato, altresì, un numero maggiore di
scritture di comparazione rispetto al consulente del PM; per altro verso,
valorizzando, illogicamente, il dato dell’interesse esclusivo dell’imputata alla
falsificazione in quanto beneficiaria delle disposizione testamentarie impugnate
in contestazione, senza considerare, però, che i falsi testamenti olografi, come si
riconosceva anche nella sentenza annullata, non avrebbero sostanzialmente
1

confermare i contenuti del testamento medesimo – con il quale la ricorrente era

alterato il contenuto della successione ereditaria così come definita nell’ultimo
testamento originale depositato dalla defunta presso il notaio, così omettendo,
sostanzialmente, di specificare in cosa sarebbe consistito l’evocato vantaggio.

3.

La Corte di Appello di Napoli, pronunciando quale giudice di rinvio

sull’appello proposto dalla Presicce avverso la sentenza di condanna deliberata in
primo grado – con sentenza del 15 marzo 2013, confermava integralmente la
decisione impugnata.

annullamento, disponevano, in primo luogo, l’espletamento di una perizia
grafica, nominando all’uopo come perito lo stesso esperto che aveva svolto
funzioni di consulente del P.M., il quale, nella relazione depositata ed in sede di
chiarimenti, concludeva nel senso della presumibile ma non certa attribuibilità
del falso alla mano della imputata.
Ritenuto inutile il conferimento di un nuovo incarico ad altro esperto
grafologo, i giudici di rinvio pervenivano alla conferma della sentenza di
condanna deliberata in primo grado, evidenziando che, oltre l’elemento di accusa
rappresentato dall’esito degli accertamenti tecnici, assumeva significativa
rilevanza anche il dato rappresentato dall’interesse alla falsificazione che era
stato svalutato in sede di annullamento a ragione di una banale paraprassia in
cui sarebbe incorsa questa Corte di tassazione, di una sorta di fraintendimento
od interpolazione del percorso motivazionale sviluppato dalla Corte salernitana,
nel senso che i giudici di appello, in realtà, non risultano aver mai riconosciuto
l’irrilevanza della falsificazione delle schede testamentarie, laddove era stato in
realtà il primo giudice, in replica alle argomentazioni della difesa, a sostenere
che la utilità percepita dall’imputata con la formazione del falso testamento
olografo si si sarebbe ridotta ad un incremento della propria quota di eredità pari
al 16,6 % del cospicuo asse ereditario. Ritenevano in altri termini i giudici di
rinvio che l’imputata, unica beneficiaria delle disposizioni mortis causa, aveva un
concreto interesse alla formazione del falso testamento, specie in caso di
mancato esercizio ed eventuale prescrizione del diritto del legittimario
pretermesso a far valere il vizio di compromissione del negozio testamentario.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di
fiducia della ~deducendo:
4.1 mancanza assoluta di motivazione in relazione a punti specifici
individuati dalla Corte di Cassazione come decisivi ai fini del giudizio di
responsabilità dell’imputata;
4.2 travisamento da parte del giudice di rinvio delle conclusioni della Corte
di Cassazione;
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I giudici del rinvio, al dichiarato fine di adeguarsi alla decisione di

4.3 travisamento delle conclusioni del consulente, dottoressa Falivene,
convocato in primo grado dal PM, e riconvocato dalla Corte di appello di Napoli
nel giudizio di appello, espressasi in termini mera probabilità in merito alla
ritenuta riferibilítà alla ricorrente delle false schede testamentarie, specie ove si
consideri che in sede di appello la difesa aveva allegato una propria consulenza
tecnica, che ha escluso non solo la effettiva falsità dei testamenti ma in ogni
caso la riferibilità della formazione dei testamenti all’imputata, consulenza
tecnica che i giudici di appello qualificavano come memoria e ritenevano inidonea

4.4 violazione di legge, sostanziale e processuale, a ragione dell’assoluta
mancanza di motivazione in relazione ai principi di diritto enunciati dalla Corte di
Cassazione.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Presicce Luciana è basata su
motivi infondati e va quindi senz’altro rigettata. Ritiene invero il Collegio che i
motivi d’impugnazione prospettati in ricorso, che nelle loro poiiformi articolazioni
convergono nel denunziare come illegittima la conferma dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputata, sono infondati e che gli stessi non si
confrontano appieno con gli argomenti, logicamente sviluppati pur nella loro
concisione, spesi nella motivazione della sentenza impugnata a giustificazione
delle conclusioni raggiunte.
1.1. In particolare, quanto alla riferibilità all’imputata della falsificazione di
alcune schede testamentarie apparentemente a firma della madre dell’imputata,
del tutto adeguatamente e plausibilmente la Corte d’appello ha evidenziato che,
certa la falsificazione del documento, atteso anche il convergente ed
argomentato giudizio tecnico espresso al riguardo sia dal consulente della parte
civile che del Pubblico ministero, la dimostrazione della attribuibilità di tale
falsificazione all’imputata discendeva dAll’accertata circostanza che era statg
proprio la ricorrente a chiederne la pubblicazione/ che Luciana Presicce era
l’unica persona che dal documento falso traeva vantaggio (vedendo accresciuta
la propria quota di eredità)e che l’imputata non aveva fornito una spiegazione
plausibile del possesso del documento, essendo inverosimile, come evidenziato
dal primo giudice, che possa essere stata la testatrice, ricoverata in coma presso
l’ospedale di Cava dei Tirreni, a spedire alla ricorrente, per raccomandata, le
schede testamentarie.
Ed a fronte di tali univoci elementi non ha davvero alcuna rilevanza la
circostanza che non possa con certezza affermarsi che l’imputata sia stata anche

