Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28216 del 04/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28216 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SERBAN Marin, nato a Tirgoviste (Rom) il 12 ottobre 1989;

avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 19 giugno 2015;

letti gli atti di causa, ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gioacchino IZZO,
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per la ricorrente l’avv. Saverio ALOISIO, del foro di Palermo, il quale
ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 04/11/2015

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 19 giugno 2015, ha riformato,
con esclusivo riferimento alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza in
ordine alla ricorrenza della aggravante della transnazionalità, la ordinanza con
la quale il locale Gip aveva disposto, su richiesta del Pm, la adozione della
misura cautelare della custodia in carcere a carico di Serban Marin, cittadino
rumeno regolarmente soggiornante in Italia, indagato, unitamente a diversi

svolgimento da parte della autorità inquirente palermitana, con riferimento a
reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, aggravati dall’uso
della violenza, dal numero dei concorrenti nel reato e da quello della persone
sfruttate.
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Serban
deducendo, in via preliminare, la nullità del provvedimento impugnato per non
avere il Tribunale palermitano dichiarato la inutilizzabilità delle risultanze delle
intercettazioni telefoniche disposte nel corso dell’inchiesta a causa del fatto
che nei verbali delle trascrizioni eseguite non era indicato il nominativo
dell’interprete che aveva provveduto alla traduzione di esse dalla lingua
rumena a quella italiana.
In particolare il ricorrente, ha rilevato che l’art. 271, comma 1, cod. proc.
pen. dispone la inutilizzabilità dei risultati della attività captative laddove le
stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge ovvero in
violazione di quanto previsto dagli artt. 267 e 268, comma 1, cod. proc. pen.
e che quest’ultima disposizione prevede che delle operazioni di intercettazione
sia redatto verbale, il quale, a sua volta, secondo la previsione dell’art. 89
disp. att. cod. proc. pen., deve contenere l’indicazione delle persone che
hanno preso parte alle operazioni.
Altra ragione preliminare di nullità del provvedimento, sempre relativa
alle operazioni di intercettazione, è dedotta dal ricorrente attraverso la
segnalazione che le stesse erano state disposte in assenza di ragioni che le
giustificassero, avendo il Gip provveduto sulla base di una richiesta che
richiamava esclusivamente una richiesta di assistenza giudiziaria proveniente
dalla Romania.
Con riferimento all’in sé della ordinanza emessa dal Tribunale del riesame
di Palermo la difesa del Serban ne ha dedotto la nullità in quanto la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ascritti era stata
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altri suoi connazionali nell’ambito di una complessa inchiesta in corso di

desunta solamente dal contenuto di talune intercettazioni telefoniche dal
significato del tutto ambiguo e non tale da integrare gli elementi necessari per
la adozione della misura stessa .
Analogo discorso era svolto dal ricorrente quanto alla sussistenza delle
esigenze cautelari, non essendo stato indicato dal Tribunale in che maniera il
Serban avrebbe potuto ostacolare le indagini in corso, perché vi era il pericolo
della reiterazione delle condotte e perché vi era il pericolo di fuga, in

straniera dell’indagato; era, infine contestata la motivazione in ordine

alla

impraticabilità della applicazione degli arresti domiciliari con la prescrizione
degli strumenti elettronici di controllo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato fondato, deve essere pertanto accolto.
Osserva la Corte, con riferimento al primo motivo di censura, che sul
punto la giurisprudenza di questa Corte ha espresso due orientamenti fra loro
rigorosamente contrapposti.
Secondo un primo indirizzo, di cui è espressione, fra le altre, la sentenza
n. 24141 del 2008, essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di
captazione un’attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro
intercettazione, essa esule rispetto al novero delle operazioni previste dall’art.
89 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che la indicazione del
nominativo dell’interprete non fa parte delle indicazioni che devono essere
annotate nel verbale delle operazioni previsto dall’art. 268, comma 1,

del

codice di rito (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 13 giugno 2008, n.
24141).
Siffatto orientamento si ricollega logicamente a quanto già affermato in
precedenza da questa Corte, laddove essa sostenne che doveva ritenersi
infondata la eccezione di inutilizzabilità delle risultanze di intercettazioni
telefoniche ove questa si basi unicamente sulla omessa indicazione nel
verbale delle operazioni eseguite delle generalità dell’interprete traduttore,
atteso che nessuna disposizione normativa ricollega a tale omissione la nullità
o la inutilizzabilità della attività da questo svolta (Corte di cassazione, Sezione
VI penale, 27 luglio 2007, n. 30783).
In particolare la Corte rilevò che una tale omissione può essere semmai
fonte di una mera irregolarità dell’atto, non suscettibile di sanzione
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particolare quest’ultimo desunto dal Tribunale in ragione alla sola nazionalità

