Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28206 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28206 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• MEOLI Angelo, nato ad Apollosa il 9/11/1956
avverso la ordinanza n. 12/2014 in data 12/2/2014 del Tribunale di Benevento in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario FRATICELLI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori dell’imputato, Avv. Antonio BARBIERI e Avv. Gianpiero PIROLO,
che hanno concluso riportandosi ai motivi e chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/2/2014, il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice
del riesame, ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame nella parte
relativa al sequestro delle quote di denaro spettanti alla coniuge di MEOLI Angelo
ed ha contestualmente ordinato il dissequestro dei rapporti di c/c bancario e/o
postali intestati allo stesso MEOLI ad eccezione delle somme su di essi
depositate.
Prima di procedere oltre appare, a questo punto, doveroso premettere una breve
ricostruzione della vicenda processuale di cui trattasi.
Nei confronti di MEOLI Angelo, all’epoca indagato (ed oggi imputato) per i reati
di cui agli artt. 81, 110, 319, 319 bis e 640 cod. pen. il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Benevento disponeva in data 30/4/2013 ed ai

Data Udienza: 18/06/2014

sensi degli artt. 322 ter, 640 ter cod. pen. e 12 sexies d.l. 306/92 (conv. in L.
356/92) il sequestro preventivo di beni immobili e delle somme di denaro e/o
titoli riconducibili allo stesso.
Il MEOLI proponeva istanza di riesame avverso il predetto provvedimento ed il
Tribunale di Benevento, all’esito del procedimento camerale dichiarava
inammissibile la richiesta di riesame nella parte relativa alle quote di denaro
spettanti alla coniuge del MEOLI, ordinava il dissequestro dei rapporti di c/c
intestati allo stesso (ad eccezione delle somme sugli stessi depositate) e

Avverso quest’ultima ordinanza il MEOLI proponeva ricorso per Cassazione.
Questa Corte, con sentenza n. 1444/2013 in data 8/10/2013 (Sez. VI penale)
annullava il provvedimento del Tribunale del riesame per difetto di motivazione
in relazione al fumus del delitto legittimante l’emissione del provvedimento
cautelare reale ex art. 12-sexies I. 356/92 (ritenendo assorbita in ciò anche la
questione parimenti sollevata del

periculum in mora)

e, di conseguenza,

restituiva gli atti al Giudice territoriale per il relativo seguito.
All’esito del nuovo giudizio camerale si addiveniva quindi da parte del Tribunale
di Benevento all’emissione dell’ordinanza in data 12/2/2014 che in questa sede
ci occupa.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza MEOLI Angelo per mezzo
dei propri difensori, deducendo:
1. Violazione degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 10 cod. proc. pen.
lamentando che il Tribunale non ha operato correttamente disattendendo la
preliminare eccezione di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per il
mancato rispetto del termine di 10 giorni previsto dall’art. 309, comma 10, cod.
proc. pen.
2. Violazione di legge e carenza assoluta di motivazione con riferimento all’art.
12 sexies d.l. 306/92, artt. 125 e 321 cod. proc. pen., 319 cod. pen.
Lamenta, al riguardo, la difesa del ricorrente che il Tribunale di Benevento non
avrebbe di fatto integrato nel senso richiesto dalla sentenza emessa da questa
Corte l’ordinanza annullata, non diffondendosi sulla congruenza dell’ipotesi di
reato (quella di corruzione) contestata al ricorrente e legittimante il
provvedimento di sequestro, di fatto conformandosi agli elementi indicati dalla
Pubblica Accusa senza tenere in debito conto, o comunque stravolgendo, quelli
prospettati dalla difesa. Ancora, l’ordinanza impugnata, a detta della parte
ricorrente, si sarebbe fondata su premesse e valutazioni errate con riguardo alla
ritenuta sproporzione reddituale del MEOLI ed il complesso patrimoniale facente

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rigettava nel resto la richiesta di riesame.

capo allo stesso e, per l’effetto, sulla corretta applicazione dell’art. 12 sexies
menzionato.
3. Violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio (artt. 24 Cost.
e art. 6 CEDU) per mancanza di motivazione sul periculum in mora. Lamenta al
riguardo la parte ricorrente che il Tribunale ha omesso di motivare su questo
aspetto che, di fatto non era stato preso in considerazione nella sentenza di
annullamento emessa da questa Corte solo perché ritenuto assorbito nell’altro
motivo di gravame, cioè quello dell’assenza di motivazione sul fumus.