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a fondare una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale;

l’autrice materiale della falsificazione o soltanto l’ispiratrice, ovvero che si sia
avvalsa dell’opera di altro concorrente nel reato.
1.2 Orbene, in presenza di tale logico ed articolato percorso motivazionale,
si rivelano prive di fondamento le deduzioni difensive volte a sostenere che i
giudici di rinvio, nel confermare la sentenza di condanna deliberata nel giudizio di
primo grado, avrebbero violato l’obbligo di uniformarsi ai principi di diritto
enunciati nella sentenza di annullamento di rinvio.
Al riguardo è opportuno precisare, anzitutto, che secondo l’ormai consolidato

annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è vincolato dal divieto
di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla
Suprema Corte, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni
diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e
completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia
annullata; e ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di
ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il
significato e il valore delle relative fonti di prova, senza che egli possa essere
condizionato da valutazioni di merito eventualmente sfuggite al giudice di
legittimità nelle proprie argomentazioni, non essendo compito di quest’ultimo
sovrapporre il proprio convincimento a quello dei giudice di merito in ordine a tali
aspetti; e potendo semmai valere tali momenti valutativi contenuti nella
sentenza di annullamento come meri punti di riferimento al fine della
individuazione del vizio motivazionale ma non come punti fermi che si
impongano per la nuova decisione» (in termini, Sez. 6, n. 5552 del 29/03/2000 dep. 11/05/2000, P.M. e P.C. in proc. Grisorio, Rv. 220563)
Alla luce di tale principio, evidenziato che nella sentenza di annullamento di
rinvio si censurava: per un verso, l’incongrua preferenza accordata dai giudici di
appello al responso del consulente di parte civile, dichiaratosi certo nell’indicare
l’imputata come l’autrice/ delle false schede testamentarie, rispetto a quello
sostanzialmente dubbioso sul punto, espresso dal consulente del Pubblico
ministera; e per altro verso, la mancata e logica spiegazione del vantaggio
ricavato dall’imputata nella falsificazione delle schede testamentarie, è agevole
rilevare che i giudici di rinvio sono pervenuti alla conferma della condanna della
ricorrente, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle già censurate in sede
di legittimità, non più privilegiando l’elemento di accusa rappresentato dalle
conclusioni della perizia del consulente di parte civile ma procedendo ad una
nuova ed autonoma valutazione della situazione di fatto, valorizzando il dato
rappresentato dalla plausibile causale della condotta incriminata, provvedendo a
specificare, su tale punto, nel rispetto delle ragioni dell’annullamento, anche il
concreto vantaggio conseguibile dall’imputata attraverso il confezionamento delle
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indirizzo interpretativo di questa Corte, «in tema di giudizio di rinvio a seguito di

false schede testamentarie, individuandolo nella percezione da parte
dell’imputata della quota disponibile del cospicuo asse ereditario, in danno della
sorella, coerede.
1.3 Nè possono rinvenirsi profili di illegittimità nella decisione impugnata per
avere i giudici di rinvio, una volta disposta la riconvocazione a chiarimenti del
consulente del Pubblico ministero (che già aveva formulato nel giudizio di appello
annullato, un giudizio in termini di sola probabilità, relativamente la
individuazione dell’imputata quale autrice materiale della falsificazione), una

consideri che il giudice di appello, in sede di rinvio, non è tenuto a disporre la
rinnovazione del dibattimento ogni volta che le parti ne facciano richiesta, in
quanto i suoi poteri, anche in ordine alla rinnovazione predetta – sempre che il
rinvio non sia stato disposto proprio a tal fine – risultano identici a quelli che
aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, con l’ulteriore limite che la
prova da assumersi nella eccezionale ipotesi di nuova istruttoria dibattimentale,
oltre a dover essere indispensabile per la decisione ai sensi dell’art. 603 cod.
proc. pen., deve anche essere rilevante, come prescritto dal comma secondo,
ultima parte, dell’art. 627 stesso codice (in tal senso ex multis, Sez. 1, n. 16786
del 24/03/2004 – dep. 08/04/2004, De Falco, Rv. 227924).
Da quanto sin qui esposto, discende, conclusivamente, che in presenza di un
percorso motivazionale, articolato, logico ed aderente alle risultanze processuali,
solo sommariamente illustrato in questa sede, tutte le argomentazioni difensive
sviluppate in ricorso, lungi dal segnalare effettivi vizi motivazionali, non superano
la soglia di una sollecitazione a procedere ad una nuova valutazione delle
emergenze istruttorie in senso favorevole all’imputata, non consentita nel
presente giudizio di legittimità.
2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc.
pen. in ordine alla spese del presente procedimento nonché la condanna della
ricorrente alla refusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile
Presicce Renata, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

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Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
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Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2014.

nuova ulteriore perizia grafologica d’ufficio, ritenendola superflua, ove si

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