endoprocessuale, posto che la verifica della capacità dell’interprete,
operazione alla quale sarebbe strumentale la preventiva identificabilità
personale del soggetto traduttore, è, viceversa, dato obbiettivamente
rilevabile, al di là della identificazione della persona dell’interprete, in quanto
desumibile dalla correttezza o meno della traduzione eseguita e trascritta.
Lo stesso avviso ora esposto è stato ribadito più di recente da questa
Corte, con la sentenza n. 25549 del 2015, nella quale, confermato che

non è fonte di inutilizzabilità delle relative risultanze, si è precisato che le
“operazioni” di intercettazione, le quali sono svolte, ai sensi dell’art. 268 cod.
proc. pen., sotto il diretto controllo della autorità giudiziaria, non debbono
essere confuse con le operazioni ad esse successive, fra le quali vi è la loro
verbalizzazione (Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 giugno 2015, n.
25549, non massimata)
A tale orientamento, come dianzi accennato, se ne contrappone un altro,
secondo il quale, laddove vi sia incertezza assoluta sul nominativo
dell’interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di
conversazioni telefoniche, si verifica un’ipotesi di nullità delle medesime, la
quale, peraltro, data la sua caratteristica di nullità relativa deve essere
immediatamente eccepita rimanendo sanata in caso contrario (Corte di
cassazione, Sezione I penale, 27 marzo 2008, n. 12954).
Analogamente, in altra occasione – con quella che, a quanto risulta, è la
più recente pronunzia massimata in argomento – la Corte ha sostenuto che la
omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni delle
generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto,
alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali
operazioni per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere
adeguatamente il compito affidatogli (Corte di cassazione, Sezione III penale,
9 dicembre 2013, n. 49331).
Ritiene il Collegio che questo secondo orientamento sia preferibile.
Pare opportuno, onde dimostrare le ragioni di tale indirizzo, procedere ad
una breve ricognizione normativa della disciplina applicabile allo specifico
profilo della fattispecie in esame.
Invero l’art. 268, comma 1, cod. proc. pen., prevede che delle operazioni
di intercettazione sia redatto apposito verbale nel quale, secondo quanto
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l’irregolare redazione del verbale delle operazioni di intercettazioni telefoniche

precisato dal successivo comma 2 della medesima disposizione, va trascritto,
anche solo sommariamente, il contenuto delle conversazioni intercettate.
Relativamente alle modalità di redazione di detto verbale soccorre l’art.
89 disp. alt. cod. proc. pen., il quale, a sua volta, chiarisce che in esso
debbono essere contenute, oltre alla indicazione del decreto con il quale la
captazione è stata autorizzata, la descrizione delle modalità di registrazione,
l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione delle intercettazioni

Ora, posto che secondo l’espresso tenore della previsione legislativa
contenuta nell’art. 268, comma 2, cod. proc. pen., nel verbale delle operazioni
di intercettazione è trascritto, ancorché sommariamente, il contenuto delle
intercettazioni, è indubbio che, allorché le intercettazioni siano riferite a
comunicazioni che si sono svolte fra persone parlanti un idioma diverso da
quelli italiano e nel caso in cui si sia proceduto alla trascrizione in lingua
italiana ed in forma sommaria del loro contenuto, sia stata compiuta,
precedentemente alla redazione del verbale, un’operazione di traduzione di
esse.
Non appare, pertanto, affatto condivisibile la tesi che, viceversa, colloca
su due piani logicamente e temporalmente sfasati la redazione del verbale
delle operazioni di intercettazione e la operazione di traduzione del contenuto
delle medesime.
Da quanto sopra rilevato deriva inevitabilmente che, avendo il traduttore
delle conversazioni preso parte ad una delle operazioni in cui si articola la
attività di intercettazione e che va, pertanto, verbalizzata, il suo nominativo è
fra quelli che debbono essere indicati nel verbale redatto ai sensi del
combinato disposto degli artt. 268, comma 1, cod. proc. pen. e 89 disp. att.
cod. proc. pen.
Si tratta, a questo punto, di vedere se la mancata indicazione di tale
nominativo è assistita da una sanzione endoprocessuale ovvero se si tratta di
mera

irregolarità non comportante conseguenze

in ordine alla validità

dell’atto.
Ritiene questo Collegio che onde rispondere al predetto quesito occorre
verificare quale sia la ratio che sottende alla previsione contenuta nell’art. 89
disp. att. cod. pen., il quale, come primo rilevato, richiede la indicazione dei
nominativi di chi abbia preso parte alle operazioni in questione.
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nonché il nominativo delle persone che hanno preso parte alle operazioni.

