Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28213 del 20/03/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28213 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

LUNGARO Giuseppe Paolo, nato a Genova il 19/12/1934
avverso la sentenza del 30/1/2012 della Corte di appello di Genova, che ha
confermato la sentenza del 23/11/2010 del Giudice delle indagini preliminari del
Tribunale di Genova che aveva condannato il sig.Lungaro alla pena di un mese e
dieci giorni di reclusione e 200,00 euro di multa in relazione al reato previsto
dall’art.2 del d.l. 12 settembre 1983, n.463 convertito in I. 11 novembre 1983,
n.638 e successive modifiche, relativo all’anno 2007 e accertato il 6/6/2008;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Mario
Fraticelli, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/1/2012 la Corte di appello di Genova ha confermato
la sentenza del 23/11/2010 del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di
Genova che aveva condannato il sig.Lungaro alla pena di un mese e dieci giorni
di reclusione e 200,00 euro di multa in relazione al reato previsto dall’art.2 del

Data Udienza: 20/03/2013

7,711f

d.l. 12 settembre 1983, n.463 convertito in I. 11 novembre 1983, n.638 e
successive modifiche, relativo all’anno 2007 e accertato il 6/6/2008.
La Corte di appello ha respinto la richiesta di applicazione della
continuazione con i fatti di analoga natura relativi all’anno d’imposta 2004 e la
richiesta di riduzione della pena inflitta.
2. Avverso tale decisione il sig. Lungaro propone ricorso, in sintesi
lamentando:

motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento
all’omessa applicazione dell’istituto della continuazione. In particolare il
ricorrente lamenta che la Corte di appello non ha tenuto degli elementi di fatto
posti a fondamento della richiesta di applicazione dell’art.81, cpv, cod. pen., e
cioè della situazione gestionale dell’impresa, della condotta del figlio
dell’imputato, delle condizioni personali che per un quinquennio hanno ostacolato
la gestione personale e imposto di delegarla al figlio, la situazione di congiuntura
economica e l’assenza di liquidità; tutti elementi che supportano l’indicazione di
un’unica volontà del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In considerazione del contenuto dei motivi di ricorso la Corte deve
osservare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento
di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e
non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di
contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla
sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio
1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno
definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
(n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).
Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può
essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della
Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica
introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello
costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)
dall’appello”.

2

errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la
pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di
appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non
autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di
merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione
della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p.
apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46,

partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14
giugno 2007, PG in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n.
24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto
convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez.6, n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
Ciò non significa, ovviamente, che la presenza di manifesta illogicità della
motivazione, rilevante ai sensi della citata dell’e) dell’art.606 c.p.p., non debba
essere riconosciuta allorquando a fronte di plurime ipotesi ricostruttive dei fatti i
giudici di merito non abbiano dato conto in modo coerente e corretto sul piano
logico delle ragioni per cui l’ipotesi accolta abbia forza sufficiente da escludere la
solidità delle ipotesi alternative sottoposte al loro giudizio.
2. Ritiene la Corte che l’applicazione di tali principi interpretativi al caso in
esame imponga di ritenere il ricorso manifestamente infondato. L’apprezzamento
della unicità del disegno criminoso è questione di fatto che spetta al giudice del
merito valutare. Allorché, come nel caso in esame, il giudice abbia esaminato la
questione prospettata dalla difesa e illustrato in modo non manifestamente
illogico le ragioni della propria determinazione, si è in presenza di motivazione
sottratta alla censura del giudice di legittimità. Ora, non vi è dubbio che la
considerevole distanza temporale tra i fatti oggetto di accertamento sia un
elemento che logicamente è stato valutato come indicativo di autonome
determinazioni volitive dell’imputato in contesti aziendali simili ma diversi. Si è in
presenza di valutazione di merito e la non manifesta illogicità del percorso
motivazionale adottato dai giudicanti impone di giudicare palese infondatezza
della censura.
3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

3

l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/3/2013

spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00

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