in data 12/6/2014 dei “motivi aggiunti” allegando una sentenza della VI Sezione
di questa Corte (sent. n. 1200 del 11/7/2013) che, a detta della difesa stessa,
conforterebbe quanto già indicato nel secondo motivo di ricorso di cui sopra in
relazione alla carenza assoluta di motivazione con riferimento all’art. 12 sexies
d.l. 306/92 indicando principi, poi ripresi dal Tribunale del riesame di Benevento
con un’ordinanza datata 11/4/2014 relativa alla posizione di tale MAZZARELLI
Raimondo, secondo i quali l’indicazione complessiva del patrimonio impedisce la
valutazione della disponibilità economica al momento del singolo acquisto e,
dall’altro, che l’attualizzazione del valore del patrimonio scolora l’apodittico
riferimento alla sproporzione tra reddito e patrimonio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Lamenta, come detto, il ricorrente che il Tribunale non ha operato correttamente
disattendendo l’eccezione di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per il
mancato rispetto del termine di 10 giorni previsto dall’art. 309, comma 10, cod.
proc. pen, con ciò violando il combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e
309, comma 10 cod. proc. pen.
Al riguardo non si può che ribadire in questa sede il consolidato orientamento di
questa Corte, condiviso dall’odierno Collegio, secondo il quale “nel giudizio di
rinvio conseguente all’annullamento di un provvedimento del tribunale del
riesame, anche in materia di sequestro, non è applicabile il termine perentorio di
dieci giorni imposto dall’art. 309 comma 10 cod. proc. pen. nel procedimento
ordinario” (Cass. Sez. U, sent. n. 5 del 17/04/1996, dep. 08/05/1996, Rv.
204463; in tal senso anche: Sez. 6, sent. n. 35651 del 16/06/2003, dep.
17/09/2003, Rv. 226513; Sez. 6, sent. n. 22310 del 29/05/2006, dep.
23/06/2006, Rv. 234736).

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, lamenta, innanzitutto, la difesa del
ricorrente che il Tribunale di Benevento non avrebbe di fatto integrato nel senso
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Per dovere di completezza va dato atto che la difesa del ricorrente ha depositato

richiesto dalla sentenza emessa da questa Corte l’ordinanza annullata, non
diffondendosi sulla congruenza dell’ipotesi di reato (quella di corruzione)
contestata al ricorrente e legittimante il provvedimento di sequestro, di fatto
conformandosi agli elementi indicati dalla Pubblica Accusa senza tenere in debito
conto, o comunque stravolgendo, quelli prospettati dalla difesa.
Prima di affrontare la questione, appare doveroso ribadire quali sono gli ambiti
nei quali è chiamato ad operare il Giudice del rinvio e, più in generale, quali sono
i limiti di ricorribilità innanzi a questa Corte dei provvedimenti in materia

cui basi l’odierno Collegio andrà a decidere.
Sotto il primo profilo va ricordato che “a seguito di annullamento per vizio di
motivazione, il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova
decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di
cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse
da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle
già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata poiché egli
conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di
merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali,
nell’ambito del capo della sentenza colpito da annullamento (Cass. Sez. 2, sent.
n. 47060 del 25/09/2013, dep. 26/11/2013, Rv. 257490).
Sotto il secondo profilo, poi, giova rammentare che, a mente dell’art. 325 c.p.p.,
il provvedimento impugnato è ricorribile per cassazione esclusivamente per
“violazione di legge”. Orbene, secondo costante e risalente insegnamento di
questa Corte, che il Collegio condivide, la violazione di legge concernente la
motivazione trova il suo fondamento nella disciplina costituzionale di cui all’art.
111, commi 6 e 7 e concerne sia l’omissione totale della motivazione sia la
motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la prima, allorché il
giudice utilizzi espressioni di stile o stereotipate e, la seconda, quando si riscontri
un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di
segno opposto, con esclusione della motivazione insufficiente e non puntuale
(cfr. ex ceteris Cass. Sez. 1, sent. n. 6821 del 31/01/2012, dep. 21/02/2012,
Rv. 252430). Nella nozione di violazione di legge per cui è soltanto proponibile il
ricorso per cassazione in caso di “mancanza di motivazione” vanno, poi,
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti priva dei requisiti
minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente
apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito
dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento
siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici, da far rimanere
oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (anche Cass. Sez. 1, sent. n.