Escludendosi che la stessa sia stata inserita per un mero capriccio del
legislatore, deve concludersi che la sua funzione sia

quella di consentire,

previa la identificazione personale dei soggetti che hanno preso parte alle
operazioni, la verifica delle esistenza di condizioni che, proprio in ragione della
identità personale di quelle, possono essere tali da porre

in dubbio la

correttezza dello svolgimento delle operazioni stesse e la genuinità delle loro
risultanze.

traduttore, ritiene la Corte che la sua indicazione nominativa sia strumentale:
a) sia a rendere possibile il controllo sulla sussistenza di elementi che ne
evidenzino la capacità tecniche (professionali

e culturali) ad portare a

compimento adeguatamente l’incarico conferitogli, essendo

quest’ultimo

attinente non ad un’operazione meramente meccanica, richiedendo, invece, il
suo svolgimento la necessità di procedere alla scelta, fra i

più significanti

attribuibili ad una od a più parole fra loro logicamente coordinate rese in un
idioma diverso da quello nazionale, il significato che, espresso nella lingua
italiana, sia più fedele, in base ad una valutazione non priva di taluni margini
di apbrezzabilità soggettiva, al contenuto del dialogo;

b) a consentire la

verifica della insussistenza di situazioni di incompatibilità a carico del
traduttore che ha eseguito la predetta operazione tali da comportare la nullità
degli atti dal medesimo compiuti.
Infine, rileva la Corte, laddove le operazioni di intercettazione siano state
eseguite in spregio, fra l’altro, a quanto previsto dall’art. 268, comma 1, cod.
proc. pen. (il quale, prevedendo la redazione del verbale a sua

volta

disciplinato dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., deve intendersi violato, nel
caso in cui il verbale non sia redatto secondo le modalità di cui alla norma
ultima citata), l’art. 271 cod. proc. pen. indica come espressa sanzione a
siffatto vizio la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in tal modo
compiute.
Ora, rilevato che nel caso in questione non è dubbia la circostanza che
non siano state riportate nel verbale delle operazioni di intercettazione che
hanno condotto alla acquisizione degli elementi indiziari a carico di

parte

ricorrente le generalità dell’interprete di lingua rumena che ha curato
traduzione del contenuto delle conversazioni intercorse fra

la

gli indagati, va

affermata, alla luce delle considerazione che precedono, la inutilizzabilità delle
relative

risultanze e, di conseguenza, la illegittimità della ordinanza

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del

A tale proposito, per ciò che specificamente attiene alla posizione del

Tribunale di Palermo che, non avendo dichiarato tale inutilizzabilità in sede di
riesame, ha confermato la misura cautelare oggetto dell’originario ricorso.
La ordinanza impugnata, assorbite le restanti censure — ivi comprese
quelle riguardanti la sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare in
relazione al pericolo di inquinamento probatorio (la cui sussistenza è, invero
assai superficialmente, dedotta dal Tribunale di Palermo sulla base del fatto,
apparentemente irrilevante ai fini dimostrativi della esistenza della esigenza

ancora necessitanti di approfondimenti istruttori, ed in ragione della ipotesi,
genericamente formulata dal Tribunale del riesame, che il prevenuto potrebbe
interferire su di esse) e quelle relative al pericolo di fuga (problematicamente
desunta dal Tribunale di Palermo esclusivamente dalla circostanza che il
ricorrente è persona di nazionalità straniera, ritenuta priva di radicamento nel
territorio nazionale ancorché ivi regolarmente residente) – va quindi annullata
con rinvio al Tribunale di Palermo che, in diversa composizione personale,
riesaminerà il ricorso presentato dal Serban avverso la originaria ordinanza
applicativa della misura cautelare ai suoi danni.
Del presente provvedimento va data comunicazione, attraverso la
trasmissione di esso in copia, al Direttore dell’istituto penitenziario ove il
ricorrente è attualmente ristretto.
PQM
AnnuVa la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo.
Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma
1 ter, disp att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015
Il Consigliere estensore

cautelare in questione, che si tratta di fatti commessi in ambito internazionale

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