Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28219 del 28/01/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 28219 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Ragnoli Amleto, nato a Preseglie (BS) il 12/08/1963

avverso l’ordinanza del 20/12/2014 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Riello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza depositata il 20 dicembre 2014 il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Firenze convalidava il decreto di divieto di accesso
alle manifestazioni sportive con prescrizione di comparizione personale in
occasione degli incontri di calcio del Brescia emesso dal Questor di Firenze nei
confronti di Ragnoli Amleto.

Data Udienza: 28/01/2016

2. Avverso tale provvedimento i difensori del ricorrente, Avv. Giovanni
Adami e Paolo Botticini, hanno proposto ricorso per cassazione, articolando
quattro motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con un primo motivo viene censurata l’omessa motivazione in ordine alle
memorie depositate il 19/12/2014 dal difensore dell’odierno ricorrente, sotto il
profilo del dubbio relativo all’oggetto “brandito” dal prevenuto.
Con un secondo motivo viene censurata l’omessa motivazione in ordine alla

accesso.
Con un terzo motivo viene censurata l’omessa motivazione in ordine alle
ragioni di necessità ed urgenza che giustificano l’adozione della misura.
Con un quarto motivo viene censurata l’omessa motivazione in ordine alla
congruità del divieto di 7 anni.
Con memoria pervenuta il 13/01/2016 i difensori del ricorrente deducono,
con riferimento al quarto motivo, che la durata di 7 anni sia stata erroneamente
determinata in applicazione della novella inserita nell’art. 6, comma 5, I. 401 del
1989 dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 22 agosto 2014, n. 119 (convertito, con
modificazioni, dalla I. 17 ottobre 2014 n. 146), in quanto tale disposizione, che
prevede un obbligo automatico di presentazione per i recidivi, si applica soltanto
alle “azioni di gruppo”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Le cinque censure rivolte all’ordinanza impugnata concernono il profilo
della omessa motivazione in ordine ai presupposti ed alla durata della misura.
Al riguardo, giova premettere che la Corte costituzionale ha qualificato la
misura prevista dal comma 2 dell’art. 6 I. 401 del 1989 come un provvedimento
di tipo preventivo “idoneo ad incidere sulla libertà personale del soggetto tenuto
a comparire”, facendola pertanto rientrare a pieno titolo nelle previsioni dell’art.
13 della Costituzione (Corte Cost., sentenza n. 193 del 1996).
Nel sottolineare (nella sentenza n. 143 del 1996) la sostanziale analogia fra
la procedura prescelta dal legislatore per disciplinare le modalità della convalida
della misura prevista dall’art. 6 comma 2 I. cit. e quella prevista dall’artt. 390
c.p.p. per la convalida dell’arresto o del fermo, la stessa Corte costituzionale ha
precisato che il giudizio di convalida effettuato dal giudice per le indagini
preliminari deve svilupparsi in un controllo pieno, ovvero tale da coinvolgere la

2

necessità della prescrizione dell’obbligo di presentazione, oltre al divieto di

personalità del destinatario, le modalità di applicazione (sentenza n. 143 cit.), la
ragionevolezza ed “esigibilità” della misura (sentenza n. 136 del 1998), e deve
svolgersi nel rispetto delle garanzie della difesa (sentenza n. 144 del 1997).
Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 27/10/2004, n. 44273,
Labbia, nel comporre il contrasto che si era profilato in giurisprudenza in ordine
ai limiti del controllo devoluto al giudice della convalida del provvedimento
adottato dal questore – essendo in particolare controverso se tale controllo
dovesse estendersi o meno alla verifica della pericolosità del soggetto interessato

