Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2821 del 09/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2821 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NIGRO DAVIDE N. IL 28/04/1967
avverso la sentenza n. 1102/2014 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 04/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 09/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — La Corte d’appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di
Oristano, con la quale – per quanto qui rileva – l’imputato era stato condannato,
riconosciuta la continuazione, alla pena di un anno e due mesi di reclusione, per i reati
di cui agli artt. 4 e 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per avere, nella sua veste
di legale rappresentante di fatto di una società, omesso di indicare, nella dichiarazione
relativa all’anno 2007, elementi attivi per un ammontare di euro 838.212,15, superiore

al fine di evasione IVA, nonché distrutto e occultato le fatture di vendita e di acquisto
indicate analiticamente nell’imputazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei
redditi del volume di affari, sempre a fini di evasione fiscale.
2. — Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la violazione degli artt. 63,
64, 65, cod. proc. pen., sul rilievo dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese
dall’imputato e dalla coimputata al momento dell’accesso della Guardia di Finanza, in
quanto rese da soggetti già formalmente indagati, senza le garanzie di legge. E sarebbe
manifestamente infondato l’assunto della Corte d’appello secondo cui tali dichiarazioni
sono irrilevanti ai fini della decisione, perché – secondo la difesa – le stesse avevano
indirizzato l’attività di verifica della Guardia di Finanza, e avevano costituito “cardini
impliciti ed espliciti dell’intera attività probatoria”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su una doglianza manifestamente
infondata.
Lo stesso ricorrente richiama il passaggio della motivazione della sentenza
impugnata nel quale si precisa che le dichiarazioni rese dall’imputato e dalla coimputata
al momento dell’accesso della Guardia di Finanza sono irrilevanti ai fini della decisione.

del 10% a quello complessivo degli stessi elementi indicati nella predetta dichiarazione,

Non contrasta, però, tale affermazione se non attraverso un generico riferimento
all’idoneità di tali dichiarazioni ad indirizzare l’attività di verifica della stessa Guardia di
finanza; riferimento che ha a che vedere al più con la prosecuzione delle indagini, ma
certamente non con la motivazione della sentenza impugnata. Né il ricorrente spiega
perché tali dichiarazioni costituirebbero “cardini impliciti ed espliciti dell’intera attività
probatoria”, in presenza degli esiti degli accertamenti direttamente svolti dalla Guardia
di Finanza sulla documentazione della società, che sono da soli ampiamente sufficienti
alla prova della responsabilità penale, come correttamente evidenziato dalla Corte
d’appello.
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4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato. inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2015.

P.Q.M.

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