Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28205 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28205 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• MIRABELLA Giuseppe, nato a Belpasso (CT) il giorno 11/10/1941
avverso la ordinanza n. 2373/13 in data 11/12/2013 del Tribunale di Torino in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario FRATICELLI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11/12/2013, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale
di Torino ha confermato l’ordinanza emessa il 4/4/2013 (in realtà si tratta
dell’ordinanza 19/11/2013) del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale della medesima città con la quale era stata disposta la misura
cautelare personale della custodia in carcere nei confronti di MIRABELLA
Giuseppe detto “Pippo” per il reato di concorso in estorsione continuata e
pluriaggravata (artt. 81 cpv. 110, 629 in relazione all’art. 628, comma 3 n. 1
cod. pen., e 7 L. 203/1991) consumata ai danni di D’AURIA Renato e D’AURIA
Franco i quali, con minacce, venivano costretti a consegnare la somma
complessiva di 30 mila Euro. Con le aggravanti di aver commesso i fatti in più
persone riunite e di aver commesso il fatto al fine di agevolare le attività
dell’associazione prevista dall’art. 416 bis cod. pen. denominata Locale di
Giaveno.

Data Udienza: 18/06/2014

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza l’imputato personalmente,
deducendo:
1. Violazione di legge con riguardo agli articoli 274, 275, nn. 2, 3, 4, 4 bis), 4
ter), 4 quinquies) cod. proc. pen.; illogicità, contraddittorietà e assenza di
motivazione con riguardo alle pretese esigenze cautelari di eccezionale rilevanza
tali – per come ritenute sussistenti – da escludere l’applicazione la misura
cautelare meno afflittiva e comunque da derogare ai divieti di custodia cautelare
ex lege,

per persona ultrasettantenne e gravemente

malata;
2. Violazione di legge in relazione agli articoli 273, 192, 195 cod. proc. pen.,
illogicità, contraddittorietà della motivazione, con riguardo alla attendibilità
complessiva del collaborante TALLUTO nella misura in cui, e su quanto dichiarato
dal medesimo, si adducano a riscontro circostanze per nulla verificate ma tali, in
prospettiva da accusa, da affermare la eccezionale rilevanza delle esigenze
cautelari e dunque l’applicazione della custodia in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è del tutto generico e, per l’effetto, manifestamente infondato.
1. Quanto al primo motivo di ricorso deve essere immediatamente evidenziato
che l’ordinanza impugnata si presenta congruamente motivata ed è del tutto
esente da vizi logici e contenutistici in relazione alla sussistenza delle esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza che hanno consentito l’applicazione nei
confronti del ricorrente ultrasettantenne della misura cautelare personale della
custodia in carcere.
Questa Corte, come ha ricordato anche lo stesso Tribunale del riesame
nell’ordinanza qui impugnata, ha già avuto modo di stabilire che “la misura
cautelare della custodia in carcere può essere eccezionalmente disposta nei
confronti di soggetti ultrasettantenni a condizione che, con specifica motivazione,
si dia conto dell’esistenza di esigenze cautelari di intensità così elevata e
straordinaria da rendere in concreto inadeguata ogni altra misura” (Cass. SEz.
1^, sent. n. 18173 del 8.4.2009, dep. 4.5.2009, rv. 243867).
La questione che qui ci occupa non risulta, inoltre, essere toccata dalla pronuncia
della sentenza della Corte Costituzionale n. 57/2013 del 2013 che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 285, comma 3, secondo periodo, cod.
proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, del D.L. 23 febbraio 2009, n.
11, della parte in cui prevede che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza
in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo
416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione

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intramuraria previsti

prevista la stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che
siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari,
non fa salva altresì l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici in relazione al
caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure.
A tal riguardo nell’ordinanza impugnata sono rinvenibili gli elementi motivazionali
nei quali si illustra la sussistenza nei confronti del ricorrente di esigenze cautelari
di intensità così elevata e straordinaria di talché ne deriva l’impossibilità di