136 del 1998 cit. e sent. n. 512 del 2002), assegnando al controllo del giudice
carattere “pieno”, ossia esteso alla verifica in concreto, anche sotto il profilo della
sufficienza indiziaria, dell’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge.
Invero, la prescrizione imposta dal Questore ai sensi dell’art. 6, comma 2 I.
401/1989 deve qualificarsi come “misura di prevenzione” (diretta in particolare
ad evitare la consumazione di reati attinenti alla tutela dell’ordine pubblico in
occasione di manifestazioni di carattere sportivo da parte di soggetti che, per
precedenti condotte, siano ritenuti socialmente pericolosi), che – come tutti i
provvedimenti provvisori restrittivi della libertà che l’autorità di polizia può
adottare a norma dell’art. 13, terzo comma, Cost. – deve avere natura
necessariamente “servente” rispetto all’intervento di competenza dell’autorità
giudiziaria, da identificarsi nel controllo di legalità devoluto al giudice della
convalida. In tale ricostruzione, solo l’atto motivato dell’autorità giudiziaria viene
a costituire il provvedimento idoneo a incidere definitivamente sulla posizione
soggettiva della persona, mentre quello dell’autorità di polizia, in quanto
servente, non può che avere “effetti anticipatori e preparatori”.
La convalida, quindi, non può che rivestire la natura di “pieno controllo di
legalità sull’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento
da parte dell’autorità amministrativa, compresi quelli che la natura di misura di
prevenzione richiede”, non differenziandosi, nella sostanza, da quello previsto
per altri provvedimenti provvisori attribuiti alla competenza dell’autorità
amministrativa (quale in particolare quello avente ad oggetto l’arresto operato
dalla polizia).
I presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento del questore, sulla
cui sussistenza deve esplicarsi il controllo giudiziale sono stati individuati
segnatamente: nel “fumus” di attribuibilità delle condotte alla persona sottoposta
alla misura; nella riconducibilità di tali condotte alle ipotesi previste dalla norma;
nelle ragioni di “necessità ed urgenza” che hanno indotto il questore ad adottare
il provvedimento; nella valutazione di sussistenza della pericolosità del soggetto
cui è applicata la misura (il giudice della convalida dovrà in particolare verificare

3

-, hanno fatto proprie le indicazioni ermeneutiche del Giudice delle leggi (sent. n.

se i fatti indicati dal questore possano costituire indice sicuro della pericolosità
intesa nella particolare accezione che risulta dal testo dell’art. 6 della I.
401/1989). Inoltre, il giudice della convalida deve procedere alla valutazione
circa la “congruità” della durata della misura, potendo, ove la ritenga eccessiva,
ridurla (Sez. U, n. 44273 del 27/10/2004, Labbia, Rv. 229110: “In sede di
convalida del provvedimento del questore che, incidendo sulla libertà personale,
imponga a taluno, ai sensi dell’art. 6, comma secondo, della legge 13 dicembre
1989 n. 401 e succ. modd., l’obbligo di presentarsi ad un ufficio o comando di

legalità del giudice deve riguardare l’esistenza di tutti i presupposti legittimanti
l’adozione dell’atto da parte dell’autorità amministrativa, compresi quelli imposti
dalla circostanza che con esso si dispone una misura di prevenzione (ragioni di
necessità e urgenza, pericolosità concreta ed attuale del soggetto, attribuibilità al
medesimo delle condotte addebitate e loro riconducibilità alle ipotesi previste
dalla norma), ed investire altresì la durata della misura che, se ritenuta
eccessiva, può essere congruamente ridotta dal giudice della convalida (V. Corte
cost., 5 dicembre 2002 n. 512)”;