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cautelare reale e ciò perché tale premessa indica i parametri fondamentali sulle

19093 del 9/5/2006; con riferimento particolare all’art. 325 c.p.p.: Cass. Sez.
un. sent. n. 5876 del 28/1/2004, rv. 226710). Per contro, rimangono quindi
escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione
tutte le rimanenti ipotesi nelle quali la motivazione stessa si dipani in modo
insufficiente e non del tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie.
Ciò doverosamente premesso, va ricordato che l’annullamento della originaria
ordinanza del Tribunale del riesame di Benevento disposto da questa Corte con
la sentenza sopra menzionata è legato alla carenza di motivazione riguardante

processuali riguardanti anche fattispecie non coinvolgenti il merito, senza che si
fosse posta attenzione sulla circostanza del rigetto di applicazione della misura
cautelare personale nei confronti del MEOLI con riguardo al reato di corruzione
che è, per l’appunto, quello legittimante l’adozione della misura cautelare reale
di cui trattasi.
Orbene, nell’ordinanza emessa dal Giudice di rinvio che in questa ci occupa, è
stato riportato testualmente e nella parte di interesse il contenuto motivazionale
dell’ordinanza annullata che, a sua volta, aveva fatto richiamo all’apparato
argomentativo del decreto di convalida di sequestro emesso dal Giudice per le
indagini preliminari. A dir del vero la motivazione adottata (principalmente alle
pagg. 3 e 4) nell’ordinanza oggi al vaglio di questa Corte appare finalizzata a
difendere la “bontà” del provvedimento annullato più che ad integrare la carenza
motivazionale nel senso richiesto da questa Corte. Tuttavia la motivazione del
nuovo provvedimento oltre a richiamare in larga parte quella dell’ordinanza
impugnata in materia di valutazione del compendio probatorio esaminato
costituito anche dalle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, aggiunge
un nuovo elemento rispetto al passato che è quello dell’intervenuto rinvio a
giudizio del MEOLI anche per il reato legittimante l’adozione del provvedimento
cautelare (circostanza oggettiva non contestata dalla difesa).
Trattasi di un elemento indicato sì in modo sintetico ma certamente di evidente
rilevanza in relazione al “fumus” del reato di corruzione.
Deve, infatti, essere evidenziato che questa Corte, sulla base di un orientamento
che l’odierno Collegio condivide, ha avuto modo di chiarire che non è proponibile
in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo la
questione relativa alla sussistenza del “fumus commissi delicti”, qualora sia
intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato che spiega efficacia preclusiva alla delibazione del “fumus” del reato – stante
l’ontologica diversità e, quindi, la non omologabilità delle regole relative alle
misure cautelari personali con quelle riguardanti le misure cautelari reali (Cass.
Sez. 5, sent. n. 30596 del 17/04/2009, dep. 23/07/2009, Rv. 244476).

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un richiamo del tutto generico che era stato effettuato a distinte risultanze

Al riguardo, nella decisione appena menzionata, questa Corte ha avuto modo di
precisare che i principi enunciati dalla sentenza n. 71 del 1996 della Corte
costituzionale, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt.
309 e 310 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano la possibilità di valutare la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell’ipotesi in cui fosse stato emesso il
decreto dispositivo del giudizio a norma dell’art. 429 c.p.p. (pur dopo le
modifiche della disciplina dell’udienza preliminare introdotte dalla L. 16 dicembre
1999, n. 479, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte

anche alle misure cautelari reali.
La ratio dell’esclusione risiede, come condivisibilmente precisato da questa Corte
nella sentenza menzionata, più esattamente, nell’ambito di cognizione devoluto
al giudice del riesame: nell’un caso, l’apprezzamento dei gravi indizi di
colpevolezza, nell’altro, la sommaria delibazione della sussistenza dell’ipotizzata
fattispecie di reato, da effettuarsi non in astratto, ma in concreto,
indipendentemente da ogni possibilità di apprezzamento della fondatezza
dell’accusa, della sussistenza degli indizi di colpevolezza e della gravità degli
stessi (cfr. Cass. Sez. Un. 23.2.2000, n. 7, rv 215840). Di talché, se l’effetto
preclusivo non può spiegarsi in tema di misure cautelari personali, posto che il
decreto che dispone il giudizio reca una mera valutazione di idoneità e
sufficienza degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio, al di fuori di
ogni più penetrante apprezzamento di gravità degli indizi a carico dell’indagato, è
invece insuperabile in materia di misure cautelari, posto che, in tal caso, il
provvedimento reca in sé una positiva delibazione di sussistenza dell’ipotizzata
fattispecie di reato, che è più intensa della mera valutazione sommaria compiuta
in sede di emissione della misura cautelare (per l’appunto, il fumus commissi

delicti).
Ciò posto, la questione relativa ad una permanente carenza motivazionale sul
punto dell’ordinanza del Tribunale di Avellino risulta obbiettivamente superata ed
il relativo motivo di gravame (in tutti i differenti profili che lo caratterizzano) non
può ritenersi fondato.
Sempre con riguardo al secondo motivo di gravame, la difesa del ricorrente ha,
poi sostenuto che l’ordinanza impugnata si fonda su premesse e valutazioni
errate con riguardo alla ritenuta sproporzione reddituale del MEOLI ed il
complesso patrimoniale facente capo allo stesso e, per l’effetto, sulla corretta
applicazione dell’art. 12 sexies menzionato.
Quelle proposte dalla difesa al riguardo sono valutazioni che propongono una
diversa possibile lettura delle risultanze processuali ma che non risultano
sindacabili in questa sede alla luce dei rigorosi ambiti sopra evidenziati del