domiciliari che risulta essere stata invocata in estremo subordine anche dalla
difesa del MIRABELLA in occasione del procedimento innanzi al Tribunale del
riesame.
Il Tribunale di Torino, infatti, dopo avere premesso l’evoluzione dell’iter
processuale che aveva portato in origine il Giudice per le indagini preliminari
della medesima città ad applicare con ordinanza 4.4.2012 nei confronti di
MIRABELLA Giuseppe (e di altri soggetti) la misura cautelare personale della
custodia in carcere per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., nonché per
concorso in violazione della legge sugli stupefacenti e per estorsione ai danni di
tali SEBASTIANELLI Fatima e CARBONE Giovanni, ma ad escludere la sussistenza
di una gravità indiziaria nei confronti dell’odierno ricorrente (e degli altri soggetti
indicati come concorrenti nei medesimi fatti-reato) in ordine all’imputazione che
in questa sede ci occupa, ha poi correttamente evidenziato che solo a seguito di
successive indagini (interrogatorio dei fratelli D’AURIA ed intercettazione delle
conversazioni ambientale degli stessi nella sala d’aspetto della Questura) è stato
rinvenuto riscontro alle dichiarazioni del collaborante e correo nel medesimo
reato, TALLUTO Christian, e per l’effetto, nei confronti del MIRABELLA è stata
applicata la misura cautelare personale della custodia in carcere anche per tale
reato.
Quanto alla gravità indiziaria sopravvenuta, il Tribunale di Torino ha effettuato
un legittimo richiamo all’ordinanza applicativa della misura cautelare.
Quanto, poi, alla sussistenza delle esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”
nei confronti dell’odierno ricorrente, il Tribunale ha evidenziato che le stesse
sono desumibili da svariati fattori che si aggiungono alla gravità intrinseca del
reato in contestazione, quali l’elevatissima caratura criminale del MIRABELLA
spesso sfociata in atti palesemente intimidatori e minacciosi nei confronti di terze
persone estranee alla compagine associativa nonché le risultanze del casellario
giudiziale del ricorrente che risulta avere precedenti penali per furto, rapina,
falso, ricettazione, violazione anche a livello associativo della legge sugli
stupefacenti (è appena il caso di evidenziare che lo stesso ha subito condanne

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soddisfare le stesse con misure differenti quali ad esempio quella degli arresti

per un ammontare complessivo di oltre 30 anni di reclusione). Ha altresì
evidenziato il Tribunale nell’ordinanza impugnata la posizione apicale rivestita dal
MIRABELLA all’interno dell’associazione per delinquere al medesimo contestata
ed il fatto che lo stesso ha continuato a delinquere nonostante fosse sottoposto
alla misura di sicurezza della libertà vigilata, con l’ulteriore conseguenza che
l’odierno ricorrente – caratterizzato da un “elevatissimo ed eccezionale rischio di
recidivanza specifica” – potrebbe continuare a delinquere anche se fosse
sottoposto alla misura più blanda degli arresti domiciliari.

riesame di Torino, il ricorrente ha proposto un ricorso che, nonostante la
dimensione di circa 9 pagine, ha, come detto, un contenuto del tutto generico.
Si tratta, in sostanza, di una lunga serie di lagnanze infarcite da riferimenti
giurisprudenziali e caratterizzate da una sterile pretesa lezioncina di diritto nelle
quali si sostiene l’inesistenza di quelle esigenze cautelari che, come detto, il
Tribunale del riesame di Torino ha (correttamente e motivatamente) posto a
fondamento della propria decisione.
Dalla lettura del ricorso risulta persino arduo identificare degli specifici punti di
lagnanza che possano essere sintetizzati in maniera differente dall’affermazione
che il Tribunale del riesame avrebbe errato perché non esistevano quelle
esigenze cautelari che invece ha ritenuto sussistere.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è da considerarsi assolutamente generico
così da rendere lo stesso manifestamente inammissibile.
Si sostiene che le dichiarazioni del collaboratore TALLUTO non sarebbero
riscontrate e che, in ogni caso, lo stesso sarebbe inattendibile ma nel ricorso non
si evidenzia alcun atto o punto specifico a fondamento di tale asserzione.
Nel ricorso si fa, inoltre, un generico riferimento a conversazioni telefoniche che
non vengono minimamente specificate, si sostiene che il linguaggio “duro”
utilizzato nelle conversazioni attribuite al ricorrente sarebbe il portato della vita
lungamente trascorsa in carcere dallo stesso e non necessariamente proverebbe
il ruolo apicale dallo stesso rivestito nel contesto dell’associazione di stampo
mafioso. Ancora una volta si tratta di asserzioni fini a sé stesse che non
propongono neppure una possibile ricostruzione alternativa delle vicenda che in
questa sede ci occupa.
Da ultimo anche la lagnanza relativa al fatto che il ricorrente sarebbe
gravemente malato al punto di essere stato già in precedenza trasferito in
strutture carcerarie dove poteva essere più adeguatamente curato – asserto che
contrasta con quanto scritto immediatamente dopo dal ricorrente (cfr. pag. 7 del
ricorso) relativo ad una sua scarcerazione avvenuta nel 1998 per incompatibilità

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A fronte di una così ampia struttura motivazionale adottata dal Tribunale del

delle condizioni di salute con il regime carcerario – rimane a livello di mera
affermazione non essendo stato allegato al ricorso alcun elemento in tal senso.
A ciò si aggiunga che la questione era stata posta anche al Tribunale che peraltro
ha evidenziato come le condizioni di salute dell’imputato sono difficilmente
valutabili in sede di riesame e comunque la decisione assunta da implicitamente
atto dell’inesistenza di comprovate condizioni di salute del ricorrente che siano
incompatibili con l’avviamento del trattamento carcerario.

inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di
Euro 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

Così deciso in Roma il giorno 18 giugno 2014.

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato

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