in senso analogo, Sez. U, n. 4443 del

29/11/2005, dep. 2006, Spinelli, Rv. 232712).
La stessa Corte ha poi ribadito il principio secondo cui, anche in questa
materia, il giudice della convalida può legittimamente avvalersi della motivazione
per relationem, purché dia conto del percorso giustificativo e delle ragioni di
condivisione del provvedimento richiamato, non potendosi risolvere la
motivazione in una acritica recezione del provvedimento amministrativo.
2.1. Tanto premesso, sebbene l’ordinanza di convalida del provvedimento
del Questore, impositivo dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, che
sia priva di ogni riferimento alle deduzioni oggetto della memoria difensiva
depositata nei termini, sia affetta da nullità per violazione del diritto di difesa
(Sez. 3, n. 2862 del 13/11/2014, dep. 2015, Luraschi, Rv. 262900), nondimeno
la doglianza relativa all’omessa motivazione in ordine alle memorie difensive
depositate, sotto il profilo del dubbio relativo all’oggetto “brandito”, è infondata,
in quanto nella memoria ‘cumulativa’ (riguardante sei destinatari del
provvedimento questorile) ci si limita a contestare la gravità della condotta
registrata dalle videoriprese, e l’effettiva utilizzazione della cintura detenuta dal
prevenuto.
Una doglianza, dunque, del tutto generica, che si limita, peraltro,
semplicemente a proporre una supposizione, come noto irrilevante nella
dimensione della valutazione probatoria, sull’oggetto ‘brandito’ e sull’utilizzo
dello stesso; del resto, la motivazione dell’ordinanza impugnata contiene altresì
un puntuale riferimento all’oggetto della deduzione difensiva, laddove, nel

4

polizia in coincidenza con lo svolgimento di manifestazioni sportive, il controllo di

descrivere la condotta contestata al prevenuto, evidenzia che questi “è stato
riconosciuto come componente del gruppo di assalto dai fotogrammi delle riprese
video (…) e visto mentre si allontanava dal luogo di battaglia tenendo una
cintura in mano usata per partecipare alla aggressione”.
Prescindendo, pertanto, da una parcellizzazione delle condotte e del
materiale probatorio, emerge che l’ordinanza impugnata ha espressamente
motivato in ordine alla deduzione difensiva proposta, in termini di mera
supposizione, nella memoria, ed ha individuato una condotta violenta che non

mera detenzione di una cintura e nell’allontanamento dal luogo degli scontri,
mero epilogo di precedenti condotte violente.
2.2. La doglianza relativa all’omessa motivazione in ordine alle ragioni di
necessità ed urgenza è infondata, in quanto l’ordinanza fornisce puntuale
descrizione degli atti di violenza posti in essere da Ragnoli Amleto – che,
all’interno dell’area di servizio Chianti Ovest, partecipava, unitamente ad altri
c.d. ‘tifosi’ della squadra di calcio del Brescia, a gravi atti di violenza e di
aggressione di tipo squadristico, commessi in gruppo, e con l’uso di armi
improprie (aste di bandiera, grosse fibbie, bottiglie, ed altri oggetti contundenti),
nei confronti dei ‘tifosi’ della squadra del Verona, provocando anche lesioni
personali -, sulla base dei quali fonda la valutazione di sussistenza delle ragioni
di necessità ed urgenza.
La motivazione, pertanto, pur nella necessaria sinteticità di un
provvedimento di convalida, dà conto in maniera congrua dei motivi che fondano
l’urgenza di provvedere, in tal senso esplicitando il vaglio giurisdizionale previsto
nella predetta fase di controllo della legalità.
In ogni caso, ogni censura sul punto appare inammissibile a fronte della
mancata prova, incombente sull’interessato, che il provvedimento abbia avuto in
concreta esecuzione prima dell’intervento del magistrato, essendo la necessità di
motivazione in ordine al requisito dell’urgenza del provvedimento circoscritta al
verificarsi di tale sola ipotesi (Sez. 3, n. 22256 del 06/05/2008, Dal Prà, Rv.
240244: “In tema di motivazione dell’ordinanza di convalida del provvedimento
con cui il Questore, ai sensi dell’art. 6, secondo comma, della L. n. 401 del 1989,
imponga l’obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia durante lo
svolgimento di manifestazioni sportive, incombe sull’interessato l’onere di
provare che detto provvedimento ha avuto in concreto esecuzione prima
dell’intervento del magistrato, essendo la necessità di motivazione in ordine al
requisito dell’urgenza del provvedimento circoscritta al verificarsi di tale sola
ipotesi”; conforme, Sez. 3, n. 33861 del 09/05/2007, Straguzzi, Rv. 237121;
Sez. 3, n. 32824 del 11/06/2013, Cesare, sul punto non massimata).