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con sentenza n. 39915 del 30.10.2002, n. 222602) non posso essere estesi

giudizio di legittimità relativo ai provvedimenti in materia di misure cautelari
reali. Questa Corte non è certo chiamata a valutare (o rivalutare) il compendio
probatorio fornito dalle parti ma solo a valutare se il Tribunale del riesame ha
motivato in modo coerente e logico e se le linee argomentative del
provvedimento non siano a tal punto scoordinate e carenti dei necessari passaggi
logici, da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione.
Orbene sotto questo specifico profilo non sono ravvisabili carenze o difetti nel
provvedimento impugnato né la documentazione prodotta in sede di motivi

dall’odierno ricorrente e riguardante fatti ed ambiti probatori differenti da quello
che in questa sede ci occupa) appare contrastare con quanto sopra rilevato, e
poiché, a giudizio dell’odierno Collegio, rimangono escluse dalla nozione di
“violazione di legge” connessa al difetto di motivazione tutte le rimanenti ipotesi
nelle quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del tutto
puntuale rispetto alle prospettazioni censorie, si impone il rigetto del relativo
motivo di ricorso.

3. Il terzo ed ultimo motivo di ricorso riguarda, infine, la lamentata violazione del
diritto di difesa e del principio del contraddittorio per asserita mancanza di
motivazione sul periculum in mora.
Al di là del fatto che l’annullamento da parte di questa Corte dell’originaria
ordinanza del Tribunale del riesame non ha specificamente riguardato tale profilo
atteso che la relativa questione è stata ritenuta assorbita a causa
dell’annullamento disposto per l’altro aspetto motivazionale di cui sopra si è
detto, e che, pertanto, non esisteva alcun impedimento per il Tribunale del
riesame di riproporre, come ha fatto, le medesime argomentazioni già adottate
nel primo provvedimento, deve essere evidenziato che questa Corte ha già avuto
modo di ribadire in più occasioni che “le condizioni necessarie e sufficienti per
disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell’art. 12-sexies,
commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge
7 agosto 1992 n. 356 consistono, quanto al “fumus commissi delicti”,
nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle
concrete circostanze indicate dal P.M., di una delle ipotesi criminose previste
dalle norme citate, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di
colpevolezza, né la loro gravità e, quanto al “periculum in mora”, coincidendo
quest’ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di
esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che
riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività
economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione

7

aggiunti (relativa peraltro a principi espressi con riguardo a soggetto diverso

della

lecita

provenienza

dei

beni

st essi”

(Cass.

Sez.

U, sent.

n.

920 del

17/12/2003,

Rv.

226492;

Sez.

1,

sent.

n.

16207

del

11/02/2010,

dep.

26/04/2010,

Rv.

247237;

Sez.

1,

sent.

n.

19516

del

01/04/2010,

dep.

24/05/2010, Rv. 247205).
Orbene, nell’ordinanza impugnata (pag. 8) si è dato congruamente atto del fatto
che il Tribunale ha preso in considerazione sia le risultanze della consulenza
tecnica prodotta dal PM sia il contenuto di quella prodotta dalla difesa del MEOLI
e che il tribunale dall’esame dei predetti atti ha ritenuto di ravvisare in capo

assolutamente incompatibili con i redditi facenti capo all’indagato” (si è dato atto
nell’ordinanza che l’odierno ricorrente, nell’ottica di un controllo che ha
riguardato un arco temporale – 2004/2011 – piuttosto ampio, è risultato avere
effettuato movimentazioni di titoli – anche su mercati esteri – per un
controvalore di oltre 1 milione e 300 mila euro nonché avere emesso assegni per
investimenti effettuati per un importo superiore a 500 mila euro senza che in
alcun modo egli sia riuscito a giustificare tali disponibilità economiche che,
seppure in presenza di un reddito documentato certo non di scarsa rilevanza,
sono apparse – per dirla con l’espressione utilizzata dalla stesso tribunale del
riesame – “clamorosamente sproporzionate” rispetto alle potenzialità economiche
del soggetto.
Anche in questo caso, come già evidenziato in occasione dell’esame del
precedente motivo di ricorso, non sono ravvisabili carenze o difetti nel
provvedimento impugnato e poiché rimangono escluse dalla nozione di
“violazione di legge” connessa al difetto di motivazione tutte le ipotesi nelle quali
la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del tutto puntuale
rispetto alle prospettazioni censorie, si impone il rigetto del relativo motivo di
ricorso.

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

all’odierno ricorrente una “ingente movimentazione di somme di denaro

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