5

consiste affatto, alla stregua della versione ridimensionante della difesa, nella

2.3. Le censure rivolte, con il secondo ed il quarto motivo, all’omessa
motivazione in ordine alla necessità della prescrizione dell’obbligo di
presentazione, oltre al divieto di accesso, ed alla congruità di una durata di sette
anni, sono infondate.
Al riguardo, va preliminarmente osservato che l’art. 2, comma 1, lett. b),
d.l. 22 agosto 2014, n. 119 (conv., con modificazioni, nella I. 17 ottobre 2014, n.
146) ha inserito, nell’art. 6, comma 5, I. 401 del 1989, le ipotesi del cd. DASPO
di gruppo – per le quali ha previsto una durata minima pari a tre anni per i c.d.

seconda ipotesi, che ricorre nella fattispecie in esame, la novella ha previsto
l’obbligatorietà della prescrizione dell’obbligo di presentazione

(“nei confronti

della persona già destinataria del divieto di cui al primo periodo è sempre
disposta la prescrizione di cui al comma 2”) ed una durata maggiore rispetto
alle ipotesi comuni (“la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può
essere inferiore a cinque anni e superiore a otto anni”).
Nel caso in esame, dunque, l’obbligatorietà della prescrizione dell’obbligo di
comparizione derivava dalla “recidiva” del prevenuto – già destinatario di
precedente provvedimento della durata di anni tre -, e non sarebbe occorsa
neppure motivazione sul punto.
Nondimeno il provvedimento impugnato ha posto adeguatamente in rilievo il
disvalore delle specifiche condotte tenute, indicando i presupposti di fatto (in
particolare, le condotte violente e l’aggressione di tipo squadristico, con armi
improprie, ai danni dei c.d. ‘tifosi’ rivali, peraltro casualmente incontrati in
un’area di servizio del tratto autostradale percorso per raggiungere distinti luoghi
di svolgimento delle manifestazioni sportive, che, dunque, non rappresentavano
neppure lontano movente delle stesse) e la loro inequivoca attribuzione
all’interessato, fondata sul chiaro tenore dell’informativa della Digos e sui
fotogrammi delle videoriprese, come tale non sindacabile in questa sede, e le
conseguenze in termini di pericolosità.
Invero, l’ordinanza impugnata desume dalla gravità dei fatti descritti e dalla
ritenuta pericolosità sociale del prevenuto la fondatezza dell’imposizione delle
prescrizioni relative all’obbligo di presentazione, “sia nella loro durata temporale,
ben commisurata alla gravità dei fatti, sia nella loro articolazione, strutturata per
prevenire comportamenti della stessa specie”.
Anche in tal caso, dunque, una esposizione, seppur necessariamente
sintetica, in ragione della fase procedimentale, delle ragioni che fondano la
convalida della misura, la durata, e la stessa modalità.
In particolare, con riferimento alla durata della misura, ferma la
insindacabilità con riferimento al divieto di accesso, di esclusiva competenza

6

capi – e del c.d. DASPO del “recidivo”; in particolare, con riferimento a tale

amministrativa, in ordine alla durata dell’obbligo di comparizione il giudice ha
valutato la congruità della stessa in ragione della richiamata gravità dei fatti,
puntualmente descritti, e della pericolosità e dell’indole violenta del prevenuto da
essi evincibile, nonché dalla “recidiva” dalla quale il prevenuto risulta gravato, in
quanto già destinatario di precedente DASPO per la durata di tre anni,
evidentemente rivelatosi inefficace a fini preventivi.
2.4. La deduzione proposta con la memoria pervenuta il 13/01/2016, infine,
è manifestamente infondata.

automatico di presentazione per i recidivi si applichino soltanto nelle ipotesi di
azioni di gruppo.
Ebbene, prescindendo dalla fondatezza dell’interpretazione proposta, sia
sufficiente evidenziare al riguardo che all’odierno ricorrente la misura,
interdittiva e prescrittiva, è stata applicata proprio in relazione alla
partecipazione attiva ad una “condotta di gruppo”.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 28/01/2016

Il Consigliere estensore

Invero, il difensore lamenta che la durata di sette anni e l’obbligo

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA